Sauropelta edwardsorum

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Sauropelta
Fossile della corazza e coda dell'esemplare AMNH 3036, al American Museum of Natural History
Stato di conservazione
Fossile
Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Animalia
Phylum Chordata
Subphylum Vertebrata
Classe Sauropsida
Superordine Dinosauria
Ordine † Ornithischia
Sottordine † Ankylosauria
Famiglia † Nodosauridae
Genere Sauropelta
Ostrom, 1970
Nomenclatura binomiale
† Sauropelta edwardsorum
Ostrom, 1970

Sauropelta (il cui nome significa "lucertola scudo") è un genere estinto di dinosauro ankylosauride nodosauride vissuto nel Cretaceo inferiore circa 108,5 milioni di anni fa, in Nord America. L'unica specie ascritta a questo genere è S. edwardsorum, anche se alcuni paleontologi sostengono possano essercene altre. Dal punto di vista anatomico, il Sauropelta è uno dei nodosauridi meglio conosciuti, grazie anche a una discreta quantità di fossili provenienti da Wyoming, Montana e, forse, anche Utah.

Si tratta di un dinosauro di medie dimensioni, lungo circa 5 metri (16,5 piedi), di cui più o meno la metà rappresentati dalla coda. Sebbene fosse più piccolo di un odierno rinoceronte nero, ne possedeva la stessa massa, con un peso di circa 1.500 kg (3.300 lb). Il peso era dovuto perlopiù alla sua spessa armatura ossea, ornata di complessi corni cheratinosi che spuntavano dal collo dell'animale e due più massicci dalle spalle.

Etimologia[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1970, Ostrom coniò il nome del genere Sauropelta in cui includere i vari campioni raccolti. Il nome del genere deriva dal greco antico e si compone della parola σαυρος/sauros ('lucertola') e πελτε/pelte ('scudo'), in riferimento alla spessa armatura ossea dell'animale.[1] Anche se Ostrom aveva originariamente chiamato la specie S. edwardsi, il nomenclaturista George Olshevsky corresse l'ortografia in S. edwardsorum, nel 1991, per rispettare la grammatica del latino.[2]

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Dimensioni di S. edwardsorum in confronto ad un uomo. Ogni segmento della griglia rappresenta un metro quadro.

Il Sauropelta era un dinosauro erbivoro dal corpo corpulento e quadrupede, lungo circa 5 metri (16,5 piedi), di cui più o meno la metà rappresentata dalla coda.[3] Il cranio, di forma vagamente triangolare se visto dall'alto, era lungo circa 35 cm (13,75 in) e aveva la base più larga restringendosi verso la punta, che terminava in un piccolo becco corneo.[4] A differenza degli altri nodosauridi, il tetto del cranio era tipicamente piatto e non a cupola, ma molto spesso e ricoperto di placche ossee così ben fuse tra loro da far sembrare il tutto un unico pezzo, come visto in altri dinosauri del tipo Panoplosaurus, Pawpawsaurus, Silvisaurus e molti altri ankylosauridi.[4] I denti avevano la tipica forma a foglia, con una cresta ossea tagliente alla fine di entrambe le mascelle, superiore ed inferiore, come visto in altri Anchilosauri. Questa cresta probabilmente sosteneva un becco cheratinoso.[5]

La coda del Sauropelta era simile a quella della maggior parte dei nodosauridi, lunga quasi la metà della lunghezza del corpo e composta tra le quaranta e le cinquanta vertebre caudali. Alcuni tendini ossificati irrigidivano la coda in tutta la sua lunghezza. Il corpo dell'animale era largo e basso, con bacino e torace ampi. Gli arti anteriori erano più corti di quelli posteriori, il che gli dava un aspetto arcuato, in cui il punto più alto era sui fianchi. I piedi, gli arti, le spalle e il bacino erano particolarmente robusti, in grado di sostenere il peso dell'animale.[3]

