Roma (nave da battaglia 1940)
Roma | |
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La nave da battaglia Roma, con la livrea mimetica modello 1942 e l'ancora "a pennello", probabilmente nel porto della Spezia | |
Descrizione generale | |
Tipo | nave da battaglia |
Classe | Littorio |
In servizio con | Regia Marina |
Costruttori | C.R.D.A. |
Cantiere | San Marco - Trieste |
Impostazione | 18 settembre 1938 |
Varo | 9 giugno 1940 |
Entrata in servizio | 14 giugno 1942 |
Destino finale | affondata il 9 settembre 1943 da bombardieri tedeschi |
Caratteristiche generali | |
Dislocamento | 44 050 t 46 215 t (pieno carico) |
Lunghezza | 240,7 m |
Larghezza | 32,9 m |
Pescaggio | 10,5 m |
Propulsione | vapore:
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Velocità | 31 nodi (57,4 km/h) |
Autonomia | 3 920 miglia a 20 nodi (con 4 000 t di nafta) (7 259 km a 37 km/h) |
Equipaggio | 120 ufficiali e 1 800 equipaggio |
Equipaggiamento | |
Sensori di bordo | radar EC3/ter «Gufo» |
Armamento | |
Artiglieria | Cannoni:
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Corazzatura | 350 mm (verticale) 150 mm (orizzontale sopra i depositi munizioni) 350 mm (max. artiglierie principali) 280mm (max.artiglierie secondarie) 260 mm (torrione di comando) |
Mezzi aerei | 3 tra IMAM Ro.43 e Reggiane Re.2000 |
dati tratti da www.regianaveroma.org, dove non altrimenti specificato. | |
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La Roma è stata una nave da battaglia della Regia Marina, terza e ultima unità entrata in servizio della classe Littorio: rappresentò il meglio della produzione navale bellica italiana della seconda guerra mondiale.[1] Costruita dai Cantieri Riuniti dell'Adriatico e consegnata alla Regia Marina il 14 giugno 1942, fu danneggiata da un bombardamento aereo statunitense quasi un anno dopo mentre era alla fonda a La Spezia, subendo in seguito altri danni che la costrinsero a tornare operativa solamente il 13 agosto 1943.
A seguito della resa incondizionata dell'Italia agli Alleati, alla Roma fu ordinato, assieme ad altre navi militari, di raggiungere l'isola sarda della Maddalena, come concordato con gli Alleati. La squadra navale italiana, tuttavia, fu attaccata da alcuni bombardieri tedeschi che, servendosi delle bombe radioguidate plananti Ruhrstahl SD 1400, affondarono la corazzata il 9 settembre 1943.
Nei suoi quindici mesi di servizio la Roma percorse 2 492 miglia in venti uscite in mare, senza partecipare a scontri navali, consumando 3 320 tonnellate di combustibile, rimanendo fuori servizio per riparazioni per 63 giorni.[2]
Il 28 giugno 2012, dopo decenni di ricerche, il relitto della corazzata è stato rinvenuto a 1 000 metri di profondità e a 16 miglia dalla costa nel golfo dell'Asinara.[3][4]
Caratteristiche
[modifica | modifica wikitesto]Progettata dal generale ispettore del Genio Navale Umberto Pugliese, questa classe di navi da battaglia costituì uno dei primi esempi al mondo di unità sopra le 35 000 tonnellate, limite imposto dal trattato navale di Washington in vigore all'epoca della progettazione e costruzione dell'unità,[5] ma che venne disatteso di oltre il 15% per ottenere le caratteristiche desiderate, come già accaduto con la classe Zara di incrociatori pesanti; in effetti il limite fissato in un documento riservato redatto da parte del Sottosegretario alla Marina fu di 40 000 tonnellate[5]. Dopo l'impostazione, nel 1934, delle prime due unità della classe, Littorio e Vittorio Veneto, in seguito al deteriorarsi della situazione internazionale con la guerra d'Etiopia e la guerra civile spagnola, fu dato nuovo impulso al riarmo navale, nel 1938, con l'impostazione della Roma e della sua gemella Impero.[5]
Impianti
[modifica | modifica wikitesto]La propulsione era a vapore con quattro gruppi turboriduttori alimentati dal vapore di otto caldaie tipo Yarrow/Regia Marina alimentate a nafta in cui l'acqua di alimentazione era preriscaldata passando attraverso tubi investiti dai gas di scarico, sfruttando in maniera più efficiente il calore sprigionato dai bruciatori.[6] L'apparato motore era protetto da cilindri corazzati singoli per ogni caldaia, e da griglie corazzate a protezione delle aperture verso i fumaioli, il sistema di protezione era coordinato alla corazza sovrastante e alle strutture sottostanti del triplo fondo (limitato alla cittadella).[7]
L'apparato motore forniva una potenza massima di 130 000 CV e consentiva alla nave di raggiungere la velocità massima di 31 nodi, con un'autonomia che a una velocità media di 20 nodi era di 3 380 miglia.[8][9] la turbina di alta pressione aveva un accesso diretto al vapore surriscaldato che poteva venire aperto in caso di avaria di uno dei gruppi turboriduttori permettendo una potenza di sovraccarico da 36 000 CV per gruppo.[8]
Comunque, nel diario di bordo della nave reperito nell'archivio dell'ufficio storico della Marina Militare, è scritto che nelle prove a tutta forza del 21 agosto 1942, le prove si svolsero con velocità crescenti (24 – 26 – 28 nodi) e infine, spingendo le macchine a tutta forza, la Roma raggiunse e mantenne per un'ora la velocità di 29,2 nodi.[10] La modesta autonomia, se comparata con unità analoghe di altre marine militari rendeva queste unità idonee solo all'impiego nel Mediterraneo. Le quattro turbine erano collegate a quattro assi dotati di eliche tripale, due centrali e due laterali,[5] mentre il sistema di governo era costituito da un timone principale poppiero, posizionato nel flusso delle eliche poppiere centrali, e da due timoni ausiliari laterali, distanziati dal primo, situati nel flusso delle due eliche laterali, che costituivano il governo di emergenza della nave.
