Spade celtiche

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Voce principale: Spade dell'età del ferro.
Reperti di spade celtiche rinvenute nel sito archeologico di La Tène (Svizzera)[1]
Opulento esemplare di daga celtica con impugnatura antropomorfa e fodero decorato (lamina d'oro) - VI secolo a.C.
Ricostruzione moderna della tipologia di daga riportata a sx

Le spade celtiche costituirono l'archetipo dal quale svilupparono le spade europee dell'Età del ferro. Si trattò di un insieme piuttosto disomogeneo di armi da taglio del tipo spada dalla foggia e dalle dimensioni variabili, non inquadrabili in una tipologia uniforme, che influenzarono significativamente lo sviluppo della spada presso le due culture, Romani e Germani, che prima convissero con i Celti e poi li soppiantarono nel dominio sulle terre dell'Europa continentale. Da un precedente modello celtico svilupparono infatti sia il gladius sia la spatha, le armi da cui originò, in buona sostanza, la "spada vichinga" dell'Europa carolingia, archetipo della spada in uso alla cavalleria medievale[2].

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Spade Hallstattiane - disegno di Johann Georg Ramsauer, XIX secolo

I Celti (un insieme di popoli indoeuropei parlanti le lingue celtiche) legarono il loro nome e la loro storia a due momenti tecnologico-culturali cruciali nella storia dell'Europa continentale: la Cultura di Hallstatt (IX-VI secolo a.C.) e la Cultura di La Tène (V-I secolo a.C.). Nell'arco di questi nove secoli, svilupparono diverse tipologie di spada che ebbero poi larga diffusione in Europa, presso i vari popoli con i quali le tribù celtiche si incontrarono e scontrarono: Antichi Romani, Germani, Traci, Daci, Illiri e Greci.

Periodo di Hallstatt[modifica | modifica wikitesto]

Durante la protoceltica cultura di Hallstatt si diffusero nell'arco alpino i modelli di "spada lunga" tipici del Bronzo Recente: la spada a lingua da presa con lama non molto larga e foggia "a foglia di salice" e la spada ad antenne, erroneamente ritenuta, dagli studiosi del XIX secolo, arma celtica vera e propria. Questa tipologia di spada era arma precipua dei leader politici, soliti servirsene per il combattimento montato, in sella al cavallo o sul pianale del carro da guerra.

A partire dal VII secolo a.C. le armi in bronzo furono soppiantate da quelle in ferro. Le spade si accorciarono, divenendo più massicce (in pratica delle daghe), in funzione di uno stile di combattimento che ormai prediligeva gli scontri di fanteria e non più di cavalleria[3][4].

Periodo di La Tène[modifica | modifica wikitesto]

Nel V secolo a.C., nonostante il frazionamento in tribù e popoli spesso in lotta tra loro, i Celti avviarono migrazioni su vasta scala, affrontando le Alpi, i Balcani ed i Carpazi. Un ruolo fondamentale, in questa "età della migrazione celtica" venne svolto dalle consorterie armate che andavano via via soppiantando le antiche dinastie nel controllo del potere politico-militare[5]. A capo delle orde armate di giavellotto, lancia e scudo, il leader aveva a sua disposizione spade in ferro di ridotte dimensioni per le stoccate, con lame massicce lunghe circa 40–50 cm (Spada "La Tène A1"). Al volgere del secolo, 400 a.C. circa, la spada si allunga, iniziando a montare una lama di 60 cm (Spada "La Tène A2").

A partire dal IV-III secolo a.C. il contatto dei Celti con il modello militare della falange oplitica greca, imperante nel Mediterraneo, imprime un massiccio sviluppo alle tattiche militari degli hyperborei ed al loro armamento[4]:

  • la lama della spada di fanteria si "standardizza" sulla lunghezza di 60–66 cm (Spada "La Tène B") ed il fodero diventa di metallo. Nel III secolo a.C. la catenella di sospensione del fodero diventa ad anelli metallici, onde garantire miglior controllo sull'arma durante la "carica", mentre lo scudo rinforzato da "spina" verticale ed umbone ben testimonia il ricorso dei Celti a una scherma mista di spada e scudo caratterizzata da colpi violenti[6].
  • tra i Celtiberi, il contatto massiccio con le colonie greche e fenicie porta all'introduzione di armi elleniche come il makhaira, corta arma monofilare dal tagliente concavo, che viene sviluppata dagli armaioli celtico-iberici in un'arma più versatile, poi nota come "Falcata"[7].
  • la scomparsa dei carri da guerra, quanto meno tra i Celti dell'Europa continentale (tra i Britanni il carro era ancora in uso ai tempi di Gaio Giulio Cesare[8]), si accompagna allo sviluppo massiccio delle forze di cavalleria. La spada si allunga, per permettere al cavaliere di colpire agilmente un nemico appiedato stando in sella. Intorno al 260 a.C. le lame sono prodotti ibridi, atti a colpire sia di punta che di taglio, con lama di 65–80 cm (Spada "La Tène C"). Un secolo e mezzo dopo (125-100 a.C.), i cavalieri dei celti imbracciano armi atte unicamente a colpire di taglio con lama di 80–90 cm, a volte anche di più (Spada "La Tène D").

