Incidente di Vermicino: differenze tra le versioni

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
Etichette: Modifica visuale Modifica da mobile Modifica da web per mobile
→‎Riconoscimenti: ordine alfabetico comuni (che siano, o meno, della stessa provincia), uniformità in caso di quartieri, elimino ripetizione (lusciano)
Riga 161: Riga 161:
* [[Aci Catena]] ([[Città metropolitana di Catania|CT]]);
* [[Aci Catena]] ([[Città metropolitana di Catania|CT]]);
* [[Buccinasco]] ([[Città metropolitana di Milano|MI]]);
* [[Buccinasco]] ([[Città metropolitana di Milano|MI]]);
* nella frazione [[Città metropolitana di Cagliari|cagliaritana]] [[Pirri]];
* [[Cagliari]] (nel quartiere [[Pirri]]);
* [[Canicattì]] ([[Provincia di Agrigento|AG]]);
* [[Favara]] ([[Provincia di Agrigento|AG]]);
* [[Force]] ([[Provincia di Ascoli Piceno|AP]]);
* [[Lusciano]] ([[Provincia di Caserta|CE]]);
* [[Lusciano]] ([[Provincia di Caserta|CE]]);
* [[San Marco Evangelista (Italia)|San Marco Evangelista]];
* [[Selegas]] ([[Città metropolitana di Cagliari|CA]])
* [[Selegas]] ([[Città metropolitana di Cagliari|CA]])
* [[Surbo]] ([[Provincia di Lecce|LE]]);
* [[Surbo]] ([[Provincia di Lecce|LE]]);
* [[Force]] ([[Provincia di Ascoli Piceno|AP]]);
* [[San Marco Evangelista (Italia)|San Marco Evangelista]] e [[Lusciano]] ([[Provincia di Caserta|CE]]);
* [[Canicattì]] e [[Favara]] ([[Provincia di Agrigento|AG]]).
* [[Trieste]] (nel rione di [[Rozzol Melara]] - [[Chiadino]]).
* [[Trieste]] (nel rione di [[Rozzol Melara]] - [[Chiadino]]).



Versione delle 19:15, 10 giu 2021

«Volevamo vedere un fatto di vita, e abbiamo visto un fatto di morte. Ci siamo arresi, abbiamo continuato fino all'ultimo. Ci domanderemo a lungo prossimamente a cosa è servito tutto questo, che cosa abbiamo voluto dimenticare, che cosa ci dovremmo ricordare, che cosa dovremo amare, che cosa dobbiamo odiare. È stata la registrazione di una sconfitta, purtroppo: 60 ore di lotta invano per Alfredo Rampi.»

Incidente di Vermicino
Alfredo Rampi
TipoIncidente
Data inizio10 giugno 1981
19:20
Data fine13 giugno 1981
5:00
LuogoVia Sant'Ireneo, tra Vermicino e Selvotta
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione  Lazio
Provincia  Roma
ComuneFrascati
Coordinate41°50′53.22″N 12°39′53.72″E / 41.848117°N 12.664923°E41.848117; 12.664923
Causaviolazione delle norme di sicurezza per gli impianti idrici
Conseguenze
MortiAlfredo Rampi
Mappa di localizzazione
Mappa di localizzazione: Italia
Luogo dell'evento
Luogo dell'evento

L'incidente di Vermicino fu un avvenimento accaduto in Italia il 10 giugno 1981 che causò la morte di un bambino, Alfredo Rampi detto Alfredino (Roma, 11 aprile 1975 - Vermicino, 13 giugno 1981), caduto in un pozzo artesiano in via Sant'Ireneo, in località Selvotta, una piccola frazione di campagna vicino a Frascati, situata lungo la via di Vermicino, che collega Roma sud a Frascati nord. Dopo quasi tre giorni di inutili tentativi di salvataggio, il bambino morì dentro il pozzo a una profondità di circa 60 metri. La vicenda ebbe grande risalto sulla stampa e nell'opinione pubblica italiana, con la diretta televisiva della Rai durante le ultime 18 ore del caso.

La mancanza di organizzazione e coordinamento dei soccorsi, ai limiti dell'improvvisazione, fecero capire l'esigenza di una nuova struttura organizzativa per poter gestire le situazioni di emergenza e negli anni successivi portò alla nascita della Protezione Civile, all'epoca ancora solo sulla carta.[1][2][3][4]

Storia

L'incidente

Nel mese di giugno 1981 la famiglia Rampi — il padre Ferdinando, la madre Francesca Bizzarri, la nonna paterna Veja e i figli Alfredo e Riccardo, rispettivamente di 6 e 2 anni — stava trascorrendo un periodo di vacanza nella loro seconda casa, in via di Vermicino, zona Selvotta, Frascati (Roma).

