Campagna dell'Africa Orientale Italiana: differenze tra le versioni

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Campagna dell'Africa Orientale Italiana
parte della seconda guerra mondiale
Truppe britanniche abbattono i simboli del fascismo a Chisimaio in Somalia nel febbraio 1941
Data10 giugno 1940 - 30 novembre 1941
LuogoAfrica Orientale
EsitoVittoria Alleata
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
91.000 italiani e 200.000 ascari nel giugno 1940; 340.000 uomini nel gennaio 1941Circa 20.000 uomini nel giugno 1940; oltre 250.000 soldati più i guerriglieri etiopi nel gennaio 1941
Perdite
Truppe italiane:[1]
almeno 6.000 morti
almeno 7.500 feriti
Truppe coloniali:
almeno 16.000-20.000 morti
almeno 20.000-30.000 feriti
tra 100.000 e 230.000 prigionieri (italiani e coloniali)[2][3]
Fino ad aprile 1941: 75.704 perdite in combattimento, di cui 11.130 morti accertati
74.550 perdite per malattia o incidenti, di cui 744 morti
138 velivoli della RAF distrutti
Dopo maggio 1941: 32 morti, 182 feriti e 6 dispersi,
15 aeroplani persi
* Belgio: 462 morti[4]
Voci di battaglie presenti su Wikipedia
Cartina dell'attacco italiano alla Somalia britannica tra il 3 e il 19 agosto 1940

La Campagna dell'Africa Orientale Italiana fu combattuta durante la seconda guerra mondiale, dopo l'entrata in guerra dell'Italia, il 10 giugno del 1940, tra le cospicue ma deboli forze italiane e coloniali stanziate al comando del Duca Amedeo d'Aosta in Africa Orientale Italiana e le truppe dell'Impero britannico del generale Archibald Wavell con l'efficace collaborazione della resistenza etiope degli arbegnuoc ("patrioti") che erano attivi in molte regioni fin dalla conquista italiana del 1936[5]

I britannici, dopo una iniziale fase difensiva, rinforzarono il loro schieramento con l'afflusso di reparti anglo-indiani e sudafricani modernamente armati e completamente motorizzati. Nella primavera del 1941 le forze britanniche, supportate dalla resistenza dei guerriglieri etiopi[6], sferrarono una doppia offensiva in Eritrea e Somalia, superarono rapidamente la difesa delle indebolite forze italiane e occuparono completamente l'Africa Orientale Italiana. Il Duca Amedeo si arrese all'Amba Alagi mentre le ultime resistenze furono vinte nel novembre 1941.

La situazione italiana

La forza italiana presente in Africa Orientale nel giugno 1940 era molto consistente dal punto di vista numerico. I militari nazionali erano circa 91.000, raggruppati nelle divisioni "Granatieri di Savoia" e "Cacciatori d'Africa" (quest'ultima fortemente incompleta), nel "Gruppo CC.NN. d'Africa" su 31 battaglioni, in 3 compagnie carri armati, e nelle forze di Polizia dell'Africa italiana, della Regia Marina e della Regia Aeronautica. I quasi 200.000 indigeni (àscari, dubat, zaptié, irregolari) si raggruppavano in 13 divisioni coloniali su 29 brigate (solo alcune complete, altre incomplete o ancora in via di formazione), 17 battaglioni autonomi, 8 squadroni di cavalleria, 22 gruppi-bande regolari e irregolari (quest'ultime generalmente male armate e di scarso valore bellico).[7]. Sulla carta gli italiani avevano una soverchiante superiorità numerica ma questa situazione era parzialmente modificata da diversi seri handicap. Le forze britanniche aumentarono sensibilmente nelle varie fasi della campagna, mentre gli italiani non ricevettero alcun rinforzo.

Corpi Ufficiali Sottufficiali Truppa nazionale Àscari
Regio Esercito 5.131 5.228 37.054 181.895
Camicie Nere 858 1.439 24.345 0
Altri corpi * 1.062 3.268 12.818 18.078
Totale 7.051 9.935 74.217 199.973

Forze italiane presenti in Africa Orientale Italiana nel giugno 1940. (Fonte: Giorgio Rochat Le guerre italiane 1935-1943, Einaudi)

Altri corpi: Carabinieri (9.000), Guardia di Finanza (1.800), Regia Marina (10.200), Regia Aeronautica (7.700) e Polizia dell'Africa Italiana (6.400).

Insieme alle forze italiane combatté anche un piccolo numero di volontari tedeschi organizzati nella Compagnia Autocarrata Tedesca.