Sviluppi[modifica | modifica wikitesto]

Dalla seconda guerra punica sino agli ultimi giorni della dinastia giulio-claudia, l'esercito romano utilizzò una tipologia celtica di spada da fanteria quale arma d'ordinanza, il gladius hispaniensis. Successivamente, si diffuse tra le forze di cavalleria dell'Impero romano, formate principalmente da coscritti provenienti dalle Gallie[9][10], la spada celtica lunga ed elastica, poi nota come spatha. Detta arma ebbe poi larga fortuna presso le truppe di mercenari germani che sempre più frequentemente militarono sotto le insegne di Roma, originando la spatha romano-barbarica diffusasi in tutta Europa al tempo delle Invasioni barbariche che portarono alla dissoluzione dell'Impero romano. Giunta sino alle terre della Scandinavia, la spatha servì da modello per lo sviluppo della spada vichinga e, tramite essa, della spada in dotazione al cavaliere medievale dell'Anno Mille[2]. Ancora poco chiari sono invece i possibili legami tra la spatha celtica d'epoca tarda e la claymore, variante scozzese della spada a due mani del Basso Medioevo.

Costruzione[modifica | modifica wikitesto]

L'impugnatura[modifica | modifica wikitesto]

daga celtica in bronzo con impugnatura antropomorfa - III-I secolo a.C.

Caratteristica peculiare delle spade celtiche fu l'impugnatura in forma di "X", altrimenti detta impugnatura antropomorfa. I bracci della X costituivano gli arti inferiori (avvolti intorno al "forte" della lama) e superiori di una figura umana maschile la cui testa si collocava nel punto solitamente occupato dal pomolo. Negli esemplari più antichi (VI secolo a.C.) la foggia antropomorfa era molto accentuata, con le "braccia" dell'uomo-impugnatura levate in posizione orante, quasi a formare un tridente.

In epoca pienamente lateniana, le impugnature delle spade celtiche andarono incontro ad un importantissimo processo evolutivo. La lama dell'arma venne dotata di una parte terminale in forma di linguetta, il codolo, intorno alla quale il manico doveva essere assemblato. Guardia, impugnatura e pomello venivano infilati in quest'ordine sul codolo, la cui punta veniva poi ribattuta contro il pomolo per chiudere il tutto. Alcuni rivettini, posizionati negli appositi buchi lasciati sul manico e sul codolo stesso, garantivano ulteriore stabilità all'insieme. Si smise cioè di assemblare l'impugnatura in metallo sull'arma tramite un processo di fusione.

Le spade lateniane del IV-III secolo a.C. presentano comunque esemplari antropomorfi ma dalla linea nettamente semplificata. Le braccia e le gambe dell'orante spariscono, lasciando solo i piedi, le mani e la testa, ridotti a pomelli, che vanno ad ornare, rispettivamente, la guardia semi-circolare ed il pomolo.

Il ricorso dei Celti alla figura dell'orante quale elemento decorativo tridimensionale si riscontra anche negli elmi, ove sostituisce il cimiero come nel caso del famoso Elmo di Filottrano.

Il fodero[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Arte celtica.
Fodero di spada celtica - III-II secolo a.C.
Fodero di spada celtica - III-II secolo a.C.

Altra peculiarità delle spade celtiche, a partire dalle daghe da stocco in uso al termine della cultura di Hallstatt, era l'opulenta decorazione del fodero.

Ai foderi "poveri" in legno subentrarono pregiati manufatti ottenuti ripiegando due lamine di metallo (bronzo o ferro) rivestite di smalto ed oro decorati con motivi fitoformi e/o lineari. Gli smalti, presenti nell'oreficeria celtica a partire dal IV secolo a.C., erano ottenuti con una particolare pasta di vetro di colore rosso, fissati tramite una fine reticella di ferro, anche unitamente al corallo mediterraneo, direttamente sugli oggetti, quasi rappresentassero una forma magica di sangue, "pietrificato del mare" e uscito dal fuoco. A partire dal III secolo a.C., con l'evoluzione della tecnica di fusione, furono sviluppate nuove tecniche come l'applicazione diretta e fusione dello smalto su foderi e (a volte) spade, senza l'utilizzo di strutture di supporto. Nuovi colori, come il giallo e il blu, furono introdotti a partire dal II-I secolo a.C. anche se il rosso rimase il colore predominante[11]. Una sfera o un disco di metallo fittamente inciso ed intagliato, chiudevano il fondo di questa lussuosa guaina metallica, la cui parte terminale era spesso volutamente allungata in modo esagerato, secondo uno stilema decorativo in uso presso altre culture tribali (es il fodero sproporzionato del jambiya yemenita). Nel pieno periodo di La Tène, il sistematico allungarsi delle lame porta alla scomparsa dei foderi dalla punta accentuata. Le spade continuano però ad essere riposte tra lamine di metallo ribattuto, decorato da un intrico di stilemi fitoformi o da figure umane ed animali sbalzate.

