Medea: differenze tra le versioni

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Etichette: Modifica da mobile Modifica da web per mobile
m →‎Letteratura: Fix ordine
Riga 70: Riga 70:
* ''[[Medea (Ennio)|Medea]]'', tragedia di [[Quinto Ennio|Ennio]]
* ''[[Medea (Ennio)|Medea]]'', tragedia di [[Quinto Ennio|Ennio]]
* ''[[Medea (Euripide)|Medea]]'', tragedia di [[Euripide]]
* ''[[Medea (Euripide)|Medea]]'', tragedia di [[Euripide]]
* ''[[Medea (Seneca)|Medea]]'', tragedia di [[Seneca]]
* ''[[Le Argonautiche]]'', poema greco di [[Apollonio Rodio]] (il terzo libro è dedicato al mito di Medea)
* ''[[Le Argonautiche]]'', poema greco di [[Apollonio Rodio]] (il terzo libro è dedicato al mito di Medea)
* ''[[Medea (Seneca)|Medea]]'', tragedia di [[Seneca]]
* ''[[Le Argonautiche (Valerio Flacco)|Le Argonautiche]]'', poema latino di [[Gaio Valerio Flacco (poeta)|Valerio Flacco]] (libera versione latina dell'omonimo di Apollonio)
* ''[[Le Argonautiche (Valerio Flacco)|Le Argonautiche]]'', poema latino di [[Gaio Valerio Flacco (poeta)|Valerio Flacco]] (libera versione latina dell'omonimo di Apollonio)
* ''[[Medea (Gatter)|Medea]]'', tragedia di [[Friedrich Gatter]]
* ''[[Medea (Gatter)|Medea]]'', tragedia di [[Friedrich Gatter]]

Versione delle 22:35, 22 feb 2019

Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Medea (disambigua).
Medea (1866-1868), opera di Anthony Frederick Augustus Sandys.

Medea (in greco antico: Μήδεια?, Médeia) è una figura della mitologia greca, figlia di Eeta, re della Colchide, e di Idia. Nell'Argonautica di Apollodoro era indicata come nipote di Elio e della maga Circe; al pari di quest'ultima era dotata di poteri magici. Invece secondo la variazione del mito proposta da Diodoro Siculo, il Sole, Elio, ebbe due figli, Perse e Eeta. Perse ebbe una figlia, Ecate, potentissima maga, che lo uccise e più tardi si congiunse con lo zio Eeta. Da questa unione sarebbero nati Circe, Medea ed Egialeo (o Apsirto).[1]

Mito

Giasone e Medea (1907), opera di John William Waterhouse.

È uno dei personaggi più celebri e controversi della mitologia greca. Il suo nome in greco significa "astuzie, scaltrezze", infatti la tradizione la descrive come una maga dotata di poteri addirittura divini.

Quando Giasone arriva nella Colchide insieme agli Argonauti alla ricerca del Vello d'oro, capace di guarire le ferite, custodito da un feroce e terribile drago per conto di Eete, lei se ne innamora perdutamente. E pur di aiutarlo a raggiungere il suo scopo giunge a uccidere il fratello Apsirto, spargendone i poveri resti dietro di sé dopo essersi imbarcata sulla nave Argo insieme a Giasone, divenuto suo sposo. Il padre, così, trovandosi costretto a raccogliere le membra del figlio, non riesce a raggiungere la spedizione, e gli Argonauti tornano a Jolco con il Vello d'Oro. Lo zio di Giasone, Pelia, rifiuta tuttavia di concedere il trono al nipote, come aveva promesso in precedenza, in cambio del Vello: Medea allora sfrutta le proprie abilità magiche e con l'inganno si rende protagonista di nuove efferatezze per aiutare l'amato. Convince infatti le figlie di Pelia a somministrare al padre un "pharmakón", dopo averlo fatto a pezzi e bollito, che lo avrebbe ringiovanito completamente: dimostra la validità della sua arte riportando un caprone alla condizione di agnello, dopo averlo sminuzzato e bollito con erbe magiche. Le figlie ingenue si lasciano ingannare e provocano così la morte del padre, tra atroci sofferenze: Acasto, figlio di Pelia, pietosamente seppellisce quei poveri resti e bandisce Medea e Giasone da Iolco, costringendoli a rifugiarsi a Corinto, dove si sposeranno.

