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Panglossismo

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Il termine Panglossismo definisce l'inclinazione a credere di vivere nel miglior mondo possibile.

Il termine deriva dal romanzo Candido, o l'ottimismo (1759) di Voltaire, dove il personaggio del Dottor Pangloss, tutore di Candido, presenta questo punto di vista sul mondo. Il nome di Pangloss deriva dal greco πᾶν (pân, "tutto") e γλῶσσα (glôssa, "lingua, linguaggio"). Il personaggio cui si ispirava Voltaire era infatti il filosofo e scienziato Gottfried Wilhelm von Leibniz, che sperava di poter ricostruire tutte le lingue del mondo secondo degli elementi minimi comuni a tutte (da cui "Panglossa").

Oltre a Leibniz, in una sua recensione al Candido, anche il principale avversario di Voltaire tra gli illuministi, ossia Jean-Jacques Rousseau, pare condividere la convinzione ottimista di Pangloss e rappresenta Voltaire come il pessimista manicheo Martin, accusando Voltaire di non essere un "ottimista realista" bensì di voler "indurre alla disperazione tutti i suoi simili con l'immagine penosa e crudele di tutte le calamità da cui egli è immune".[1]

Nel dibattito evoluzionista il panglossismo è stato utilizzato in un articolo di Gould e Lewontin dal titolo I pennacchi di San Marco e il paradigma di Pangloss, nel quale l'adattazionismo estremo della teoria neodarwinista viene paragonato al panglossismo ("paradigma di Pangloss" nella terminologia degli autori).

  1. ^ «Voltaire, mostrando sempre di credere in Dio, in realtà non ha mai creduto che nel diavolo; giacché il suo preteso Dio non è che un essere malvagio, che, secondo lui, non gode che nel nuocere. L'evidente assurdità di questa dottrina è rivoltante, soprattutto in un uomo colmo di beni di ogni genere che, all'apice del benessere, cerca di sfiduciare i suoi simili con l'immagine orribile e crudele di tutte le calamità di cui è esente. Autorizzato più di lui a contare e pesare i mali della vita umana, ne feci l'equo esame e gli provai che, di tutti quei mali, non ve ne era uno di cui la Provvidenza avesse colpa e che non avesse la sua origine più nell'abuso che l'uomo ha fatto delle sue facoltà, che nella natura stessa». (J.-J. Rousseau, Le confessioni, Libro Nono, in Opere, a cura di Paolo Rossi, Firenze, Sansoni, 1972, p. 991)

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