Siro Persichelli

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Siro Persichelli
NascitaMontereale, 22 maggio 1890
MorteArco, 25 luglio 1961
Cause della mortemorte naturale
Dati militari
Paese servitoBandiera dell'Italia Italia
Forza armataRegio Esercito
CorpoGranatieri
GradoGenerale di brigata
Guerreguerra italo-turca
prima guerra mondiale
guerra d'Etiopia
seconda guerra mondiale
CampagneFronte italiano (1915-1918)
campagna dell'Africa Orientale italiana
BattaglieBattaglia di Caporetto
Battaglia di Cheren
Comandante diIV Battaglione coloniale "Toselli", 2ª Brigata coloniale
[1]
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Siro Persichelli, registrato all'anagrafe con il nome di Sila, (Montereale, 22 maggio 1890Arco, 25 luglio 1961), è stato un generale italiano. Ufficiale superiore di fanteria del Regio Corpo Truppe Coloniali, proveniente praticamente dalla gavetta (ex sergente maggiore), è stato uno dei migliori tattici coloniali nel teatro di guerra dell'Africa Orientale Italiana dal 1936 al 1941.[2] Tre volte promosso per merito di guerra, sette volte ferito in azione, e pluridecorato (Una Medaglia d'oro, quattro d'argento, due di bronzo, una Croce di guerra al valor militare, e la Croce di Cavaliere dell'Ordine militare di Savoia).

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Siro Persichelli, registrato però all'anagrafe con il nome di Sila, nacque a Montereale,[3] (provincia dell'Aquila), il 22 maggio 1890 figlio di Giovanni e Anita Rampelli.[3] Arruolatosi volontario nel Regio Esercito nel 50º fanteria,[4] partecipò alla guerra italo-turca col grado di sergente maggiore.[4] Nel gennaio 1915 fu trasferito nel 50º reggimento Granatieri[4] col quale a partire dal 24 maggio 1915 prese parte alla prima guerra mondiale.

Prima guerra mondiale[modifica | modifica wikitesto]

Nel giugno 1915, a soli 25 anni, conquistò la sua prima medaglia di bronzo al valor militare,[3] allorché da sergente maggiore del 2º Reggimento "Granatieri di Sardegna"[5] sventò e respinse con un pugno di uomini un insidioso attacco[3] di un nutrito nucleo nemico nei pressi di Monfalcone.[2] Nel novembre 1917 gli fu concessa la prima medaglia d'argento al valor militare per il suo magnifico comportamento durante le tragiche giornate di Caporetto, quando, con il grado di tenente di una compagnia mitragliatrici,[3] era in forza sempre al 2º Reggimento Granatieri. Ricevette poi una seconda medaglia d'argento[3] per il fatto d'arme del 9 dicembre 1917 a Caposile, in cui, al comando della medesima compagnia mitragliatrici, dimostrò un'audacia e uno sprezzo del pericolo incredibili.[2] Promosso capitano del 2º Granatieri, si distinse nella dura e vittoriosa battaglia del Piave[2] del 2-6 luglio 1918. Benché gravemente ferito continuò a restare sul posto, soccorrendo con i suoi uomini alcuni reparti in gravi difficoltà, ottenendo una seconda medaglia di bronzo al valor militare.[2]

L'Africa orientale[modifica | modifica wikitesto]

