Repubblica Napoletana (1799)

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Repubblica Napoletana
Motto: Libertà e Uguaglianza
Repubblica Napoletana - Localizzazione
Repubblica Napoletana - Localizzazione
Dati amministrativi
Nome ufficialeRepubblica Napolitana
Lingue ufficialiitaliano, francese
Lingue parlateitaliano, napoletano
CapitaleNapoli  (420.000[senza fonte] ab.)
Dipendente daBandiera della Francia Repubblica Francese
Politica
Forma di StatoRepubblica sorella
Forma di governoRepubblica direttoriale[1]
Nascita23 gennaio 1799[2]
Causaproclamazione della Repubblica
Fine22 giugno 1799
Causacapitolazione di Castel Sant'Elmo
Territorio e popolazione
Bacino geograficoItalia meridionale
Territorio originaleterritorio dell'ex Regno di Napoli
Popolazione~5.000.000[senza fonte] nel 1799
Economia
Valutagrano
Religione e società
Religioni preminenticattolicesimo
Religione di Statonessuna (Stato aconfessionale)
Classi socialinobiltà baronale, artigiani, piccoli proprietari
Regnum Siciliae citra Pharum ("Regno di Sicilia al di qua del Faro"), una stampa del periodo borbonico.
Evoluzione storica
Preceduto da Regno di Napoli
Succeduto da Regno di Napoli

«"Il vostro Claudio è fuggito, Messalina trema…" Era obbligato il popolo a saper la storia romana per conoscere la sua felicità?»

La Repubblica Napoletana, anche detta Repubblica Napolitana e, impropriamente, Repubblica Partenopea[3], fu un'entità statuale proclamata a Napoli nel 1799, ed esistita per alcuni mesi sull'onda della prima campagna d'Italia (1796-1797) delle truppe francesi della Repubblica sorta dalla Rivoluzione.

Il contesto storico e la nascita[modifica | modifica wikitesto]

I giacobini a Napoli[modifica | modifica wikitesto]

Allo scoppiare della Rivoluzione francese nel 1789 non ci sono immediate ripercussioni a Napoli; è solo dopo la caduta della monarchia francese e la morte per ghigliottina dei reali di Francia (1793) che la politica del Re di Napoli e Sicilia Ferdinando I e della sua consorte Maria Carolina d'Asburgo-Lorena (tra l'altro sorella di Maria Antonietta, e figlia dell'imperatrice d'Austria Maria Teresa) comincia ad avere un chiaro carattere antifrancese e antigiacobino. Il Regno di Napoli aderisce alla prima coalizione antifrancese e cominciano nel mentre le prime, seppur blande, repressioni sul fronte interno contro le personalità sospettate di "simpatie" giacobine.

Col diffondersi del giacobinismo, su ispirazione del farmacista Carlo Lauberg, nasce nel 1793 la Società Patriottica Napoletana, una società segreta rivoluzionaria ben presto divisa in due fazioni: una fautrice di una monarchia costituzionale (LOMO - Libertà o morte) e un'altra fautrice di una Repubblica democratica (ROMO - Repubblica o morte). Seguono i primi arresti (52) e le prime condanne a morte (8).

Nel 1796 le truppe francesi, guidate dal generale Napoleone Bonaparte cominciano a riportare significativi successi in Italia; le armate napoletane, pur forti di circa 30.000 uomini, il 5 giugno sono costrette all'armistizio di Brescia, e a lasciare ai soli austriaci l'onere della resistenza ai francesi. Nei due anni successivi i francesi continuano a dilagare in Italia; l'una dopo l'altra vengono proclamate delle repubbliche "sorelle", filofrancesi e giacobine (la Repubblica Ligure e la Repubblica Cisalpina nel 1797, la Repubblica Romana nel 1798). Nel frattempo il generale Bonaparte ha lasciato l'Italia tentando la campagna d'Egitto.

Conquista francese del Regno di Napoli[modifica | modifica wikitesto]

L'esercito francese del generale Championnet entra a Napoli il 23 gennaio 1799.
Il generale Jean Étienne Championnet, conquistatore del Regno di Napoli.