Come gli altri nodosauridi, il Sauropelta era ricoperto da un'armatura biologica, costituita da scudi e tubercoli ossei immersi in una sorta di pelle indurita che andava a formare una vera e propria corazza dermica. La scoperta di un esemplare il cui scheletro era ancora ricoperto da tale armatura, ha permesso agli scienziati (tra cui Carpenter) di descrivere e studiare accuratamente tale struttura. L' "armatura" partiva dal collo, dove si divideva in due file parallele di osteodermi lungo l'asse anteroposteriore. Sulla superficie superiore della schiena e della coda, la pelle era coperta da piccoli noduli ossei che separavano tra loro i grandi studi dermici conici, disposti in fila paralleli lungo l'asse medio-laterale.

Ai fianchi, gli osteodermi e le piastre cornee erano strettamente connesse tra loro formando una superficie unita e compatta, struttura chiamata scudo sacrale.[3] Tale struttura è stata ritrovata anche in altri nodosauridi come il Polacanthus e l'Antarctopelta.[5][6] Le lunghe spine o corni ossei che spuntavano dal collo, formavano due file parallele, che aumentavano di dimensioni man mano che sia avvicinavano alle spalle, per poi decrescere sempre più fino ad interrompersi completamente ai fianchi. Dietro i fianchi, si trovavano piastre triangolari allineate sulla coda su entrambi i lati, che puntavano lateralmente verso l'esterno, decrescendo in dimensioni fino alla fine della coda. Originariamente, Carpenter pensava che le numerose spine del collo dell'animale facessero parte di una singola fila. In seguito ad una rivalutazione dello stesso Carpenter e di Jim Kirkland, si è scoperto che l'animale possedeva una doppia fila di spunzoni paralleli ai lati del collo. La fila superiore di spine, puntava verso l'alto con un'inclinazione verso posteriore, mentre la fila inferiore aveva spunzoni più piccoli che puntavano all'esterno. Le basi di ciascuna coppia di spine cervicale e ciascuna coppia delle piastre caudali erano fuse insieme, limitando notevolmente la mobilità sia del collo sia della base della coda dell'animale.[4]

Classificazione[modifica | modifica wikitesto]

Il Sauropelta fu descritto per la prima volta nel 1970 da parte di John Ostrom, che lo classificò come appartenente alla famiglia dei Nodosauridae.[1] I nodosauridi, insieme alla famiglia degli ankylosauridae, fa parte dell'infraordine di Ankylosauria. A differenza dei loro cugini più famosi i nodosauridi sono caratterizzati da un cranio più allungato e stretto che presenta una curvatura verso il basso e mancano di mazza caudale.[7] Tuttavia entrambe le famiglie condividevano gli stessi territori, vivendo in Nord America, in Asia e in Europa.

Nonostante la sistematica che classifica i nodosauridi non sia ancora del tutto definita, i generi Sauropelta, Silvisaurus e Pawpawsaurus sono spesso considerati come generi basali della famiglia, geologicamente più primitivi di animali come il Panoplosaurus, l' Edmontonia e l' Animantarx.[5][8] In un'analisi del 2001, Carpenter incluse i primi tre animali qui sopra citati in un unico clade correlato al resto dei nodosauridi, nonostante nutrisse dei dubbi sulla classificazione del Panoplosaurus.[9]

Di seguito è riportato un cladogramma, della famiglia dei Nodosaridi, pubblicato nel 2011, da Richard S. Thompson, Jolyon C. Parish, Susannah C. R. Maidment e Paul M. Barrett.[10]


Nodosauridae

Antarctopelta

Mymoorapelta

Hylaeosaurus

Anoplosaurus

Tatankacephalus

Polacanthus rudgwickensis

Polacanthinae

Gargoyleosaurus

Hoplitosaurus

Gastonia

Peloroplites

Polacanthus

Struthiosaurus

Zhejiangosaurus

Hungarosaurus

Animantarx

Niobrarasaurus

Nodosaurus

Pawpawsaurus

Sauropelta

Silvisaurus

Stegopelta

Texasetes

Edmontonia

Panoplosaurus

Storia della scoperta[modifica | modifica wikitesto]

Corazza di Sauropelta, dell'esemplare AMNH.