Allo scoppio della guerra d'Etiopia (1935) aveva 45 anni, ma chiese ed ottenne il comando di un battaglione indigeno e fu assegnato al VI Battaglione coloniale denominato "Agah".[2] Nel febbraio 1936 prese parte alla conquista dell'Amba Aradam meritandosi la Croce di guerra al valor militare.[3] Nel susseguente mese di aprile, sempre con gli àscari del VI, sbaragliò le colonne dei guerrieri abissini in ripiegamento sulle rive del lago Ascianghi, conquistandosi una promozione straordinaria per merito di guerra da primo capitano al grado di maggiore.[6] Dopo la battaglia di Lechemti-Gore,[3] nel dicembre 1936, gli fu conferita la terza medaglia d'argento al valor militare, e nel 1938 venne insignito della Croce di Cavaliere dell'Ordine militare di Savoia[3] per le sue brillanti operazioni di contrasto ai ribelli nella zona di Marabetiè, pur avendo forze ai suoi ordine nettamente inferiori a quelle del nemico. Non solo abile soldato, fu anche instancabile tessitore di rapporti con i capi indigeni con cui strinse patti e alleanze, riuscendo così, nel volgere di pochi mesi, a ristabilire l'ordine e la pace in tutto il vasto territorio da Marabetiè a Caia Zaret, da Giorù a Mored.[3] Per questi successi nel luglio 1939 ottenne la promozione al grado di tenente colonnello per merito di guerra.[3]

Seconda guerra mondiale[modifica | modifica wikitesto]

La stele a Sila Persichelli a Montereale (L'Aquila)
La stele a Sila Persichelli a Montereale (L'Aquila)

Allo scoppio della seconda guerra mondiale si trovava ancora di guarnigione in Africa orientale, al comando del Gruppo Bande dell'Altipiano, forte di 5.000 ascari, attestato nella zona di Buriè nel Goggiam. Ricevuto l'ordine di repremire le azioni di guerriglia delle bande di ribelli arbegnuoc, non deluse le aspettative dei superiori, ottenendo alcuni successi contro i rivoltosi e riportando così la calma nelle zone di Bulga, Noari, Giorù, Mofer, Marabetiè e Sostamba. Persichelli ottenne così un nuovo avanzamento per meriti di guerra a gradi di colonnello.[7] Duramente provato nel fisico dalle molte ferite di guerra, dai continui strapazzi per il tipo di combattimento (guerriglia e controguerriglia) degli ultimi anni e dai climi malsani in cui da tempo era stato costretto ad operare, fu ricoverato nel convalescenziario di Gorgorà sul lago Tana. Fattosi mandare in convalescenza nelle vicinanze del fronte, a Cheren, e benché non rimessosi del tutto, mosse mari e monti per ottenere un incarico operativo.[7] La sua richiesta fu accontentata dal generale Orlando Lorenzini, che cadde poi da prode da lì a qualche settimana a Cheren guadagnandosi la medaglia d'oro, e gli fu assegnato il comando del glorioso IV battaglione ascari "Toselli", appartenente alla 2ª Brigata coloniale.[3]

A Cheren lui e i suoi ascari del IV si coprirono letteralmente di gloria; l'intrepido colonnello, ancora una volta ferito,[3] fu sempre in prima linea, anche se dovette essere sorretto a braccia dai suoi soldati.[8] Per il suo valore e per aver fatto molto di più di quello che viene normalmente chiesto ad un ufficiale combattente, venne decorato della massima onorificenza militare, la Medaglia d'oro al valor militare.[8] Un'altra medaglia d'oro (la seconda) fu concessa anche al IV battaglione coloniale Toselli.[8] Ricoverato per le sue condizioni prima nell'ospedale civile di Asmara e poi in residenza coatta a Cheren, favorì in ogni modo la lotta clandestina antinglese, fino a diventarne il capo carismatico. A lui si dovettero la costituzione dei quattro depositi di viveri e di armi, vitali per la continuazione della guerriglia, nella zona di Adi Ugri, in quella di Dessiè, nel territorio delle tribù degli Azebo Galla, da sempre filo-italiane, e lungo la strada di Agordat. Sempre a lui si dovette la ribellione dei capi indigeni del Tigrai contro il negus e i suoi protettori britannici. Per i suoi contatti con l'Italia fece poi segretamente installare una stazione radio nella zona dell'Agarè.[9] Fu internato dagli inglesi prima nel campo di concentramento di Cassala, poi in vari campi del deserto egiziano.

