Repubblica Popolare di Bulgaria

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Bulgaria
Bulgaria – Bandiera
Bandiera (1971-1990) (dettagli)
Bulgaria - Stemma
Stemma (1971-1990) (dettagli)
Motto:
(BG) Съединението прави силата
(Săedinenieto pravi silata)
(IT) L'unione fa la forza

(BG) Пролетарии от всички страни, съединявайте се!
(Proletarii ot vsički strani, săedinjavajte se!)
(IT) Proletari di tutti i Paesi, unitevi!
Bulgaria - Localizzazione
Bulgaria - Localizzazione
Dati amministrativi
Nome completoRepubblica Popolare di Bulgaria
Nome ufficialeНародна република България
Narodna republika Bălgarija
Lingue ufficialibulgaro
Lingue parlatebulgaro
InnoShumi Maritsa (fino al 1947)
Republiko naša, zdravej!(1947-1951)
Balgariyo mila (1951-1964)
Mila Rodino (dal 1964)
Capitale Sofia
Politica
Forma di governoRepubblica socialista monopartitica
Presidentielenco
Primi ministrielenco
Organi deliberativiAssemblea popolare
Nascita15 settembre 1946 con Vasil Kolarov
CausaAbolizione della monarchia
Fine15 novembre 1990 con Petăr Mladenov
CausaRivoluzioni del 1989, nascita della Repubblica di Bulgaria
Territorio e popolazione
Bacino geograficoEuropa orientale
Territorio originaleBulgaria
Massima estensione110910 km² nel
Popolazione8.948.649 nel 1985
Economia
ValutaLev bulgaro
Evoluzione storica
Preceduto daBandiera della Bulgaria Regno di Bulgaria
Succeduto daBandiera della Bulgaria Bulgaria

La Repubblica Popolare di Bulgaria (in bulgaro Народна република България, НРБ?, Narodna republika Bălgarija, NRB) era il nome ufficiale dello Stato socialista della Bulgaria dal 1946 al 1990.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Stalinismo[modifica | modifica wikitesto]

Il 9 settembre 1944, con la ritirata delle truppe dell'Asse, un colpo di Stato instaurò un governo guidato da Kimon Georgiev che abolì, a seguito di un plebiscito, la monarchia. A partire dalla fine della guerra la Bulgaria fu governata da Georgi Dimitrov, fino alla sua morte nel luglio 1949, che generò sospetti viste le sue simpatie titoiste. La morte coincise con l'espulsione di Tito dal Cominform e fu seguita dalla "caccia alle streghe" titoiste in Bulgaria. Questa situazione culminò con il processo farsa e l'esecuzione del Primo ministro Trajčo Kostov; il vecchio Kolarov morì nel 1950 e il potere passò pertanto a un estremo stalinista, Vălko Červenkov.

Il processo di industrializzazione subì un'accelerazione fino al punto dell'insostenibilità; l'agricoltura fu collettivizzata e le ribellioni dei contadini furono soppresse con la forza. Circa 12.000 persone passarono attraverso i campi di lavoro tra la fine della seconda guerra mondiale e la morte di Stalin nel 1953.[1] Il patriarca ortodosso fu confinato in un monastero e la Chiesa fu posta sotto controllo statale. Nel 1950 furono rotte le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti. La minoranza turca fu perseguitata[senza fonte] e in questo periodo rinacquero le dispute territoriali con Grecia e Jugoslavia.

Il sostegno di Červenkov nel Partito Comunista era troppo limitato affinché lui potesse sopravvivere a lungo dopo la morte di Stalin. Nel marzo 1954, un anno dopo la morte di Stalin, Červenkov fu infatti deposto dalla carica di segretario del partito con l'approvazione della nuova leadership di Mosca e fu sostituito dal giovane Todor Živkov. Červenkov rimase primo ministro fino all'aprile 1956, quando fu definitivamente deposto e sostituito da Anton Jugov.

Era di Živkov[modifica | modifica wikitesto]

"L'amicizia tra l'Unione Sovietica e il popolo bulgaro – indistruttibile per l'eternità", francobollo sovietico del 1969 che commemora il 25º anniversario della rivoluzione socialista in Bulgaria

Todor Živkov governò la Bulgaria per i successivi trentatré anni, con una politica totalmente fedele ai dettami sovietici e più moderata all'interno della nazione. Ripresero le relazioni con Grecia e Jugoslavia, furono chiusi i campi di lavoro e si denunciarono i processi e le esecuzioni di Kostov e di altri "titoisti" (anche se non quella di Nikola Petkov e di altre vittime non-comuniste delle purghe del 1947). Furono reistituite alcune forme limitate di libertà di espressione e terminò la persecuzione alla Chiesa. Le rivolte in Polonia e Ungheria del 1956 non ebbero seguito in Bulgaria, ma il partito pose comunque fermi limiti (anche grazie alla polizia segreta, il KDS) agli intellettuali e alla libertà di scrittura per impedire qualsiasi sollevazione popolare.