Il 23 ottobre 1798, nonostante l'armistizio di Brescia (poi ratificato nel Trattato di Parigi), con Napoleone in Egitto e i francesi a Roma, il Regno di Napoli entrava nuovamente in guerra con i francesi, con l'appoggio della flotta inglese comandata dall'ammiraglio Horatio Nelson, vincitore di Abukir. L'esercito napoletano, forte di 70.000 uomini reclutati in poche settimane e comandato dal generale austriaco Karl Mack von Leiberich entrò nella Repubblica Romana con l'intenzione dichiarata di ristabilire l'autorità papale. Dopo solo sei giorni Ferdinando IV arrivò a Roma, dove atteggiandosi a conquistatore fu oggetto delle ironie locali[4], ma una immediata e risoluta controffensiva della francese Armata di Napoli del generale Jean Étienne Championnet sbaragliò rapidamente l'esercito napoletano alla battaglia di Civita Castellana e i borbonici furono costretti alla ritirata che ben presto si trasformò in rotta.

Il Re tornò precipitosamente a Napoli, e il 21 dicembre s'imbarcò di nascosto sul Vanguard dell'ammiraglio Horatio Nelson con tutta la famiglia e John Acton, in fuga verso Palermo (portandosi dietro, tra l'altro, il denaro dei banchi e i tesori della corona[senza fonte]). Venne affidato al conte Francesco Pignatelli l'incarico di vicario generale e da questi fu dato ordine di distruggere la flotta, che venne incendiata. Seguirono alcuni giorni di confusione e anarchia. Mentre gli eletti del popolo rivendicarono il diritto di rappresentare il re, l'11 gennaio 1799 il conte Pignatelli concluse, a Sparanise, un gravoso armistizio col generale Championnet.

Alla notizia della capitolazione il popolo di Napoli e di parte delle province insorse violentemente in funzione antifrancese: è la rivolta dei cosiddetti lazzari, che oppose una forte resistenza all'avanzata francese. Il Vicario abbandonò la città, ormai in preda all'anarchia, il 17 gennaio. Nel frattempo nella città scesero però in campo anche i repubblicani, i giacobini e i filofrancesi e si giunse alla guerra civile: il 20 gennaio i filofrancesi riuscirono con uno stratagemma a entrare nella fortezza di Castel Sant'Elmo, da cui aprirono il fuoco sui lazzari che ancora contendevano l'ingresso della città ai francesi. Cannoneggiati alle spalle, furono costretti a disperdersi e il generale Championnet riuscì a schiacciare la resistenza. Circa 3.000 popolani antifrancesi furono uccisi negli scontri[5].

San Luca e la Vergine, di Giordano, in origine a Napoli e portata al Louvre e poi a Lione con le spoliazioni napoleoniche.
Morte di Sofonisba, in origine a Napoli, oggetto di spoliazioni napoleoniche, ora al Musée des Beaux-Arts di Lione
Sacra Famiglia, Schedoni, anticamente nella Chiesa di Capodimonte, ora al Louvre dopo le spoliazioni napoleoniche

Al patrimonio artistico napoletano i francesi imposero un durissimo colpo. Nel 1799 con l'arrivo a Napoli dei francesi e la breve istituzione della Repubblica Napoletana il danno fu enorme. Temendo il peggio, l'anno precedente Ferdinando aveva già trasferito a Palermo quattordici capolavori. I soldati francesi depredarono infatti numerose opere: dei millesettecentottantatré dipinti che facevano parte della collezione, di cui trecentoventinove della collezione Farnese e il restante composto da acquisizioni borboniche, trenta furono destinati alla Repubblica, mentre altri trecento vennero venduti, in particolar modo a Roma[6]. Diverse opere d'arte presero la via della Francia a causa delle spoliazioni napoleoniche al Musee Napoleon, ovvero l'attuale Louvre. Secondo il catalogo pubblicato nel Bulletin de la Société de l'art français del 1936[7], nessuna delle opere d'arte ritornò in Italia. A titolo di esempio:

Proclamazione della Repubblica[modifica | modifica wikitesto]

L'albero della libertà eretto durante la repubblica
Un ulteriore tipo di bandiera repubblicana, raffigurata nel dipinto

