Docente in Italia: differenze tra le versioni

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Un '''docente in Italia''' è una figura che opera nel campo della [[scuola italiana]] e dell'[[università italiana]], in possesso di requisiti e preparazione differente, a secondo le previsioni normative.
Un '''docente in Italia''' è una professionista nel campo della [[scuola italiana]] e dell'[[università italiana]], in possesso di requisiti e preparazioni differenti, a secondo dei differenti ordini di istruzione.


== Nella scuola ==
== Nella scuola ==

Versione delle 10:56, 17 dic 2019

Voce principale: Docente.

Un docente in Italia è una professionista nel campo della scuola italiana e dell'università italiana, in possesso di requisiti e preparazioni differenti, a secondo dei differenti ordini di istruzione.

Nella scuola

Il percorso di formazione necessario per insegnare nella scuola italiana può essere così generalmente riassunto:

  • Per insegnare nelle scuola dell'infanzia nonché nella scuole primarie: la disciplina genera è dettata dal d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297; la riforma Gelmini ha successivamente introdotto l'obbligo del conseguimento della laurea magistrale in scienze della formazione primaria al termine di un percorso di studi quinquennale, con tirocini a partire dal secondo anno di corso, a numero programmato con prova di accesso. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica del 25 marzo 2014 con il quale si è recepito il parere del Consiglio di Stato 11 settembre 2013, n. 3813,[1] e alla decisione dell'Unione europea del 31 gennaio 2014, sono assimilati alla laurea in scienze della formazione primaria, ai fini professionali, e, quindi, abilitanti all'insegnamento nella scuola primaria e nella scuola dell'infanzia, i diplomi conseguiti presso gli istituti scolatici magistrali al termine dei corsi conclusi entro l'anno scolastico 2001-2002 (titoli assimilati in base all'art. 12 della Direttiva dell'Unione Europea 2005/36/CE). [2]
  • Per insegnare nelle scuola secondaria di primo grado e scuola secondaria di secondo grado, sulla base della legge 13 luglio 2015, n. 107 il conseguimento del titolo di dottore magistrale con l'acquisizione di almeno 24 crediti formativi universitari - ai sensi del Decreto MIUR del 10 agosto 2017 n. 616 valida se ottenuto presso una università telematica per non più di 12 - in materie antropologiche, psicologiche, pedagogiche ed in metodologie e tecnologie didattiche è condizione indispensabile per poter accedere ad apposito concorso. Il d.lgs. 13 aprile 2017, n. 59 dispone che dopo il superamento dello stesso è possibile accedere ad un "percorso di formazione iniziale e prova", un anno di tirocinio teorico-pratico retribuito che abilita alla professione docente e permette l'immissione in ruolo per la specifica classe di concorso. Procedimento analogo è previsto per gli ITP (insegnanti tecnico pratici), a differenza del titolo di accesso; in questo caso per poter accedere basta essere in possesso di specifiche lauree triennali (con acquisizione dei 24 CFU) coerenti con le classi di concorso di riferimento, che però non sono necessari fino all'anno scolastico 2024/2025.[3]

Infine è possibile insegnare - solo ed eslcusivamente come docente supplente, anche come insegnante di sostegno - previa presentazione di apposita istanza presso un istituto scolastico detta di "messa a disposizione"; eventuali limitazioni sono previste dalle circolari del Ministero della Pubblica Istruzione, ad esempio il regolamento sulle supplenze di cui al D.M. n. 131 del 13 giugno 2007, riguardo gliinsegnanti di sostegno, afferma che non è possbili presentere domanda in due province diverse due province diverse.

Nell'università

Per insegnare nell'università italiana o in altre istituzioni superiori universitarie (come ad esempio le scuole superiori universitarie) è necessario diventare ricercatore universitario, sebbene sia anche possibile insegnare come professore a contratto. Il conseguimento del dottorato, oppure di diploma di specializzazione medica o l'aver beneficiato di assegni di ricerca anteriormente all'entrata in vigore della riforma Gelmini, è requisito indispenabile per la partecipazione a concorso per ricercatore universitario, bandito dalle università in Italia previo conseguimento di una idoneità scientifica nazionale prevista dalla legge 30 dicembre 2010, n. 240.[4] Tuttavia, in alcuni casi è possibile esercitare attività di docenza nelle ipotesi previste dalla legge,[5] come ad esempio per i lettori di lingua straniera, oppure la chiamata di studiosi di chiara fama, ai sensi della legge 4 novembre 2005, n. 230.