Artiglieria italiana a Cassala nel 1940

L'armamento delle forze italiane era, teoricamente, piuttosto nutrito dal momento che, oltre alle armi individuali (comprendenti 670.000 fucili, 5.300 fucili mitragliatori, 3.300 mitragliatrici, 57 mortai da 45 mm e 70 mortai da 81 mm), esse contavano anche su 811 cannoni (tutti risalenti al primo conflitto mondiale, alcuni dichiarati obsoleti nel 1910), 24 carri M-11/39, 126 autoblindo antiquate o autocarri blindati e 39 carri L.[8][9]
Tuttavia, anche se dal punto di vista numerico e degli armamenti la situazione poteva apparire ottimale, la particolare situazione del terreno, le ben note carenze che affliggevano le armate italiane e la situazione politica e strategica locale rendevano la forza italiana in Africa orientale ben inferiore rispetto a quanto potesse apparire sulla carta.[10]
Le deficienze maggiori riguardavano la motorizzazione, infatti la disponibilità di mezzi di trasporto era fortemente limitata (all'atto dell'entrata in guerra vi erano in tutto 5.300 autocarri[11]), e inoltre la scarsità di parti di ricambio (critica era la disponibilità di gomme, corrispondenti appena al fabbisogno di un paio di mesi) e di carburanti (le scorte di carburante erano valutate sufficienti a 6/7 mesi di esercizio salvo naturalmente eventuali distruzioni da parte del nemico), unita alla carenza di strade idonee, rendevano ancora più limitata la possibilità di rapidi e veloci spostamenti di truppe motorizzate, come sarebbe stato invece necessario[12].
Minori preoccupazioni destava il settore del vestiario e del vettovagliamento. Dal punto di vista del munizionamento l'artiglieria poteva contare su un anno di scorte, ma per le armi portatili (peraltro le uniche disponibili in quantità più che adeguata) si poteva contare solamente su circa 6 o 7 mesi[13]. Mancavano totalmente le armi contraeree e controcarro.
Nel periodo precedente allo scoppio della guerra, fu fatto pochissimo per rinforzare le armate presenti in colonia, ed il Duca d'Aosta fu costretto, in pratica, ad affrontare le truppe britanniche con quello che già aveva sul posto, nell'impossibilità di ricevere rifornimenti.

A questi aspetti si sommava poi la particolare situazione politica, militare e strategica dei territori dell'Impero; in primo luogo questi erano di fatto isolati dalla madrepatria, dal momento che gli unici passaggi attraverso i quali i rifornimenti potevano essere fatti uscire dal Mediterraneo erano in mano britannica (il canale di Suez e Gibilterra).

In secondo luogo la resistenza abissina, iniziata dai cosiddetti arbegnuoc ("patrioti") fin dalla caduta di Addis Abeba nel maggio 1936 e continuata con efficacia, nonostante la dura repressione attuata dall'occupante, per tutti gli anni del dominio italiano, era in grado di ostacolare in modo rilevante i movimenti di truppe e i trasporti di rifornimenti all'interno del paese e poteva essere impiegata dai britannici per indebolire dall'interno l'autorità italiana[14]. L'alto comando britannico iniziò subito a pianificare ed organizzare la collaborazione militare con gli arbegnuoc inviando sul posto due ufficiali esperti di guerra coloniale. il generale Daniel Arthur Sandford e il tenente colonnello Orde Wingate[15].

Il rifornimento dei presidi italiani era inoltre reso ulteriormente difficoltoso dall'esistenza di alcuni grandi depositi solamente in prossimità dei principali porti, Massaua in Eritrea e Mogadiscio in Somalia, oltre che Addis Abeba, con conseguenze facilmente immaginabili sull'effettiva possibilità di portare i rifornimenti alle truppe dislocate in prossimità dei confini[16].

Organizzazione

Dal punto di vista amministrativo, l'Africa Orientale Italiana era suddivisa in sei governatorati sotto il comando del Viceré (che rappresentava l'Imperatore Vittorio Emanuele III). Se il governatore era un civile, aveva alle sue dipendenze un comandante militare.

Si trattava di un'impostazione inadatta a sostenere un conflitto esterno, poiché dava prevalenza agli organi civili, a danno delle autorità militari[17].

Il territorio era diviso in 6 Governi. Fino al 1938 esistette il Governatorato di Addis Abeba il cui territorio venne integrato nel nuovo Governatorato dello Scioa, dotato di un'amministrazione municipale.

I Governi erano retti da un Governatore coadiuvato da un Consiglio di Governo di cui facevano parte le maggiori autorità del Governo stesso. I Governi dell'Amara, dei Galla e Sidama, dell'Harar e dello Scioa costituivano l'Impero Italiano d'Etiopia che era circa la metà dell'Etiopia indipendente fino al 1936. Inoltre vi erano i governi della Somalia e dell'Eritrea.

Lo stesso argomento in dettaglio: Africa Orientale Italiana § Forze militari coloniali.