Nei primi anni del 1930, il famoso cacciatore di fossili e paleontologo Barnum Brown raccolse l'esemplare olotipico di Sauropelta (AMNH 3032, composto da uno scheletro parziale), in quella che oggi è la Formazione Cloverly, nella Contea di Big Horn, Montana. In seguito Brown scoprì altri due esemplari (AMNH 3035 e AMNH 3036). Quest'ultimo è uno degli scheletri di nodosauride meglio conservati noti alla scienza, comprendendo gran parte dell'armatura dell'animale, ed è oggi in mostra all'American Museum of Natural History, di New York. L'esemplare AMNH 3035, invece, conserva parte dell'armatura cervicale e parte del teschio, a cui manca solo la punta. Una nuova spedizione nel 1960, guidata dal paleontologo John Ostrom dell'Università di Yale, recuperò alcuni altri campioni provenienti sempre dalla Formazione Cloverly.

Nonostante il nome Sauropelta fosse stato già coniato due anni prima, ci fu una notevole confusione di natura tassonomica, quando nel 1972, su una rivista scientifica apparve il nome "Peltosaurus", in una didascalia sotto la foto dell'semplare AMNH 3036.[11] Anche se Brown non pubblicò mai il nome o la descrizione dei resti dell'animale, oggi noti come Sauropelta edwardsorum, il nome "Peltosaurus" fu usato impropriamente per descrivere i vari resti fossili durante le esposizioni museali. Tuttavia, il nome Peltosaurus era già stato utilizzato per indicare un estinto genere di lucertola, vissuta in Nord America e facente parte della famiglia degli anguidae. Fortunatamente oggi questo nome non è più in uso per indicare il dinosauro.[12]

Nel 1999, Carpenter e colleghi descrissero del materiale fossile di un grande nodosauride, proveniente dallo Utah, e scoperto in un membro della Formazione Cedar Mountain, chiamato Poison Strip Sandstone, contemporaneo alla Formazione Cloverly. Tali resti furono quasi subito attribuiti al genere Sauropelta, come possibile nuova specie, tuttavia tale parentela non venne mai confermata.[13] Infatti nelle pubblicazioni più recenti, Carpenter si riferisce sempre all'animale, come un nodosauride generico.[14]

Primo piano dell'armatura del Sauropelta. Da notare i numerosi osteodermi e noduli ossei incastonati tra loro come le maglie di un'armatura medievale.

Un'altra scoperta recente, ma non descritta, include il ritrovamento di un cranio completo, sempre proveniente dalla Formazione Cloverly, del Montana[15] e un enorme scheletro frammentario, proveniente dalla Formazione Cedar Mountain, dello Utah.[16] Queste scoperte furono pubblicate solo nell'abstract per l'annuale conferenza della Società di Paleontologia dei Vertebrati, dove ancora oggi si discute se i campioni rappresentino davvero del nuovo materiale da ascrivere al genere Sauropelta.

Scoperta delle impronte[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1932, Charles Mortram Sternberg segnalò la presenza di alcune orme fossili di un grande dinosauro quadrupede, in alcune rocce risalenti al Cretaceo inferiore, in quella che è la Columbia Britannica, Canada. Sternberg descrisse così un nuovo ichnogenere (un genere descritto sulla base di impronte), che denominò Tetrapodosaurus borealis, descrivendolo come un ceratopside. Tuttavia, nel 1984 il paleontologo Kenneth Carpenter riesaminò il fossile, affermando che si trattasse di impronte di anchilosauride piuttosto che ceratopside, specificando inoltre che si trattasse di impronte di Sauropelta. Cinque anni dopo, furono ritrovate numerose impronte di Tetrapodosaurus, presso Smoky River Coal Mine, in Alberta. Questo sito è considerato il giacimento di impronte di ankylosauride più importante al mondo.[17]