Jugov si ritirò dalla politica nel 1962 e Živkov divenne primo ministro, nonché segretario del partito. Nel 1971 venne emanata una nuova costituzione grazie alla quale Živkov acquisì la carica capo dello Stato (presidente del Consiglio di Stato), mentre la carica di primo ministro fu affidata Stanko Todorov. Nel 1964 avvenne il passaggio di consegne tra Nikita Chruščëv e Leonid Brežnev: Živkov ebbe ottimi rapporti anche con il nuovo leader e nel 1968 dimostrò ancora una volta la sua lealtà verso l'Unione Sovietica prendendo parte all'invasione della Cecoslovacchia; a partire da questo momento la Bulgaria venne generalmente indicata come l'alleata più fedele dei sovietici nell'Europa orientale.

Caduta del regime[modifica | modifica wikitesto]

Anche se non era mai stato stalinista nei modi, a partire dalla fine degli anni settanta Živkov rese il suo governo sempre più severo e totalitario: stemperò questa tendenza la morte, avvenuta nel 1981, dell'amata figlia Ljudmila.[2] La stagione di riforme aperta da Michail Gorbačëv ebbe un profondo impatto in Bulgaria dato che la classe dirigente comunista, ormai anziana, non aveva la forza per poter resistere a cambiamenti così netti e radicali; nel novembre del 1989 si svolse una manifestazione ecologista e anti-governativa organizzata dal nuovo movimento civile Ekoglasnost a Sofia, ma alle rivendicazioni ambientali si unirono quasi subito quelle politiche.

La dirigenza del Partito Comunista Bulgaro si rese conto che era arrivata l'ora di cambiare e il 10 novembre Živkov, ormai settantottenne, venne sostituito nella carica di capo dello Stato dal ministro degli Esteri Petăr Mladenov. La prontezza del politburo nel prendere questa decisione impedì che nascesse nel Paese un forte clima di tensione che potesse generare un cambiamento rivoluzionario. Di fatto anche nel dicembre del 1989, di fronte a una protesta contro il governo, Mladenov pronunciò la famosa frase: «Meglio che vengano i carrarmati» (in bulgaro: По-добре танковете да дойдат, Po-dobre tankovete da dojdat).

Mladenov si disse convinto del fallimento del sistema comunista: «È molto semplice. L'esperimento del 1917 non ha funzionato. Lenin aveva predetto che sarebbe prevalso il sistema capace di garantire una maggiore produttività, ed è stato provato che questo sistema è il capitalismo».[3]

Mladenov traghettò lo Stato dall'economia socialista a quella di mercato fino al febbraio del 1990, quando il Partito Comunista Bulgaro rinunciò volontariamente al potere: nel giugno dello stesso anno si organizzarono delle elezioni politiche che aprirono la strada del multipartitismo anche in Bulgaria. Mladenov rimase capo dello Stato fino al 6 aprile e presidente del consiglio ad interim fino al 6 luglio: il passaggio di consegne a Želju Želev determinò la fine della storia della Bulgaria socialista.

Economia[modifica | modifica wikitesto]

L'economia della Repubblica Popolare di Bulgaria è un'economia pianificata. A metà degli anni '40, quando è iniziato il processo di collettivizzazione, la Bulgaria era uno Stato prevalentemente agricolo, con circa l'80% della popolazione situata nelle aree rurali.

La Bulgaria ha conosciuto un rapido sviluppo industriale a partire dagli anni Cinquanta. Nel decennio successivo, l'economia del Paese apparve profondamente trasformata. Sebbene persistano molte difficoltà, come la povertà degli alloggi e l'insufficienza delle infrastrutture urbane, la modernizzazione è reale. Il Paese si è poi rivolto all'alta tecnologia, un settore che ha rappresentato il 14% del PIL tra il 1985 e il 1990. Le sue fabbriche producono processori, dischi rigidi, unità floppy disk e robot industriali.[4]

Elenco dei leader[modifica | modifica wikitesto]

Segretari generali del Partito Comunista Bulgaro:

Presidenti della Presidenza Provvisoria della Repubblica Popolare di Bulgaria:

Presidenti del Presidium dell'Assemblea Nazionale della Repubblica Popolare di Bulgaria:

Presidenti del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare di Bulgaria:

Primi ministri della Repubblica Popolare di Bulgaria:

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Association for Asian Research, 21 settembre 2003: La dinamica della repressione: l'impatto globale del modello stalinista, 1944-1953 (archiviato dall'url originale il 13 maggio 2008)., del dr. Balazs Szalontai.
  2. ^ Crampton, R.J., A Concise History of Bulgaria, 2005, pp. 205, Cambridge University Press.
  3. ^ Andrea Graziosi, L'Urss dal trionfo al degrado. Storia dell'Unione sovietica. 1945-1991, Bologna, Il Mulino, 2008, p. 595, ISBN 9788815120106.
  4. ^ (EN) How communist Bulgaria became a leader in tech and sci-fi | Aeon Essays, su Aeon.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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