Il 23 gennaio, con l'approvazione e l'appoggio del comandante dell'esercito francese, viene proclamata la Repubblica Napoletana. Nasce un governo provvisorio di venti membri, poi portato a venticinque, tra cui Carlo Lauberg (il primo Presidente), Ignazio Ciaia (suo successore dalla fine di febbraio), Ercole D'Agnese (terzo Presidente) il giurista lucano Mario Pagano, Melchiorre Delfico, Domenico Cirillo e Pasquale Baffi, Cesare Paribelli. Il governo si articola in sei Comitati (Centrale, Militare, Legislazione, Polizia Generale, Finanza, Amministrazione Interna), che poi formano l'Assemblea Legislativa ed esercitano il potere esecutivo in attesa dell'organizzazione definitiva del governo. Nei giorni successivi, tra gli altri provvedimenti, viene ordinato che tutti i tribunali, gli organi civili, amministrativi e militari sino ad allora regi si dichiarino repubblicani. Il 2 febbraio si pubblica il primo numero del Monitore Napoletano, il giornale ufficiale del governo provvisorio, diretto da Eleonora Pimentel Fonseca, una letterata in passato vicina all'ambiente di corte. Vedono la luce molti altri fogli, ma la loro fortuna sarà limitata anche a causa del diffuso analfabetismo. Il 12 febbraio viene pubblicato il Catechismo ufficiale della Repubblica Napoletana, con il compito di educare i sudditi a divenire cittadini. Il "Catechismo nazionale pe'l cittadino" fu redatto dal canonico Onofrio Tataranni, dopo aver vinto il primo premio indetto dal governo provvisorio.

La vita e la caduta[modifica | modifica wikitesto]

Statua di Domenico Cirillo, martire della Repubblica napoletana

La vita della neonata Repubblica è difficile fin dagli inizi: manca l'adesione popolare e quella delle province non occupate dall'esercito francese; sebbene i repubblicani siano spesso personalità di grande rilievo e cultura, appaiono anche eccessivamente dottrinari e lontani dalla conoscenza dei reali bisogni del popolo napoletano. Inoltre la Repubblica ha un'autonomia estremamente limitata, sottoposta di fatto alla dittatura di Championnet e alle difficoltà finanziarie causate principalmente dalle richieste dell'esercito francese costantemente in armi sul suo territorio. Non si riuscirà mai a costituire un vero e proprio esercito ottenendo solo limitati successi nella democratizzazione delle province.

A questo si aggiunge una repressione spietata e sanguinaria contro gli oppositori del regime che certo non aiuta a conquistare le simpatie popolari; difatti durante i pochi mesi della repubblica moltissime persone vengono condannate a morte e fucilate dopo sommari processi politici.

Il primo governo provvisorio emana una sola legge importante, di cui fu promotore uno dei componenti dell'esecutivo, Giuseppe Leonardo Albanese, ed è quella per l'abolizione dei fedecommessi e le primogeniture (29 gennaio 1799). Il 1º aprile viene presentata una bozza di Costituzione, realizzata da Mario Pagano. Ricalcata sul modello della Costituzione francese del 1795, come tutte le altre costituzioni delle cosiddette "repubbliche giacobine" sorte in Italia tra il 1796 ed il 1799, la Costituzione partenopea presenta tuttavia alcuni caratteri di originalità. Il più lampante è l'istituto dell'Eforato, una sorta di organo di legittimità costituzionale (una corte costituzionale ante litteram).[8] La carta elaborata da Pagano non troverà applicazione a causa della breve vita della Repubblica.

Durante l'occupazione francese e nell'ambito delle spoliazioni napoleoniche, vennero individuate diverse opere dagli scavi di Pompei ed Ercolano dal generale Jean Étienne Championnet per essere inviate in Francia al Louvre, come risulta da una missiva inviata al direttorio il 7 ventoso anno VII (25 febbraio 1799):[9]

«Vi annuncio con piacere che abbiamo trovato ricchezze che credevamo perdute. Oltre ai Gessi di Ercolano che sono a Portici, vi sono due statue equestri di Nonius, padre e figlio, in marmo; la Venere Callipigia non andrà sola a Parigi, perché abbiamo trovato nella Manifattura di porcellane, la superba Agrippina che attende la morte; le statue in marmo a grandezza naturale di Caligola, di Marco Aurelio, e un bel Mercurio in bronzo e busti antichi del marmo del più gran pregio, tra cui quello d'Omero. Il convoglio partirà tra pochi giorni.»