Proprio le decorazioni sul fodero delle spade lateniane del IV-III secolo a.C., ove ricorrono i motivi della coppia di draghi e la lira zoomorfa, testimonianti l'appartenenza degli "spadaccini" celtici a una élite sovra-tribale, concorrono a confermare le teorie che vedono nelle consorterie armate il vero motore delle profonde dinamiche sociali che permisero alla koiné celtica di occupare gran parte dell'Europa continentale nonostante il frazionamento dei suoi popoli in tribù apparentemente in perenne stato di guerra[5].

Considerazioni archeologico-siderurgiche sulle lame celtiche[modifica | modifica wikitesto]

La tradizione storica classica ci ha tramandato informazioni discordanti circa la qualità del ferro utilizzato dai Celti per forgiare le loro armi al tempo della cultura di La Tène. Le parole del greco Polibio hanno contribuito a diffondere, tra gli studiosi di ieri e di oggi, l'opinione che il "ferro dolce" delle spade galliche fosse inadeguato per i duri scontri dei campi di battaglia dell'Antichità.

(EL)

«καμπτόμεναι κατὰ μῆκος καὶ κατὰ πλάτος ἐπὶ τοσοῦτον ὥστ᾽ ἐὰν μὴ δῷ τις ἀναστροφὴν τοῖς χρωμένοις ἐρείσαντας πρὸς τὴν γῆν ἀπευθῦναι τῷ ποδί.»

(IT)

«Dopo il primo fendente, infatti, essa si piega e si deforma in lungo e in largo ed obbliga il guerriero a raddrizzarla col piede, appoggiandone l’estremità a terra.»

Stando ai dati riportati da Plutarco nella sua biografia del dittatore Marco Furio Camillo, chiamato dal senato romano a guidare l'esercito dell'Urbe contro i Galli dopo le vicende burrascose del Sacco di Roma (390 a.C.), le cose sarebbero invece andate in modo molto differente.

(EL)

«Κάμιλλος […] αὐτόθεν ὑποστὰςτὴν στρατηγίαν κατέλεγε τοὺς μαχησομένους. εἰδὼς δὲ τῆς τῶν βαρβάρων ἀλκῆς τὴν βιαιοτάτην ἐν ταῖς μαχαίραις οὖσαν, ἃς βαρβαρικῶς καὶ σὺν οὐδεμιᾷ τέχνῃ καταφέροντες ὤμους μάλιστα καὶ κεφαλὰς διέκοπτον, ἐχαλκεύσατο μὲν κράνη τοῖς πλείστοις ὁλοσίδηρα καὶ λεῖα ταῖς περιφερείαις, ὡς ἀπολισθαίνειν ἢ κατάγνυσθαι τὰς μαχαίρας, τοῖς δὲ θυρεοῖς κύκλῳ περιήρμοσε λεπίδα χαλκῆν, τοῦ ξύλου καθ᾽ αὑτὸ τὰς πληγὰς μὴ στέγοντος: αὐτοὺς δὲ τοὺς στρατιώτας ἐδίδαξε τοῖς ὑσσοῖς μακροῖς διὰ χειρὸς χρῆσθαι καὶ τοῖς ξίφεσι τῶν πολεμίων ὑποβάλλοντας ἐκδέχεσθαι τὰς καταφοράς.»

(IT)

«Camillo […] accettò il grado e fece immediata rassegna dei soldati. E sapendo che la forza maggiore dei barbari [i Celti] risiede nelle spade, con le quali fendevano spalle e teste, maneggiate con impeto barbaresco senza artifizio, fece fabbricare alla maggior parte dei suoi elmi tutti di ferro ben bruniti all'esterno perché deviassero i colpi, o provocassero la rottura delle spade, e fece orlare gli scudi con piastra di rame perché il legno, da solo, non reggeva ai colpi e insegnò ai soldati come sfruttare le lunghe lance e scagliarle sotto alle spade dei barbari quando questi menavano i loro fendenti.»

I due scenari descritti sono a dir poco antitetici. Polibio ci presenta dei barbari tecnologicamente sottosviluppati rispetto ai romani, con spade tanto mal forgiate da non essere in grado di reggere gli urti. Plutarco ci presenta invece un'orda di "titani" che menano strage con le loro spade, apparentemente indifferenti alle misure difensive dei soldati di Roma. Questa confusione all'interno delle fonti storiche riguarda però anche gli autori stessi. Plutarco, vissuto due secoli dopo Polibio, risente pesantemente delle teorie del suo compatriota ed in un passo successivo della sua opera ripete che il "ferro dolce" delle lame celtiche, scarsamente martellato, non regge gli urti, misconoscendo quanto asserito precedentemente circa il bisogno dei romani di corazzarsi pesantemente contro le armi dei Galli.

È stato, però, sempre Polibio a lodare la robustezza, efficienza e versatilità del gladius hispaniensis in dotazione alle truppe dell'amico Publio Cornelio Scipione Emiliano[12], arma di ben nota derivazione celtica rientrante nella tipologia di spada definita "La Tène B". Interessantissime poi le considerazioni di Tito Livio sulla versatilità ed efficacia del gladius hispaniensis, arma della quale tesse le lodi sia negli scontri uno-vs-uno[N 1] sia negli scontri campali, specialmente quando, descrivendo lo svolgimento della Seconda guerra macedonica, enumera i mortiferi effetti della spada celtibera sui soldati macedoni:

(LA)

«Postquam gladio Hispaniensi detruncata corpora bracchiis cum humero abscisis aut tota cervice desecta divisa a corpore capita patentiaque viscera et foeditatem aliam volnerum viderunt [...] pavidi volgo cernebant.»