La sera di mercoledì 10 giugno, Ferdinando Rampi, due suoi amici e il figlio Alfredino erano a passeggio nella campagna circostante. Venuta l'ora di tornare indietro, alle ore 19:20, Alfredino chiese al padre di poter continuare il cammino verso casa da solo, attraverso i prati; Ferdinando acconsentì, ma quando giunse a casa, verso le ore 20:00, scoprì che il bambino non era arrivato. Dopo circa mezz'ora, i genitori cominciarono a cercarlo nei dintorni e, non trovandolo, alle 21:30 circa allertarono le forze dell'ordine.[5] Nel giro di 10 minuti giunsero sul posto Polizia, Vigili urbani e Vigili del fuoco, oltre ad alcuni abitanti del posto, attratti dal viavai. Tutti insieme si unirono ai genitori nelle ricerche, che vennero portate avanti anche con l'ausilio di unità cinofile. La nonna ipotizzò per prima che Alfredino fosse caduto in un pozzo recentemente scavato in un terreno adiacente, dove si stava edificando una nuova abitazione; tale pozzo venne tuttavia trovato coperto da una lamiera tenuta ferma da sassi.

Un agente di polizia, il brigadiere Giorgio Serranti, allorché venne a conoscenza dell'esistenza del suddetto pozzo, sebbene gli fosse stato detto che esso era coperto, pretese di ispezionarlo ugualmente e, fatta rimuovere la lamiera, infilò la sua testa nell'imboccatura, riuscendo così a udire i flebili lamenti di Alfredino. Si scoprì poi che il proprietario del terreno sovrastante aveva messo la lamiera sulla fessura intorno alle ore 21:00, senza minimamente immaginare che all'interno ci fosse intrappolato un bambino[5] e dopo che erano già iniziate le ricerche. Il proprietario del terreno, Amedeo Pisegna, abruzzese di 44 anni, insegnante di applicazioni tecniche, verrà in seguito arrestato con l’accusa di omicidio colposo e con l’aggravante della violazione delle norme di prevenzione degli infortuni.

I soccorsi

I soccorritori quindi si radunarono all'imboccatura del pozzo e vi calarono una lampada, tentando invano di localizzare il bambino. La prima stima rilevò che il bambino era bloccato a 36 metri di profondità e la sua caduta era stata arrestata da una curva o da una rientranza del cunicolo.

Le operazioni di soccorso si rivelarono subito estremamente difficili, in quanto la voragine presentava un'imboccatura larga 28 cm, una profondità complessiva di 80 metri e pareti irregolari e frastagliate, piene di sporgenze e rientranze. Giudicando impossibile calarvi dentro una persona, il primo tentativo di salvataggio consistette nel calare nell'imboccatura una tavoletta legata a corde, allo scopo di consentire al bimbo di aggrapparvisi per sollevarlo; tale scelta si rivelò un grave errore, in quanto la tavoletta si incastrò nel pozzo a 24 metri, ben al di sopra del bambino e non fu più possibile rimuoverla, poiché la corda che teneva la tavoletta si spezzò e di conseguenza il condotto ne risultò quasi completamente ostruito.[5] Attorno all'una di notte alcuni tecnici della Rai, allertati allo scopo, calarono nel budello roccioso un'elettrosonda a filo, per consentire ai soccorritori in superficie di comunicare col bambino il quale, almeno per il momento, rispondeva lucidamente.

Si pensò quindi di scavare un tunnel parallelo al pozzo, da cui aprire un cunicolo orizzontale lungo 2 metri, che consentisse di penetrare nella cavità poco sotto il punto in cui si supponeva si trovasse il bambino. Per far ciò occorreva una sonda di perforazione, che fu reperita alle ore 6:00 grazie alla disponibilità della ditta Tecnopali di Roma.

Alle ore 4:00 dell'11 giugno giunse sul posto un gruppo di giovani speleologi del Soccorso alpino, che si offrirono come volontari per calarsi nel sottosuolo. Il caposquadra, il ventiduenne Tullio Bernabei,[6] di corporatura sufficientemente magra, fu il primo a scendere nel pozzo e, calato a testa in giù, tentò di rimuovere la tavoletta che era rimasta incastrata. Tuttavia i restringimenti del pozzo gli consentirono di arrivare solo a un paio di metri da questa. Dopo di lui si calò un secondo speleologo, Maurizio Monteleone,[7] ma anch'egli arrivò a pochissima distanza dalla tavoletta, non riuscendo a prenderla. Nel frattempo i Vigili del fuoco avevano incominciato a pompare ossigeno nel pozzo, allo scopo di evitare l'asfissia del bambino.

Il comandante dei Vigili del fuoco di Roma, Elveno Pastorelli, giunto nel frattempo sul posto, ordinò allora di sospendere i tentativi degli speleologi e concentrare gli sforzi nella perforazione del "pozzo parallelo". Una geologa lì presente, Laura Bortolani, ipotizzando i substrati di terreno molto duri che si sarebbero incontrati in profondità, fece notare a Pastorelli che sarebbe occorso un lungo tempo per la perforazione, e pertanto propose di proseguire anche con gli altri tentativi. Secondo Tullio Bernabei tale suggerimento sarebbe stato respinto da Pastorelli, il quale avrebbe ribadito il divieto di ulteriori discese, ordinando pertanto agli speleologi di sgomberare.[5]

Alle ore 8:30 la sonda cominciò a scavare e il terreno si rivelò friabile riuscendo a scavare 2 metri in due ore; verso le 10:30 tuttavia, come previsto dalla Bortolani, venne intercettato uno strato di roccia granitica difficile da scalfire. Nel frattempo il bambino si lamentava per il forte rumore e alternava momenti di veglia a colpi di sonno e chiedeva da bere. Per spiegargli gli altissimi rumori e le forti scosse dei colpi che sentiva, e allo stesso tempo per rincuorarlo e confortarlo, gli venne comunicato che stava arrivando a salvarlo addirittura Jeeg Robot d’Acciaio.