Secondo l'Ordinamento Militare dell'AOI del 15 novembre 1937 stabiliva una forza di 21.000 nazionali e 43.000 coloniali, organizzati in uno Stato Maggiore del Governo Generale (ad Addis Abeba) e sei Comandi Truppe, uno per ogni Governo.[18]

La mancanza di preparazione pre-bellica

Soldati etiopi ad Addis Abeba, armati con armi confiscate agli italiani, che ascoltano il proclama che annuncia il ritorno nella capitale dell'imperatore Hailé Selassié (maggio 1941)

La posizione dell'Africa Orientale Italiana rendeva la colonia, di fatto, isolata in caso di guerra contro l'Impero britannico. Il problema venne seriamente affrontato da Mussolini a partire dal febbraio 1937. In una lettera al viceré Rodolfo Graziani, affermò che le forze terrestri avrebbero dovuto essere portate a 100.000 soldati complessivi (metà dei quali italiani) a partire dal 1º luglio, e che da settembre bisognava iniziare ad arruolare i nativi. L'obiettivo era avere 300.000 uomini per il 1940-1941, ovvero il periodo per cui era previsto il completamento del riarmo. Nella stessa lettera, il Duce chiarì che bisognava perseguire l'autarchia dal punto di vista militare, sia in tempo di pace, che di guerra: “Tenere sempre presente che in caso di guerra la madrepatria non chiederà nulla all'Impero, ma non potrà dare nulla.”. Già allora, la situazione sul campo era ben diversa, in quanto la guerriglia etiope imponeva la presenza di oltre 250.000 soldati. Il problema fu che il Ministero della Guerra accolse solo le richieste relative alla difesa interna, e rimandò tutte le analisi relative alla mobilitazione in caso di guerra.

La questione venne riproposta dal Duca d'Aosta nel maggio-settembre 1939, quando furono quantificate le necessità dal punto di vista economico. In particolare, per avere una completa autonomia militare dell'Impero erano necessari 4.830.000.000 di lire. Tuttavia, il progetto non era economicamente realizzabile, e fu ridimensionato ad un solo anno di guerra. La cifra prevista fu di 1.450.000.000 di lire, ma anche questa fu considerata troppo alta: il Ministero delle Finanze concesse solo 900.000.000. Il problema fu che i fondi non erano ancora utilizzabili. Solo dopo ripetute pressioni da parte dei generali (Pietro Gazzera e Guglielmo Nasi in particolare) ed un viaggio a Roma del viceré in persona, il 18 aprile 1940 i fondi vennero materialmente accordati. Tuttavia, a causa dello scoppio della guerra, pochissimo materiale giunse in Africa Orientale.

La situazione britannica

Le truppe italiane, forti di 291.176 uomini (91.203 nazionali e 199.973 ascari), erano in netta superiorità numerica. Infatti i britannici all'inizio delle ostilità potevano contare su 20.000 uomini (cifra che comprendeva anche le truppe dei dominions, del Commonwealth e delle colonie): 3 battaglioni regolari britannici nei quasi tremila chilometri del confine sudanese, 2 brigate dell'Africa orientale in Kenya (8.500 uomini, in parte sudafricani in parte coloni), 2 battaglioni fucilieri e 5 compagnie di truppe cammellate in Somalia britannica e 2 battaglioni indiani ad Aden.

La guerra

«Assistiamo all'inizio di un processo di riparazione e punizione dei torti tale da ricordarci come, sebbene le macine di Dio stritolino adagio, stritolino in particelle finissime»

Il 10 giugno 1940 l'Italia dichiarò guerra a Francia e Regno Unito. L'11 giugno l'Italia fa bombardare dalla sua aviazione Port Sudan e Aden[20].

La mattina del 13 giugno tre Caproni italiani bombardarono la base aerea al forte di Wajir in Kenya. I velivoli britannici erano ancora in fase di riscaldamento e si stavano preparando al decollo; i Caproni bombardarono il forte, il campo di atterraggio, e gli alloggi nelle vicinanze.

La difesa attiva in Sudan e Kenya

All'inizio del conflitto, il duca Amedeo d'Aosta aveva concepito un piano molto ambizioso ma difficilmente realizzabile: aprire una "direttissima" attraverso il Sudan e l'Egitto (2.500 km senza strade), seguendo il corso del Nilo per poter poi raggiungere i porti di approvvigionamento sul Mediterraneo. Ma da Roma giunse l'ordine di[21]

«mantenere un contegno strettamente difensivo»

Il duca, interpretando l'ordine in chiave di difesa attiva, attaccò su tutti i fronti cogliendo ovunque gli inglesi di sorpresa.

Nella prima metà di luglio si ebbero degli attacchi locali sia in Sudan, nelle zone di Cassala e lungo i corsi del Nilo Azzurro e del Nilo Bianco, sia nel Kenya, nel "triangolo" che si insinua tra la parte meridionale della Somalia e l'Etiopia[22].
Al confine con il Sudan, il 3 luglio 1940 furono gli inglesi a prendere l'iniziativa attaccando la cittadina eritrea di Metemma, ma venendone respinti.[23]. Ma già il 4 luglio 1940 il contrattacco italiano portò alla conquista di Cassala (a 20 km dalla frontiera con l'Eritrea) difesa dalla Sudan Defence Force. Gli Italiani inoltre presero il piccolo forte britannico di Gallabat, appena oltre il confine da Metemma, circa 320 km (200 miglia) a sud di Cassala. Vennero conquistati anche i villaggi di Ghezzan, Kurmuk e Dumbode sul Nilo Azzurro.