(IT)

«Quando [i macedoni] videro i corpi smembrati con la spada ispanica, le braccia staccate dalle spalle, le teste mozzate dal tronco, le viscere esposte ed altre orribili ferite [...] un tremito di orrore corse tra i ranghi.»

Gaio Giulio Cesare, il condottiero romano che più di ogni altro ha legato le sue fortune politiche e storiche alla lotta contro i Celti, non riporta in alcun brano del suo De bello gallico menzione delle strane deficienze funzionali cui allude Polibio parlando delle spade celtiche. Assenza questa doppiamente significativa, se teniamo presente che stiamo parlando di un autore particolarmente preciso nelle descrizioni di tutti quei piccoli e grandi accorgimenti tecnici che hanno permesso alle legioni da lui comandate di stroncare una volta per tutte il "terrore gallico".

Altro punto importante da considerare è la fama di metallo eccellente per la fabbricazione di armi ed armature di cui godette, nei primi secoli dell'Impero romano, il ferrum noricum, cioè l'acciaio ottenuto dal minerale ferroso estratto dalle cosiddette "montagne minerarie": Hüttenberg, in Carinzia, ed Eisenerz, in Stiria. La durezza dell'acciaio norico divenne proverbiale grazie al poeta Ovidio che nelle sue Metamorfosi ricorse al paragone durior [...] ferro quod noricus excoquit ignis, it. "più duro del ferro temperato dal fuoco norico."[13] Quella del Norico fu una delle regioni in cui sbocciò la cultura di Hallstatt e dove poi si insediarono i Celti Taurisci al tempo di La Tène. Stando al materiale raccolto dallo storico Fabritius Buchwald,[14] il primo reperto in nostro possesso classificabile come esempio di acciaio proto-noricum data al IV secolo a.C. (una spada trovata a Krenovica, in Moravia). Al primo secolo a.C. data invece una spatha di grandi dimensioni (95 cm) con iscrizione latina.

Lama di spada celtica con tracce evidenti di lavorazione "a Damasco"

La ricerca archeologica compiuta sulle spade ritrovate a La Tène ha dimostrato, una volta per tutte, che gli armaioli celti producevano lame di buona fattura, elastiche ed al contempo resistenti[15] e che la loro opera ha significativamente contribuito alla diffusione, in Europa, delle armi in ferro a discapito di quelle in bronzo (v. spade dell'età del ferro)[16]. Il procedimento creativo della "lama celtica", seppur vincolato ai limiti di una tecnica empirica e non legata a precise regole matematiche trasmesse da un apparato scolastico centralizzato, rientra a pieno titolo nella tipologia dell'acciaio a pacchetto rientrante nella categoria siderurgica dell'acciaio Damasco:

«I [...] fabbri prendevano il blumo crudo estratto dalla fornace e lo martellavano dopo averlo riscaldato di nuovo a temperatura di circa 800 o 900 °C. Il ferro veniva perciò battuto e lavorato con enorme fatica ma questa operazione aveva il duplice effetto di eliminare meccanicamente la maggior parte delle impurezze e delle scorie e di ridurre la quantità di carbonio nel ferro. Ciò avveniva perché il ferro caldo, a contato con l’aria, forma delle incrostazioni di ossidi (il più comune è FeO). Il ferro riscaldato e appiattito si ricopre quindi di ossido e quando il fabbro, dopo averlo allungato, lo ripiega come una pasta sfoglia e continua a batterlo, la pellicola di ossido viene incorporata fra gli strati di metallo caldo e viene portata intimamente a contatto con il metallo stesso portando alla separazione di Fe e CO. Nei lavori di qualità, come appunto poteva essere la forgiatura di una spada, il ripiegamento veniva ripetuto per molte volte e questo è il motivo per cui le spade hanno quel delicato disegno ondulato in cui ogni linea corrisponde a un'operazione di ripiegamento e battitura. Se il lavoro veniva fatto bene si riusciva a eliminare quasi tutto il carbonio lasciando del ferro che era quasi puro eccetto qualche residuo di scoria e di silicio che comunque permettevano alle lame di essere più resistenti alla ruggine. Questo ferro battuto sulle incudini era però ancora troppo tenero per essere adoperato per armi e utensili da taglio e pertanto veniva indurito introducendovi di nuovo una certa quantità di carbonio, per lo meno sulla superficie. La lama veniva avvolta in una massa che consisteva essenzialmente in carbone ma che spesso conteneva anche un certo numero di ingredienti segreti di dubbia efficacia; la si riscaldava per un poco in questo tipo di imbottitura in modo che il carbonio potesse diffondersi sulla superficie penetrando forse per 0,5 o 1 mm. Questo carbonio superficiale induriva notevolmente il metallo ma per ottenere i risultati migliori, l'"acciaio" poteva essere temprato raffreddandolo rapidamente in qualche liquido. La rapidità di questa operazione traumatica era essenziale affinché l’austenite, una soluzione di carbonio in ferro instabile a temperatura ambiente, contenuta nell’acciaio si trasformasse in martensite, una forma di cristallo ferro-carbonio in cui gli atomi di carbonio sono compressi in maniera tale che la mobilità delle dislocazioni è impossibile e il cristallo risulta estremamente duro. La tempra veniva fatta solitamente in acqua anche se storicamente sembra si preferisse l’urina e altri liquidi di origine biologica (liquami, sangue, ecc…) che consentivano un raffreddamento più rapido. Una volta temprata la lama risultava si dura ma fragile e perciò vi era la necessità di completarla con un ulteriore processo chiamato rinvenimento. Questo prevedeva di riscaldare il metallo raffreddato a temperature comprese fra i 220 e i 450 °C e lo si lasciava raffreddare naturalmente. Così facendo si riduce un poco la durezza dell’acciaio trasformando parte della martensite in un composto più tenero e duttile.»