La nave poteva ospitare al massimo tre velivoli (tutti della Regia Aeronautica, visto che la Marina non poteva possedere velivoli), generalmente i ricognitori IMAM Ro.43 anche se, dall'estate 1943,[11] giunsero due caccia Reggiane Re.2000 Catapultabile.[12] La nave era dotata di due gru per il recupero degli idrovolanti, ma visto il tempo necessario al recupero da effettuare a nave ferma, normalmente gli idrovolanti erano fatti dirigere verso un aeroporto amico, prassi obbligatoria per i caccia. I Reggiane Re.2000 appartenevano inizialmente a una squadriglia speciale, la "Squadriglia di Riserva Aerea delle FF.NN.BB." (Forze Navali da Battaglia), composta da otto velivoli dei quali sei operativi alla data dell'armistizio inquadrati nel "1º Gruppo di Riserva Aerea delle FF.NN.BB." e, di questi, uno si trovava sulla Roma alla partenza per La Maddalena.[13] La nave disponeva inoltre di un radar EC3/ter «Gufo»,[14] sviluppato dalla SAFAR di Milano.
Armamento
[modifica | modifica wikitesto]L'armamento principale era costituito da nove cannoni da 381/50 Mod. 1934 (i tre pezzi della torretta anteriore erano costruiti dalla Ansaldo, mentre i restanti sei dalla O.T.O.),[15] in tre torrette trinate ad azionamento elettrico, che sparavano proiettili da 885 kg (perforanti) e 774 kg (esplosivi) con un alzo da -5º 30' fino a 36º[16] alla velocità iniziale di, rispettivamente, 850 m/s (perforanti) e 870 m/s (esplosivi) capaci di colpire alla distanza di 44 000m, che si riducevano a 28 000-30 000 m nelle migliori condizioni operative.[17][18] Oltre a questi la corazzata ospitava come armamento secondario antinave dodici cannoni da 152/55 Mod. 1936 in torri trinate usati anche per lo sbarramento antiaereo, dodici cannoni antiaerei da 90/50 mm in installazioni singole e quattro da 120/40 mm per tiro illuminante, più venti cannoni Breda 37/54 mm (in otto installazioni binate più quattro singoli) e ventotto mitragliere antiaeree da 20/65 mm (in quattordici installazioni binate). Secondo alcune fonti, invece, sarebbero state presenti trentadue mitragliere in sedici installazioni binate.[5] I cannoni da 90/50, di tipo duale (antiaereo e antinave) a caricamento manuale ed elevazione massima di 75º, avevano una gittata massima con alzo 45º di 15 548 metri (antinave), stimata in 13 000 secondo altre fonti, e una tangenza di 9000 m (antiaerea),[17] 10 500 secondo altre fonti.[19] In seguito alle esperienze fatte con le sue precedenti pariclasse, il sistema di controllo delle armi era stato migliorato, le centrali di tiro antiaereo potevano ingaggiare bersagli fino a 14000 m di distanza e 8000 m di quota (sulla Littorio e Vittorio Veneto questi valori erano di12000 m e 6000 m rispettivamente).[20]
Protezione
[modifica | modifica wikitesto]La parte fra l'ultima torretta di poppa e la prima di prua era formata da una cittadella corazzata superiormente da 100 mm a poppa fino a 70 mm a prua, inferiormente continuava con la cintura spessa 350 mm, inclinata verso l'interno di 15°,[21] che si estendeva al di sotto della linea di galleggiamento, anch'essa si rastremava alle due estremità fino a 60 mm, all'interno, parallela alla cintura, era presente una paratoia paraschegge da 36 mm seguita da un'altra da 24 mm.[6] La compartimentazione e il bilanciamento interno assicuravano buona stabilità e galleggiabilità anche nel caso le navi fossero state colpite da siluri, come dimostrarono le vicende belliche, quando le corazzate della sua classe, ripetutamente colpite, riuscirono a rientrare alle loro basi. La protezione dagli attacchi subacquei era ottenuta tramite il sistema dei cilindri Pugliese, ideati dall'ingegnere e generale del genio navale Umberto Pugliese.[5] I cilindri Pugliese consistevano in contenitori di 3,80 m di diametro e 120 m di lunghezza, collocati all'interno di una intercapedine tra lo scafo interno e la murata esterna, che era riempita con acqua o nafta.[5] In caso di esplosione di mina o siluro, l'onda d'urto, propagata attraverso i compartimenti esterni pieni di liquidi, avrebbe provocato lo schiacciamento e la rottura del cilindro, per cui la sua energia sarebbe stata in gran parte assorbita dalla sua deformazione ed allagamento, riducendo i danni allo scafo interno.[5]
Costruzione ed entrata in servizio