Paleoecologia[modifica | modifica wikitesto]

L'habitat del Sauropelta comprendeva, vaste foreste di conifere e grandi laghi, in un ambiente molto simile a quello della moderna Louisiana.[18]

Il Sauropelta è forse il più antico genere noto di nodosauride. Infatti, tutti gli esemplari noti di S. edwardsorum sono stati recuperati nella sezione centrale della Formazione Cloverly, sia in Wyoming sia in Montana, risalenti alla fine dell'Aptiano e all'inizio dell'Albiano, durante il Cretaceo inferiore, ovvero circa 115-110 milioni di anni fa.[4][19] L'habitat del Sauropelta comprendeva vaste pianure alluvionali in cui scorrevano fiumi che drenavano in mare, dal profondo entroterra a nord e ad est, portando i sedimenti erosi dalle basse montagne a ovest. Le periodiche inondazioni di questi fiumi copriva le pianure circostanti, formando nuovi sedimenti fangosi, creando così la Formazione Cloverly e seppellendo per lungo tempo i resti degli animali della regione. Con l'avanzare del tempo, la Formazione Cloverly, sarebbe stata sommersa dal mare poco profondo, che espandendosi avrebbe coperto l'intera regione dividendo a metà il Nord America e formando il Mare interno occidentale.[20] I numerosi fossili di alberi di conifere, suggeriscono che queste pianure fossero coperte da fitte foreste.[1] L'erba non si sarebbe evoluta fino al Cretaceo superiore, quindi il Sauropelta e gli altri erbivori della zona, si nutrivano quasi esclusivamente di arbusti e cespugli bassi, dalle conifere alle cicadee[21]. I Nodosauridi, come il Sauropelta avevano musi stretti e allungati, un adattamento visto anche negli animali di oggi per sfogliare i bassi cespugli, al contrario degli animali che brucano l'erba che posseggono una bocca ampia.[7]