La Medea di Euripide

Sono passati dieci anni, Creonte, re della città di Corinto, vuole dare la sua giovane figlia Glauce in sposa a Giasone, offrendo così a quest'ultimo la possibilità di successione al trono. Giasone accetta e cerca inutilmente di far accettare la cosa a Medea, che si dispera per l'abbandono.

Vista l'indifferenza di Giasone di fronte alla sua situazione, Medea medita una tremenda vendetta. Fingendosi rassegnata, manda come dono nuziale un mantello alla giovane Glauce, la quale, non sapendo che il dono è intriso di veleno, lo indossa per poi morire fra dolori strazianti. Il padre Creonte, corso in aiuto, tocca anch'egli il mantello, e muore.

Ma la vendetta di Medea non finisce qui. Secondo Euripide, per assicurarsi che Giasone soffrisse e non avesse discendenza, dopo un'angosciosa incertezza vince la sua natura di madre e uccide i loro figli (Mermero e Fere) avuti da lui[2]. Secondo Diodoro Siculo i figli che Medea aveva avuto da Giasone erano però tre: i due gemelli Tessalo e Alcimene e Tisandro[3].

Fuggita ad Atene, a bordo del carro del Sole trainato da draghi alati, Medea sposa Egeo, dal quale ha un figlio, Medo; Egeo aveva precedentemente concepito con Etra un figlio, Teseo. Medea vuole lasciare il trono di Atene a Medo, ma Teseo giunge in città. Egeo ignora che Teseo sia suo figlio, e Medea, che vede ostacolati i suoi piani per Medo, suggerisce al marito di uccidere il nuovo venuto durante un banchetto. Ma all'ultimo istante Egeo riconosce Teseo come suo figlio e Medea è costretta a fuggire di nuovo.

Torna nella Colchide, dove si ricongiunge e si riappacifica con il padre Eeta.

Medea, un dipinto di Henri Klagmann (Nancy, Musée des Beaux-Arts).

La Medea di Ovidio

Ovidio tratta del mito di Medea in due distinte opere: le Heroides e le Metamorfosi. Nel primo testo è la donna a parlare cercando di commuovere il marito, ma il racconto si interrompe prima del compimento della tragedia e il suo completamento è possibile al lettore solo attraverso la memoria letteraria. La Medea delle Metamorfosi è ben diversa: essa oscilla tra ratio e furor, mens e cupido, riprendendo, almeno in parte, la giovane tormentata dai rimorsi di Apollonio Rodio, divisa tra il padre e Giasone. Medea si dilania tra incertezza, paura, commozione e compassione.

La metamorfosi avviene in modo repentino ed è possibile rintracciarla attraverso il confronto tra la scena dell'incontro con Giasone nel bosco sacro e il ringiovanimento del padre dell'amato: se nel primo caso appare come un medico antico, nel secondo utilizza esplicitamente la parola "arte" (vv.171-179) mostrandosi come una vera strega.

Anche Ovidio riprende la scena del carro, presente già in Euripide e successivamente in Seneca, ma se in questi due casi l'episodio è inserito alla fine del racconto, Ovidio lo colloca a metà della narrazione: in tal modo Medea perde le sue qualità umane e il mondo reale cede il posto a quello fantastico.

All'inizio della Metamorfosi, Medea è la protagonista assoluta, ma pian piano cessa di essere un'eroina in cui il lettore può identificarsi e diviene un personaggio che appare e scompare come per magia.

Il pathos del finale non è sfruttato al massimo: Medea è divenuta una vera strega e quindi non soffre dell'infanticidio commesso né potrebbe soffrire di un'ipotetica punizione.

La Medea di Draconzio

Nella parte introduttiva Draconzio afferma di voler fondere tutti i motivi tipici del mito di Medea; lo fa invocando la Musa Melpomene e la Musa Calliope.

