Utente:Franco aq/sandbox6: differenze tra le versioni

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Riga 24: Riga 24:
}}
}}


Il '''Papiro di Ossirinco 668''' (''P. Oxy. IV 668'') reca un'[[Ab Urbe condita libri|epitome]] dei libi XXXVII-XL e XLVIII-LV di [[Tito Livio|Lvio]].
Il '''Papiro di Ossirinco 668''' (''P. Oxy. IV 668'') reca un'[[epitome]] dei [[Ab Urbe condita libri|libri XXXVII-XL e XLVIII-LV]] di [[Tito Livio|Lvio]].


È un [[opistografo]] e reca sul verso una piccola parte della ''[[Lettera agli Ebrei]]'', [[Papiro 13]].
È un [[opistografo]] e reca sul verso una piccola parte della ''[[Lettera agli Ebrei]]'', [[Papiro 13]].

Versione delle 14:52, 6 giu 2021


Papiro di Ossirinco 668

P. Oxy. IV 668
manoscritto
Papyrus PSI 1291
OperaEpitome di Livio, XXXVII-XL e XLVIII-LV.
EpocaIII secolo
Lingualatino
Supportopapiro
Scritturaonciale
Dimensioni26 ×  cm
Pagine1
UbicazioneHoughton Library

Il Papiro di Ossirinco 668 (P. Oxy. IV 668) reca un'epitome dei libri XXXVII-XL e XLVIII-LV di Lvio.

È un opistografo e reca sul verso una piccola parte della Lettera agli Ebrei, Papiro 13.

Datato all'inizio del 3° o 3°-4° secolo. Scritto con una scrittura che può essere considerata sia il più antico semionciale sia il suo antenata, la cosiddetta scrittura rustica riformata.

Attualmente conservato in due parti:

British Library, Inv. Nr. 1532, recto = P. Lit. Lond. 120 (British Library Papyrus 1532) Epitome of Livy XXXVII–XL, XLIX–LV

Museo egizio, Cairo, SR 3796 25/1/55/2 (11) = PSI 1291 (Papyrus PSI 1291) Epitome of Livy XLVII–XLVIII

Collegameti estern

[1]

Vangelo copto degli Egiziani

The main contents concern the Sethiani Gnostici understanding of how the earth came into being, how Seth, in the Gnostic interpretation, is incarnated as Jesus in order to release people's souls from the evil prison that is creation. More specifically, the text can be divided into four parts concerning the creation of the heavenly world: the creation of the heavenly world, the creation and significance of the race of Seth, a hymn, and the history behind the creation of the text itself

I contenuti principali riguardano la visione gnostica dei Sethiani di come è nata la terra e di come Set si è incarnato come Gesù per liberare le anime delle persone dalla prigione malvagia che è la creazione. Più specificamente, il testo può essere diviso in quattro parti riguardanti: la creazione del mondo celeste, la creazione e il significato della progenie di Set, un inno e la storia dietro la creazione del testo stesso

[1]

It also contains a hymn, parts of which are unusual in being apparently meaningless sequences of vowels (thought to be a representation of early Christian glossolalia), although the vowels of the final paragraph (u aei eis aei ei o ei ei os ei) can be partitioned to read (in Greek) who exists as Son for ever and ever. You are what you are, you are who you are. One explanation could be that these vowels are connected to the divine name YHWH. Another possibility is that the vowels could represent a secret, sacred way for the soul of the reader to move closer to gnosis.

Parti dell'inno sono insolite sequenze di vocali apparentemente prive di significato; ritenuto un esempio di glossolalia paleocristiana, sebbene le vocali dell'ultimo paragrafo: << u aei eis aei ei o ei ei os ei >> possono essere suddivise per leggere in greco: <<chi esiste come Figlio nei secoli dei secoli. Tu sei ciò che sei, tu sei chi sei>>. è possibile che queste vocali siano collegate al nome divino YHWH oppure che rappresentino un modo segreto e sacro per l'anima del lettore di avvicinarsi alla gnosi.

[1]

Contenuto

Il testo propone una teogonia che sembra incrociare due tradizioni: quella della triade presentata nel Libro segreto di Giovanni e nella Protennoia trimorfica e un'altra, quella della pentade presente nella tradizione battesimale sethiana.