Dopo i successi nel Sudan, le truppe italiane passarono all'offensiva sulla frontiera del Kenya, per eliminare il pericoloso saliente di Dolo. Nella zona la difesa britannica fu particolarmente accanita. In Kenya gli italiani presero "Fort Harrington" a Moyale e conquistarono Moyale e il saliente di Mendera, spingendosi verso l'interno per oltre 100 chilometri[21]. Alla fine di luglio le forze italiane raggiunsero Debel e Buna. Quest'ultima località, a un centinaio di chilometri dal confine, segnò la punta massima della penetrazione italiana nel Kenya.

Il Corriere annunzia l'avanzata italiana dell'agosto 1940

La conquista della Somalia britannica

Lo stesso argomento in dettaglio: Conquista italiana della Somalia Britannica.

Il 3 agosto le truppe italiane comandate dal generale Guglielmo Nasi, penetrarono nella Somalia britannica, sconfiggendo gli inglesi e le tribù locali e occupando Berbera già il 19 agosto.

L'offensiva britannica

Il tempo lavorava tuttavia a favore degli inglesi: finita l'illusione di una guerra-lampo, rapidissima e vittoriosa, e dopo una parvenza di successo iniziale, l'Italia subì il contrattacco Alleato su più fronti dell'allora Africa Orientale Italiana. I britannici poterono infatti contare sui rinforzi e rifornimenti che giunsero dal loro impero policentrico: non solo dalla madrepatria, ma anche dall'India, dall'Australia, dalla Nuova Zelanda, dal Sudafrica. Nel novembre 1940 i britannici saggiarono le difese italiane avanzate di Gallabat e Metemma con un attacco che si risolse in un nulla di fatto: gli italiani sgomberarono Gallabat lasciando sul terreno 175 morti, ma i britannici, bombardati da terra e dal cielo, furono a loro volta costretti a lasciare il forte. Nel gennaio 1941 le forze italiane erano ancora in superiorità numerica (nonostante l'AOI fosse isolata dalla madrepatria), anzi erano cresciute numericamente a ben 340.000 uomini grazie al reclutamento di cittadini italiani ed etiopici a seguito dello scoppio della guerra; le forze britanniche invece potevano contare su oltre 250.000 uomini, senza contare le forze della guerriglia etiopica.

Fronte settentrionale

Sul fronte nord, le pressioni britanniche indussero gli italiani ad evacuare la città di Cassala, conquistata pochi mesi prima e a ripiegare in Eritrea sulle posizioni fortificate prima di Agordat (Battaglia di Agordat), poi di Cheren[24]. Lo scontro decisivo con i britannici si ebbe nella Battaglia di Cheren, dove le truppe italiane riuscirono a tenere le posizioni dal 3 febbraio al 27 marzo.

Fronte meridionale

Il generale Alan Gordon Cunningham aveva assunto il comando in Kenya nel novembre 1940 e nei mesi seguenti aveva raggruppato le sue forze dietro il fiume Tana; con l'afflusso di importanti rinforzi e di grandi quantità di mezzi e materiali il comandante britannico poté costituire una forza d'urto molto mobile con cui passare all'offensiva nello scacchiere meridionale. Il corpo di spedizione era formato inizialmente da due divisioni, la 11ª e la 12ª Divisione africana[25], con 20.000 soldati tra sudafricani, britannici, nigeriani, rhodesiani e neri della Costa d'Oro; queste truppe disponevano di 300 moderni pezzi d'artiglieria e soprattutto di oltre 10.000 automezzi che permettevano una completa motorizzazione; erano disponibili alcune squadriglie aeree modernamente equipaggiate dell'aviazione sudafricana[26].

Soldati sudafricani festeggiano la vittoria con una bandiera catturata agli italiani a Moyale, in Kenya (1941)

Il comando italiano del Duca d'Aosta, coadiuvato dal generale Trezzani, decise di affrontare la temuta offensiva nemica organizzando un debole schieramento a cordone lungo quasi 600 chilometri del corso del fiume Giuba che, essendo in molti tratti in secca, non avrebbe potuto costituire un reale ostacolo per moderne truppe motorizzate. Il generale De Simone era il responsabile superiore del settore e disponeva di circa 35.000 soldati, di cui 4.200 italiani, organizzati nella 101ª Divisione somala schierata a nord e nella 102ª Divisione somala posizionata a sud; in riserva erano disponibili altri due piccoli reparti indigeni. Si trattava di forze numerose ma poco addestrate, scarsamente equipaggiate, con artiglierie antiquate, pochi mezzi e solo una decina di vecchi aerei[27].