Il 25 aprile viene approvata la legge di eversione della feudalità, sulla base di criteri relativamente radicali, ma anch'essa non potrà avere un principio di attuazione in conseguenza del repentino crollo della Repubblica.

Nel frattempo, nel resto delle province, la situazione comincia a precipitare[10]. Il cardinale Fabrizio Ruffo è sbarcato il 7 febbraio in Calabria con l'assenso regio e pochi compagni, riuscendo a costituire in poco tempo un'armata popolare (l'Esercito della Santa Fede) e a impadronirsi rapidamente della regione[11] e quindi della Basilicata e delle Puglie. Nell'esercito di Ruffo militarono anche diversi briganti come Fra Diavolo, Panedigrano, Mammone e Sciarpa, che si distinguono con metodi feroci e sanguinari, tant'è che lo stesso Ruffo ne rimane amareggiato e non riesce a placare del tutto la loro efferatezza.[12]

La presa di Sant'Elmo del 1799

In quei frangenti, una squadra navale inglese tenta la conquista dal mare, ma dopo una breve occupazione dell'isola di Procida è costretta alla ritirata dalle navi comandate dall'ammiraglio Francesco Caracciolo, un ex ufficiale della marina borbonica.

Successivamente, nell'aprile, in seguito alle sconfitte subite dalle truppe francesi in Italia settentrionale a opera degli Austro-Russi (mentre Napoleone è bloccato in Egitto dalla distruzione della sua flotta per mano di Horatio Nelson nella baia di Abukir), i francesi sono costretti a ritirarsi prima dalle province e in seguito (il 7 maggio) da Napoli. I repubblicani tentano di difendersi da soli contro l'armata sanfedista che giunge da Sud, ma il 13 giugno la città è raggiunta e viene riconquistata dalle armate del cardinale Ruffo nell'ultima battaglia al Ponte della Maddalena e nonostante la strenua resistenza del Forte di Vigliena. Pochi giorni dopo, tra il 18 e il 22 giugno si arrendono gli ultimi forti cittadini in mano ai repubblicani: Castel dell'Ovo, Castel Nuovo e Castel Sant'Elmo. Pescara, dove già da gennaio era stato proclamato un Consiglio supremo temporaneo presieduto da Melchiorre Delfico, fu l'ultima città giacobina ad arrendersi all'armata borbonica il 30 giugno.

Nel 1801 le truppe borboniche del conte Ruggero di Damas che tentano di raggiungere la Repubblica Cisalpina sono sconfitte nel combattimento di Siena il 14 gennaio (secondo altre fonti il 13 o il 16) dai gen. Miollis e Pino segue quindi l'armistizio di Foligno il 18 febbraio 1801 firmato da Gioacchino Murat per le truppe francesi e da Damas per i napoletani, cui fece poi seguito la pace di Firenze che conferma ufficialmente il Regno di Napoli alla dinastia borbonica. Tale rimarrà fino al 1806, quando le truppe Napoleoniche apriranno a Napoli una nuova "parentesi francese", monarchica, di circa dieci anni e perciò detta Decennio francese.

La restaurazione borbonica[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Repubblicani napoletani giustiziati nel 1799-1800.
Al suo rientro a Napoli, Ferdinando IV fece disperdere i resti di Masaniello, che era sepolto nella basilica del Carmine. Masaniello era stato adottato come simbolo dai repubblicani.