Premesso quanto sopra, è lecito supporre, analizzando i motivi che spinsero Polibio a scrivere ciò che scrisse in merito al "ferro gallico", che l'autore greco si sia trovato di fronte a:

  1. guerrieri armati di spade prodotte grossolanamente per equipaggiare in breve tempo l'esercito di un popolo in migrazione;
  2. un comportamento rituale per lui incomprensibile. Concorrono a surrogare questa tesi lo stupore mostrato da Polibio di fronte all'usanza di roteare la lama sopra la testa, da lui liquidata come necessaria per raddrizzare la lama, e il grossolano episodio del guerriero che deve raddrizzare la sua spada usando i piedi, in realtà una situazione che ricorre anche nella Eyrbyggja saga islandese[17] e può essere dovuta alla precisa volontà degli armaioli di fornire i guerrieri con spade che resistano agli urti, magari piegandosi, senza rompersi divenendo inutilizzabili monconi di ferro sbeccato.[18]

Tipologie[modifica | modifica wikitesto]

Gli studi condotti dagli archeologi sulle spade della Cultura di La Tène hanno portato alla classificazione in tipologie abbastanza "rigide" della spada celtica dal V al II secolo a.C. La griglia analitica che ne è emersa è senza dubbio uno strumento utile per facilitare la catalogazione e l'analisi dei reperti ma deve essere utilizzata tenendo ben presente che:

  • la classificazione vale esclusivamente per le armi ritrovate nei territori celtici continentali e non vale per la Britannia e l'Irlanda, ove l'utilizzo del bronzo per la realizzazione delle spade persistette molto più a lungo;
  • non sono stati affatto rari i casi in cui gli scavi archeologici hanno portato alla scoperta di modelli di spada desueti o antesignani, specialmente nei siti celtici in Spagna o nei Balcani. Sono stati infatti recuperati esemplari, certo rarissimi, di spade in ferro con lama di oltre 65 cm già nel V secolo a.C. nonché spade del tardo periodo lateniano che, nonostante la lunghezza della lama, presentavano ancora marcata punta ogivale come le armi del III secolo a.C.
Classificazione Lunghezza della lama Periodo Tipologia
La Tène A1 40–50 cm ca. 460 a.C. Daga da stocco
La Tène A2 60 cm ca. 400 a.C. Spada da fanteria
La Tène B 60–66 cm ca. 300 a.C. Spada da fanteria
La lama presenta spesso una marcata nervatura centrale
La Tène C 65–80 cm ca. 260 a.C. Spada da stocco e taglio, con profilo rastremato e punta ancora pronunciata
La Tène D 80–90 e + cm 125-100 a.C. Spada da cavalleria per colpi di taglio
La lama ha spesso punta arrotondata, a spatola, e può presentare profonde scanalature parallele

Spada corta[modifica | modifica wikitesto]

Come per le altre popolazioni dell'Età del Ferro, anche per i Celti il passaggio dalla lama in bronzo alla lama in ferro comportò, almeno nella fase iniziale, una riduzione nelle dimensioni complessive delle armi manesche. Le prime spade in ferro della transizione Hallstatt-La Tène (Tipo "La Tène A1") furono quindi massicce daghe a lama larga e molto appuntita, destinate a una scherma di potenti stoccate. Già al volgere del 400 a.C. (Tipo "La Tène A2"), le dimensioni delle spade in ferro equiparano quelle delle "spade lunghe" del Bronzo Recente (spada ad antenne, xiphos ecc.), ma si connaturano ancora come armi corte rispetto agli sviluppi successivi (lame di 80 e più centimetri).

Particolarmente interessanti sono proprio i modelli di spada che si sviluppano nei siti già interessati da una fiorente produzione metallurgica prima dell'insediamento celtico (es. sito archeologico di Cogotas, Spagna), ove i primi modelli di spada interamente in ferro, armi solide e non molto lunghe, richiamano molto da vicino la linea del gladius poi in uso alle truppe dell'Impero romano. Impressionante, in tale senso, la similitudine tra la spada proto-celtica ad antenne rinvenuta a "Cogotas II ", datata al 700 a.C., e la tipologia di gladio sviluppata in zona gallico-germanica sotto il principato di Ottaviano Augusto (Gladio "tipo Magonza").