Alle 10:30, per non interferire con le comunicazioni via etere dei soccorritori, la Rai e le stazioni radiofoniche laziali disattivarono i loro ponti radio in onde medie.[5]

Verso le 13:00, su specifica richiesta dei soccorritori, arrivò sul posto un'altra perforatrice, più grande e potente della prima. All'incirca alla stessa ora andavano in onda le edizioni di mezza giornata del TG1 e del TG2: fu a questo punto che la Rai incominciò a occuparsi con vivo interesse del fatto (già affrontato con alcuni servizi trasmessi nei notiziari della notte precedente). Tra i primi a giungere sul posto vi fu l'inviato del TG2 Pierluigi Pini, il quale aveva visto per caso un appello su un'emittente televisiva privata laziale per il reperimento urgente di mezzi d'escavazione, decidendo pertanto di recarsi a Vermicino con una troupe.

Il giornalista Piero Badaloni affermò che il comandante Pastorelli aveva diramato la previsione che nel giro di poche ore la perforazione si sarebbe conclusa e l'operazione di salvataggio sarebbe andata a buon fine; per questa ragione il TG1 decise a sua volta di collegarsi con la troupe del TG2, auspicando di ricevere la ripresa del salvataggio in tempo reale.[5][8] Poco dopo anche il TG3 decise di unirsi alla cronaca diretta dei fatti, che di fatto proseguì "a reti unificate" appoggiandosi alla ridotta strumentazione del notiziario della seconda rete.

Il "tam-tam" mediatico alimentò la curiosità del pubblico: attorno al pozzo finì quindi per raccogliersi una folla di circa 10 000 persone e incominciarono ad arrivare anche venditori ambulanti di cibo e bevande. Probabilmente anche questo colossale assembramento (la zona non era transennata e chiunque poteva arrivare praticamente fino all'imboccatura della cavità) ebbe un ruolo rilevante nel rallentare la macchina dei soccorsi.

Intorno alle 16:00 entrò in azione una seconda perforatrice, più performante, dopo che la prima era riuscita a scavare un pozzo di 20 metri di profondità e 50 cm di diametro. I tecnici operatori di questa nuova macchina, a causa del sottosuolo duro e compatto, ipotizzarono non meno di 8-12 ore di lavoro per arrivare alla profondità richiesta.

Alle 18:22 il pozzo parallelo aveva raggiunto una profondità di 21 metri e lo scavo procedeva con difficoltà. Interpellato allo scopo, Elvezio Fava, primario di rianimazione all'ospedale San Giovanni, si dedicò a controllare le condizioni di salute del bambino, che era affetto da una cardiopatia congenita in attesa di essere operata a settembre.

Alle ore 20:00 entrò in funzione un terzo impianto di perforazione, più piccolo e agile; al contempo fu calata nel pozzo una flebo di acqua e zucchero per tentare di dissetare il bambino. Ritenendo non più necessario lasciare libere le frequenze, le stazioni radio locali ripresero le trasmissioni in onde medie.[5][8]

Sandro Pertini con Elveno Pastorelli all'imboccatura del pozzo

Alle 21:30 si rese necessaria una pausa nella perforazione; alle 23:00 fu autorizzato a scendere nel pozzo un volontario, il manovale siciliano cinquantaduenne Isidoro Mirabella, dal fisico minuto e subito ribattezzato "l'Uomo Ragno". Egli però, a causa di ostacoli tecnici, non riuscì ad avvicinarsi a sufficienza al bambino anche se poté parlargli.[9]

Alle 7:30 del 12 giugno la perforatrice era scesa soltanto a 25 metri di profondità.[10] Un'ora e mezzo dopo incontrò un terreno più morbido, che le consentì di accelerare la discesa; nel frattempo i soccorritori continuavano a parlare col bambino (che aveva cominciato a piangere dicendo di essere stanco) tramite l'elettro-sonda.

Alle 10:10 lo scavo parallelo era arrivato a una profondità di 30 metri e 5 centimetri e un ingegnere dei vigili del fuoco rivide al ribasso la stima della profondità cui si trovava il bambino: 32,5 m invece di 36. Si decise pertanto di accelerare i lavori e di incominciare immediatamente a scavare il raccordo orizzontale fra i due pozzi, prevedendo di sbucare un paio di metri sopra il bambino. Alle 11:00 giunse sul posto una scavatrice a pressione per scavare il tunnel di connessione, che tuttavia si bloccò poco dopo l'accensione. Tre vigili del fuoco incominciarono quindi a scavare a mano. Nel frattempo Alfredino aveva smesso di rispondere ai soccorritori, e i medici presenti sul posto, che ascoltavano il suo respiro, riferirono che stava peggiorando: 48 espirazioni al minuto.