Ottenuta la resa dei repubblicani, restava da decidere come trattare le centinaia di persone che avevano partecipato al governo di Napoli durante l'occupazione francese. Erano state diverse centinaia le persone che avevano prestato servizio alla Repubblica napoletana. Dal punto di vista giuridico la loro posizione era molto difficile. Siccome la Repubblica napoletana non era stata riconosciuta ufficialmente (lo stesso governo francese aveva rimandato indietro, senza riceverla, una delegazione inviata allo scopo di ottenerne il riconoscimento), essi non erano considerati prigionieri di guerra (con tutte le garanzie connesse). Rischiavano pertanto di essere giudicati da un tribunale penale come traditori. Il reato di tradimento era punito con la condanna a morte. Ai repubblicani trincerati in Castel Sant'Elmo, il Comandante Generale del Re, Fabrizio Ruffo, offrì una "onorevole capitolazione", concedendo loro di optare per la fuga, imbarcandosi o seguendo le guarnigioni francesi, che avevano già abbandonato la città. Ma appena questo accordo fu sottoscritto ed accettato anche dai comandanti delle truppe regolari presenti all'assedio (comandanti delle navi inglesi e di alcuni contingenti russi e turchi), Ferdinando IV e la regina Carolina, sentendosi forti dell'appoggio inglese, lo esautorarono dal comando. I reali e il capo del gabinetto, Giovanni Acton, sapevano di poter contare sulla assoluta obbedienza dell'ammiraglio inglese Lord Orazio Nelson, notoriamente succube di Emma Hamilton e quindi della regina Maria Carolina. La repubblica fu poi dichiarata decaduta l'8 luglio dal re Ferdinando IV di Borbone.

Nei mesi seguenti, con una giunta nominata da Ferdinando, cominciarono dunque i processi contro i repubblicani: su circa 8 000 prigionieri, 124 vennero mandati a morte (si veda l'elenco dei repubblicani napoletani giustiziati nel 1799), 6 furono graziati, 222 condannati all'ergastolo, 322 a pene minori, 288 alla deportazione e 67 all'esilio. Tra i condannati vi erano alcuni tra i nomi più importanti della classe nobiliare, borghese e intellettuale di Napoli, provenienti da diverse province meridionali, che avevano dato il loro appoggio alla Repubblica; tra questi il giurista Ercole D'Agnese, Nicola Pacifico, Pasquale Baffi, Mario Pagano, Cristoforo Grossi,[13] Eleonora Pimentel Fonseca, Luisa Sanfelice, Ignazio Ciaia, Nicola Palomba, Domenico Cirillo, Giuseppe Leonardo Albanese, Vincenzio Russo, Francesco Caracciolo, Ettore Carafa, Michele Granata, Gennaro Serra di Cassano, Niccolò Carlomagno, il vescovo Michele Natale giustiziati, Giustino Fortunato senior, evaso dal carcere, e Vincenzo Cuoco, condannato all'esilio, pena in cui incorse anche il vescovo Bernardo della Torre, vicario generale dell'arcidiocesi di Napoli.

Il meridionalista Giustino Fortunato ricorda così i giustiziati della Repubblica napoletana:

«Parlo di quella vera ecatombe, che stupì il mondo civile e rese attonita e dolente tutta Italia: l'ecatombe de' giustiziati nella sola città di Napoli dal giugno 1799 al settembre 1800 per decreto della Giunta Militare e della Giunta di Stato. Il mondo, e l'Italia specialmente, sa i nomi e l'eroismo di gran parte di quegli uomini, sente ancor oggi tutto l'orrore di quelle stragi, conosce di quanto e di quale sangue s'imbevve allora quella piazza del Mercato, in cui al giovinetto Corradino fu mozzo il capo il 29 ottobre del 1268, e il povero Masaniello tradito e crivellato di palle il 16 luglio del 1647; ma pur troppo, ignora ancora tutti i nomi di quei primi martiri della libertà napoletana!»

La feroce repressione della Repubblica napoletana e lo sterminio dei patrioti che in essa avevano svolto funzioni di governo, partecipato alla attività legislativa educativa ed economica e prestato la loro opera per difenderla furono una delle maggiori tragedie della storia italiana, talvolta dimenticata. Il primo studioso italiano a dare di essa un inappellabile giudizio storico e morale fu lo storico e filosofo Benedetto Croce, secondo il quale la perfidia dei sovrani e di Nelson destarono una forte impressione non solo in Italia e in Francia, ma anche in Inghilterra, dove Charles Fox pronunciò un acceso discorso alla Camera contro il comportamento dell'ammiraglio.