Questo testo, caratterizzato dall'esoterismo e che sembra sottolineare una tradizione battesimale di iniziazione, è un trattato sulla rivelazione che, nella sua prima parte, descrive attraverso cinque dossologie l'articolazione di un pantheon celeste, presieduto da una divinità autogena chiamata Grande Spirito Invisibile - caratterizzata da luce e silenzio - dalla quale deriva una triade di poteri ogdoadi: il padre, la madre, il figlio.

Il testo cita poi l'apparizione di un Eone che avvolge il pantheon luminoso, il che suggerisce un'influenza del misticismo ebraico.

Il pantheon vede quindi apparire una serie di esseri trascendenti, i principali dei quali sono la Vergine maschio Barbelo, il Bambino tre-volte-maschio, la Vergine maschio Youel (un doppio di Barbelo) ed Esephech il figlio del bambino (un doppio del Bambino)

[2].

Note

  1. ^ a b The apocryphal Gospels : a very short introduction, Oxford, Oxford University Press, 2009, pp. 56–58, ISBN 978-0-19-923694-7.
  2. ^ cf. John D. Turner, « Sethian Gnosticism : A Literary History », in Nag Hammadi, Gnosticism and Early Christianity, éd. C.W. Hedrick and R. Hodgson; Peabody, MA: Template:Lien, 1986, p. 55-86 ; Madeleine Scopello, Femme, gnose et manichéisme : de l'espace mythique au territoire du réel, éd. Brill, 1997, p. 53 extrait en ligne
  • Paul Foster, The apocryphal Gospels : a very short introduction, Oxford, Oxford University Press, 2009, pp. 56–58, ISBN 978-0-19-923694-7.

Servizio dei Fari e del Segnalamento Marittimo

il Servizio dei Fari e del Segnalamento Marittimo della Marina Militare gestisce i fari disposti lungo le coste italiane, inclusa la Lanterna di Genova, opera al servizio dei naviganti civili e militari dal 1910, anno in cui la competenza passò all'allora Regia Marina dal Ministero dei Trasporti[1].

Il servizio è gestito con personale civile e militare, ed è diviso in cinque zone, La Spezia, Venezia, Taranto (con sezione distaccata a Napoli), La Maddalena e Messina, più un ufficio tecnico dei fari a La Spezia e un ispettorato per il supporto logistico e dei fari a Roma, da cui dipendono tutti i comandi di zona (a loro volta dipendenti anche dai vari comandi e dipartimenti militari marittimi) e il già citato ufficio tecnico[1].

Il Servizio dispone di 157 fari e 667 fanali (comprese mede e boe)[1].

In Italia il sistema dei segnalamenti marittimi è costituito, al 1985, di:[2]

  • 58 fari principali con ottica rotante;
  • 109 fari secondari con ottica fissa;
  • 522 fanali;
  • 67 boe luminose; 18 mede luminose; 19 radiofari; 27 nautofoni;
  • 1 racon, con una forza di 62 militari e 426 civili.

Mantenimento

La gestione del sistema è affidata al Servizio Fari della Marina Militare Italiana. Il servizio è organizzato in sei comandi-zona con rispettive sedi a:[2]

  1. La Spezia per l'Alto Tirreno;
  2. La Maddalena per la Sardegna;
  3. Napoli per il Basso Tirreno;
  4. Messina per la Sicilia;
  5. Taranto per lo Ionio e il- Basso Adriatico;
  6. Venezia per l'Alto Adriatico e per l'Adriatico Centrale

ed ha alle sue dipendenze una cinquantina di militari e 362 civili, di cui 161 hanno la qualifica di faristi, ovvero personale di reggenza (i "guardiani dei fari") che provvede alla condotta e alla manutenzione dei fari e dei segnalamenti. Il numero dei faristi sta progressivamente diminuendo con la progressiva automazione degli impianti luminosi.

Storia

Anche l'Italia è ricca di fari, molti di origine antica (il Regno delle Due Sicilie fu il primo Stato italiano ad organizzare una moderna rete di fari[3]).

Dopo il 1860, con l'Unità d'Italia, il nuovo Stato dovette affrontare in modo sistematico l'illuminazione dei suoi 8000 chilometri di coste e nacquero così molti nuovi fari: i fari e i segnalamenti marittimi italiani che nel 1861 non superavano i 50, nel 1916 erano già 512. Un esempio è il faro di Capo Sandalo, sull'isola di San Pietro, in Sardegna, costruito nel 1864 su un alto scoglio a picco sul mare con una torre di 30 metri (138 metri l'altezza sul livello del mare) e portata 28 miglia.