Alle 16:30 giunse sul posto il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, che si fece porgere il microfono per poter parlare con il bambino; l'arrivo del presidente (che si trattenne per tutta la serata e la notte, fino alle 7 di mattina dell'indomani[11]) fu altresì determinante nel convincere le redazioni dei telegiornali a non "staccare" la diretta.

Alle 19:00 il cunicolo orizzontale fu completato e il pozzo del bambino fu posto in comunicazione con quello parallelo, a 34 metri di profondità. Tuttavia, si dovette prendere atto del fatto che il bambino non era nelle vicinanze del foro appena aperto in quanto, probabilmente anche a causa delle vibrazioni causate dalla perforazione, era scivolato molto più in basso a una profondità imprecisata. Pastorelli richiamò gli speleologi e chiese a Bernabei di calarsi nel secondo pozzo: il soccorritore si affacciò quindi dal cunicolo orizzontale di raccordo e calò una torcia legata a una cimetta per calcolare la posizione del bambino, che risultò a circa una trentina di metri. In seguito si accertò che il bambino si trovava a circa 60 metri dalla superficie.

L'unica possibilità rimasta era la discesa di qualche volontario lungo il pozzo. Il primo a prestarsi fu uno speleologo, Claudio Aprile,[12] che tentò di introdursi nel pozzo artesiano dal cunicolo orizzontale; tuttavia, l'apertura di comunicazione si rivelò troppo stretta per permettere la calata e il giovane speleologo dovette desistere.

Angelo Licheri portato a braccia dopo essere riemerso dal tunnel

Un altro volontario, il tipografo d'origine sarda Angelo Licheri, piccolo di statura e molto magro, chiese e ottenne allora di farsi calare nel pozzo originario per tutti e 60 i metri di profondità.[13][14] Licheri, cominciata la discesa poco dopo la mezzanotte fra il 12 ed il 13 giugno, riuscì ad avvicinarsi ad Alfredino, tentò di allacciargli l'imbracatura per tirarlo fuori dal pozzo, ma per ben tre volte l'imbracatura si aprì; tentò allora di prenderlo per le braccia, ma il bambino scivolò ancora più in profondità. Per di più, nel tentativo, involontariamente gli spezzò anche il polso sinistro. In tutto, Licheri rimase a testa in giù 45 minuti, contro i 25 considerati soglia massima di sicurezza in quella posizione,[15][16] ma dovette anch'egli tornare in superficie senza il bambino.

Dopo Licheri cominciarono a offrirsi vari altri volontari, fra cui nani, esperti di pozzi e persino un contorsionista circense soprannominato "Denis Rock". Intorno alle ore 3:00 venne imbracato per un altro tentativo Pietro Molino, un ragazzo di 16 anni originario di Napoli, anch'egli di corporatura esile e giunto sul posto accompagnato da un cugino; quando si scoprì che era minorenne e privo del diretto consenso dei genitori per tentare di salvare il bambino, il ragazzo venne fermato dal magistrato presente sul posto.

La morte

Verso le 5:00 del mattino ebbe inizio il tentativo di un altro speleologo, Donato Caruso. Anch'egli raggiunse il bambino e provò a imbracarlo, ma le fettucce da contenzione psichiatrica che aveva usato e che avrebbero dovuto assicurare una sorta di effetto cappio, scivolarono via al primo strattone. Caruso si fece ritirare su fino al cunicolo di collegamento, dove si fermò per riposare e poi ritentare. Effettuò altri tentativi con delle manette, metodo molto più rischioso anche per il soccorritore perché queste erano legate alla stessa sua corda di sicurezza. Alla fine, anche Caruso tornò in superficie senza esser riuscito nell'intento, riportando inoltre la notizia della probabile morte del bambino.

Dopo che la signora Franca chiamò per molte volte invano il figlio, verso le 9:00 del 13 giugno venne calato nel pozzo uno stetoscopio, al fine di percepire il battito cardiaco del bambino. Non registrando nulla, verso le ore 16:00 venne calata nella buca una piccola telecamera fornita da alcuni tecnici della Rai, che a circa 55 metri individuò la sagoma immobile di Alfredino, che non si muoveva più né tantomeno respirava. Fatta la dichiarazione di morte presunta, per assicurare la conservazione del corpo, il magistrato competente ordinò che fosse immesso nel pozzo del gas refrigerante (azoto liquido a −30 °C). Il cadavere fu poi recuperato da tre squadre di minatori della miniera di Gavorrano l'11 luglio seguente, 28 giorni dopo la morte del bambino.

I funerali si svolsero mercoledì 15 luglio 1981 nella Basilica di San Lorenzo fuori le mura; la salma venne trasportata da quegli stessi volontari che tentarono di salvarlo, fra cui Angelo Licheri e Donato Caruso. Infine fu sepolto presso il Cimitero del Verano di Roma.

