Pizza Margherita

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Pizza Margherita
Origini
Luogo d'origineBandiera dell'Italia Italia
RegioneCampania
Diffusionemondiale
Dettagli
Categoriapiatto unico
Ingredienti principaliper l'impasto: farina di grano tenero (tipo 0 o 00 o una miscela di entrambi), lievito naturale o lievito di birra, sale e acqua.
Condimento: pomodoro, fior di latte, basilico fresco, sale, olio

La pizza Margherita è la tipica pizza napoletana. Condita con pomodoro, fiordilatte[1], basilico fresco, sale e olio è assieme alla pizza marinara la pizza italiana più popolare.

Rappresenta sicuramente il simbolo per antonomasia del patrimonio culturale e culinario italiano, diffusa per la sua fama in tutto il mondo.

La leggenda[modifica | modifica wikitesto]

Nel giugno 1889 il cuoco Raffaele Esposito della Pizzeria Brandi fu convocato alla Reggia di Capodimonte per cucinare tre pizze su invito della Regina d'Italia Margherita di Savoia. La sovrana apprezzò particolarmente la pizza con pomodoro, mozzarella e basilico, colori della bandiera italiana. Il piatto venne quindi immediatamente ribattezzato in onore della sovrana[2][3] (con riferimento al fatto che il termine "pizza", allora sconosciuto al di fuori della città partenopea, indicava quasi sempre le torte dolci), dove i condimenti salati capitatigli tra le mani, pomodoro, fiordilatte e basilico, rappresentavano gli stessi colori della bandiera italiana. Non sono certi invece i condimenti delle altre due pizze preparate da Esposito.

Pizza quasi Margherita
Targa commemorativa del presunto centenario della nascita della pizza secondo la leggenda

A riprova del fatto è conservata all'interno della Pizzeria Brandi un documento che recita:

«Casa di S.M. Capodimonte 11 giugno 1889 Ispezione Ufficio di Bocca Pregiatissimo Sig. Raffaele Esposito Brandi Le confermo che le tre qualità di Pizze da Lei confezionate per Sua Maestà la Regina vennero trovate buonissime Mi creda di Lei Devotissimo Galli Camillo Capo dei Servizi di Tavola della Real Casa»

Sull'autenticità del documento sono stati sollevati numerosi dubbi. Zachary Nowak, docente di storia di Harvard e direttore del The Umbra Institute, ha trovato numerose discrepanze, come il tipo di timbro impiegato, la mancanza dell'intestatura, la grafia e la firma di Galli e infine l'assenza della lettera indirizzata ad Esposito nell'elenco dei protocolli con cui vengono registrate le comunicazioni in entrata e in uscita da corte[4]. Particolarmente curioso risulta anche il fatto che Esposito venga chiamato anche con il cognome della moglie (Brandi)[5].

La storia[modifica | modifica wikitesto]

Sul quotidiano romano Il Bersagliere del 19 giugno 1880 comparve quest'articolo[4]:

«Pizze alla napolitana - Giovanni Brandi è uno dei più famosi negozianti di pizze alla napolitana. Egli tiene in Napoli parecchi negozi di questo ghiotto commestibile, di cui si fa assai prospero commercio. Sere or sono la sua pizzeria posta al grottone di Palazzo fu visitata da un signore, il quale disse al pizzaiuolo che S.M la Regina desiderava di mangiare le pizze alla napolitana. Il pizzaiuolo, contento come dieci pasque, andò dal principale Giovanni Brandi che ha la bottega alla Speranzella, e che egli rappresenta al Grottone, e gli disse dell'incarico dato dalla Regina. Questi, la mattina seguente, indossato un abito da festa, si presentò in carrozzino, insieme al suo capo-giovane che sta al Grottone, e mercé un biglietto di riconoscimento, fu ammesso in corte. Trovò in una stanza alcuni gentiluomini che stavano a pranzo ed offrirono loro del Capri; poi fu introdotto dalla Regina. Sua Maestà sedeva su una sedia a bracciuoli; un gentiluomo di Corte - figuratevi che il Brandi stesso racconti - disse alcune parole in francese alla Regina, la quale domandò che specie di pizze sapesse egli fare. Il Brandi trasse fuori un foglio di carta bollata, sul quale, per maggiore pulizia, aveva scritto l'elenco di 35 qualità di pizze, tra le quali pregò S.M. di scegliere. La Regina lesse, e punta dalla curiosità di sapere che cosa fossero i cicinielli e gli gammarielli, gli ordinò che fra le altre facesse quelle due qualità di pizze per il giorno seguente. Brandi rimase un po' interdetto; sudava freddo per l'emozione. Disse alla Regina: << Come si fa, per sua Maestà che è avvezza alla cucina col burro e non mangia roba fatta colla nzogna, a farle pizze alla napoletana?>>. <<Non vi preoccupate di questo>> rispose la Regina. <<Io voglio che voi mi facciate le "pizze come siete solito di farle pel popolo di Napoli">> (sono parole testuali). Giovanni Brandi fu mandato alle cucine; dispose certi accomodi per i forni, ordinò della legna e delle pampuglie: e disse che quanto al resto avrebbe pensato lui. L'indomani, che fu il 14 scorso, Brandi andò a Capodimonte for- nito di pale, fiore di farina, cicinielli, alici, gammarielli, nzogna, olio, otto rotoli di pasta e molto altro ben di Dio. Scese in cucina, si scamiciò, si pose il grembiale, la berretta di tela e si diede all'opera. Grande curiosità in Corte, al rumore cadenzato del pizzaiuolo che stendeva la pasta; il Principino non può attender più; vuole a forza una pizza, gli si è presentata, la mangia, gli piace. Più tardi escono otto grandi pizze, fumanti, friggenti, fragranti: la Regina ne saggia un poco di tutte, e n'è assai contenta. Gran gioia e commozione di Brandi, il quale domanda la grazia di mettere lo stemma reale sulla sua pizzeria[6]