Nel suo ambiente, il Sauropelta era uno degli erbivori più importanti dell'ecosistema, insieme all'altrettanto comune ornitopode Tenontosaurus. La rimanente fauna erbivora era rappresentata dal piccolo ornitopode Zephyrosaurus, alcuni rari sauropodi titanosauri come il Sauroposeidon, e un genere sconosciuto di ornithomimosauro. Tra i predatori della zona figurava il dromaeosauride Deinonychus, che nonostante le sue ridotte dimensioni era uno dei predatori più pericolosi e comuni della zona, essendo in grado di cacciare praticamente qualsiasi animale della zona.[1][20] Nella regione viveva anche il piccolo e primitivo oviraptorosauro Microvenator, probabilmente un cacciatore di piccole prede,[1][20] mentre il superpredatore dominante della regione era il grande allosauroide Acrocanthosaurus, che grazie alla sua mole e alla sua ferocia era in grado di fronteggiare qualunque animale, cacciando soprattutto sauropodi giganti.[22] La fauna del luogo comprendeva anche dipnoi, mammiferi triconodonti e diverse specie di tartarughe, mentre nelle acque palustri si aggiravano alcune specie di coccodrilli, indicando che il clima della regione era caldo tutto l'anno.[1][20] La Formazione Cloverly fu l'ultimo santuario per le specie autottone del luogo, evolutesi dal Giurassico come gli allosauroidi, gli stegosauridi e alcune varietà di enormi sauropodi. In seguito, nei primi del Cretaceo inferiore, alla fauna preesistente si aggiunsero i primi dromeosauri, alcuni ornitopodi e i nodosauridi come il Sauropelta, che in seguito diventeranno la fauna dominante della regione. Verso la fine del periodo Cretaceo, molti animali come gli allosauroidi e i sauropodi più primitivi si estingueranno dall'emisfero boreale , lasciando il posto ad animali emigrati dall'Asia, tra cui i tirannosauridi, i ceratopsidi e gli ankylosauridi, che soppianteranno la fauna originale, prendendone il posto e formando una fauna mista per tutto il Cretaceo.[4]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f John H. Ostrom, Stratigraphy and paleontology of the Cloverly Formation (Lower Cretaceous) of the Bighorn Basin area, Wyoming and Montana, in Bulletin of the Peabody Museum of Natural History, vol. 35, 1970, pp. 1–234.
  2. ^ Olshevsky, George., A Revision of the Parainfraclass Archosauria Cope, 1869, Excluding the Advanced Crocodylia., Mesozoic Meanderings No. 2, San Diego, Publications Requiring Research, 1991, p. 196pp.
  3. ^ a b c Kenneth. Carpenter, Skeletal reconstruction and life restoration of Sauropelta (Ankylosauria: Nodosauridae) from the Cretaceous of North America, in Canadian Journal of Earth Sciences, vol. 21, n. 12, 1984, pp. 1491–1498, DOI:10.1139/e84-154.
  4. ^ a b c d e Kenneth Carpenter e Kirkland, James I., Review of Lower and Middle Cretaceous Ankylosaurs from North America, in Lucas, Spencer G.; Kirkland, James I; & Estep, J.W. (eds.). (a cura di), Lower and Middle Cretaceous Ecosystems, New Mexico Museum of Natural History and Science Bulletin 14, 1998, pp. 249–270.
  5. ^ a b c Matthew K. Vickaryous, Maryanska, Teresa e Weishampel, David B., Ankylosauria, in Weishampel, David B.; Dodson, Peter; & Osmólska, Halszka (eds.). (a cura di), The Dinosauria, Second, Berkeley, University of California Press, 2004, pp. 363–392.
  6. ^ Leonardo Salgado e Gasparini, Zulma., Reappraisal of an ankylosaurian dinosaur from the Upper Cretaceous of James Ross Island (Antarctica)., in Geodiversitas, vol. 28, n. 1, 2006, pp. 119–135.
  7. ^ a b Kenneth. Carpenter, Ankylosauria, in Currie, Philip J.; & Padian, Kevin (eds.). (a cura di), The Encyclopedia of Dinosaurs, Berkeley, University of California Press, 1997, pp. 16–17.
  8. ^ Robert V. Hill, Witmer, Lawrence M. e Norell, Mark A., A new specimen of Pinacosaurus grangeri (Dinosauria: Ornithischia) from the Late Cretaceous of Mongolia: Ontogeny and Phylogeny of Ankylosaurs., in American Museum Novitates, vol. 3395, 2003, pp. 1–29, DOI:10.1206/0003-0082(2003)395<0001:ANSOPG>2.0.CO;2.
