Referendum abrogativo in Italia del 1974

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Referendum abrogativo in Italia del 1974
StatoBandiera dell'Italia Italia
Data12 e 13 maggio 1974
Tipoabrogativo
Esito
  
40,7%
No
  
59,3%
Quorum raggiunto
Affluenza87,72%
Risultati per provincia

     Sì

     No

Il referendum abrogativo in Italia del 1974 si tenne il 12 e 13 maggio ed ebbe come oggetto la disciplina normativa con cui era stato introdotto l'istituto del divorzio, previsto dalla «legge 1º dicembre 1970, n. 898», nota anche come «legge Fortuna-Baslini» (dal nome dei primi firmatari del progetto in sede parlamentare).

Contesto storico[modifica | modifica wikitesto]

Entrata in vigore nel 1970, la legge aveva introdotto il divorzio in Italia, causando controversie e opposizioni, in particolare da parte di molti cattolici (la dottrina cattolica sancisce l'indissolubilità del vincolo matrimoniale, ma gli antidivorzisti presentarono la loro posizione come motivata laicamente, cioè desunta dall'essenza stessa del matrimonio come istituto di diritto naturale, non come sacramento).

Il fronte divorzista intese la sua battaglia nel senso d'un ampliamento delle libertà civili, ma anche a un cambiamento in senso libertario del quadro politico nazionale: alla vittoria del "No" nel 1974 seguiranno infatti importanti conquiste elettorali delle sinistre nel 1975 e nel 1976 e la formazione di governi con l'appoggio esterno del PCI prima nel 1976 e poi nel 1978.

Il quadro sociale[modifica | modifica wikitesto]

Manifesto dell'Unione donne italiane

Al momento della promulgazione della legge, il fronte sociale e politico era fortemente diviso sull'argomento. Le forze laiche e liberali si erano fatte promotrici dell'iniziativa parlamentare[1] (la legge nacque, infatti, a opera del socialista Loris Fortuna e del liberale Antonio Baslini). Forti differenze erano comunque presenti fra le avanguardie più radicali (femministe, LID, Partito Radicale, l'ala socialista di Fortuna) e parti consistenti del PCI orientate verso una trattativa con la DC, o l'ala socialista di De Martino[2][3].

Il comitato promotore del referendum era guidato da Gabrio Lombardi e schierava nella campagna contro il divorzio diversi intellettuali e politici, tra i quali Salvatore Satta, Sergio Cotta, Augusto del Noce, Carlo Felice Manara, Enrico Medi, Giorgio La Pira, Alberto Trabucchi, Giovanni Battista Migliori, Lina Merlin e Ugo Sciascia[4]. La Democrazia Cristiana e il Movimento Sociale Italiano si erano opposti alla legge[1], ma parte del mondo cattolico si era comunque dichiarato favorevole, come le ACLI o il movimento dei cattolici democratici di Mario Gozzini, Pietro Scoppola, Raniero La Valle e Paolo Prodi[5]. Fra i movimenti cattolici i Comitati Civici[6] e Comunione e Liberazione erano rimasti completamente fedeli alle indicazioni della CEI[3].

Il Vaticano aveva covato in un primo tempo il progetto d'un divorzio ammissibile per i matrimoni civili e vietato per i matrimoni concordatari (il progetto era piaciuto ad Andreotti, ma aveva grossi difetti, anche per la Chiesa): c'era il rischio, con questa normativa, d'incrementare enormemente il numero dei matrimoni civili. Fanfani aveva preferito una battaglia campale, confortato in questo da tutto il suo partito, anche se la sinistra DC e il governo (compreso il presidente del Consiglio Mariano Rumor) rimasero in disparte durante la campagna referendaria[2].

Lo schieramento del «no» era molto ampio, andando dal PLI di Giovanni Malagodi agli extraparlamentari di sinistra[2].

Quesito e posizioni dei partiti[modifica | modifica wikitesto]

Quesito: «Volete che sia abrogata la legge 1º dicembre 1970, n. 898, "Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio"?»