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La nave fu impostata sugli scali del Cantiere San Marco di Trieste il 18 settembre 1938 e quindi varata il 9 giugno 1940,[23] il giorno prima della dichiarazione di guerra; madrina del varo la principessa Sofia Lanza Branciforte di Trabia, moglie del Governatore di Roma Gian Giacomo Borghese.[23] Il suo allestimento, durò due mesi in più rispetto alla gemella Impero per le modifiche alla prua, rivelatesi necessarie dopo le prove in mare della Littorio.[23] Il 28 marzo nel corso della battaglia di Capo Matapan un asse portaelica della Littorio fu danneggiato da un siluro d'aereo, per affrettare la riparazione, il 4 aprile, la Roma fu urgentemente rimorchiata al Cantiere navale di Monfalcone per smontare il pezzo corrispondente; l'unità fu poi rimorchiata a Trieste per completare l'allestimento la notte del 17 aprile.[24] La sua prima navigazione autonoma, se pur con un asse in meno, avvenne il 9 novembre 1941 per trasferirsi a Venezia dove fu ripristinato l'asse mancante,[24] per poi tornare al cantiere di Trieste il 14 dicembre.[25] Sin dal varo, al comando dell'unità fu designato il capitano di vascello Adone Del Cima che seguì tutte le fasi dell'allestimento, poi completato nel primo quadrimestre del 1942.[26] In maggio l'unità effettuò le prove in mare, navigando nel golfo di Trieste con un'appropriata scorta navale. Il 14 giugno 1942, a distanza di due anni dal suo varo, la nave da battaglia Roma entrò in servizio nella Regia Marina.[25]
Dopo la consegna la nave non ebbe possibilità di partecipare ad azioni belliche contro la flotta britannica. Il 22 agosto arrivò a Taranto dove fu assegnata alla IX divisione navale,[27] comprendente le navi Roma, Littorio e Vittorio Veneto.[27] A seguito dell'operazione Torch alle navi della IX Divisione fu ordinato, l'11 novembre, il trasferimento da Taranto a Napoli, raggiunta la mattina del 13.[28] Il trasferimento avvenne senza danni alle navi, nonostante l'attacco di due sommergibili britannici, l'HMS Umbra ed il HMS Turbulent che mancarono i loro bersagli.[28] La Roma e le altre due navi della IX divisione uscirono illese dal bombardamento dell'affollato porto di Napoli del 4 dicembre 1942, che distrusse la VII divisione, con l'affondamento dell'Attendolo e il danneggiamento delle altre unità.[29] In seguito al bombardamento di Napoli, Supermarina decise lo spostamento della IX squadra a La Spezia, il trasferimento iniziò la sera del 6 dicembre e si concluse la sera successiva senza inconvenienti.[30] Fino all'aprile del 1943, l'attività delle tre navi da battaglia fu ridotta al minimo, tra cui la pulizia della carena a Genova effettuata per la Roma tra il 12 ed il 20 febbraio.[31] Il primo tentativo dell'aviazione britannica di attaccare le Littorio nel porto di La Spezia fu effettuato la notte del 14 aprile con l'invio di 208 quadrimotori che colpirono solo la Littorio, mettendo fuori uso la seconda torre, che fu riparata entro maggio.[32] La notte del 19 aprile, il Bomber Command organizzò una seconda sortita di 173 quadrimotori che attaccarono il porto di La Spezia, con l'affondamento del cacciatorpediniere Alpino ma senza danni rilevanti alle navi da battaglia.[33]
Il 5 giugno 1943 alle 13:59, durante il bombardamento diurno della base di La Spezia da parte di 118 fortezze volanti dell'USAAF, due bombe dirompenti da 2 000 libbre (910 kg) sfiorarono la prua della Roma esplodendo, quasi contemporaneamente, in acqua.[34] La prima aprì una falla da 6 per 5 m sul lato di dritta della prua, la seconda aprì una falla da 8 per 5 m sul lato di sinistra della prua, la nave imbarcò 2 350 t d'acqua che la fece sbandare di 1° a sinistra e la prua si appoggiò sul basso fondale.[34][35] Anche la gemella Vittorio Veneto fu danneggiata, riducendo la squadra da battaglia al solo Littorio. Mentre il Vittorio Veneto poté essere riparato in arsenale, rientrando in squadra in poco più di un mese, per la corazzata Roma, colpita da altre due bombe, che non causarono falle nello scafo, durante il bombardamento della notte del 24 giugno, furono necessari l'entrata in bacino e il trasferimento a Genova, effettuato il primo luglio, rientrando in squadra solamente il 13 agosto.[35] L'8 settembre, l'ammiraglio Bergamini, trasferì il suo comando sulla Roma.[34]
L'affondamento
[modifica | modifica wikitesto]La partenza
[modifica | modifica wikitesto]Il giorno in cui Badoglio proclamò l'armistizio italiano, l'8 settembre 1943, la nave si trovava a La Spezia pronta a muovere per affrontare le navi alleate impiegate a proteggere le truppe impegnate nello sbarco a Salerno previsto per il giorno successivo, ma nella stessa giornata dell'8 settembre l'ammiraglio Carlo Bergamini, comandante delle forze navali da battaglia, venne avvertito telefonicamente dal capo di Stato maggiore della Marina Raffaele De Courten dell'armistizio ormai imminente e delle relative clausole che riguardavano la flotta, che prevedevano il trasferimento immediato delle navi italiane in località che sarebbero state designate dal Comandante in Capo alleato, dove le navi italiane sarebbero rimaste in attesa di conoscere il proprio destino, e che durante il trasferimento avrebbero innalzato, in segno di resa, pennelli neri sui pennoni e disegnato due cerchi neri sulle tolde.[36] De Courten, dopo aver escluso l'autoaffondamento e la possibilità di tentare un'ultima battaglia contro gli Alleati, accettò le disposizioni impartite dal capo della Mediterranean Fleet britannica Andrew Cunningham.[37]