  9. ^ Kenneth. Carpenter, Phylogenetic analysis of the Ankylosauria, in Carpenter, Kenneth (ed.). (a cura di), The Armored Dinosaurs, Bloomington, Indiana University Press, 2001, pp. 455–483.
  10. ^ Carpenter K, Phylogenetic analysis of the Ankylosauria, in Carpenter, Kenneth(ed) (a cura di), The Armored Dinosaurs, Indiana University Press, 2001, pp. 455–484, ISBN 0-253-33964-2.
  11. ^ Donald F. Glut, The Dinosaur Dictionary, Secaucus, Citadel Press, 1972, p. 217pp.
  12. ^ Daniel J. Chure e McIntosh, John S., A Bibliography of the Dinosauria (Exclusive of the Aves), 1677-1986, Paleontology Series 1, Grand Junction, Museum of Western Colorado, 1989, p. 226pp.
  13. ^ Kenneth Carpenter, Kirkland, James I.; Burge, Donald; & Bird, John., Ankylosaurs (Dinosauria: Ornithischia) of the Cedar Mountain Formation, Utah, and their stratigraphic distribution, in Gillette, David (ed.). (a cura di), Vertebrate Paleontology of Utah., Utah Geological Survey Miscellaneous Publication 99-1, 1999, pp. 244–251.
  14. ^ Kenneth. Carpenter, Assessing dinosaur faunal turnover in the Cedar Mountain Formation (Lower Cretaceous) of Eastern Utah, USA, in Barrett, Paul M.; & Evans, S.E (eds.). (a cura di), Ninth International Symposium on Mesozoic Terrestrial Ecosystems and Biota, London, Natural History Museum, 2006, pp. 21–25.
  15. ^ William L. Parsons e Parsons, Kristen M., Description of a new skull of Sauropelta cf. S. edwardsi Ostrom, 1970 (Ornithischia: Ankylosauria), in Journal of Vertebrate Paleontology, vol. 21, Supplement to 3 - Abstracts of Papers, 61st Annual Meeting of the Society of Vertebrate Paleontology, 2001, pp. 87A, DOI:10.1080/02724634.2001.10010852.
  16. ^ David Warren e Carpenter, Kenneth., A large nodosaurid ankylosaur from the Cedar Mountain Formation of Utah, in Journal of Vertebrate Paleontology, vol. 24, Supplement to 3 - Abstracts of Papers, 64th Annual Meeting of the Society of Vertebrate Paleontology, 2004, pp. 126A, DOI:10.1080/02724634.2004.10010643.
  17. ^ McCrea, Richard T. 2000. Vertebrate palaeoichnology of the lower cretaceous (lower Albian) gates formation of Alberta.
  18. ^ C. A. Forster, The paleoecology of the ornithopod dinosaur Tenontosaurus tilletti from the Cloverly Formation, Big Horn Basin of Wyoming and Montana, in The Mosasaur, vol. 2, 1984, pp. 151–163.
  19. ^ James I. Kirkland, Lower to Middle Cretaceous Dinosaur faunas of the central Colorado Plateau: a key to understanding 35 million years of tectonics, sedimentology, evolution, and biogeography, in Brigham Young University Geology Studies, vol. 42, II, 1997, pp. 69–103.
  20. ^ a b c d W. Desmond. Maxwell, Cloverly Formation, in Currie, Philip J.; & Padian, Kevin (eds.). (a cura di), The Encyclopedia of Dinosaurs, San Diego, Academic Press, 1997, pp. 128–129.
  21. ^ Vandana Prasad, Strömberg, Caroline A.E., Alimohammadian, Habib e Sahni, Ashok., Dinosaur coprolites and the early evolution of grasses and grazers, in Science, vol. 310, n. 5751, 2005, pp. 1177–1180, DOI:10.1126/science.1118806, PMID 16293759.
  22. ^ Michael D. D'Emic, Melstrom, Keegan M. e Eddy, Drew R., Paleobiology and geographic range of the large-bodied Cretaceous theropod dinosaur Acrocanthosaurus atokensis, in Palaeogeography, Palaeoclimatology, Palaeoecology, 333–334, 2012, pp. 13–23, DOI:10.1016/j.palaeo.2012.03.003.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) Ostrom, J. H. 1970. Stratigraphy and paleontology of the Cloverly Formation (Lower Cretaceous) of the Bighorn Basin area, Wyoming and Montana. Peabody Museum Bulletin 35:1-234
  • (EN) Vickaryous, Maryanska, and Weishampel 2004. Chapter Seventeen: Ankylosauria. in The Dinosauria (2nd edition), Weishampel, D. B., Dodson, P., and Osmólska, H., editors. University of California Press.
  • (EN) Scheda tassonomica su PaleoDB, su paleodb.org.

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