Palazzo Donn'Anna

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Palazzo Donn'Anna
Palazzo Donn'Anna da via Posillipo
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
LocalitàNapoli
Coordinate40°49′11.59″N 14°12′51.41″E / 40.819886°N 14.214281°E40.819886; 14.214281
Informazioni generali
Condizioniincompiuto
Costruzione1640 ca - 1648 ca
Usoprivato
Realizzazione
ArchitettoCosimo Fanzago

«Palazzo Donn'Anna non è una rovina: è soltanto incompiuto! Non è forse questo il suo fascino?»

Il palazzo Donn'Anna, ubicato all'inizio di via Posillipo, è un palazzo monumentale del XVII secolo, nonché uno dei più celebri palazzi di Napoli.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il palazzo visto dal mare

Le origini del palazzo risalgono alla fine degli anni trenta del 1600, quando venne innalzato per la volontà di donna Anna Carafa, consorte del viceré Ramiro Núñez de Guzmán, duca di Medina de las Torres. Il progetto per la realizzazione fu commissionato al più importante architetto della città di quel periodo, Cosimo Fanzago, che nel 1642 approntò un disegno secondo i canoni del barocco napoletano che prevedesse tra le altre cose anche la realizzazione di un doppio punto d'ingresso, uno sul mare ed uno da una via carrozzabile che si estendeva lungo la costa di Posillipo (che conduce al cortile interno dell'edificio). Per la costruzione del palazzo, fu necessario demolire una preesistente abitazione cinquecentesca (villa Bonifacio)[1]. Il Fanzago, però, non riuscì a completare l'opera per via della prematura morte di donn'Anna, avvenuta in un contesto di insurrezione popolare a causa della temporanea caduta del viceregno spagnolo, con la conseguente fuga del marito della stessa verso Madrid (1648)[1].

Il palazzo visto da via Orazio

L'edificio rimasto incompiuto assunse lo spettacolare fascino di una rovina antica confusa fra i resti delle ville romane che caratterizzano il litorale di Posillipo e fra gli anfratti delle grotte. Nell'interno, di notevole interesse è il teatro, aperto verso il mare e dal quale si gode un bel panorama della città partenopea, sede della Fondazione culturale Ezio De Felice.

Il palazzo subì alcuni danni durante la rivolta di Masaniello del 1647 e durante il terremoto del 1688. Nel corso del XIX secolo sono stati numerosi i passaggi di proprietà che hanno visto i legittimi proprietari provare di volta in volta a modificare la destinazione d'uso[2] della struttura, facendola diventare prima una fabbrica di cristalli (1824) e poi un albergo (con l'acquisto dei Geisser nel 1870 circa). Negli anni successivi si sono succeduti ancora altri proprietari, come la Banca d'Italia nel 1894 ed i Genevois due anni più tardi[1].

L'edificio non è oggi visitabile e non costituisce alcun polo museale, in quanto interamente utilizzato come abitazione privata (diviso in vari condomini). Il punto d'accesso a terzi più vicino al palazzo è rappresentato dall'adiacente spiaggia privata.

Il palazzo nelle leggende[modifica | modifica wikitesto]

Particolare del palazzo

Il palazzo è il punto di ancoraggio di una delle più celebri leggende napoletane scritte da Matilde Serao. Nel libro Leggende napoletane la scrittrice così lo dipingeva:

«Il bigio palazzo si erge nel mare. Non è diroccato, ma non fu mai finito; non cade, non cadrà, poiché la forte brezza marina solidifica ed imbruna le muraglie, poiché l'onda del mare non è perfida come quella dei laghi e dei fiumi, assalta ma non corrode. Le finestre alte, larghe, senza vetri, rassomigliano ad occhi senza pensiero; nei portoni dove sono scomparsi gli scalini della soglia, entra scherzando e ridendo il flutto azzurro, incrosta sulla pietra le sue conchiglie, mette l'arena nei cortili, lasciandovi la verde e lucida piantagione delle alghe. Di notte il palazzo diventa nero, intensamente nero; si serena il cielo sul suo capo, rifulgono le alte e bellissime stelle, fosforeggia il mare di Posillipo, dalle ville perdute nei boschetti escono canti malinconici d'amore e le malinconiche note del mandolino: il palazzo rimane cupo e sotto le sue volte fragoreggia l'onda marina…»