Dopoguerra[modifica | modifica wikitesto]

Tornato in patria,[10] si dedicò alla compilazione delle sue memorie di guerra nel teatro africano; vennero pubblicate nel 1955 a Milano dall'editore Gastaldi col titolo "Eroismo eritreo nella storia d'Italia". Morì all'età di 71 anni ad Arco, in provincia di Trento, il 25 luglio 1961.[3]

Per onorarne la mamoria la città dell'Aquila gli ha intitolato una via, mentre la città di Roma gli ha intitolato un plesso scolastico.

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Cavaliere dell'Ordine militare di Savoia - nastrino per uniforme ordinaria
Medaglia d'oro al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Ufficiale superiore di altissime virtù militari, dette nell'eroica e lunga difesa di Cheren le più illuminate prove di singolare capacità di comando, della sua intrepidezza, del suo alto valore personale, del suo elevatissimo sentimento del dovere. In aspri combattimenti su posizioni fortemente contestate dall'avversario fu l'anima delle azioni eroiche della sua unità, e riuscì, dopo molte ore di tenaci e persistenti corpo a corpo, a vincere la resistenza di forze nemiche decisamente superiori di mezzi e di numero e a ricacciarle dalle posizioni raggiunte. Minorato fisicamente per gravi ferite riportate in successive cruenti azioni e in condizioni ambientali difficilissime, non volle mai cedere il suo comando, e sorretto a braccia dai suoi dipendenti, si tenne sempre, negli attacchi e violenti contrattacchi alla testa della sua unità, entusiasmando con il suo indomito valore e con l'esempio di saldo spirito e abnegazione tutti i suoi dipendenti sì da moltiplicarne le virtù guerriere cavallerescamente riconosciute ed esaltate dallo stesso avversario.»
— Cheren (Eritrea), febbraio-marzo 1941[12]
Medaglia d'Argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Comandante di una compagnia mitragliatrici, cooperò validamente alla protezione del proprio battaglione di retroguardia durante il ripiegamento e mercé il suo ascendente poté ottenere che nessun'arma della compagnia andasse perduta e raccolse anche materiale abbandonato da altri, portando tutto a salvamento.»
— Romans-Piave, 27 ottobre – 9 novembre 1917
Medaglia d'Argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Comandante di una compagnia mitragliatrici riusciva con slancio, decisione e ardimento ammirevoli e dopo lotta accanita a riconquistare insieme ad un piccolo reparto di altro reggimento un importante sbocco al di là di un corso d'acqua, catturando avversari e facendo abbondante bottino. Esempio magnifico ai suoi dipendenti di audace coraggio e sprezzo del pericolo.»
— Capo Sile, 9 dicembre 1917.
Medaglia d'Argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Comandante di battaglione indigeni valoroso e capace, durante lungo ciclo operativo faceva sempre rifulgere le sue elette doti di soldato e di capo. Col suo prestigio e con la virtù dell'esempio dava ai reparti dipendenti coesione, slancio ed aggressività. Partecipava all'occupazione di Gore e di altri paesi dell'Etiopia occidentale travolgendo le notevoli resistenze opposte dal nemico che veniva posto in fuga ed inseguito. Esempio di virtù militari.»
— Lechemti-Gore, 10 ottobre – 31 dicembre 1936.
— Regio Decreto 27 luglio 1938[13]
Medaglia di Bronzo al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Dava prova di grande fermezza e sangue freddo nel respingere un improvviso e vicinissimo attacco del nemico. Già distintosi in precedenti ardite ricognizioni.»
— Monfalcone, 30 giugno 1915.
Medaglia di Bronzo al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Sprezzante del pericolo, durante il combattimento tenne sempre valoroso contegno. Chiamato a sostegno di reparti impegnati, assolse il proprio compito con perizia e coraggio. Anche in successive azioni si comportò sempre lodevolmente, e leggermente ferito non abbandonò il proprio reparto.»