Risonanza mediatica

«Era diventato un reality show terrificante»

«Ammesso che ce ne fossero le condizioni, se quel giorno fosse avvenuto un colpo di Stato, la gente avrebbe risposto: "Va bene, però lasciami vedere che succede a Vermicino"»

La vicenda ebbe una notevole risonanza mediatica e fu il primo evento che, grazie alla diretta televisiva non stop organizzata dalla Rai de facto a reti unificate e durata ben 18 ore (certo favorita dalla facilità di accesso al sito ─ nell'hinterland romano ─ per i giornalisti e gli operatori della Rai), catturò l'attenzione di circa 21 milioni di persone, che rimasero per ore davanti al televisore per seguirne lo svolgimento.[5]

Nel 1981 la Rai non disponeva ancora di tecnologie adatte per gestire una diretta in esterna, specie se di lunga durata e intrapresa senza preavviso: generalmente le trasmissioni su eventi di cronaca erano mandate in onda in sintesi e in differita, anche per la riluttanza dei giornalisti televisivi dell'epoca, per pudore o motivi etici, a "coprire" in tempo reale eventi tragici e dolorosi, per rispetto sia delle vittime sia degli spettatori. In questo caso, infatti, la diretta fu avviata a seguito dell'incauta dichiarazione resa dal capo dei Vigili del Fuoco Elveno Pastorelli, il quale affermò che l'incidente si sarebbe risolto positivamente in poco tempo: i mezzi di ripresa e trasmissione erano quelli estremamente ridotti della troupettina del TG2 guidata da Pierluigi Pini, di cui dovettero fruire contemporaneamente tutti e tre i telegiornali nazionali allorché decisero di collegarsi.

Col passare delle ore, a dispetto delle aspettative, la situazione si andò via via aggravando, ma ormai l'attenzione suscitata presso i telespettatori era tale da sconsigliare l'interruzione della trasmissione in diretta. In più, secondo Emilio Fede, allora direttore del TG1, Antonio Maccanico (allora Segretario generale alla Presidenza della Repubblica) avrebbe esercitato pressioni per non interrompere la diretta, a maggior ragione dopo aver appreso che anche il presidente Pertini si stava per recare sul luogo.[18]

All'epoca la questione della copertura mediatica delle tragedie private non sembrava affatto scontata come in seguito sarebbe diventata. Per la diretta sulla tragedia fu coniata l'espressione "tv del dolore".[19]

A riprova del grande interesse manifestato dal pubblico per la sorte del bambino, Giancarlo Santalmassi riferì che la sera di venerdì 12 giugno la diretta era stata interrotta sul primo canale per trasmettere una tribuna politica con ospite Pietro Longo: in quel momento, i centralini della Rai furono tempestati di telefonate del pubblico, che chiedevano si tornasse a parlare del caso di Vermicino.

Nel maggio 1995 la RAI pubblicò parte della registrazione della diretta televisiva (integralmente custodita negli archivi della radiotelevisione di Stato) dei tentativi di salvataggio all'interno della collana di videocassette Grandi emozioni TV (dedicate agli avvenimenti notevoli della storia contemporanea italiana), distribuite nelle edicole in collaborazione con Edizioni Bramante[20]; a seguito di un ricorso d'urgenza della famiglia Rampi (i cui membri avevano sempre rifiutato di intervenire in televisione a rievocare la vicenda) e a un'interrogazione in Commissione di Vigilanza Rai, il nastro fu ritirato dal commercio nel giro di una settimana[21][22]. In seguito il Tribunale civile di Roma decretò il divieto di pubblicazione delle sequenze filmate in cui Alfredo Rampi «piange o singhiozza», «chiama la mamma o i soccorritori» e quelle in cui «i genitori e altri soccorritori cercano di tranquillizzarlo», facenti parte della registrazione della diretta. In occasione del ventennale della tragedia, nel 2001, l'allora direttrice delle teche Rai Barbara Scaramucci emise una nota di servizio all'attenzione dei giornalisti, concernente il divieto tassativo di riproporre in tv tali spezzoni,[23]. Di fatto però tale divieto venne a cadere negli anni seguenti, laddove nel 2011 il programma La storia siamo noi trasmise ampi spezzoni delle registrazioni in oggetto.

Domenica 29 maggio 2011, alle ore 23:35, anche la trasmissione Cosmo su Rai 3, dopo 30 anni, ha ricostruito la vicenda con alcune importanti testimonianze, tra cui quella dello speleologo Tullio Bernabei che si calò nel pozzo.[24]

Controversie

Esaminando le fotografie del corpo congelato del bambino, si notò una fettuccia che lo avvolgeva; Angelo Licheri disse che era stato lui a metterla al bambino quando si era calato per il tentativo di salvataggio. Questa tesi fu però contestata dai Vigili del Fuoco, i quali sostennero che una simile imbracatura non poteva assolutamente esser stata assicurata al corpo del bambino nel ristrettissimo spazio disponibile dentro il pozzo artesiano. Fu allora ascoltato il caposquadra del soccorso speleologico del Club Alpino Italiano (CAI) Tullio Bernabei, il quale riconobbe la fettuccia come appartenente al gruppo di speleologi e dichiarò, come tutti gli altri soccorritori, che era la stessa utilizzata nel tentativo di salvataggio.