La spada corta restò parte della panoplia del guerriero celta attraverso tutte le fasi di sviluppo delle armi lateniane, anche quando (I secolo a.C.) la lama celtica per antonomasia era ormai lunga quasi 90 cm. Nella saga della mitologia irlandese Táin Bó Cúailnge, descrivente eventi occorsi nel I secolo, l'eroe dell'Ulster Cú Chulainn si prepara alla lotta nella piana di Mag Muirthemne prendendo «le sue otto piccole spade e la spada dall'elsa d'avorio e la lama brillante.»

Spada lunga[modifica | modifica wikitesto]

Nell'immaginario collettivo, la figura del guerriero celta è spesso associata con l'idea di un uomo baffuto armato di una spada smisurata. Questo stereotipo mentale europeo deve certamente molto al Vae victis pronunciato da Brenno mentre sbatteva la sua spada lateniana sul piatto della bilancia ove i Romani stavano pesando l'oro con cui riscattare l'Urbe[19] ma, grazie alle scoperte archeologiche, è del pari vero che la spada lunga per antonomasia venne introdotta in Europa e nel Mediterraneo, dominato nel V secolo a.C. dalla spada greco-micenea (xiphos) dalle dimensioni contenute, dai Celti. Gli stessi romani e greci non mancarono di rilevare le ragguardevoli dimensioni delle armi brandite dagli hyperborei.

(EL)

«ὁπλισμὸς δὲ σύμμετρος τοῖς τῶν σωμάτων μεγέθεσι, μάχαιρα μακρὰ παρηρτημένη παρὰ τὸ δεξιὸν πλευρόν [...]»

(IT)

«L'armamento [dei Celti] è proporzionato alla grande taglia dei loro corpi: consiste in una lunga spada che sospendono al fianco destro [...]»

Nelle sue descrizioni delle campagne militari romane in Britannia, Tacito ci fornisce ripetutamente menzione delle spade a lama lunga in uso presso i popoli celtici di quelle contrade e presso gli auxilia al soldo dell'imperator. Parlando della Battaglia di Caer Caradoc (51), scontro risolutivo tra il principe celta Carataco ed il proconsole Publio Ostorio Scapula, l'autore latino cita espressamente le spathae di cui erano armati gli ausiliari celtico-germanici al servizio di Roma.[20] Descrivendo le campagne del suocero Gneo Giulio Agricola in Scozia, Tacito cita gli "enormis gladios" branditi dai barbari del principe Calgaco nella risolutiva battaglia del Monte Graupio (83 o 84).[21]

La spada lunga dei Celti originò dalla spada lunga dell'Età del Bronzo. A partire dal 400 a.C., le spade lateniane in ferro avevano equiparato le dimensioni e le fogge delle spade lunghe del Bronzo Recente della Cultura di Hallstatt (60 cm di lama per una lunghezza totale di circa 80 cm), garantendo ai fantaccini celtici armi versatili ed efficaci per gli scontri tra falangi appiedate. Il progressivo aumento d'importanza delle forze di cavalleria nella tattica bellica delle popolazioni celtiche gravitanti intorno all'arco alpino, spinse poi risolutamente allo sviluppo di spade dalla lama sempre più lunga onde permettere al cavaliere di vibrare un fendente sempre più potente. La lama della spada crebbe in lunghezza sino alla ragguardevole dimensione standard di 80 cm (alcuni reperti presentano una lama di oltre 90 cm[N 2]) con larghezza di 5 cm e spessore di 3–4 mm, della tipologia La Tène D. L'utilizzo di tali armi, indicate come spathae a partire dal I secolo, necessitava una forza fisica considerevole della quale, però, almeno stando alle fonti classiche, i Celti erano adeguatamente provvisti.

(LA)

«Nam plerumque omnibus Gallis prae magnitudine corporum quorum brevitas nostra contemptui est»

(IT)

«È proprio in generale dei Galli, disprezzare quella che a paragone della grandezza dei loro corpi è la nostra [dei Romani] piccola statura.»

Caratteristica peculiare di questa ultima espressione dell'estro creativo degli spadai celti è l'assenza di una punta acuminata. Le spade tipo La Tène D, la cui lunga lama terminava in una spatola, erano cioè destinate a una scherma di soli fendenti e colpi di taglio, del tutto inadatte alle stoccate[N 3]. L'unico altro esempio di spada d'uso campale[N 4] a lama diritta e priva di punta noto all'oplologia è la khanda, arma dei Rajput del subcontinente indiano.

Falcata[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Falcata (spada).

La Falcata è un interessante esempio di come le popolazioni celtiche (in questo caso, i Celtiberi) abbiano saputo assimilare e migliorare parti dell'armamentario dei popoli con i quali erano solite commerciare o scontrarsi. In territorio spagnolo, complice il massiccio contatto con coloni e mercanti sia greci che fenici, gli armaioli celti presero a forgiare armi molto simili al makhaira ed allo xiphos diffusisi capillarmente tra le forze di fanteria e di cavalleria degli Elleni. Rispetto al modello di partenza, il makhaira iberico[7] era però arma più versatile, con punta pronunciata e contro-taglio sul dorso, capace non solo di infliggere pesanti colpi di taglio ma anche pericolose stoccate.