Bergamini, che apprese dell'ultimatum per le 18:30 delle forze alleate del Mediterraneo dalle radio civili estere attorno alle 17, chiamò De Courten infuriato per essere stato tenuto all'oscuro degli ultimi sviluppi,[38] dichiarandosi pronto all'autoaffondamento della flotta o a rassegnare le proprie dimissioni[39] per poi formalmente accettare con riluttanza gli ordini, dopo che gli fu assicurato da De Courten (che però già sapeva che la fuga verso ovest del re era già compromessa dalle unità tedesche) che sull'isola sarda de La Maddalena avrebbe raggiunto il re Vittorio Emanuele III e il governo.[39] Supermarina trasmise l'ordine di partenza di tutte le navi in grado di muovere da La Spezia per la Maddalena alle 23:45.[39] Cunningham, conscio che le navi italiane non avevano protezione aerea, informò che avrebbero dovuto mollare gli ormeggi da La Spezia al tramonto dell'8 settembre, ma la squadra navale italiana, sottovalutando il pericolo rappresentato dalla Luftwaffe, salpò solamente alle 03:00 del mattino del 9 settembre.[40] Con Bergamini al suo posto, la Roma con l'insegna di nave ammiraglia della flotta, salpò per La Maddalena, insieme alla Vittorio Veneto e Italia (ex-Littorio) che con la Roma costituivano la IX Divisione al comando dell'ammiraglio Enrico Accorretti, con gli incrociatori Montecuccoli, Eugenio di Savoia e Attilio Regolo, che in quel momento costituivano la VII Divisione, con l'Attilio Regolo che svolgeva il ruolo di nave comando dei cacciatorpediniere di squadra con l'insegna del capitano di vascello Franco Garofalo, i cacciatorpediniere Mitragliere, Fuciliere, Carabiniere e Velite della XII Squadriglia e i cacciatorpediniere Legionario, Oriani, Artigliere e Grecale della XIV Squadriglia e una Squadriglia di torpediniere formata da Pegaso, Orsa, Orione, ed Impetuoso, nave insegna della squadriglia.[39]
La navigazione
[modifica | modifica wikitesto]La formazione, poco dopo le 6 del mattino, si ricongiunse con il gruppo navale proveniente da Genova, formato dalle unità della VIII Divisione, costituita da Garibaldi, Duca d'Aosta e Duca degli Abruzzi, nave insegna dell'ammiraglio Luigi Biancheri, preceduti dalla torpediniera Libra, al cui comando c'era il capitano di corvetta Nicola Riccardi.[39] Dopo il ricongiungimento delle due formazioni navali, per ottenere una omogeneità nelle caratteristiche degli incrociatori, il Duca d'Aosta passò dalla VIII alla VII Divisione, sostituendo l'Attilio Regolo che passò alle dipendenze della VIII Divisione.[39]
La formazione passata tra Imperia e Capo Corso puntò a sud, mantenendosi a una ventina di chilometri dalle coste occidentali della Corsica, quindi le unità si diressero verso est in direzione delle Bocche di Bonifacio. Durante la navigazione vi furono tre allarmi aerei, in occasione dei quali le navi si misero a zigzagare. All'imboccatura delle Bocche di Bonifacio, all'altezza di Capo Testa, la squadra si dispose in linea di fila, con in testa le sei torpediniere, quindi i sei incrociatori seguiti dalle tre corazzate e infine gli otto cacciatorpediniere.[41]
Dalle 9, Supermarina aveva trasmesso l'ordine di reagire ad eventuali ostilità da parte delle forze tedesche, poi alle 11:50 Supermarina iniziò a trasmettere in chiaro un proclama di De Courten che incitava i marinai alla reazione verso gli ex alleati tedeschi.[41]
Pur avendo l'ammiraglio Bergamini richiesto una scorta aerea, quasi tutte le squadriglie da caccia in Sardegna e Corsica erano in trasferimento verso Roma, e solo quattro Macchi M.C.202 decollarono da Vena Fiorita, un aeroporto militare ora dismesso vicino a Olbia,[42] per la scorta, ma non essendo stato indicato che la flotta navigava a ovest e non a est della Corsica, la cercarono senza esito per oltre un'ora.[43] Attorno a mezzogiorno, una ridotta forza tedesca, su piccoli battelli, aveva occupato La Maddalena.[41]