Durante le indagini vennero interpellati i costruttori del pozzo, i quali affermarono che, data la complessità della sua apertura, era praticamente impossibile che un bambino vi fosse caduto accidentalmente. Vi furono però versioni discordanti riguardo al diametro del pozzo all'imboccatura, considerato che i primi volontari vi si erano calati senza troppa difficoltà. I costruttori in seguito cambiarono versione riguardo alla copertura del pozzo, cosicché non si poté risalire a eventuali responsabilità per il fatto di averlo lasciato aperto.

Ad aumentare il mistero furono le stesse parole pronunciate dal bambino il quale non aveva la benché minima idea di dove si trovasse e nemmeno di come vi fosse capitato, e riteneva di agevole esecuzione il suo salvataggio ("sfondate la porta ed entrate nella stanza buia"). La poca lucidità data dalla mancanza di ossigeno e dalla permanenza prolungata nel pozzo potrebbero però spiegare questa incongruenza.

Il sostituto procuratore della Repubblica Giancarlo Armati formulò l'ipotesi che il bambino non fosse caduto accidentalmente nel pozzo, ma vi fosse stato calato - dopo essere stato addormentato - utilizzando l'imbracatura trovata sul suo corpo;[25] le indagini da lui condotte, tuttavia, non consentirono di raccogliere prove univoche sufficienti per suffragare tale ipotesi di reato, cosicché lo stesso pubblico ministero chiese l'archiviazione.

Quanto al cui prodest? di un eventuale omicidio doloso con premeditazione, taluni ipotizzarono addirittura che la lunga agonia del bambino, oggetto di una copertura mediatica senza precedenti in Italia, potesse essere servita a sviare l'attenzione dell'opinione pubblica da notizie di particolare rilievo politico (quali la scoperta, in quegli stessi giorni, dei primi elenchi degli iscritti alla loggia massonica segreta P2) in un difficile momento di transizione per il Paese.[5]

Altri ipotizzarono invece che la falsa prospettazione di un possibile omicidio doloso potesse servire ai Vigili del Fuoco per distogliere l'attenzione da eventuali colpe gravi da loro commesse nelle operazioni di salvataggio (con riferimento in particolare alla scelta, rivelatasi infelice, di scavare un pozzo parallelo). Si è tuttavia obiettato che la scelta di scavare un tunnel parallelo era inevitabile, non essendovi soluzioni alternative praticabili, e che la durezza degli strati litologici sottostanti, e quindi la durata dello scavo e l'entità delle vibrazioni da esso prodotte, non era ragionevolmente prevedibile.[26]

Il volontario del soccorso alpino Tullio Bernabei continuò del resto ad affermare, come sostenuto dagli speleologi del CAI, da Angelo Licheri e dalla stessa famiglia Rampi: "L'imbracatura trovata sul corpo del bambino era il frutto dei nostri tentativi di salvataggio, in particolare quello di Licheri. Purtroppo quella di Vermicino è una storia abbastanza semplice"

Influenza culturale

  • I Baustelle dedicano ad Alfredo Rampi la canzone Alfredo inclusa nell'album Amen del 2008 che ne critica soprattutto l'aspetto mediatico.
  • Aldo Nove, nella sua raccolta di racconti Superwoobinda, pone l'accento sulla morte che diventa bene di consumo. Nel capitolo Vermicino il racconto della tragedia è sottomesso all'imperio dell'immagine televisiva, che del tragico non lascia sopravvivere che il riflesso iconico, nient'altro che il fantasma-ricordo lucido e patinato della visione televisiva intervallata dagli spot pubblicitari:[27] «Questo Vermicino, io lo ricordo. Perché forse è stato il momento più bello della mia vita, te lo racconto così come è successo, con la luce spenta tutti alzati assieme a guardarlo. (…) Eravamo milioni di persone e lui giù, lì da solo (…) Vermicino era un programma davvero spontaneo».[28]
  • Il cantautore Renato Zero fece un rapido accenno alla vicenda, nel brano Per carità, inserito in uno dei suoi doppi album dei primi anni ottanta, Artide Antartide, cantando «se muore un bambino,/c'è un teleobiettivo!». Questo riferimento, che oggi appare velato o addirittura qualunquista, all'epoca (il disco uscì proprio nel 1981) fu colto immediatamente, data l'enorme risonanza mediatica avuta dalla tragedia di Vermicino. Tra l'altro, il verso in questione segue «l'inchiesta s'apre e si chiude!» e precede «per carità, non staccare gli occhi mai dalla tivù»: due frasi altrettanto significative, che inquadrano la vicenda in un contesto di ironica critica dell'aspetto prettamente mediatico della situazione.
  • Fabri Fibra, nella canzone Su le mani contenuta nell'album Tradimento, cita la tragedia con la frase «non credo nel destino da quando ho visto Alfredino ti assicuro quella storia mi ha scioccato da bambino»
  • Il rapper italiano Kaos One, nella traccia Fino alla fine del suo album Fastidio, cita la tragedia con la frase «Messo peggio di Alfredino dentro al pozzo…».
  • Il cantante romano Andrea Moraldi (Pap3ro), dedica a lui la canzone Trentasei anni, raccontando la sua storia, e le ipotesi di un uomo che sarebbe potuto essere, e molto dura per la scena mediatica che si è svolta in quei giorni a Vermicino.
  • L'artista milanese Akab scrive e disegna una breve storia Alfredino Vermicino, raccontata dal punto di vista del bambino.