Nel sistema universitario italiano, si distinguono i seguenti ruoli accademici:

Il titolo di professore emerito costituisce un riconoscimento alla carriera, non facente parte dei ruoli accademici ordinari. Ogni docente e ricercatore afferisce ad un settore scientifico disciplinare: questi ultimi sono aggregati in più aree concorsuali (attualmente quattordici).

Professore ordinario e associato

Dopo la legge 30 dicembre 2010, n. 240 (parte della Riforma Gelmini)[6] la modalità di accesso ai ruoli universitari prevede, come precondizione, il conseguimento di un'idoneità nazionale, chiamata Abilitazione scientifica nazionale. Tale abilitazione è ottenuta attraverso una procedura nazionale di valutazione per titoli bandita annualmente, i cui criteri sono stati stabiliti dal D.P.R. 14 settembre 2011, n. 222[7] per le prime due tornate (2012 e 2013), e successivamente rivisti[8]. In linea di massima i candidati devono preventivamente superare tre valori-soglia calcolati nell'ambito del proprio settore scientifico-disciplinare (numero di monografie, di articoli, di articoli in riviste di fascia A in un determinato lasso temporale), quindi essere soggetti a valutazione da parte di una commissione di cinque docenti ordinari per ogni settore concorsuale.

I cinque commissari sono nominati per sorteggio da una lista compilata tra coloro che hanno fatto domanda per farne parte e che posseggono o superano i valori-soglia per professore ordinario. Per la stessa università non può far parte della commissione più di un professore ordinario. La commissione avvia i propri lavori prima che venga pubblicato sulla gazzetta ufficiale il bando di apertura delle candidature. Successivamente vengono analizzati titoli e pubblicazioni dei candidati, quindi la commissione esprime un giudizio che motivi l'attribuzione o meno dell'abilitazione, la quale ha una durata di sei anni. Per la fascia degli associati viene richiesto un numero inferiore di pubblicazioni e di titoli rispetto alla fascia degli ordinari. Per ogni settore concorsuale sono stabiliti criteri e parametri bibliografici divisi per le rispettive fasce. Le procedure per il conseguimento dell'abilitazione sono indette annualmente con decreto ministeriale, per ciascun settore concorsuale e distintamente per la prima e la seconda fascia dei professori universitari. Il conseguimento dell'abilitazione consente la partecipazione alle procedure concorsuali di abilitazione indette nei sei anni successivi per il medesimo settore concorsuale della medesima fascia ovvero della fascia superiore.

Con la legge Gelmini viene abolito il periodo di straordinariato e di conferma di tre anni per i professori associati e ordinari, mentre la progressione stipendiale viene rivista ogni tre anni. I singoli atenei bandiscono una procedura di chiamata per professore associato o per professore ordinario, secondo le seguenti modalità:

  1. Concorso "aperto" (chiamata ex art. 18 comma 1 della legge 240/2010). A tale bando possono concorrere i candidati in possesso dell'Abilitazione Scientifica Nazionale (o dell'idoneità conseguita ai sensi della legge 3 luglio 1998, n. 210), oppure i professori rispettivamente associati o ordinari già in servizio presso altra sede.
  2. Concorso "per esterni" (chiamata ex art. 18 comma 4 della legge 240/2010). A tale bando possono concorrere i candidati in possesso dell'Abilitazione Scientifica Nazionale (o dell'idoneità conseguita ai sensi della legge 3 luglio 1998, n. 210) che non ricoprano ruoli nell'Ateneo che bandisce il posto, o non abbiano goduto presso questo Ateneo di assegni di ricerca, contratti, o in generale che vi abbiano prestato servizio nei precedente triennio. A questo tipo di chiamata tutti gli Atenei devono riservare almeno un quinto dei posti disponibili per il reclutamento nella programmazione triennale.
  3. Concorso "per interni" (chiamate ex art. 24 comma 5 e 6 della legge 240/2010). Si hanno due tipi di tale concorso:
    1. Concorso indetto per i ricercatori a tempo determinato "senior" (RTD-b, vedi la disciplina del Ricercatore universitario) nel terzo e ultimo anno del loro contratto, che abbiano conseguito l'Abilitazione Scientifica Nazionale a professore associato; il ricercatore sarà valutato da una Commissione appositamente nominata e, previo giudizio positivo, assunto quale professore associato (art. 24 comma 5).
    2. Concorso indetto per i ricercatori a tempo indeterminato o i professori di seconda fascia già in servizio presso l'Ateneo che bandisce il posto, in possesso dell'Abilitazione Scientifica Nazionale, per concorrere ad un posto di ruolo superiore (art. 24 comma 6). Per tali concorsi gli Atenei possono destinare sino alla metà delle risorse disponibili al reclutamento dei professori nel piano di programmazione triennale. Tale chiamata doveva essere possibile solo fino al 31 dicembre 2017, ma con decreto i Governi hanno novellato questo comma sino al 31 dicembre 2020. Dal 1º gennaio 2018 (dopo la proroga ora 2021) tali risorse potranno essere impiegate esclusivamente per l'ammissione in ruolo degli RDTb.

In deroga a questi tre metodi di reclutamento, è possibile esercitare attività di docenza nelle ipotesi previste dalla legge (come ad esempio per il lettori di lingua straniera, oppure la chiamata di studiosi di chiara fama).[9]

I professori devono obbligatoriamente garantire un'attività annuale di almeno 1.500 ore, di cui 250 in regime di impegno a "tempo definito" (comprensive di lezioni ex cathedra, assistenza agli studenti e ai laureandi) o a "tempo pieno" (di almeno 350 ore annuali). Nel primo caso la retribuzione è minore, ma il professore ha diritto a svolgere la sua attività professionale anche in altri contesti. Tale disposizione, oltre ad andare incontro a particolari esigenze degli interessati, mira a garantire agli Atenei l'apporto di esperienze provenienti dal mondo produttivo, diminuendo il tasso di astratto accademismo. Il professore "a tempo definito" non può svolgere determinati incarichi amministrativi e di coordinamento (direzione di dipartimento universitario e inter-dipartimentali, incarichi in Consiglio di amministrazione ed in senato accademico, ricoprire il ruolo di rettore): tali incarichi sono, infatti, riservati ai soli professori di prima fascia a "tempo pieno".

Professore emerito

A professori ordinari in pensione o per i quali siano stati accettate le dimissioni, i quali abbiano prestato almeno venti anni di servizio in tale qualità, le facoltà possono proporre al ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca di conferire il titolo di professore emerito[10] (concesso attraverso DPR). Ai professori emeriti non sono riservate particolari prerogative accademiche.

Professore a contratto

Il professore a contratto è un esperto della materia reclutato per specifiche esigenze didattiche, scelto a seguito di selezioni pubbliche, per soli titoli, solitamente per un anno accademico, eventualmente rinnovabile. Si tratta della figura che sostituisce quella di professore incaricato.

Professore aggregato

Ai ricercatori universitari, agli assistenti del ruolo ad esaurimento e ai tecnici laureati che abbiano svolto almeno tre anni di insegnamento, e ai professori incaricati ad esaurimento, è attribuito il titolo di professore aggregato per il periodo di durata degli stessi corsi e moduli.[11]

Ricercatore universitario

Prima della creazione della figura del ricercatore universitario, la carriera accademica prevedeva le figure dell'assistente volontario, nominato dal Rettore, dell'assistente straordinario, nominato dal Consiglio di Amministrazione, e dell'assistente incaricato nominato dal Ministro e poi, dal 1967, dal Rettore; infine dell'assistente ordinario, nominato dal Ministro in seguito a concorso pubblico per titoli ed esami, vera e propria figura di ruolo benché subordinata al docente della cattedra presso cui era incardinato. Tali profili furono aboliti e messi ad esaurimento nel 1980, quando fu istituito il ruolo di ricercatore universitario a tempo indeterminato, che divenne così la terza fascia dei ruoli universitari. Contestualmente si deliberò che tutti gli assistenti di ruolo e i professori incaricati da almeno un triennio, e i "tecnici laureati" con almeno tre anni di didattica svolta, venissero inquadrati nel ruolo degli Associati sulla base di un giudizio di idoneità pronunciato da una Commissione nazionale.