Tra le 14:24[41] quando la flotta stava per giungere al punto più stretto delle Bocche di Bonifacio, l'ammiraglio Bergamini ricevette da Supermarina un messaggio con il quale si comunicava che La Maddalena era stata occupata dai tedeschi e gli venne ordinato di cambiare rotta e dirigersi a Bona in Algeria.[36] Bergamini ordinò di invertire subito la rotta di 180° e dopo che la manovra venne eseguita a velocità elevata l'ordine della linea di fila si trovò a essere esattamente opposto a quello precedente, con i cacciatorpediniere in testa e le torpediniere in coda, con la Roma in coda alla IX divisione.[41] La formazione navale, composta da ventitré unità, navigava senza avere issato i pennelli neri sui pennoni e aver disegnato i dischi neri sulle tolde come prescritto dalle clausole dell'armistizio poiché la comunicazione con le istruzioni per la navigazione verso Bona furono comunicate da Supermarina alle 15:40 e non poterono essere decifrate e diffuse prima dell'affondamento della Roma.[41]
L'attacco della Luftwaffe
[modifica | modifica wikitesto]Verso le 15:10,[36] al largo dell'isola dell'Asinara la formazione fu sorvolata ad alta quota da ventotto bimotori Dornier Do 217K del Kampfgeschwader 100[44] della Luftwaffe[45] partiti dall'aeroporto di Istres, presso Marsiglia, in tre ondate successive, la prima delle quali si alzò in volo poco dopo le 14:00, con l'istruzione di mirare unicamente alle corazzate. Gli aerei, in volo livellato, sganciarono degli "oggetti" affusolati, la cui coda luminosa, data l'altezza alla quale volavano gli aerei, fu inizialmente scambiata per un segnale di riconoscimento;[46] si trattava di bombe teleguidate Ruhrstahl SD 1400, conosciute dagli Alleati con il nome di Fritz X, la cui forza di penetrazione era conferita dall'alta velocità acquistata in caduta, essendo prescritto il lancio da un'altezza non inferiore ai 5 000 metri. La bomba era munita di un apparecchio ricevente a onde ultracorte trasmesse dall'aereo, che permetteva di dirigerla verso il bersaglio e che avrebbe potuto essere contrastato solo con disturbi radio, poiché a 6 500 metri anche per gli ottimi cannoni contraerei da 90/50 mm, gli aerei sarebbero stati irraggiungibili una volta avvicinatisi alla nave e superato il massimo angolo di elevazione di 75º.[46] Inoltre il comandante della formazione tedesca, maggiore Joppe, come dichiarato in un'intervista degli anni settanta, riteneva (erroneamente) che la massima quota raggiungibile dalle artiglierie contraeree italiane fosse di 4 000 metri:
«No. Non conoscevo i calibri della contraerea italiana, ma sapevo che potevano sparare a una distanza di circa 4.000 metri. Volavamo a circa 5.000 metri perché quella era l'altitudine ottimale per poter dirigere via radio la bomba. Quindi avevamo un buon margine di sicurezza. Ricordo di aver visto molti proiettili esplodere sotto di noi, ma sempre a una notevole distanza, naturalmente senza procurarci alcun danno.[47]»
Invece, per la troppo stretta ottemperanza alle disposizioni del comando supremo di osservare la neutralità, fu solo quando gli aerei sganciarono la prima bomba (e ci si rese conto che si trattava di una bomba), che fu dato alla contraerea delle unità l'ordine di aprire il fuoco;[36] data però l'elevata quota degli aerei tedeschi, le contraeree furono costrette a sparare alla massima elevazione, che ne penalizzava la precisione, utile solo come fuoco di sbarramento.[46]
Alle 15:30 la prima bomba fu diretta contro l'Eugenio di Savoia, cadendo a circa 50 metri dall'incrociatore senza provocare alcun danno,[46] mentre una seconda bomba cadde vicinissima alla poppa dell'Italia (ex Littorio) danneggiando la centrale elettrica e immobilizzandone temporaneamente il timone,[46] per cui la nave fu governata con i timoni ausiliari. Successivamente toccò alla Roma; gli aerei fallirono una prima volta il tiro, ma alle 15:42, l'Oberleutnant Heinrich Schmetz[48] centrò la corazzata una prima volta[45] fra la quinta e la sesta torre antiaerea da 90 mm di dritta; il colpo non produsse effetti devastanti ma attraversò lo scafo esplodendo sott'acqua e aprendo una falla.[46] Il secondo colpo alle 15:50 centrò la nave verso prua, sul lato sinistro fra il torrione di comando, la torre sopraelevata armata con cannoni da 381 mm e quella con cannoni da 152 mm, con conseguenze ben diverse:[36] a prua si allagarono le caldaie causando l'arresto nella nave e i depositi di munizioni deflagrarono, cessò l'erogazione dell'energia elettrica e la torre numero 2 (quella coi cannoni da 381 mm) saltò in aria con tutta la sua massa di 1 500 tonnellate, cadendo in mare; la torre corazzata di comando fu investita da una tale vampata che fu deformata e piegata dal calore, fatta a pezzi e proiettata in alto in mezzo a due enormi colonne di fumo; morirono l'ammiraglio Bergamini e il suo Stato Maggiore,[36] il comandante della nave Adone Del Cima e buona parte dell'equipaggio, uccisi pressoché all'istante. La vampata salì almeno a 400 metri di quota (ma alcune fonti parlano di 1 500 m),[49] formando il classico fungo delle grandi esplosioni.