Il palazzo visto alle spalle

Nelle credenze popolari Donn'Anna viene confusa con la famosa e discussa regina Giovanna d'Angiò che qui avrebbe incontrato i suoi giovani amanti, scelti fra prestanti pescatori e con i quali trascorreva appassionate notti di amore, per poi ammazzarli all'alba facendoli precipitare dal palazzo; la leggenda vuole che le anime di questi sventurati giovanotti tuttora si aggirino nei sotterranei dell'antica dimora, affacciandosi al mare ed emettendo lamenti. Altri invece raccontano che la regina facesse uscire il suo amante con una barca a remi dall'entrata che dà sul mare, quella che oggi è possibile vedere dalla spiaggia, tuttora usata dagli inquilini per accedere alle imbarcazioni.

Un'altra leggenda metropolitana, riportata dalla stessa Matilde Serao, narra di un fantasma della giovane e bellissima Mercede de las Torres che in una scena teatrale baciò il nobile Gaetano di Casapesenna, amante della viceregina Anna Carafa. La giovane, nipote della nobildonna Carafa, scomparve misteriosamente. Così conclude la Serao in merito alla leggenda di "Palazzo Donn'Anna":

«Quei fantasmi sono quelli degli amanti? O divini, divini fantasmi! Perché non possiamo anche noi, come voi, spasimare d'amore anche dopo la morte?»

Il palazzo nella letteratura[modifica | modifica wikitesto]

Per Raffaele La Capria, che ne fece uno dei luoghi del suo romanzo Ferito a morte[3], si tratta di una «maestosa mole cadente e quasi una rovina, ma bellissima, al cospetto del mare»[4].

Il palazzo è stato anche definito "in realtà «una sineddoche particolarmente efficace» per la città di Napoli, simbolo indiscusso della vittoria inevitabile della Natura sulla Storia"[5].

Altre immagini[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c D. Mazzoleni, I palazzi di Napoli, Arsenale Editrice (2007) ISBN 88-7743-269-1
  2. ^ Clemente, Alida, Il mare e la città. Comunità pescherecce e trasformazione urbana nella Napoli contemporanea Società e storia. Fascicolo 11, 2002, Milano : Franco Angeli, 2002.
  3. ^ "Con l'immagine di Palazzo donn'Anna, La Capria riconosce in fondo la superiorità indiscussa della Natura (con maiuscolo) rispetto alla Storia, pur senza perdere la fede nella forza della cultura e del progresso storico": Carton, Jessy, Proprio una bella giornata? : un'analisi delle metafore conoscitive in Ferito a morte di Raffaele La Capria, Critica letteraria. N. 1, 2011 (Napoli : Loffredo Editore, 2011).
  4. ^ R. La Capria, L'armonia perduta, in Id., Opere, a cura e con un saggio introduttivo di S. Perrella, Milano, Mondadori, I Meridiani, 2003, p. 646.
  5. ^ V. D'Orlando, La cipolla e il funambolo. Napoli, la città-testo di Raffaele La Capria in Raffaele La Capria. Letteratura, senso comune e passione civile, a cura di P. Grossi, Napoli, Liguori, 2002, p. 116.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • AA.VV. Palazzo Donn'Anna, storia, arte e natura, a cura di Pietro Belli, Allemandi, Torino, 2017
  • Sergio Attanasio, I Palazzi di Napoli. Architettura ed interni dal Rinascimento al Neoclassico, ESI, Napoli 1999.
  • Aurelio De Rose, I Palazzi di Napoli. Storia, curiosità e aneddoti che si tramandano da secoli su questi straordinari testimoni della vita partenopea, Newton Compton editori, Napoli 2004.

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