Riconoscimenti

Alcuni comuni italiani hanno dedicato delle strade alla memoria del bambino:

Vicende simili

  • L'8 aprile 1949 a San Marino, California, Kathy Fiscus (una bambina di poco meno di 4 anni) cadde in un pozzo. Nonostante il grande dispiegamento di mezzi, la bambina morì nella voragine nel giro di poche ore. La sua vicenda ha ispirato vari film, fra i quali Radio Days, di Woody Allen, L'asso nella manica di Billy Wilder (1951) e probabilmente[senza fonte] La bambina nel pozzo (1951).
  • Il 14 ottobre 1987, a Midland in Texas, la piccola Jessica McClure (di diciotto mesi) cadde in un pozzo. Fu estratta viva il 16 ottobre. Tale evento consentì alla CNN, che lo trasmise in diretta, di affermarsi come all news di livello internazionale.[senza fonte] Dalla vicenda fu tratto un film TV, prodotto dalla ABC, dal titolo Una bambina da salvare (1989).
  • Il 20 aprile 1996 il piccolo Nicola Silvestri di Scerni, un bambino di soli tre anni, cadde in un pozzo artesiano in località Colle Marrollo e venne trovato morto annegato la sera stessa.[29]
  • Il 20 giugno 2012, in un villaggio vicino a Masnesar, a 40 chilometri da Delhi, una bambina di nome Mahi cadde in un pozzo profondo 25 metri nel giorno del suo quinto compleanno. Venne estratta oltre 80 ore dopo, ma era ormai troppo tardi.[30]
  • Il 1º aprile 2017, il piccolo Adrian Costan, di due anni, di origini rumene, cadde in un pozzo a Velletri, venne estratto vivo poche ore dopo, ma morì due giorni dopo in ospedale per arresto cardiaco.
  • Il 13 gennaio 2019, il piccolo Julen Rosello di due anni e mezzo cadde in un pozzo largo 25 cm e profondo 110 metri a Totalan (Spagna). Verrà rinvenuto senza vita la notte del 26 gennaio 2019.
  • Il 25 ottobre 2019, in un villaggio vicino Tiruchirappalli nello stato indiano del Tamil Nadu, un bambino di due anni - Sujith Wilson - cadde in un pozzo. Il piccolo morirà dopo oltre 80 ore di inutili tentativi di salvataggio.