Gladius hispaniensis[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Gladius hispaniensis.

L'archetipo della spada da fanteria gallica tipo "La Tène B" (lama di 60–66 cm, lunghezza totale 80 cm circa) servì da modello per lo sviluppo della spada d'ordinanza che accompagnò il legionario romano dalla seconda guerra punica sino al tempo della dinastia Giulio-claudia. Questo gladius hispaniensis era fornito di una punta di eccezionale efficacia, capace, inoltre, di colpire con violenza di taglio su entrambi i lati, poiché la lama era molto robusta.[12]

L'origine iberica della spada venne tramandata nel corso del Medioevo (come ben testimoniato dal lessico/enciclopedia storica bizantino Suda) e costituì la base su cui sviluppò la grande nomea d'affidabilità delle c.d. "lame toledane":

(LA)

«Celtiberi gladiorum fabrica εκcellunt: quippe eorum gladii et mucrones sunt valide, et ad caesim utraque manu feriendum apti. Quamobrem Romani jam inde ab Αnnibalicis temporibus, abjectis ensibus patriis, Ηispanici gladii usum adscivere: ac formam quidem ipsam ac fabricam imitati sunt, bοnitatem autem ferri ac reliquam curam et industriam assequi haudquaquam potuerunt.»

(IT)

«I celtiberi eccellono nella fabbrica delle spade: senza dubbio le loro spade e i loro pugnali sono molto adatti a ferire di taglio con entrambe le mani. Per il qual motivo già dai tempi di Annibale i romani, ripudiate le spade patrie, adottarono le spade ispaniche; inoltre in un certo qual modo ne imitarono la fabbricazione e la stessa forma, ma non furono in alcun modo capaci di uguagliarne né la bontà del ferro né l’accuratezza e la diligenza della manifattura.»

La spada nella cultura e nell'immaginario dei Celti[modifica | modifica wikitesto]

Spada celtica ripiegata ritualmente - Alba Iulia National Museum (Romania)

La spada occupò certamente un posto privilegiato nella cultura delle popolazioni celtiche, la cui diffusione sul suolo europeo avvenne tramite massicce migrazioni volute e coordinate da capi militari al comando di consorterie sovra-tribali di gruppi armati. Come poi avrebbero fatto i Germani, loro successori nel ruolo di feroci barbari hyperborei nemici di Roma, anche i Celti fecero della spada un simbolo politico, pregno di significati mitologico-religiosi. La menzione di spade dai poteri magici abbonda nei testi della mitologia irlandese, cioè all'interno del corpus ad oggi più completo di informazioni religioso-rituali su una delle tante stirpi dei Celti:

Del pari, le armi lateniane rinvenute nei siti archeologici celti presentano un significativo apparato decorativo sia sul fodero che sulla lama, rifacentesi a stilemi dalla simbologia chiaramente sacrale. Oltre alla coppia di draghi tipica dei foderi metallici del IV-III secolo a.C., probabilmente vero e proprio "marchio" del guerriero celta al tempo del "terrore celtico" in Europa, abbondando, sulle lame, raffigurazioni di orsi, lune piene o falcate ecc.

Prova ulteriore dell'importanza rivestita dalla spada nella cultura celtica è il ricorrente utilizzo dell'arma quale oggetto volutamente manomesso dai guerrieri all'interno di non ben precisate cerimonie. Abbondano infatti i rinvenimenti di spade ritualmente deformate e deposte nei luoghi di culto o di sepoltura. La pratica, in alcuni casi, riguardava non solo l'arma di per sé stessa, la cui lama veniva piegata o attorcigliata, ma anche il suo fodero metallico: la spada, ancora inguainata, veniva in questi casi piegata insieme al fodero.

Note[modifica | modifica wikitesto]

Esplicative[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Livio, VII.10 è una delle fonti fondamentali per la memoria del duello occorso durante la Battaglia del fiume Anio (361 a.C.) che valse a Tito Manlio il soprannome di "Torquato" (portatore del torque); scontro individuale nel quale il romano affrontò, uccise e privò del torque un gigantesco guerriero celta. Preparandosi alla lotta, Manlio scelse di cingere un gladius hispaniensis perché arma più adatta allo scontro uno-vs-uno: Hispano cingitur gladio ad propiorem habili pugnam = "si mette al fianco la spada ispanica adatta al combattimento corpo a corpo".
  2. ^ Una spada celtica ritrovata a Orton Meadows, vicino Peterborough, ed oggi conservata al British Museum di Londra, ha lama di 110 cm. - cit. in Oakeshott 1991, pp. 42-47.
  3. ^ Trattasi delle armi tanto aspramente criticate da Polibio nella sua descrizione della Battaglia di Talamone (Polibio, II.30.8) e degli scontri precedenti la Battaglia di Clastidium (Polibio, II.33.5).
  4. ^ La spada da esecuzione in uso presso le corti di giustizia europee dal Medioevo al XIX secolo era una pesante spada a due mani con punta a spatola, come le spathae La Tène D. Si trattava però, in questo caso, di armi destinate ad un uso specificatamente non bellico.