Marco Pannella del Partito Radicale al tempo della campagna a favore del «no»

Sì (contro il divorzio)[modifica | modifica wikitesto]

No (favorevoli al divorzio)[modifica | modifica wikitesto]

Libertà di scelta[modifica | modifica wikitesto]

Risultati[modifica | modifica wikitesto]

Scelta
Voti
%
Si 
13 157 558 40,74
 No
19 138 300 59,26
Totale
32 295 858
100
Schede bianche
425 694
1,29
Schede nulle
301 627
0,91
Votanti
33 023 179
87,72
Elettori
37 646 322
Esito: Quorum raggiunto

Risultati per area[modifica | modifica wikitesto]

Sostanzialmente il Centro-Nord e le Isole si espressero in senso contrario all'abrogazione, mentre il Sud si espresse in senso anti-divorzista. Il no prevalse però in Abruzzo e il sì in Veneto e Trentino-Alto Adige (favorito dalla vittoria del sì con il 51,5% in Trentino, mentre in Alto Adige prevalse il no con il 50,38%)[9].

La regione che più si espresse contro l’abrogazione della legge sul divorzio fu la Valle d’Aosta, con il 75,06% di voti contrari. Seguirono Liguria (72,57%) e Emilia Romagna (70,97%). La regione che più si espresse favorevolmente fu invece il Molise (60,04% di voti favorevoli), seguita da Basilicata (53,58%) e Puglia (52,60%).

Regione % No % Votanti %
  Valle d'Aosta 16.753 24,94% 50.412 75,06% 69.731 86,81%
  Piemonte 838.143 29,17% 2.035.546 70,83% 2.954.956 90,79%
  Liguria 335.075 27,43% 886.343 72,57% 1.249.008 89,42%
  Lombardia 2.172.595 40,09% 3.246.669 59,91% 5.545.794 93,15%
  Trentino-Alto Adige 247.917 50,60% 242.051 49,40% 505.578 89,82%
  Veneto 1.322.964 51,08% 1.267.001 48,92% 2.650.676 93,60%
  Friuli-Venezia Giulia 292.762 36,16% 516.798 63.84% 827.951 89,94%
  Emilia-Romagna 771.689 29,03% 1.886.376 70,97% 2.718.077 95,28%
  Toscana 722.105 30,40% 1.653.198 69,60% 2.425.088 93,95%
  Marche 370.794 42,38% 504.226 57,62% 903.809 92,28%
  Umbria 170.054 32,63% 351.077 67,37% 532.525 92,79%
  Lazio 1.042.313 36,62% 1.804.009 63,38% 2.892.505 89,58%
  Abruzzo 332.899 48,87% 348.229 51,13% 698.591 82,16%
  Molise 104.221 60,04% 69.372 39,96% 178.484 75,87%
  Campania 1.300.382 52,23% 1.189.374 47,77% 2.536.839 79,27%
  Basilicata 159.339 53,58% 138.024 46,42% 306.461 78,87%
  Puglia 996.017 52,60% 897.630 47,40% 1.930.165 84,66%
  Calabria 460.118 50,85% 444.732 49,15% 929.809 74,14%
Bandiera della Sicilia Sicilia 1.163.630 49,42% 1.190.268 50,58% 2.404.640 76,59%
  Sardegna 338.344 44,80% 416.965 55,20% 768.792 81,93%

Conseguenze politiche[modifica | modifica wikitesto]

Il segretario della Democrazia Cristiana, Amintore Fanfani, al voto il 12 maggio 1974: principale sostenitore del fronte del «sì», Fanfani pagò il maggiore scotto dall'esito referendario.

L'esito del referendum fu interpretato come una dura sconfitta personale per Amintore Fanfani, visto come l'attore principale del fronte del «sì»[10]: il segretario della DC, infatti, si era intestato la battaglia referendaria per ragioni ideali di coerenza cristiana, nella consapevolezza da parte degli altri esponenti DC, tra cui Moro, della difficoltà del compito[11].