Dopo la seconda guerra mondiale un programma di ristrutturazione e ammodernamento del sistema di segnalamenti ne portò il numero ai circa 1000 attuali, di cui 167 fari e 506 fanali.[2]

Una nave di rilevanza storica fu la Rampino, che servì sotto tre marine militari e venne dismessa nel 1976.

Note

  1. ^ a b c Fari e segnalamenti, su marina.difesa.it. URL consultato il 25 febbraio 2011.
  2. ^ a b c Sito Marina Militare, su marina.difesa.it. URL consultato il 01-02-2010.
  3. ^ Lamberto Radogna, Storia della marina mercantile delle Due Sicilie, Mursia, pag. 149


Pandone di Capua

Pandone di Capua, detto Pandone il Rapace (... – 862 o 863), è stato un nobile longobardo, fu conte di Capua dall'861 all'862.

Figlio secondogenito di Landolfo I di Capua e fratello di Landone I. Alla morte del padre, nell'843, Landone gli succedette come conte, mentre Pandone e il loro fratello minore Landolfo furono associati come co-governanti, ma senza potere reale, infatti egli risiedette a Salerno, dove divenne marpahis.

Alla morte di Landone, nell'861, gli succedette il figlio Landone II, ma Pandone si accordò con il fratello Landolfo, frattanto divenuto Vescovo di Capua, per deporre il nipote e mandarlo in esilio insieme alla di lui madre Aloara ed ai fratelli; gli lasciò il feudo di Caiazzo, si proclamò principe di Capua e si dichiarò indipendente dal Principe di Salerno (862).

Attorno all'863 distrusse la vecchia città di Caserta catturando il nipote Landenolfo (fratello di Landone II) e una quarantina di primarii (uomini importanti) della città. Fece poi costruito una nuova fortificazione nel luogo dove si è poi sviluppata la moderna Caserta, ed una torre che attualmente è inclusa nel Palazzo della Prefettura, un tempo sede dei conti di Caserta e più tardi, residenza reale.

Pandone morì in battaglia contro Guaiferio di Salerno dopo un regno di un anno e cinque mesi. Suo figlio maggiore Pandenolfo cercò di succedergli, ma venne immediatamente espulso con i suoi fratelli dallo zio vescovo che si proclamò conte Landolfo II di Capua.

Famiglia

Pandolfo sposò Arniperga con la qual ebbe tre figli :

Note


Collegamenti esterni

Predecessore Conte di Capua Successore
Landone II 861-862 Pandenolfo

Vardan Arewelci

Vardan Arewelc'i ela sua Compilazone Storica

Vardan, nom courant en Arménie, a été désigné Arewelci qui signifie "orientale" on l'appelle aussi " mec " (le Grand)

Come Kirakos, Vardan is believed to have been born in 1200-1210. Nothing is known about his parents or family. One of his early teachers was Yovhannes Vanakan (d. 1251), whom Vardan refers to in his History as "our glorious father" and whose now-lost historical work Vardan, like Kirakos, employed (43).

[28] Around 1239-40, Vardan visited Jerusalem on a pilgrimage and then went to Cilicia, ca. 1240-41 where he was received very favorably by king Het'um I and the reigning kat'oghikos Constantine Barjraberdc'i (1220-68) (44). Kirakos Ganjakec'i states that the kat'olikos entrusted Vardan with an encyclical which the latter brought back to eastern Armenia for the signatures of the somewhat reluctant bishops, monks, and princes. Presumably Vardan visited most of these dignitaries in person, a journey which would have taken him from Karin/Erzerum to Ani, Kars, Bjni, Amberd, Haghbat, Sanahin, Getik, Hagharcin, Kech'aru, Hawuc' T'arh, Ayrivank' (Geghard), Yovhanhavank', Saghmosavank', Horomos, to Aghbania, to his teacher [29] Vanakan, and to the prince of princes Awak Zak'arean (45). Vardan then sent the signed document back to the kat'oghikos (46).

In 1264/65 a merchant named Shnorhawor took Vardan to see Hulegu-Khan who deeply honored the great scholar (47). Sometime in 1266 Vardan's History was stolen, the work still unfinished. However one and a half years later he was able to retrieve it (48). V ardan spent his last years [30] at Haghbat and Xorhvirap (49). According to Grigor Aknerc'i, he died in 1271/72, the same year as his friend Kirakos (50).