L'offensiva del generale Cunningham ebbe inizio il 21 gennaio 1941 e raggiunse subito importanti successi; il confine somalo venne superato in sette punti ed entro il 10 febbraio tutti gli avamposti italiani furono conquistati; la situazione apparve subito così difficile che il Duca d'Aosta, arrivato personalmente a Mogadiscio, dovette accogliere la richiesta del generale De Simone di ripiegare dietro il Giuba. Chisimaio venne abbandonata frettolosamente ed il 14 febbraio i britannici entrarono senza combattere nel porto. Il giorno seguente il generale Cunningham sferrò subito l'attacco alla linea del fiume tra Gelib e Giumbo; i reparti somali si sbandarono e le piccole riserve furono sprecate prematuramente dal generale De Simone. Tra il 17 e il 20 febbraio la 11ª e la 12ª Divisione africana superarono il Giuba; le difese italiane, attaccate a Gelib sui fianchi e alle spalle, si stavano disgregando e il 20 febbraio 1941 il generale De Simone ordinò la ritirata generale che si trasformò rapidamente in rotta[28]; le perdite ammontarono a 30.000 soldati tra morti, dispersi e prigionieri[29].

Hailé Selassié I

Dopo la caduta di Gelib il 22 febbraio, i britannici iniziarono quindi un rapido inseguimento in due direzioni; i comandanti italiani non furono in grado di fronteggiare la situazione e le forze schierate sulla linea del Giuba furono facilmente disperse. Mentre la 12ª Divisione africana raggiungeva Dolo il 5 marzo, i reparti della 11ª Divisione africana occuparono fin dal 25 febbraio Mogadiscio dove non incontrarono alcuna resistenza; il podestà Salvatore Giuliana si arrese e consegnò la città, già dichiarata città aperta[30].

Il generale Cunningham decise di continuare subito l'offensiva, sfruttando gli evidenti segni di cedimento del nemico; il generale britannico ritenne possibile una marcia direttamente su Addis Abeba attraverso l'Ogaden e fin dal 1º marzo 1941 una colonna motorizzata di soldati africani al comando del generale Smallwood partì da Mogadiscio e iniziò ad avanzare in direzione di Harar. Le truppe imperiali non trovarono praticamente alcuna resistenza; l'avanzata proseguì con tappe di quasi cento chilometri al giorno e in dieci giorni fu raggiunta Dagabur ad oltre 700 chilometri da Mogadiscio. Contemporaneamente gli italiani dal 14 marzo evacuarono la Somalia britannica, i reparti britannici del generale Reid sbarcarono e liberarono rapidamente il territorio, alcuni reparti coloniali italiani si disgregarono durante la ritirata. A protezione di Harar il generale De Simone aveva organizzato una posizione difensiva con truppe coloniali e nazionali ma i fenomeni di collasso e le defezioni tra i reparti indigeni resero ben presto impossibile una prolungata resistenza[31].

Il 18 marzo 1941 il Duca d'Aosta prese la decisione, di fronte alla evidente disgregazione dei reparti coloniali, di ordinare al generale De Simone di abbandonare anche Harar e ripiegare ancora fino alla linea del fiume Auasc; il viceré riteneva la situazione ormai compromessa e aveva già previsto di rinunciare a difendere Addis Abeba e, nonostante la netta contrarietà di Mussolini, ripiegare con le forze superstiti sulle montagne dove organizzare un'ultima resistenza. La ritirata delle truppe del generale De Simone venne effettuata nel disordine e nella disorganizzazione sotto gli attacchi della popolazione ostile; dopo alcuni tentativi di rallentare i britannici, il 27 marzo fu abbandonata Harar e tra il 28 e il 29 marzo i reparti superstiti arrivarono nella totale confusione alla linea del fiume Auash che era già presidiata da truppe inviate dal viceré[32].

Crollo dell'Africa orientale

Soldati inglesi del King's African Rifles raccolgono i fucili catturati alle forze coloniali italiane al passo di Uolchefit il 28 settembre 1941

Intanto, riconquistata la Somalia dai britannici nel marzo 1941, le truppe italiane furono respinte verso il centro dell'Etiopia sino a giungere alla resa (per totale mancanza di munizioni) con l'onore delle armi di Amedeo duca d'Aosta viceré d'Etiopia sulle alture dell'Amba Alagi (Seconda battaglia dell'Amba Alagi).

Il 6 aprile Hailé Selassié entrò a Debra Marcos e venne informato che le avanguardie di Alan Gordon Cunningham erano giunte alle porte della capitale dell'impero. Lo stesso giorno, infatti, Renzo Mambrini Maggiore Generale della Polizia dell'Africa Italiana, cui erano stati conferiti tutti i poteri civili politici e militari dal Governatore dell'Africa Orientale Italiana,[33] aveva comunicato la resa di Addis Abeba al Generale H. E. de R. Wetherall, comandante della undicesima divisione africana[34].