Medea e Giasone appaiono tutti mossi dal destino e dalla volontà degli dei, legati come sono agli scontri tra Venere e Diana. Infatti la dea della caccia, sentendosi tradita per il matrimonio della sua sacerdotessa, scaglia una maledizione contro di lei. Maledizione che, alla fine, darà luogo alla morte del marito e dei figli.

All'inizio Medea è descritta come una "virgo cruenta", ma viene definita maga solo al verso 343.

Caratteristica di questo racconto è che è la donna a rubare il vello d'oro donandolo poi a Giasone, che appare per tutta la narrazione una figura passiva.

Anche quando entra in scena Glauce l'eroe è semplice oggetto del desiderio, che la giovane otterrà anche a costo di rompere il legame matrimoniale che lo vincola. Entrambe le donne trasgrediscono così le norme morali: da un lato Medea tradisce la dea Diana, dall'altro Glauce porta al tradimento Giasone.

Durante le nozze l'attenzione si concentra sulla coppia mentre Medea prepara la vendetta: sarà lei a donare a Glauce la corona da cui prenderà fuoco l'intero palazzo.

Ma il punto culminante della tragedia è il sacrificio che Medea offre a Diana: i suoi figli, sicché l'infanticidio non è più condotto per vendetta, ma come richiesta di perdono.

Nella scena finale l'autore riprende l'episodio del carro, ma questa volta il volo della donna ha valore semantico e non narrativo: Medea si riunisce a Diana e ritorna la "virgo cruenta" dell'inizio della narrazione, lasciando a terra tutto ciò che era ancora legato a Giasone.

Opere derivate (parziale)

Danza

Letteratura

Musica

Pittura

Scultura

Scultura in bronzo di Medea. Lei esercita i suoi poteri magici; rabbia e vendetta.

Cinema

Teatro

Televisione

Altre apparizioni

In Fate/stay night, un visual novel giapponese, Medea è evocata come il Servant di classe Caster. In base alla route avrà un ruolo più o meno importante, sempre come antagonista nei confronti del protagonista.

Il suo Noble Phantasm (ovvero l'arma che incarna e ricorda la leggenda di un personaggio, che però può essere un concetto, come nel caso di Medea) si chiama Rule Breaker, un pugnale che ricorda la sua storia di plurima traditrice ed è in grado di annullare qualsiasi incantesimo e di controllarlo a suo piacimento. Nella route Unlimited Blade Works utilizzandolo scioglie il Command Spell di Saber e Archer, sottraendone il controllo ai rispettivi Master.

Note

  1. ^ Diodoro Siculo, Biblioteca storica, IV, 45; Cicerone, De natura deorum, III, 19.
  2. ^ Nella Medea di Carcino, però, era testimoniata la variante secondo la quale sarebbero stati i corinzi ad ucciderli, incolpandola del delitto: cfr. M. Martinelli, Una nuova Medea in musica: P.Louvre inv. E 10534 e la Medea di Carcino, in M.S. Celentano (a cura di), Ricerche di metrica e musica greca per Roberto Pretagostini, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 2010, pp. 61-76.
  3. ^ Luisa Biondetti, Dizionario di mitologia classica, Milano, Badini & Castoldi, 1997, p. 429 e p. 326, ISBN 88-8089-300-9.
  4. ^ (GRCEN) N. Kaggelaris, Sophocles' Oedipus in Mentis Bostantzoglou's “Medea”, a cura di A. N. Mastrapas e M. M. Stergioulis, Seminar 42: Sophocles the great classic of tragedy, Atene, Koralli, 2016, pp. 74-81.
  5. ^ (GRCEN) N. Kaggelaris, Euripides in Mentis Bostantzoglou's Medea, in Carpe Diem, n. 2, 2017, pp. 379-417.

Bibliografia

Fonti antiche
Fonti moderne

Voci correlate

Altri progetti

Collegamenti esterni

  • Medea, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 30 aprile 2018.
Controllo di autoritàVIAF (EN172332095 · CERL cnp00559173 · LCCN (ENno2014012419 · GND (DE118579878 · J9U (ENHE987007560501805171 · WorldCat Identities (ENviaf-305149294392580522664