«La condanna della reazione borbonica del Novantanove è una delle più fiere condanne morali che abbia pronunciato la storia. Sì, certo, le nostre simpatie personali sono per quei vinti contro quei vincitori: sono pei precursori dell'Italia nuova contro i conservatori dell'antica: sono pel fiore dell'intelligenza meridionale contro l'espressione massima dell'oscurantismo internazionale. Ma per quei vinti e contro quei vincitori, ci è di più la ribellione del nostro sentimento etico.»

Così scriveva Benedetto Croce, che continuava identificando i responsabili della sanguinosa repressione:

«Lasciamo da parte i consiglieri per cortigianeria o per esaltazione e il canagliume ch'è sempre pronto e disposto a tutto. Ma i grandi responsabili restano tre: re Ferdinando, Carolina d'Austria e il Nelson.»

Il giudizio sui primi due è senza appello:

«A re Ferdinando si è fatto forse troppo onore chiamandolo un tiranno. […] Egli pensava alla caccia, alle femmine e alla buona tavola; e purché gli lasciassero fare le dette cose, era pronto a intimare la guerra, a fuggire, a promettere, a spergiurare, a perdonare e ad uccidere, spesso ridendo allo spettacolo bizzarro.»

La regina Maria Carolina è giudicata

«...una donna che, oltre le scorrettezze e turpitudini della vita privata, è stata colta in una serie di menzogne flagranti e di violazioni di impegni solenni presi sull'onore e sulla fede. […] Spirito torbido, non ebbe né elevatezza mentale, né accorgimenti e prudenza; fece di continuo il danno suo e di tutti.»

Per l'ammiraglio inglese c'è l'attenuante (se tale si può considerare) che

«...l'odio dell'inglese, contro i francesi e i loro partigiani, lo accecasse e lo spingesse ad atti selvaggi e sleali [...] e anche l'ipotesi che egli ubbidisse ad ordini segreti del governo inglese, che volevano perpetuare nell'Italia meridionale l'antitesi e la discordia tra sovrani e sudditi, in modo che l'Inghilterra avesse sempre un piede in queste regioni, e potesse valersi delle due Sicilie pei suoi scopi militari e commerciali.»

Divisione amministrativa[modifica | modifica wikitesto]

La divisione amministrativa della Repubblica Napolitana fu effettuata con la Legge del 21 piovoso, Anno 7º "concernente la divisione del Territorio continentale della Repubblica Napolitana" e seguenti per le divisioni dei Dipartimenti in Cantoni e Comuni[14].

Dipartimenti
(Capoluogo)
Cantoni
(Capoluogo)
(sotto)Cantoni
(Capoluogo)
Comuni
nº 1 "della Pescara"
(L'Aquila)
16 Cantoni -
nº 2 "del Garigliano"
(San Germano)
15 Cantoni -
nº 3 "del Volturno"
(Capua)
18 Cantoni -
nº 4 "del Monte Vesuvio"
(Napoli)
8 Cantoni:
4.1º Napoli
4.2º Pozzuoli
4.3º Secondigliano
4.4º Barra
4.5º Torre del Greco
4.6º Torre dell'Annunziata
4.7º Ischia
4.8º Procida
4.1Aº Montelibero
4.1Bº Colle-Giannone
4.1Cº Sebeto
4.1Dº Sannazzaro
4.1Eº Masaniello
4.7Aº Ischia
4.7Bº Forio
4.2.1º Pozzuoli
4.2.2º Fuorigrotta
4.2.3º Santostrato
4.2.4º Soccavo
4.2.5º Pianura
4.3.1º Secondigliano
4.3.2º Chiajano
4.3.3º Pollica
4.3.4º Marianella
4.3.5º Piscinola
4.3.6º Miano
4.4.1º Barra
4.4.2º San Giovanni a Teduccio
4.4.3º Ponticelli
4.4.4º Santo Jorio
4.4.5º Portici
4.4.6º San Sebastiano
4.4.7º Massa
4.4.8º Pollena
4.4.9º Trocchia
4.5.1º Torre del Greco
4.5.2º Resina
4.6.1º Torre dell'Annunziata
4.6.2º Bosco Pompeo
4.6.3º Bosco Tre Case
4.7A.1º Barano
4.7A.2º Testaccio
4.7A.3º Morapano
4.7A.4º Fontana
4.7A.5º Serrano
4.7B.1º Lacco
4.7B.2º Panza
4.7B.3º Rufano
4.7B.4º Casamicciola
4.8.1º San Cataldo
nº 5 "del Sangro"
(Lanciano)
16 Cantoni -
nº 6 "dell'Ofanto"
(Foggia)
14 Cantoni -
nº 7 "del Sele"
(Salerno)
13 Cantoni -
nº 8 "dell'Idro"
(Lecce)
14 Cantoni -
nº 9 "del Bradano"
(Matera)
12 Cantoni:
9.1º Matera
9.2º Altamura
9.3º Molfetta
9.4º Bisceglie
9.5º Trani
9.6º Barletta
9.7º Montepeloso (Irsina)
9.8º Potenza
9.9º Marsico Nuovo
9.10º Monte Muro
9.11º Sigliano
9.12º Pisticci
-
nº 10 "del Crati"
(Cosenza)
10 Cantoni -
nº 11 "della Sagra"
(Catanzaro)
10 Cantoni -