Vardan made use of Kirakos Ganjakec'i's History of Armenia (51). He derived another source of his information [31] from personal acquaintance with the principals of the day. As was mentioned above, the erudite Vardan, praised as "the learned and brilliant vardapet" (52) by his classmate Kirakos was a valued friend both of king Het'um I of Cilicia, and of the kat'oghikos. Kirakos wrote: "He went to the kat'oghikos [Constantine] who rejoiced exceedingly at his sight. The kat'oghikos kept [Vardan] with him for a long time, binding the latter to himself with affection, for he never wanted him to depart" (53). When Vardan took the kat'oghikos' encyclical East for ratification, he visited all the important Church and lay personalities of the period. In addition to his intimacy with prominent Armenians, Vardan was personally acquainted with the Mongol Il-Khan Hulegu (1255-65) and his Christian wife Doquz-Khatun (54). The account [32] of a man enjoying such authority among his own people and their foreign overlords is of exceptional importance (55).

  • Vardan Arewelc'i, Hawak'umn patmut'ean Vardanay vardapeti lusabaneal (Compilation of History by Vardapet Vardan Arewelc'i),(l'opera è conosciuta anche con il titolo 'Patmutiwn tiezerakan), Alisan, Venezia, 1862
    • Vardan, Arewelti, ca. 1198-1271. The historical compilation of Vardan Arewelci (Washington, D.C.: Dumbarton Oaks Trustees for Harvard University, 1989).

The work is also known under title: Patmutiwn tiezerakan.

    • Elishe. History of Vardan and the Armenian War, trans. Robert W. Thomson (Cambridge and London: Harvard University Press, 1982).


Kirakos' name is mentioned in 1265 by his classmate and fellow-historian Vardan Arewelc'i from whom the author requested and received a commentary on the Song of Songs (32).

The Historical Compilation of Vardan Arewelci

Auteur(s) / Author(s:)THOMSON R. W. ;

Résumé / Abstract: Traduction anglaise de l'éd. Alisan (Venise, 1862) de cette Chronique (p. 141-224) intitulée en arménien " Recueil historique ", rédigée peu après 1267.

Vardan est aussi l'auteur de Fables, d'une Géographie, d'une Grammaire, d'un Commentaire de Daniel, du Cantique des Cantiques, des Psaumes

il est mort en 1271.

Aux pages 130-140, l'A. résume la Chronique, qui va de l'AT à l'an 1264.


Revue / Journal Title Dumbarton Oaks Papers

Source / Source 1989, vol. 43, pp. 125-226 (3 p.)

Langue / Language Anglais

Bibliografia

  • Robert W. Thomson, The historical compilation of Vardan Arewelcʿi. Dumbarton Oaks Papers 43, 1989, 125-226.


Collegamenti esterni

La seigneurie de Mélitène

La città di Melitene era governata dall'armeno Gabriele, che l'aveva ricevuta da Philaretus Brakhamius. Minacciato dai Danishmendidi, egli chiese aiuto e protezione prima (nel 1100) a Boemondo di Taranto, principe d'Antiochia, poi (nel 1101) a Baldovino di Le Bourg, conte di Edessa, offrendo a quest'ultimo la mano di sua figlia Morfia. Ma la popolazione siriana di Melitene si rivoltò e consegnò la città a Danishmend Ghazi, che fece uccidere Gabriele.

Signore di Melitene

Note


Conti titolari di Edessa - non pubblicato

1149-1159 : Joscelin II de Courtenay

1159-1200 : Joscelin III de Courtenay, figlio del precedente

Il re Pietro I di Cipro nel 1365 rileva il titolo di Conte di Edessa (Conte di Rochas, Rohas, Ruchas oppure Roucha, secondo la terminologia allora in uso presso i crisitiani di Terra Santa e di Cipro) a favore di un membro della nobiltà cipriota.

  • Giovanni du Morf ( ,+1379 circa), nobile cipriota e consigliere del re Pietro I, ricevette il titolo di Conte di Edessa nell'ottobre 1365 ad Alessandria, dopo la presa della città da parte delle truppe reali.
  • Maria du Morf ? début XVe s.
  • Jacques de Grenier ( ,+1447), inhumé à Sainte-Sophie de Nicosie.
  • Helena de Grenier, ( ,+1503) sa fille, sans postérité.
  • Zegno I Synglitico ( ,+1549), noble chypriote appartenant à une famille d'origine grecque. Achète le titre à la République de Venise en 1521.
  • Zacho Synglitico (+1563), son fils.
  • Zegno II Synglitico (+1570), son fils, meurt en combattant l'invasion turque de 1570.