Note

  1. ^ Antonio Marchetta, Alfredino Rampi, a 30 anni dall'orrore del pozzo artesiano di Vermicino, in Corriere Informazione, 9 giugno 2011. URL consultato il 19 giugno 2011 (archiviato dall'url originale il 13 giugno 2011).
  2. ^ Trent'anni fa la tragedia di Alfredino Rampi, in Il Sole 24 Ore, 10 giugno 2011. URL consultato il 19 giugno 2011 (archiviato il 21 febbraio 2020).
  3. ^ Napolitano ricorda Alfredino Rampi: la tragedia creò le condizioni per l'istituzione della Protezione civile, in Il Sole 24 Ore, 11 giugno 2011. URL consultato il 19 giugno 2011 (archiviato il 21 febbraio 2020).
  4. ^ Raffaella Troili, Vermicino, il pozzo di Alfredino Rampi è rimasto come trent'anni fa, in Il Messaggero, Roma, 10 giugno 2011. URL consultato il 19 giugno 2011 (archiviato dall'url originale il 15 novembre 2011).
  5. ^ a b c d e f g h i j k La storia siamo noi: L'Italia di Alfredino, Rai 2, 16 giugno 2011 (archiviato dall'url originale il 24 giugno 2011).
  6. ^ Raffaella Scuderi, Julen come Alfredino. Parla Tullio Bernabei che nell'81 si calò nel pozzo a Vermicino: "Una ferita ancora aperta", su la Repubblica, 19 gennaio 2019. URL consultato il 29 febbraio 2020 (archiviato il 29 febbraio 2020).
  7. ^ Maurizio Bonardo, 35° anniversario della tragedia di Vermicino, un pompiere racconta..., su ANVVF. URL consultato il 29 febbraio 2020 (archiviato il 29 febbraio 2020).
  8. ^ a b Piero Badaloni era, all'epoca dei fatti, giornalista televisivo, e condusse da studio la diretta del TG1.
  9. ^ Gianluca Nicoletti, Addio piccolo eroe di Vermicino. Morto a Roma il primo volontario che nell’81 si calò nel pozzo per salvare Alfredo Rampi (PDF), in La Stampa, 13 gennaio 2011, p. 26. URL consultato il 18 marzo 2013 (archiviato dall'url originale il 16 aprile 2014).
  10. ^ Dato appreso dalla diretta del TG2.
  11. ^ Agenda del presidente Sandro Pertini del - archivio.quirinale.it
  12. ^ Giugno 1981: Alfredino, vittima del pozzo in diretta, su Corriere della Sera. URL consultato il 29 febbraio 2020 (archiviato il 29 febbraio 2020).
  13. ^ Giovanni Maria Sedda, Gavoi vuole aiutare l'eroe di Vermicino, in La Nuova Sardegna, 10 aprile 2011 (archiviato dall'url originale l'11 agosto 2014).
  14. ^ Emilio Orlando, «Di notte ancora sogno quel pozzo maledetto», su il Giornale.it, 9 agosto 2005. URL consultato il 29 febbraio 2020 (archiviato il 19 agosto 2017).
  15. ^ Elio Pirari, Angelo Licheri: "Non sono mai uscito dal pozzo di Alfredino Rampi", in La Stampa, Gavoi, 11 luglio 2019 (archiviato il 13 febbraio 2020).
  16. ^ Circa i tempi ammissibili di permanenza in posizione capovolta (a testa in giù), si veda la testimonianza dello speleologo Tullio Bernabei, il primo calatosi nel pozzo, nella citata trasmissione La Storia siamo noi.
  17. ^ Dichiarazione di Badaloni, fatta sua anche da Giovanni Minoli
  18. ^ Angelo Licheri, l’eroe di Vermicino, intervistato dai microfoni di Mattino Cinque, su universy.it, 8 aprile 2011 (archiviato il 20 aprile 2011).
  19. ^ Andrea Bacci. Alfredino nel pozzo. Tutta la storia della tragedia di Vermicino e la nascita della Tv del dolore, Bradipolibri, 2007
  20. ^ Vermicino, l'orrore diventa show, in La Stampa, 6 maggio 1995.
  21. ^ La Rai cancella l'urlo di Alfredino, in La Stampa, 7 maggio 1995.
  22. ^ Vermicino, Rai bocciata, in La Stampa, 13 maggio 1995.
  23. ^ Dino Martirano, Vermicino, i tre giorni che sconvolsero l'Italia, in Corriere della Sera, 1º giugno 2001, p. 19. URL consultato il 7 luglio 2010 (archiviato dall'url originale il 25 settembre 2010).
  24. ^ Ritorno a Vermicino, trent'anni dopo. Prevenzione e sicurezza sotto i nostri piedi, su cosmo.rai.it, Rai Tre Cosmo, 29 maggio 2011 (archiviato il 4 marzo 2016).
  25. ^ Si veda al riguardo il dettagliato articolo Archiviato il 4 aprile 2009 in Internet Archive. del quotidiano La Repubblica, dell'8 febbraio 1987.
  26. ^ «C’è un bambino in un pozzo!» Vermicino, la prima tragedia tv, in Il Giornale, Roma, 13 giugno 2006.
  27. ^ Andrea Amoroso, Gli oggetti consueti nella scrittura-zapping : Aldo Nove, in Scrittori in corso : osservatorio sul racconto contemporaneo, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2011, pp. 219-226.
  28. ^ Aldo Nove, Superwoobinda, Milano, Einaudi, 1998, pp. 23-24.
  29. ^ Simonetta Cotellessa, Scompare bimbo di 3 anni, lo trovano morto nel pozzo, in la Repubblica, Scerne, 21 aprile 1996 (archiviato il 4 marzo 2016).
  30. ^ Dopo 86 ore muore bimba nel pozzo. Il tragico epilogo che ricorda Vermicino, in la Repubblica, Nuova Delhi, 24 giugno 2012. URL consultato il 24 giugno 2012 (archiviato il 3 febbraio 2014).

Bibliografia

  • Maurizio Costanzo, Alfredino. Il pozzo dei troppi misteri, Milano, A. Mondadori, 1987.
  • Pino Corrias, A Vermicino, quando la TV uscì dal pozzo in cambio di una vita, in Luoghi comuni. Dal Vajont a Arcore, la geografia che ha cambiato l'Italia, Milano, Rizzoli, 2006, pp. 87–101. ISBN 978-88-17-01080-1
  • Massimo Gamba, Vermicino. L'Italia nel pozzo, Sperling & Kupfer, 2007.
  • Andrea Bacci, Alfredino nel pozzo. Tutta la storia della tragedia di Vermicino e la nascita della Tv del dolore, Bradipolibri, 2007.
  • Maurizio Monteleone, Vermicino. L'incubo del pozzo, Graphic novel., 001 Edizioni, 2011.
  • Walter Veltroni, L'inizio del buio, 2011.
  • Annie Mignard, La fête sauvage, 2012, Chemin de fer

Voci correlate

Altri progetti

Collegamenti esterni

Controllo di autoritàVIAF (EN41373000 · ISNI (EN0000 0000 4376 0748 · LCCN (ENnb2008016784 · GND (DE1021093394 · WorldCat Identities (ENlccn-nb2008016784