Esercito[modifica | modifica wikitesto]

L'Esercito della Repubblica Napolitana fu costituito con Disposizione del 25 fiorile Anno 7º (14 maggio 1799) ed era formato da:

  • 4 Legioni,
    • ognuna formata da 3 Battaglioni,
      • ognuno formato da 9 Compagnie,
        • ognuna formata da 2 Plotoni,
          • ognuna formata da 2 Squadre,
            • ognuna formata da 2 Gruppi di Fuoco.

In specifico l'ordine di battaglia era il seguente[15], l'anzianità per i pari grado era data dalla posizione nella prima Unità dei primi Reparti:

  • Esercito della Repubblica Napolitana (13.140) militari, comandata dal Cittadino Pasquale Matera)
    • 1ª Legione di Linea di Fanteria "la Sannita" (3.259 militari, comandata dal Capo di Legione Antonio Belpulzi)
      • 1 Capo di Legione Antonio Belpulzi
      • 1º Battaglione di Linea di Fanteria (1.086 militari, comandata dal Capo di Battaglione Domenico Santandres)
        • Stato Maggiore (6 militari, comandato dal Capo di Battaglione Domenico Santandres)
        • Stato Minore (13 militari, comandato dall'Aiutante Antonio Gomez)
          • 1 Aiutante Antonio Gomez
          • 1 Tamburo Maggiore
          • 8 Istrumentisti
          • 1 Sartore
          • 1 Calzolaio
          • 1 Armiere
        • Compagnia di Granatieri (83 militari, comandata dal Capitano Baldassarre Landini)
          • Stato Maggiore (3 militari, comandato dal Capitano Baldassarre Landini)
          • 1º Plotone (40 militari, comandato dal Primo Tenente Gaetano Dentice)
            • Stato Maggiore (2 militari, comandato dal Primo Tenente Gaetano Dentice)
            • 1ª Squadra (19 militari, comandata da un Sergente)
              • 1 Sergente
              • 1º Gruppo di Fuoco (9 militari, comandata da un Caporale)
                • 1 Caporale
                • 8 Granatieri
              • 2º Gruppo di Fuoco (9 militari, comandata da un Caporale)
            • 2ª Squadra (19 militari, comandata da un Sergente)
          • 2º Plotone (40 militari, comandato dal Secondo Tenente Giuseppe Gaston)
        • 1ª Compagnia di Fucilieri (123 militari, comandata dal Capitano Giovanni De Montau)
          • Stato Maggiore (3 militari, comandato dal Capitano Giovanni De Montau)
          • 1º Plotone (60 militari, comandato dal Primo Tenente Giuseppe Lopez)
            • Stato Maggiore (2 militari, comandato dal Primo Tenente Giuseppe Lopez)
            • 1ª Squadra (29 militari, comandata da un Sergente)
              • 1 Sergente
              • 1º Gruppo di Fuoco (14 militari, comandata da un Caporale)
                • 1 Caporale
                • 13 Fucilieri
              • 2º Gruppo di Fuoco (14 militari, comandata da un Caporale)
            • 2ª Squadra (29 militari, comandata da un Sergente)
          • 2º Plotone (60 militari, comandato dal Secondo Tenente Francesco Forni)
        • 2ª Compagnia di Fucilieri (Carlo Dopuy)
        • 3ª Compagnia di Fucilieri (Luigi Mira)
        • 4ª Compagnia di Fucilieri (...)
        • 5ª Compagnia di Fucilieri (...)
        • 6ª Compagnia di Fucilieri (Giovanni Macklin)
        • 7ª Compagnia di Fucilieri (Salvatore Bevilacqua)
        • 8ª Compagnia di Fucilieri (Colombo Andreassi)
      • 2º Battaglione di Linea di Fanteria (Giovan Battista Dumarteau)
      • 3º Battaglione di Linea di Fanteria (Angelo d'Ambrosio)
    • 2ª Legione di Linea di Fanteria "la Volturna" (...)
      • 1º Battaglione di Linea di Fanteria (Antonio Pineda
      • 2º Battaglione di Linea di Fanteria (Francesco Rossi)
      • 3º Battaglione di Linea di Fanteria (Rocco Lentini)
    • 3ª Legione di Linea di Fanteria "la Salentina" (...)
    • 4ª Legione di Linea di Fanteria "la Lucana" (...)
      • 1º Battaglione di Linea di Fanteria (Giosuè Ritucci)
      • 2º Battaglione di Linea di Fanteria (Angelo Pescetti)
      • 3º Battaglione di Linea di Fanteria (Timoteo Bianchi)
    • Aggiunti Volontari (107 volontari)