A Combolcià, pochi chilometri a sud di Dessiè, si trovavano postazioni difensive italiane; il raggruppamento di brigata sudafricana del generale Dan Pienaar impegnò l'artiglieria italiana con i suoi cannoni, mentre la fanteria raggiungeva le alture sui 1.800 metri. I sudafricani impiegarono 3 giorni per raggiungere gli obiettivi e, dopo che un gruppo di arbegnuoc etiopici del famoso capo Abebe Aregai si era unito a loro, presero d'assalto le postazioni italiane (22 aprile). I sudafricani ebbero 9 morti e 30 feriti e fecero 8.000 prigionieri.[35]

Ad Addis Abeba, dove vivevano ben 40.000 civili italiani, i britannici affidarono l'amministrazione pubblica ai reparti della PAI (Polizia dell'Africa Italiana) che, spinti dal terrore e dalla rabbia, provocarono incidenti e agitazioni: spararono sui prigionieri etiopici non ancora liberati uccidendone 64, mentre un gruppo di ausiliari reclutati tra i civili uccise altri 7 etiopi durante una rissa.[36] A questo punto gli inglesi furono costretti a disarmare i soldati italiani e ad affidare l'ordine pubblico all'appena ricostituita polizia etiope. La vittoria finale dell'Etiopia e la sua liberazione dipesero molto anche dall'opposizione continua degli etiopi alla dominazione italiana, con una guerra (e guerriglia) che effettivamente non si fermò per cinque anni fino alla totale liberazione.

Cartolina con lo slogan lanciato da Amedeo d'Aosta: Ritorneremo

Il 5 maggio 1941 il Negus Hailé Selassié entrò ad Addis Abeba su un'Alfa Romeo scoperta, preceduto dal colonnello Wingate su un cavallo bianco. Il Negus Neghesti, appena rientrato ad Addis Abeba, esortò tutti gli etiopi a non vendicarsi sugli italiani e a non ripagare loro le atrocità che avevano commesso per cinque anni:[36]

«Non ripagate il male che vi hanno fatto, non macchiatevi le mani con atti di crudeltà.»

La resistenza di Gondar

Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Gondar.

Anche dopo la conquista alleata di Addis Abeba e l'episodio dell'Amba Alagi, resistette ancora per mesi interi la guarnigione italiana di Gondar, forte di circa 40.000 uomini[37] e comandata dal generale Guglielmo Nasi. Il generale amministrò egregiamente il suo avamposto: ridusse le razioni, organizzò un mercato indigeno, una sezione recuperi per sfruttare ogni materiale, una sezione pesca sul lago Tana. Così fino a ottobre la razione dei soldati italiani fu buona: 300 grammi di pane, 400 di carne, 200 di pesce al giorno e verdure in abbondanza.[3] Ma ormai anche per Nasi si avvicinava la fine. Prima la caduta del presidio di Uolchefit e del presidio di passo Culqualber, durante una serie di scontri durati da agosto a novembre.

Poi il 27 novembre si scatenò la battaglia di Gondar e poco poterono i soldati italiani contro i carri armati britannici: le forze di Nasi, dopo essersi comportate egregiamente, si arresero e pagarono con 4.000 morti (3.700 ascari e 300 italiani) e 8.400 feriti la sconfitta finale.[38] Il Generale Nasi e le sue ultime truppe ottennero gli onori militari dagli inglesi.

Alcuni gruppi continuarono la resistenza sotto forma di guerriglia partigiana: "Fronte di Resistenza" e "Figli d'Italia".

Il ruolo della Marina

Il sommergibile Perla a Bordeaux il 27 maggio 1941.

La Regia Marina si era limitata a lasciare a Massaua 8 sommergibili e poco naviglio leggero per poter concentrare l'attacco sul grosso traffico inglese verso il Canale di Suez. Massaua cadde il 7 aprile 1941 e l'11 aprile il presidente Roosevelt dichiarò il Mar Rosso navigabile per le navi statunitensi.[39]

I 590 convogli britannici che attraversarono il Mar Rosso dal giugno 1940 al maggio 1941 lamentarono un solo affondamento.[40]

Nel solo mese di giugno ben 4 sommergibili divennero inutilizzabili a causa delle esalazioni di cloruro di metile dell'impianto di condizionamento dell'aria nelle temperature del Mar Rosso; gli altri, il Guglielmotti, il Galileo Ferraris, il Perla e l'Archimede, riuscirono a tornare in patria dopo una rocambolesca circumnavigazione dell'Africa: arrivati al Capo di Buona Speranza, si diressero a nord, lungo la costa occidentale dell'Africa, e raggiunsero il porto di Bordeaux, in Francia. Il 29 marzo, il Perla venne rifornito di carburante dall'incrociatore ausiliario tedesco Atlantis nell'Oceano Indiano; gli altri 3 sottomarini vennero invece riforniti di carburante dalla petroliera tedesca Nordmark nell'Atlantico meridionale tra il 16 e il 17 aprile. Tutti e quattro i sommergibili italiani raggiunsero Bordeaux tra il 7 e il 20 maggio.