L'articolo verrà ripreso alcuni giorni dopo anche da alcuni quotidiani statunitensi, tra cui il Chicago Daily Telegraph[7].

Lo storico Luca Cesari ipotizza che la pizzeria visitata dall'emissario della casa Reale, fosse quella gestita dagli eredi del celebre pizzaiolo Pietro Calicchio, in salita Sant'Anna di Palazzo, a breve distanza dalla zona del Grottone (Galleria Borbonica). Come riportato nell'articolo, ad essere avvisato di quanto avvenuto dal pizzaiolo non fu però il padrone della pizzeria (Ferdinando Calicchio), ma Giovanni Brandi, titolare della pizzeria della Speranzella. Cesari ipotizza quindi che alla base di questo singolare avvenimento altro non vi fosse che un forte legame tra i due soggetti e che il pizzaiolo altri non fosse che Raffaele Esposito, genero di Brandi[8]. Nell'articolo non si fa alcun riferimento agli ingredienti base della pizza Margherita, pomodoro, fiordilatte e basilico.

Nel 1883 Esposito rileverà da Calicchio il locale e lo ribattezzerà Pizzeria della Regina d'Italia[9].

Emmanuele Rocco, nel secondo volume del libro Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti di Francesco De Bourcard pubblicato nel 1858, scrisse di varie combinazioni di condimento con diversi ingredienti tra i quali basilico, “pomidoro” e “sottili fette di muzzarella”[10]:

«Le pizze più ordinarie, dette coll'aglio e oglio, han per condimento l'olio, e sopra vi si sparge, oltre il sale, l'origano e spicchi d'aglio trinciati minutamente. Altre sono coperte di formaggio grattugiato e condite collo strutto, e allora vi si pone disopra qualche foglia di basilico. Alle prime spesso si aggiunge del pesce minuto; alle seconde delle sottili fette di muzzarella. Talora si fa uso di prosciutto affettato, di pomidoro, di arselle ec. Talora ripiegando la pasta su di sé stessa se ne forma quel che chiamasi calzone

La pizza con sopra le fette di mozzarella è quindi quella coperta di formaggio grattuggiato e condita con lo strutto, con del pomodoro opzionale; è plausibile che il cuoco abbia optato per eliminare dalla creazione tutti gli elementi di gusto troppo forte, sfornando ciò che sarebbe da lì a poco diventata la pizza Margherita.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (tradizionalmente è usato il fior di latte, non quella di bufala Mozzarella vs fiordilatte. La pizza non può più raccontarti una bufala, su scattidigusto.it. URL consultato il 13 maggio 2014 (archiviato dall'url originale il 9 agosto 2017).
  2. ^ Cesari, p. 104.
  3. ^ (EN) Arturo Iengo, Cucina Napoletana: 100 Recipes from Italy's Most Vibrant City, New Holland Publishers, 2008, p. 126, ISBN 1-84537-989-6. URL consultato il 27 maggio 2014 (archiviato dall'url originale il 3 gennaio 2018).
  4. ^ a b Cesari, p. 106.
  5. ^ Cesari, p. 105.
  6. ^ Biblioteca nazionale centrale di Roma - Il Bersagliere - 19 giugno 1880
  7. ^ Cesari, p. 108.
  8. ^ Cesari, p. 109.
  9. ^ Cesari, p. 110.
  10. ^ Francesco de Bourcard, vol. II, pag. 124.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Francesco de Bourcard, Usi e costumi di Napoli, riedizione in copia anastatica, tiratura limitata a 999 copie, Napoli, Alberto Marotta, 1965 [1866].
  • Luca Cesari, Storia della pizza: da Napoli a Hollywood, Milano, Il Saggiatore, 2023.

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