La nave, alle 16:11, si capovolse e in pochi minuti, spezzata in due tronconi, affondò, mentre sul ponte si affannavano i marinai superstiti, molti gravemente feriti e ustionati. Chi era a bordo, specialmente a poppa, fu condannato: cinquanta marinai in procinto di gettarsi in acqua furono disintegrati. Chi riuscì a lasciare la nave poté allontanarsi ed essere salvato dai cacciatorpediniere di scorta. La scena della Roma che si spacca in due tronconi fu immortalata in una fotografia scattata dal ricognitore britannico Martin B-26, pilotato a media quota dal tenente colonnello Herbert Law-Wright. L'aereo fu fatto segno dal fuoco contraereo delle navi italiane che stavano sparando sugli aerei tedeschi.[50]
Alle 16:29 l'Italia fu nuovamente attaccata e questa volta colpita da una bomba PC 1400X, che la colpì a prua a sul lato di dritta all'altezza dello spazio fra le torrette di prua, che la attraversò completamente, esplodendo in acqua. Si produsse una falla sotto la linea di galleggiamento di 7,5 per 6 metri, e la nave imbarcò 1066 t d'acqua, ma rimase in navigazione.[51]
Il soccorso
[modifica | modifica wikitesto]Senza attendere ordini Mitragliere e Carabiniere invertirono immediatamente la rotta per recuperare i superstiti della Roma, seguiti da Regolo e Fuciliere e a queste unità si aggiunsero le torpediniere Pegaso, Orsa e Impetuoso. Per il soccorso ai naufraghi tutti gli ordini vennero emanati più di cinque minuti prima dell'affondamento della corazzata Roma e per i soccorsi vennero distaccati due gruppi navali: il primo costituito dall'incrociatore Attilio Regolo e da tre unità della XII Squadriglia Cacciatorpediniere: Mitragliere, Carabiniere e Fuciliere; l'altro includeva tre torpediniere: Pegaso, Impetuoso e Orsa. Il primo gruppo era posto agli ordini del capitano di vascello Giuseppe Marini, mentre la squadriglia torpediniere era comandata dal capitano di fregata Riccardo Imperiali di Francavilla, comandante del Pegaso.[52] Ben 1 352 marinai della Roma persero la vita.[53] I naufraghi, recuperati dalle unità navali inviate in loro soccorso, furono 622, di cui 503 salvati dai tre cacciatorpediniere, 17 dall'Attilio Regolo e 102 dalle tre torpediniere.[52]
A prendere il comando della flotta, dopo l'affondamento della corazzata Roma, fu l'ammiraglio Oliva, il più anziano tra gli ammiragli della formazione e comandante della VII Divisione con insegna sull'Eugenio di Savoia,[53] che adempì a una delle clausole armistiziali, quello d'innalzare il pennello nero del lutto sui pennoni e i dischi neri disegnati sulle tolde.[54] Mentre le sette navi si erano fermate a recuperare i morti e i feriti dell'ammiraglia, il resto della squadra proseguì la navigazione dirigendo verso Bona per tutta la notte, al mattino del 10 settembre ci fu l'incontro con le navi alleate (la Warspite e la Valiant ed 8 cacciatorpediniere), che scortarono le unità italiane verso Malta, raggiunta il mattino del giorno 11, dove la formazione si ricongiunse con il gruppo proveniente da Taranto guidato dall'ammiraglio Alberto Da Zara (che prese il comando per anzianità su Oliva) e costituito dal Duilio, dagli incrociatori Luigi Cadorna e Pompeo Magno e dal cacciatorpediniere Nicoloso da Recco.[55]
Il trasporto dei naufraghi alle Baleari
[modifica | modifica wikitesto]Il recupero dei naufraghi si concluse poco prima delle 18:00. Il comandante del Mitragliere, capitano di vascello Giuseppe Marini, come ufficiale più anziano, si ritrovò a capo del gruppo composto da sette navi.[5][56]
Marini, comandante del Mitragliere, caposquadriglia della XII squadriglia cacciatorpediniere, tenuto conto dei molti feriti gravi a bordo, avendo perso i contatti con la formazione al comando dell'ammiraglio Oliva, che non dava risposta ai suoi messaggi, richiese al Regolo, nave comando del gruppo cacciatorpediniere di squadra, l'autorizzazione a dirigere ad alta velocità verso Livorno, ma venne informato dal comandante del Regolo, Marco Notarbartolo di Sciara, che il comandante del gruppo cacciatorpediniere di squadra, il capitano di vascello Franco Garofalo, non era a bordo in quanto era stato autorizzato da Bergamini a imbarcarsi sulla corazzata Italia, a causa di un piccolo ritardo nell'approntamento del Regolo,[57] ma la sua insegna era rimasta sul Regolo e a quel punto il comandante superiore in mare del gruppo di sette navi, come ufficiale più anziano, era proprio Marini, che si trovava all'improvviso a dover prendere delle decisioni, sprovvisto delle informazioni utili a questo scopo.[58]
Il gruppo si trovava nella impossibilità di mettersi in contatto con la formazione al comando dell'ammiraglio Oliva e con Supermarina, non ricevendo risposta ai loro messaggi, e inoltre l'intercettazione di alcuni messaggi di Supermarina dimostravano l'impossibilità di rientrare in porti italiani per sbarcare i feriti che avevano urgente bisogno di cure ospedaliere per cui era a quel punto necessario raggiungere le coste neutrali più vicine per lo sbarco dei feriti che non era possibile curare a bordo a causa della gravità delle loro condizioni e inoltre le navi avevano ormai una ridotta autonomia a causa della riduzione delle scorte di nafta.[5]