Progetto fascista di ampliamento dell'Impero

Lo stesso argomento in dettaglio: Colonialismo italiano.
Il progetto mussoliniano di un ingrandito Impero italiano - dopo l'eventuale vittoria dell'Asse - includeva l'Egitto, il Sudan, Gibuti ed il Kenya orientale. Questo impero ingrandito (limiti in verde) doveva essere la continuazione in Africa della Grande Italia (limiti in arancione).

Nel corso della seconda guerra mondiale Mussolini ed altri suoi gerarchi progettarono un ingrandimento dell'Impero italiano, qualora si fosse fatta una conferenza di pace dopo la vittoria dell'Asse.[41]

Questo progetto era basato nel congiungimento delle due sezioni dell'Impero italiano nel 1939 (la Libia e l'Africa Orientale Italiana) tramite la conquista dell'Egitto e del Sudan.[42] Ad esso si sarebbero aggiunte la Somalia inglese (effettivamente occupata dalle truppe italiane), Gibuti e la parte orientale del Kenya britannico.[43]

Il progetto prevedeva un notevole insediamento coloniale di italiani (oltre un milione da trasferire principalmente in Etiopia ed Eritrea e circa mezzo milione in Libia),[44] e il controllo del Canale di Suez.[45]

Note

  1. ^ Il volume Le operazioni in Africa orientale di Alberto Rovighi, AUSSME, Tomo I, p. 476, riferisce che al 16 aprile 1941 le perdite tra le truppe italiane erano di 426 ufficiali morti, 703 feriti e 315 catturati, 4785 sottufficiali e soldati morti, 6244 feriti e 15.871 catturati; le perdite tra le truppe coloniali, incomplete (poiché mancavano i dati riferiti al Giuba ed ai fronti orientali) erano di 11.755 morti, 18.151 feriti e 3076 catturati. Dopo la data del 16 aprile 1941, tuttavia, i combattimenti in Africa Orientale proseguirono ancora a lungo: vi furono tra le altre le battaglie dell'Amba Alagi, che causò 3.500 perdite, quella di Culqualber, che causò 1003 morti (513 italiani e 490 coloniali) e 804 feriti (404 italiani e 400 coloniali), e quella di Gondar, che causò 4.000 morti (300 italiani e 3.700 coloniali) e 8.400 tra feriti e malati.
  2. ^ Arrigo Petacco, La nostra guerra 1940-1945. L'avventura bellica tra bugie e verità, Mondadori, pag. 68
  3. ^ a b Giorgio Bocca, Storia d'Italia nella guerra fascista 1940-1943, Mondadori, pag. 318
  4. ^ G. Weller, The Belgian Campaign in Ethiopia: A Trek of 2,500 Miles Through Jungle Swamps and Desert Wastes, online, New York, Belgian Information Center, 1942, OCLC 1452395. URL consultato il 3 marzo 2016.
  5. ^ A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale, vo. III, pp. 106-126 e 313-316.
  6. ^ A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale, vol. III, pp. 333-340 e 463-478.
  7. ^ Giorgio Rochat Le guerre italiane 1935-1943. Dall'impero d'Etiopia alla disfatta, Einaudi, pag. 298
  8. ^ Andrea Molinari, La conquista dell'impero. 1935-1941 La guerra in Africa Orientale, Hobby & work, pag. 106.
  9. ^ A. Rovighi, Relazione AOI, I, pagina 38
  10. ^ Andrea Molinari, La conquista dell'impero. 1935-1941 La guerra in Africa Orientale, Hobby & work, pag. 107.
  11. ^ Andrea Molinari, La conquista dell'impero. 1935-1941 La guerra in Africa Orientale, Hobby & work, pag. 107.
  12. ^ Andrea Molinari, La conquista dell'impero. 1935-1941 La guerra in Africa Orientale, Hobby & work, pag. 107.
  13. ^ Andrea Molinari, La conquista dell'impero. 1935-1941 La guerra in Africa Orientale, Hobby & work, pag. 108.
  14. ^ A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale, vol. III, pp. 313-330.
  15. ^ A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale, vol. III, pp. 338 e 383.
  16. ^ Andrea Molinari, La conquista dell'impero. 1935-1941 La guerra in Africa Orientale, Hobby & work, pag. 108.
  17. ^ Fatti d'Arme di una guerra senza fortuna, Vol. 1
  18. ^ OdB del Regio Esercito nel 1940.
  19. ^ A. Mockler, Il mito dell'impero, p. 430.
  20. ^ Martin Gilbert, La grande storia della seconda guerra mondiale, Mondadori, pag. 107
  21. ^ a b Arrigo Petacco, La nostra guerra 1940-1945. L'avventura bellica tra bugie e verità, Mondadori, pag. 30
  22. ^ Andrea Molinari, La conquista dell'Impero. 1935-1941 La guerra in Africa Orientale, Hobby & Work, pag. 114