A detta dello schieramento avverso, Fanfani aveva cercato di sfruttare la campagna referendaria anche a fini prettamente politici[12], nell'ipotesi che un'eventuale vittoria abrogazionista avrebbe frenato l'allora ascesa del PCI di Enrico Berlinguer, tra i maggiori esponenti del fronte del «no». Famosa rimase la vignetta satirica di Giorgio Forattini a commento dell'esito del voto referendario, pubblicata dal quotidiano politico di sinistra Paese Sera, nella quale, ironizzando sulla bassa statura del leader DC, faceva decollare il «tappo» con l'effigie di Fanfani da una bottiglia di champagne avente l'etichetta «NO»[13].

La sconfitta antidivorzista rappresentò di fatto l'arresto del protagonismo politico di Fanfani, tra i più longevi protagonisti della Prima Repubblica, su una dimensione pubblica: la successiva sconfitta democristiana alle elezioni regionali del 1975 lo costringerà a lasciare la carica di segretario a Benigno Zaccagnini[10].

La vittoria del «no» fu un duro colpo anche per la Chiesa, che aveva sospeso a divinis l'abate dom Franzoni, favorevole al mantenimento della legge. Fanfani, nel luglio 1974, tentò di spiegare la sconfitta e di attenuarne la portata durante un Consiglio nazionale in cui sostenne che «la DC non promosse né incoraggiò la richiesta di referendum» e che «non possiamo concedere che l'essere riusciti a far convergere sulle tesi sostenute ben tredici milioni di voti rappresenti una sconfitta»[2].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Fausto De Luca, Saragat firma la legge sul divorzio. Il «decretone» trasmesso al Senato, in La Stampa, 2 dicembre 1970. URL consultato il 18 dicembre 2012.
  2. ^ a b c d Indro Montanelli e Mario Cervi, L'Italia degli anni di piombo, Milano, Rizzoli, 1991.
  3. ^ a b Giambattista Scirè, Il divorzio in Italia. Partiti, Chiesa, società civile dalla legge al referendum, Milano, Mondadori, 2007, ISBN 978-88-6159-033-5, p. IX.
  4. ^ Redazione romana, Movimentata conferenza-stampa in un albergo a Roma Gli antidivorzisti parlano del referendum Urla per le domande poste dagli avversari La relazione sulla raccolta delle firme e sui motivi dell'opposizione alla legge Fortuna-Baslini tenuta dal prof. Gabrio Lombardi - L'ex senatrice Merlin dice di..., in La Stampa, 23 giugno 1971, p. 2.
  5. ^ 12 maggio. Il significato culturale del referendum sul divorzio, su culturacattolica.it. URL consultato il 28 aprile 2014.
  6. ^ Vittorio Gorresio, Le fanterie di Gedda - Chi si rivede: il professor Luigi Gedda, in La Stampa, 15 gennaio 1974, p. 2.
    «... Egli è difatti ricomparso l'11 gennaio nella Sala rossa di Palazzo Barberini ... per celebrare il venticinquennio della fondazione dei Comitati civici, un giubileo come un altro in queste ferie di anni santi. Sembra del resto che stia per scoccare sul quadrante della povera storia d'Italia una nuova data che squilla: quella del referendum contro il divorzio. La vigilia mobilita le cosiddette « fanterie cattoliche »»
  7. ^ Il 10 luglio 1972 il Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica confluì nel Movimento Sociale Italiano, che assunse la denominazione di «Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale».
  8. ^ Grande vittoria della libertà [collegamento interrotto], in l'Unità, 14 maggio 1974. URL consultato il 10 agosto 2010.
  9. ^ La vittoria del divorzio In Alto Adige per un soffio - Bolzano, su Alto Adige. URL consultato il 29 novembre 2020.
  10. ^ a b Giampaolo Pansa, La caduta di Fanfani, in la Repubblica, 8 maggio 2004. URL consultato il 9 dicembre 2015.
  11. ^ Ettore Bernabei, il primato della politica, 2021, Marsilio Editori.
  12. ^ Maurizio Crippa, Fanfani, Pasolini e storie cattoliche, su ilfoglio.it, 13 maggio 2014. URL consultato il 9 dicembre 2015 (archiviato dall'url originale il 13 marzo 2016).
  13. ^ Luciano Fioramonti, I 90 anni di Forattini, 'il mio un racconto di libertà', su ansa.it, 13 marzo 2021.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]