Marini diede alle torpediniere libertà di manovra sotto il comando del capitano di fregata Riccardo Imperiali, comandante del Pegaso, assumendo il comando del resto della formazione composta dal Regolo e dai tre cacciatorpediniere.[59] Marini decise di dirigere la propria formazione verso le isole Baleari, considerato che la Spagna era neutrale, sperando che avrebbe consentito lo sbarco dei feriti e fornito i necessari rifornimenti di carburante e acqua potabile, senza procedere all'internamento delle navi; le Baleari avevano anche il vantaggio di essere in posizione centrale rispetto a eventuali successivi spostamenti verso l'Italia, Tolone o l'Africa settentrionale. Marini alle 7:10 del 10 settembre inviò un messaggio alla VII Divisione Incrociatori in cui informò che avrebbe fatto rotta per Mahón, nell'isola di Minorca, dove arrivò alle 08:30.[49]
Le tre torpediniere al comando del capitano di fregata Imperiali, perso ogni contatto con le altre navi, si diressero autonomamente verso le Baleari giungendo nella baia di Pollensa, nell'isola di Maiorca dove, dopo aver sbarcato gli equipaggi, Imperiali decise di autoaffondare le unità ai suoi ordini.[60]
Dei 622 naufraghi recuperati dalle sette unità, 26 perirono successivamente per le ferite e sono sepolti nel cimitero di Mahón.[61]
Le ricerche e il ritrovamento del relitto
[modifica | modifica wikitesto]Sono stati diversi i tentativi di localizzare e recuperare il relitto della Roma, generalmente ritenuto "riposare" a una ventina di miglia al largo di Castelsardo (provincia di Sassari).[62] Se la Marina Militare ha dato il benestare e fornito appoggio al raggiungimento del primo obiettivo (su cui comunque non c'è pieno consenso), non ha fatto altrettanto nel dare il via libera al recupero del relitto perché, come ha spiegato l'ex capo di stato maggiore della Marina Paolo La Rosa, lo considera un cimitero da non profanare.[63][64] Da decenni oggetto di interesse di ricercatori ed esploratori subacquei, ma l'imprecisione delle coordinate del presunto luogo dell'affondamento (41°08′N 8°09′E secondo quanto riferito dai piloti Luftwaffe[62] o 41°10′N 8°40′E secondo quanto comunicato dall'ammiraglio Oliva alle 16:20 del 9 settembre 1943)[65] e la variabile profondità del mare hanno frustrato i tentativi di ritrovamento. Nel 2007 un'altra spedizione sembrò aver individuato l'esatta posizione del relitto (di cui è stata scattata anche una foto da un ROV) nelle coordinate 41°07′52″N 8°37′44″E , attirando addirittura l'attenzione di due case cinematografiche, la tedesca Contex Tv e la svizzera Polivideo, che si misero in contatto con la Marina Militare per ottenere il permesso di girare un documentario,[63] senza tuttavia giungere a nulla.[66]
Alla fine dell'estate del 2007 un ricercatore italiano, Fernando Cugliari, ha dichiarato di avere con buona probabilità localizzato il relitto della corazzata, identificando anche, con un ROV, un giubbotto di salvataggio compatibile con quelli usati dalla Regia Marina all'epoca dell'affondamento comunicando anche le coordinate geografiche del punto.[67] L'8 settembre 2009 il ritrovamento del cacciatorpediniere Antonio da Noli, colato a picco a sud di Bonifacio, mentre cercava di unirsi alla formazione di cui faceva parte la Roma, per aver urtato una mina navale, ridestò le attenzioni sulla Roma.[68][69][70][71][72]
Chiarito il fatto che questa si trova a circa 400 m di profondità, il ricercatore catanzarese Francesco Scavelli chiese aiuto alla francese COMEX e alla sua nave oceanografica Minibex. Aiutati anche dalle coordinate fornite da Cugliari due anni prima, Scavelli e la COMEX, assistiti dalla Marina Militare,[73] per il maggio 2008 avevano perlustrato 100 miglia quadrate di mare;[74] solo allora sono emersi documenti riposti negli archivi militari di Washington, Friburgo, Londra e Roma che hanno permesso di identificare la posizione dei campi minati tedeschi, dando così modo al team di ricercatori di ricostruire la probabile rotta seguita dal convoglio italiano nel 1943, nella quale, in un certo punto, è stata riscontrata una forte anomalia magnetica che proverebbe la presenza della Roma.[74] Nel 2011 un'associazione marinara sarda ha avanzato nuove coordinate circa l'esatta ubicazione della Roma. Questa, tenendo conto delle infruttuose ricerche della Marina Militare avvenute nel 2003 e 2007, e dopo aver vagliato documenti ufficiali italiani, è giunta alla conclusione che la Roma si trova nelle coordinate 41°24′N 7°48′E , cioè 33 miglia a nord-ovest dell'Asinara.[56]
Il relitto della corazzata Roma è stato infine trovato il 17 giugno 2012 dall'ingegnere Guido Gay grazie all'ausilio del ROV filoguidato Plutopalla da lui stesso inventato e comandato da bordo del catamarano Daedalus. Il racconto della scoperta è dello stesso Gay ed è contenuto nel libro di Ugo Gerini Corazzata Roma Destinazione Finale. La nave è stata individuata nel canyon subacqueo di Castelsardo (golfo dell'Asinara) a 16 miglia dalla costa a una profondità di oltre 1 000 metri e risulta spezzata in quattro tronconi. Personale della Marina Militare è stato in grado di confermare il 28 giugno 2012 l'esattezza del ritrovamento confrontando le immagini di alcuni cannoni d'artiglieria contraerea (si tratta dei pezzi Ansaldo da 90 mm presenti solo sulle corazzate). Il troncone di prua, capovolto, è adagiato nella sabbia del fondale staccato dal resto dello scafo all'altezza della torre numero due di g.c. Le fotografie scattate