Pyongyang (azienda)

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Insegna del ristorante Pyongyang di Phnom Penh, in Cambogia

Pyongyang è una catena di 130 ristoranti, che portano il nome della capitale della Corea del Nord, situati in una dozzina di Paesi del mondo[1]. I ristoranti sono di proprietà e sono gestiti dal Gruppo Haedanghwa, un'organizzazione appartenente al governo della Corea del Nord[2].

Presenza[modifica | modifica wikitesto]

I ristoranti Pyongyang si trovano principalmente in Cina, nelle vicinanze del confine con la Corea del Nord, ma anche a Pechino e Shanghai; negli anni 2000, comunque, la catena si è ampliata in diverse città dell'Asia sud-orientale tra cui Bangkok, Phnom Penh[3], Siem Reap, Ho Chi Minh, Hanoi, Đà Nẵng, Vientiane, Dacca[4] Giacarta[5] e Kuala Lumpur[6]. Vi è inoltre un ristorante a Ulan Bator, in Mongolia, e uno a Catmandù, in Nepal. I ristoranti, che inizialmente attraevano principalmente uomini d'affare sudcoreani, sono oggi diventati popolari tra i turisti curiosi[7].

Il primo ristorante della catena ad aprire in un Paese occidentale è stato quello di Amsterdam: il ristorante, aperto nel quartiere di Osdorp nel 2012, assieme a comproprietari locali[8], ha un menù e una politica differente dalle controparti asiatiche, in quanto qui non si serve né la carne di cane né il vino al ginseng. Comunque, nel settembre del 2012, a seguito di controversie tra lo staff coreano e il partner olandese, il ristorante ha chiuso[9]. È stato riaperto nel dicembre dell'anno successivo, con il nome Haedanghwa, in una nuova posizione[2]; tale ristorante ha chiuso un anno dopo.

Anche il ristorante di Bangkok è rimasto temporaneamente chiuso, ma è stato riaperto nel 2015. Al contrario, le loro filiali di Pattaya sono rimaste chiuse. È stato riportato che sarebbe stata aperta una nuova filiale in Scozia, a seguito dell'interesse che Kim Jong-un ha provato nei confronti del Paese a seguito del referendum sull'indipendenza del 2014, sebbene questa ipotesi sia stata negata dagli ufficiali nordcoreani[10][11]. Secondo il quotidiano nipponico Yomiuri Shimbun nella sola Cina sono presenti un centinaio di ristoranti nordcoreani della catena[12].

Servizio[modifica | modifica wikitesto]

Una donna nordcoreana alle prese con un'esibizione nel ristorante Pyongyang di Phnom Penh

Nei ristoranti si serve, ovviamente, cibo coreano, tra cui il kimchi, il raengmyeon, le seppie grigliate e la zuppa di carne di cane. Gli avventori possono inoltre comperare prodotti nordcoreani come il vino di ginseng e un afrodisiaco senza etichetta che dicono essere fatto dagli orsi[6]. I prezzi del ristorante sono tendenzialmente alti e in dollari americani[6].

Lo staff del ristorante è in genere composto da giovani e attraenti donne nord coreane vestite con il costume tradizionale, il Chosŏn-ot; oltre a servire ai tavoli, lo staff deve intrattenere i clienti con esecuzioni canore al karaoke e con coreografie che seguono lo stile dei grandi giochi di massa nordcoreane[6][13]. Tutti i membri dello staff provengono dalla Corea del Nord e in genere lavorano con un contratto di tre anni e sono spesso laureati altamente qualificati delle scuole d'arte[3]. Non è generalmente concesso scattare fotografie all'interno dei ristoranti[3][6].

Controversie[modifica | modifica wikitesto]

Secondo il giornalista svedese Bertil Lintner, la catena è una delle molteplici iniziative imprenditoriali all'estero della Divisione 39, un'organizzazione del governo nordcoreano dedita all'acquisizione e al riciclaggio di denaro estero per la classe dirigente della Repubblica Popolare[6].