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Governo provvisorio rivoluzionario sotto supervisione francese(nei primi mesi)
  2. ^ Repubblica Napoletana, in Dizionario di storia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010.
  3. ^ «Partenopeo» significa relativo alla città di Partenope, il nucleo originario della città di Napoli. Per estensione l'aggettivo viene riferito all'intera città di Napoli. «Napolitano», invece, modernizzato in «napoletano», vuol dire riferito all'intero popolo napoletano, cioè il popolo che storicamente insiste sul territorio che è stato del Regno di Sicilia citra faro, del Regno di Napoli e infine della parte continentale del Regno delle Due Sicilie, detta «il Napolitano». D'altro canto, il termine è rimasto in uso sino a ben oltre l'unità d'Italia: il plebiscito promosso da Garibaldi si chiamava «plebiscito delle province napolitane» e così venivano chiamate le province annesse dalle modifiche alla legge Rattazzi relative alla parte continentale del Regno delle due Sicilie annessa al Regno di Sardegna, poi chiamato Regno d'Italia.
  4. ^ Dopo la rapida ritirata dei borbonici si diffuse a Roma la battuta riferita a re Ferdinando: "in pochi dì, venne, vide e fuggì"; in I. Montanelli/M. Cervi, Due secoli di guerre, vol. II, p. 82.
  5. ^ AA.VV., Storia d'Italia, vol. 6, p. 98.[senza fonte]
  6. ^ Touring Club Italiano, 2012, p. 12.
  7. ^ Marie-Louise Blumer, Catalogue des peintures transportées d'Italie en Francce de 1796 à 1814, in Bulletin de la Société de l'art français, 1936, fascicule 2.
  8. ^ Maria Rosa Di Simone, Istituzioni e fonti normative in Italia dall'Antico Regime al fascismo, p. 111, Giappichelli, Torino, 2007.
  9. ^ Maria Antonietta Macciocchi, Napoleone lo scippo d'Italia, in Corriere della Sera, 6 maggio 1996.
  10. ^ Claudia Petraccone, La rivoluzione napoletana del 1799, Studi Storici, Anno 26, No. 4 (Oct. - Dec., 1985), pp. 929-936.
  11. ^ Francesco Placco, La situazione crotonese raccontata da Fabrizio Ruffo a Ferdinando I, su Archivio Storico Crotone. URL consultato il 03/10/2019.
  12. ^ Benedetto Croce, La riconquista del regno di Napoli nel 1799, Laterza, 1943, p.227
  13. ^ Cristoforo Grossi
  14. ^ Legge del 21 piovoso, Anno 7º "concernente la divisione del Territorio continentale della Repubblica Napolitana" e seguenti per le divisioni dei Dipartimenti in Cantoni e Comuni
  15. ^ Disposizione del 25 fiorile Anno 7º (14 maggio 1799)

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