  23. ^ Laura Marengo Impero addio, Ed. Fratelli Melita Editori, La Spezia, 1988, capitolo "Il provvisorio ritorno a Cassala", p. 111: «1940, primi giorni di guerra. Il bollettino n. 25 annuncia:"...Nell'Africa Orientale, le nostre truppe, respinto l'attacco su Metemma, sono passate alla controffensiva occupando la posizione fortificata di Gallabat, in territorio del Sudan Anglo-Egiziano. Più a nord, superata una tenace resistenza, è stata occupata Cassala».
  24. ^ Vita e morte del soldato italiano nella guerra senza fortuna, Ed. Ferni, Ginevra, 1975, libro I, pag. 143
  25. ^ E.Bauer, Storia controversa della seconda guerra mondiale, vol. III, p. 252.
  26. ^ A.Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, vol. III, pp. 442-443.
  27. ^ A. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, vol. III, pp. 443-444.
  28. ^ A. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, vol. III, pp. 446-449.
  29. ^ W. Churchill, La seconda guerra mondiale, vol. 3, p. 109.
  30. ^ A. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, vol. III, p. 449.
  31. ^ A. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, vol. III, pp. 450-452.
  32. ^ A.Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, vol. III, pp. 453-454.
  33. ^ Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale - 3. La caduta dell'Impero, MONDADORI, 14 ottobre 2014, ISBN 978-88-520-5496-9. URL consultato il 2 aprile 2016.
  34. ^ HyperWar: East African and Abyssinian Campaigns, su ibiblio.org. URL consultato il 2 aprile 2016.
  35. ^ II Guerra Mondiale - La perdita dell'Africa Orientale Italiana> Archiviato il 2 agosto 2009 in Internet Archive.
  36. ^ a b Giorgio Bocca, Storia d'Italia nella guerra fascista 1940-1943, Mondadori, pag. 315
  37. ^ Battaglia di Gondar, su probertencyclopaedia.com (archiviato dall'url originale l'8 giugno 2011).
  38. ^ Pietro Maravigna, Come abbiamo perduto la guerra in Africa, Tosi, 1949, pag. 191.
  39. ^ Arrigo Petacco, La nostra guerra 1940-1945. L'avventura bellica tra bugie e verità, Mondadori, pag. 64
  40. ^ Giorgio Rochat Le guerre italiane 1935-1943. Dall'impero d'Etiopia alla disfatta, Einaudi, pag. 299
  41. ^ Generale Pietro Maravigna, Come abbiamo perduto la guerra in Africa. Le nostre prime colonie in Africa. Il conflitto mondiale e le operazioni in Africa Orientale e in Libia. Testimonianze e ricordi, pag. 127
  42. ^ Alberto Rovighi, Le Operazioni in Africa Orientale, pag. 83
  43. ^ Franco Antonicelli(1961), Trent'anni di storia italiana 1915-1945, pag. 107
  44. ^ 'Systematic "demographic colonization" was encouraged by Mussolini's government. A project initiated by Libya's governor, Italo Balbo, brought the first 20,000 settlers--the ventimilli--to Libya in a single convoy in October 1938....Plans envisioned an Italian colony of 500,000 settlers by the 1960s' (Una sistematica "colonizzazione demografica" fu incoraggiata dal governo di Mussolini. Un progetto iniziato dal governatore della Libia, Italo Balbo, portò i primi 20.000 coloni, detti Ventimilli, in Libia nell'ottobre 1938... Progetti studiavano la possibilità di una colonia italiana di 500.000 coloni negli anni Sessanta) da Hellen Chapin Metz, Libya: A Country Study, Washington, GPO for the Library of Congress, 1987.
  45. ^ Generale Pietro Maravigna, Come abbiamo perduto la guerra in Africa. Le nostre prime colonie in Africa. Il conflitto mondiale e le operazioni in Africa Orientale e in Libia. Testimonianze e ricordi, pag. 183

Bibliografia

  • Giorgio Bocca, Storia d'Italia nella guerra fascista 1940-1943, Mondadori.
  • Andrea Molinari, La conquista dell'Impero. 1935-1941 La guerra in Africa Orientale; Hobby & Work.
  • Arrigo Petacco, La nostra guerra 1940-1945. L'avventura bellica tra bugie e verità, Mondadori.
  • Giorgio Rochat, Le guerre italiane 1935-1943. Dall'impero d'Etiopia alla disfatta, Einaudi.
  • Vincenzo Meleca, Storie di uomini di navi e di guerra nel Mar delle Dahlak, Greco&Greco
  • Simone Belladonna, Gas in Etiopia,I crimini rimossi dell'Italia coloniale ;Neri Pozza ; 2015

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