Vari dissidenti nordcoreani hanno riportato che i ristoranti sono gestiti da intermediari locali che devono annualmente pagare tra i 10 e i 30.000 dollari americani al governo della Corea del Nord[6][13]. Lo staff nordcoreano, che vive all'interno del ristorante stesso[3], si dice che viva come fosse schermato affinché la lealtà di questi nei confronti del regime non muti e che sia controllato assiduamente da agenti della sicurezza nordcoreani sul campo[6]. Negli anni 2000, secondo il giornale online Daily NK, vi sono stati vari tentativi di fuga da parte di camerieri dei ristoranti in Cina; come reazione a tali fughe, sono state chiuse diverse filiali e lo staff è stato rimpatriato[14][15]. Nel 2016, la Corea del Sud ha annunciato che tredici dei lavoratori nei ristoranti sono riusciti a fuggire da uno dei ristoranti all'estero della catena Pyongyang[16][17].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Sang-Hun Choe, North Korea Threatens South Korea over 13 Defectors, New York Times, 13 aprile 2016. URL consultato il 13 aprile 2016.
  2. ^ a b DPRK Restaurant in Amsterdam Reopened Under New Ownership, su North Korea Leadership Watch. URL consultato il 30 agosto 2014 (archiviato dall'url originale il 5 settembre 2014).
  3. ^ a b c d Filmato video Ed Butler, Mort Pour La France (MP3), From Our Own Correspondent, BBC, 7 giugno 2014, a 22 min 25 s. URL consultato il 7 giugno 2014.
  4. ^ Devirupa Mitra, Dining with Dear Leader in Dhaka, su The Sunday Standard, New Indian Express. URL consultato il 20 maggio 2015.
  5. ^ Tash Roslin, North Korea’s Hidden Menu, su thejakartaglobe.com, Jakarta Globe, 6 maggio 2010. URL consultato il 10 marzo 2014.
  6. ^ a b c d e f g h Sebastian Strangio, Kingdom Kim's Culinary Outposts: Inside the bizarre world of Asia's North Korean restaurant chain., in Slate, 22 marzo 2010. URL consultato il 23 marzo 2010.
  7. ^ Pyongyang Restaurants Extending Reach in Southeast Asian Cities (public domain text as cited), su voanews.com, Voice of America, Khmer-English. URL consultato il 13 gennaio 2012 (archiviato dall'url originale il 7 dicembre 2011).
  8. ^ Pyongyang Restaurant, [Archived link]
  9. ^ Noord-Koreaans restaurant al weer dicht, in AT5 Nieuws, 5 settembre 2012. URL consultato il 6 settembre 2012.
  10. ^ Kim Jong-un 'set to open a new restaurant in SCOTLAND', su mirror.co.uk.
  11. ^ North Korea denies reports Kim Jong-un is to open state-backed restaurant in Scotland, in The Independent. URL consultato il 12 maggio 2015.
  12. ^ NK eateries in Liaoning ban S.Korean customers - Global Times, su globaltimes.cn, 17 giugno 2016. URL consultato il 13 settembre 2016.
  13. ^ a b Min Se Kim, North Korean Restaurants in China Send $10,000–30,000 Annually Back to Its Native Country, in Daily NK, 19 giugno 2007. URL consultato il 23 marzo 2010.
  14. ^ Jeong Hyun Kwon, North Korean Restaurant in China Shuts Down as Receptionist Escapes, in Daily NK, 21 marzo 2007. URL consultato il 23 marzo 2010.
  15. ^ Yong Hun Kim, Waitresses Flee North Korean Restaurants in Qingdao China, in Daily NK, 15 dicembre 2006. URL consultato il 23 marzo 2010.
  16. ^ (EN) North Korean staff at restaurant in third country defect to South, su Reuters India, 8 aprile 2016. URL consultato l'8 aprile 2016.
  17. ^ North Korean restaurant defectors 'were in China and left legally', in BBC News, 12 aprile 2016. URL consultato il 12 aprile 2016.

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