permettono di vedere lo scudo della corazzata con le lettere QR dell'acronimo SPQR sporgere dal fondo. Il resto della carena, anch'essa capovolta, giace distante qualche centinaio di metri dalla prua. Lo spezzone conserva gli assi e le eliche esterne ancora in buon stato di conservazione. Il ponte che originariamente stava sopra lo spezzone centrale della nave si è staccato dalla stessa e si è posato in assetto di navigazione con il torrione di comando caduto a dritta. È proprio sul ponte che è stato possibile individuare l'artiglieria antiaerea (cannoni Ansaldo da 90 mm, mitragliere Breda da 37 e 20 mm) nonché i telemetri dei cannoni da 381 mm, quelli da 152 e la plancia comando e ammiraglio. Il troncone di poppa si è posato lungo il pendio del canyon. Questa sezione, che si è staccata a sua volta dal resto dello scafo proprio all'altezza del nome ROMA che quindi non è più identificabile, conserva l'elica sinistra e la corona dei Savoia perfettamente conservata posta all'estremità. Nelle vicinanze è presente la torre di g.c. numero tre e il relitto dell'idrovolante IMAM RO 43 che è stato visto dai testimoni scivolare in mare nel momento dell'affondamento.[3][4]
Nella cultura di massa
[modifica | modifica wikitesto]Lo scrittore, regista e ricercatore marino Folco Quilici, nel suo romanzo Alta profondità ha ricostruito le fasi dell'affondamento dell Roma inserendole in una ricerca del relitto, affidata a due ricercatori, sponsorizzata da una banda di terroristi che mirano a recuperare una sostanza esplosiva che sarebbe stata usata nella bomba razzo che fece affondare la nave. I due ricercatori, resisi conto della situazione, cercheranno poi di fermare la banda criminale.[75]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Marina Militare Italiana, Scheda del Roma sul sito della MM, su marina.difesa.it. URL consultato il 30 maggio 2011.
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- ^ a b Ritrovato il relitto della Corazzata Roma - Fu affondata dai tedeschi dopo l'armistizio, in Repubblica, 28 giugno 2012 (archiviato dall'url originale il 10 ottobre 2014).
- ^ a b Giorgerini 1978, vol III, p. 546.
- ^ Bagnasco, De Toro 2010, p. 58.
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- ^ Bagnasco, De Toro 2010, p. 210.
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- ^ Bagnasco, De Toro 2010, p. 212.
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- ^ a b c Bagnasco, De Toro 2010, p. 300.
- ^ a b Garzke, Dulin 1985, p. 405.
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- ^ Il Kampfgeschwader 100 ("stormo bombardieri" in tedesco) fu la prima unità ad impiegare le Ruhrstahl SD 1400, dal 29 agosto 1943, vedi Ford, 2000, pp. 92.
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- ^ Heinrich Schmetz (22/10/1914- 22/7/2004) ricevette la Ritterkreuz des Eisernen Kreuzes per l'azione contro il Roma, e promosso comandante del III Gruppe del Kampfgeschwader 100. Vedi Ford, 2000, pp.92.
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- ^ a b Petacco 1996, p. 178.
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- ^ Ernesto Assante, Operazione Roma parte la caccia al Titanic d'Italia, in la Repubblica, 18 agosto 2009. URL consultato il 29 maggio 2011.
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- ^ Alta profondità, su omnialibri.info. URL consultato il 26 maggio 2011 (archiviato dall'url originale il 3 dicembre 2008).
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]Libri
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- Gianni Rocca, Fucilate gli ammiragli. La tragedia della marina italiana nella seconda guerra mondiale, Milano, A. Mondadori, 1987, ISBN 978-88-04-43392-7.
- Marco Santarini, La condotta del tiro navale da bordo nella Regia Marina 1900-1945, Roma, Ufficio storico della marina militare, 2017, ISBN 9788899642105.
Video
[modifica | modifica wikitesto]- Leonardo Tiberi, DVD Regia Nave Roma - Le ultime ore, Istituto Luce, aprile 2007.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]- Classe Littorio
- Consegna della flotta italiana agli Alleati
- Internamento dei militari italiani nella seconda guerra mondiale
- Arturo Catalano Gonzaga
Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Roma
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- Associazione Regia Nave Roma, su regianaveroma.org.
- Museo dedicato alla Corazzata Roma sull'Isla del Rey, Mahon, su menorcamica.org.
- Archivio Storico "Corazzata Roma" di Giovan Battista Conti, su corazzataroma.info. URL consultato il 29 maggio 2011 (archiviato dall'url originale il 2 maggio 2011).
- Supermarina-CC.FF.NN.BB: Messaggi radio del 9 settembre 1943, su piombino-storia.blogspot.com. URL consultato il 4 maggio 2019 (archiviato dall'url originale il 24 febbraio 2017).
- Marco Nese, Trovata la corazzata Roma, l'orgoglio della Marina, in Corriere della Sera, 2 luglio 2012. URL consultato il 2 luglio 2012.
- Antartica-project.com - parte dedicata alla RN Roma, su antartide-crociere.it. URL consultato il 1º dicembre 2014 (archiviato dall'url originale l'11 gennaio 2014).
- L'affondamento della corazzata Roma su trentoincina.it, su trentoincina.it.
- Intervista al figlio dell'Ammiraglio Bergamini su Youtube.com, su youtube.com.
- Intervista a Callisto Cosulich testimone dell'affondamento del Roma da Youtube, su youtube.com.