Bibliografiche[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Materiale fotografico elaborato a partire da Navarro 1972
  2. ^ a b Oakeshott 1991, p. 1.
    «The 'knightly' sword is derived directly, via the sword of the Vikings, from the long two-edged iron swords of the prehistoric Celts.»
  3. ^ Cunliffe 2005.
  4. ^ a b Kruta 2000, pp. 425-426.
  5. ^ a b Kruta 2003, pp. 250-251.
  6. ^ Vitali 1988.
  7. ^ a b Il nome "Falcata" per indicare il makhaira dei Celtiberi venne coniato nel XIX secolo dallo storico spagnolo Fernando Fulgosio.
  8. ^ Cesare, IV, 24.
  9. ^ Cascarino 2007, pp. 41 e 82.
  10. ^ Connolly, Peter (1981), Greece and Rome at War, Macdonald Phoebus Ltd., p. 236.
  11. ^ Kruta 2003, pp. 163-165.
  12. ^ a b Polibio, VI.23.7.
  13. ^ Ovidio, Metamorfosi, XIV, 712.
  14. ^ Buchwald 2005, cap. V.
  15. ^ Oakeshott 1991, p. 19.
    «Bladesmith were as capable of making a fine blade of steel in 300 BC as they were in 1500 AD.»
  16. ^ Buchwald 2005, p. 127.
  17. ^ Pálsson, Hermann (1989) [e] Edwards, Paul Geoffrey [a cura di], Eyrbyggja saga, Londra, Penguin Classics, p. 117.
  18. ^ (EN) Peirce I.G. e Oakeshott, Ewart, Swords of the Viking Age, Londra, Boydell Press, 2004, p. 145.
    «[...] a bending failure offers a better chance of survival for the sword's wielder than the breaking of the blade [...] there was a need to build a fail-safe into the construction of a sword to favor bending over breaking»
  19. ^ Livio, V, 48.
  20. ^ Tacito, Annales, XII, 35.
  21. ^ Tacito, XXXVI.
  22. ^ ed. Lexicon, graece et latine, II, Halle e Brunswick, 1705, pp. 510-511..

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Fonti[modifica | modifica wikitesto]

Studi[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) Allen, Stephen, Celtic warrior, 300 BC-AD 100, Oxford, Osprey Publishing, 2001, ISBN 1-84176-143-5.
  • Banfi, Giovanni, L'armamento dei Celti e tecniche di combattimento, Rimini, Il Cerchio, 2004.
  • (EN) Buchwald VF, Iron and steel in ancient times, Kgl. Danske Videnskabernes Selskab, 2005, ISBN 87-7304-308-7.
  • Cascarino, Giuseppe, L'esercito romano. Armamento e organizzazione : Vol. I - Dalle origini alla fine della repubblica, Rimini, Il Cerchio, 2007, ISBN 88-8474-146-7.
  • Cascarino, Giuseppe, L'esercito romano. Armamento e organizzazione : Vol. II - Da Augusto ai Severi, Rimini, Il Cerchio, 2008, ISBN 88-8474-173-4.
  • (EN) Cowen JD, The Hallstatt Sword of Bronze: on the Continent and in Britain, in Proceedings of the Prehistoric Society, n. 33, 1967.
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  • (EN) Ellis PB, The Celts: A History, Caroll & Graf, 1998, ISBN 0-7867-1211-2.
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  • (FR) Kruta, Venceslaus, Les Celtes. Histoire et dictionnaire, Parigi, Éditions Robert Laffont, 2000.
  • (FR) Lejars, Thierry, Les fourreaux d'épée laténiens. Supports et ornementations, in Vitali, Daniele (a cura di), L'immagine tra mondo celtico e mondo etrusco-latino : aspetti della cultura figurativa nell'antichità, Gedit, 2003, pp. 9–70.
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  • Moscati, Sabatino (a cura di), I Celti, Bompiani, 1997.
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  • (EN) Oakeshott, Ewart, Records of the medieval sword, The Boydell Press, 1991, ISBN 0-85115-566-9.
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  • (FR) Rapin, Andre, L'armement du guerrier celte au 2e Age du Fer, in L'Art Celtique en Gaule, Collections des musees de Province (1983-1984), 1983.
  • (FR) Sankot, Pavel, Les épées du début de la Tène en Bohême, Museum Nationale Pragae, 2003.
  • Vitali, Daniele, I Celti in Italia. in Moscati 1997, pp. 220-...
  • Vitali, Daniele, Manufatti in ferro di tipo La Tène in area italiana : le potenzialità non sfruttate, in Mélanges de l'Ecole française de Rome. Antiquité, vol. 108, 1996, pp. 575–605.
  • Vitali, Daniele, Elmi di ferro e cinturoni a catena : nuove proposte per l'archeologia dei Celti in Italia, in Jahrbuch des Romisch-Germanischen Zentralmuseums Mainz, Magonza, Romisch-Germanisches Zentralmuseum, 1988, pp. 239-284.

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