— Piave Nuovo, 2-6 luglio 1918
Croce di guerra al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Ufficiale di collegamento al comando di una grande unità impegnata in una azione offensiva, durante un tentativo di aggiramento da parte del nemico, volontariamente si offriva di recarsi con elementi esploranti, in ricognizione sulla sinistra dello schieramento e oltre gli elementi avanzanti, riuscendo in tal modo a fornire utili notizie al comando della grande unità.»
— Belesat (Amba Aradam), 15 febbraio 1936
Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria
Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria
— Regio Decreto 21 aprile 1940[14]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Ferrara 2012, pp. 89-100.
  2. ^ a b c d e f Ferrara 2012, p. 89.
  3. ^ a b c d e f g h i j k l m n De Pace 2011, p. 4.
  4. ^ a b c Sila Persichelli in Associazione Nazionale Combattenti FF. AA.
  5. ^ Per tutta la vita fu motivo di orgoglio personale la militanza in questo reggimento.
  6. ^ Ferrara 2012, p. 91.
  7. ^ a b Ferrara 2012, p. 93.
  8. ^ a b c Ferrara 2012, p. 99.
  9. ^ Ferrara 2012, p. 100.
  10. ^ Nel 1949 venne promosso al grado di colonnello per meriti di guerra con la seguente motivazione: Veterano delle armi di Italia, sintesi di ogni virtù militare, ha offerto alla Patria 36 anni di ininterrotto servizio senza alcun mancamento tecnico e morale. Assunto il comando bande dell'altopiano rinforzato da altro reparto, frontaggiava e disperdeva nell'alto Scioà, dopo accanita lotta, il ribellismo organizzato, costringendo numerosi predoni alla sottomissione. Rimasto solo a presidio di una vasta piaga, essendo state altre unità chiamate altrove per ulteriori operazioni belliche, assolveva il difficile compito, riuscendo ad avere sempre ragione dell'avversario che veniva disorientato nel suo stesso terreno e sconfitto con rapida e decisa manovra. Più tardi, rinforzati i suoi effettivi, debellava definitivamente nuove formazioni ribelli annidatesi in zona impervia a cavallo di due importanti fiumi, obbligando i resti di essi alla sottomissione. Successivamente batteva in aspri combattimenti nuovi gruppi avversari che minacciavano le comunicazioni stradali con Addis Abeba, infliggendo loro gravi perdite in uomini e materiali e ristabilendo la tranquillità della zona. Comandante amato ed esaltato dai suoi ascari, dava sempre prova di indomito, personale coraggio e di encomiabile ed intelligente maestria in un comando superiore al suo grado. Bulga – Noari – Giurrù – Mofer – Marabetiè – Sostamba, aprile-settembre 1940. Bollettino Ufficiale 31 marzo 1949, dispensa 6ª.
  11. ^ Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.
  12. ^ Dettaglio sul sito Quirinale.it
  13. ^ Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n.89 del 13 aprile 1939.
  14. ^ Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n.277 del 27 novembre 1940.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Paolo Caccia Dominioni, Ascari K7 (1936-1937), Milano, Ugo Mursia Editore, 1995.
  • Pierluigi Capaldi, Dizionario Bibliografico. Gente d'Abruzzo. Vol. VIII, Teramo, Andromeda Editore, 2007.
  • Leonida Fazi, Una leggenda africana vera: Bastiani il Diavolo Bianco, Roma, Ed. Piazza Navona, 1998.
  • Orazio Ferrara, Italiani nelle guerre d'Africa. Vita e gesta di un ufficiale coloniale, Roma, IBN Editore, 1955, ISBN 978-88-7565-143-5.
  • Gianni Oliva, Soldati e ufficiali. L'esercito italiano dal Risorgimento a oggi, Milano, Oscar Mondadori, 2012, ISBN 88-520-3128-6.
  • Siro Persichelli, Eroismo eritreo nella storia d'Italia, Milano, Gastaldi, 1955.

Periodici[modifica | modifica wikitesto]

  • Angela De Pace, Eroi alla Balduina, in Pianoterra alla Balduina, n. 13, Roma, Tipografia Valerio Scambelluri, ottobre 2011, p. 4.

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]