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I dittonghi αι e οι in fine di parola sono però generalmente considerati brevi ai fini dell'accentazione.<ref name=campanini/> |
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==Bibliografia== |
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Versione delle 11:00, 27 nov 2019
In fonologia e metrica, la quantità è un tratto prosodico relativo alla lunghezza o alla brevità dei fonemi. Avendo carattere fonologico, non coincide obbligatoriamente dalla durata fisica dei foni (una singola elocuzione può infatti essere in sé stessa veloce o lenta).[1]
In greco antico e in latino, l'opposizione tra vocali brevi e lunghe aveva rilievo sul piano del significato. Ad esempio, in latino vĕnit (con e breve) significa viene, mentre vēnit (con e lunga) significa venne. Il passaggio dal latino alle lingue romanze determinò l'abbandono di questa opposizione: la metrica accentuale, comune alle principali lingue moderne, tende piuttosto a considerare l'accento e il numero delle sillabe.[1]
In greco e latino
Nel greco antico, come del resto nella lingua latina, una sillaba può essere lunga o breve. Più precisamente:
- la quantità è lunga, se la parte vocalica della sillaba è costituita da una vocale lunga (η, ω, α lunga, ι lunga, υ lunga) o da un dittongo (ου, ει);
- la quantità è breve, se la parte vocalica della sillaba è costituita da una vocale breve (ε, ο, α breve, ι breve, υ breve).[2]
I dittonghi αι e οι in fine di parola sono però generalmente considerati brevi ai fini dell'accentazione.[2]
Note
Bibliografia
- Gian Luigi Beccaria (a cura di), Dizionario di linguistica, ed. Einaudi, Torino, 2004, ISBN 978-88-06-16942-8.