Prima dell'emanazione della riforma Gelmini del 2010, si diventava ricercatore a seguito di una valutazione comparativa bandita dalle singole Facoltà universitarie: una Facoltà poteva richiedere al proprio Ateneo di bandire un posto solo dopo aver avuto la garanzia della copertura stipendiale da parte del Senato Accademico e del Consiglio d'Amministrazione. Ora tale procedura non è più contemplata. Il ruolo dei ricercatori a tempo indeterminato è stato trasformato ad esaurimento, mentre è stata istituita la figura del ricercatore a tempo determinato (RTD) con un contratto di lavoro di tre anni (per approfondimenti vedi ricercatore universitario)[12]. In base alle legge n. 240 del 30 dicembre 2010 vengono distinti due tipi di ricercatori universitari:

  1. contratto triennale rinnovabile per un periodo di due anni (ricercatore "junior" o RTDa);
  2. contratto triennale non rinnovabile (ricercatore "senior" o RTDb), al termine del quale, se in possesso dell'abilitazione nazionale, la struttura potrà inquadrare il ricercatore nel ruolo di associato, previo valutazione positiva di una Commissione appositamente nominata dal Dipartimento, e valutata la disponibilità finanziaria dell'Ateneo.

Per poter ottenere un contratto del tipo 2 è necessario aver usufruito per almeno tre anni, anche cumulativamente e non consecutivamente, di: contratti del tipo 1, contratti ex art. 1 comma 14 della legge 230/2005, assegni di ricerca ex art. 51 comma 6 della legge 449/1997, assegni di ricerca ex art. 22 della legge 240/2010 o di borse post-dottorato ai sensi dell'articolo 4 della legge 30 novembre 1989, n. 398, ovvero di analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri.[13]

Il ruolo in esaurimento degli assistenti ordinari - che a suo tempo avevano superato un concorso nazionale ma che non hanno superato, per diversi motivi, quello di idoneità a partire dal 1980 (anno di entrata in vigore della nuova normativa sul reclutamento del personale docente universitario) - è divenuto ad esaurimento a seguito della riforma Moratti ed assimilato a quello del ricercatore universitario, col medesimo trattamento economico. Il professore incaricato stabilizzato (anch'esso ruolo in esaurimento), invece, è oggetto di controversia. In Italia al 2008 vi erano 49 professori "incaricati stabilizzati" che, per un motivo o per l'altro, non hanno conseguito il giudizio positivo d'idoneità a partire dal 1982. Essi svolgevano attività didattica al pari di un professore di II fascia, ma godono di una retribuzione minore. Solitamente, dopo la laurea specialistica (o laurea di vecchio ordinamento) e prima di diventare ricercatori universitari, si svolge un dottorato di ricerca o altra attività di collaborazione presso un gruppo di ricerca afferente al settore disciplinare di interesse, spesso come cultore della materia o esercitatore ufficiale dei corsi.

A partire dall'approvazione della legge 30 dicembre 2010 n. 240, entrata in vigore il 29 gennaio 2011, ai sensi dell'art 24 (in vigore dal 07.04.2012), il Dottorato di Ricerca (DR) ed in alternativa il conseguimento del Diploma di specializzazione (DS) rilasciato dalle scuole di specialità universitarie nelle sole aree mediche, sarà titolo perentorio per poter svolgere l'incarico di Ricercatore ed accedere ai gradi successivi della carriera accademica (Professori di I e II fascia) "con esclusione dei soggetti già assunti a tempo indeterminato come professori universitari di prima o di seconda fascia o come ricercatori, ancorché cessati dal servizio".

Note

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