O miseras hominum mentes, o pectora caeca!

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Frontespizio di un'antica edizione (secolo XVII) del De rerum natura

O miseras hominum mentes, o pectora caeca! (pronuncia: ... pèctora cèca) è un verso latino di Lucrezio, che letteralmente significa: «O povere menti degli uomini, o animi ciechi!». Trattandosi di un verso esametro, per ristabilire parzialmente il ritmo poetico dell'originale andrebbe pronunciato accentando le parole in questo modo: ò miseràs hominùm mentès o pèctora cèca.

Contesto e significato[modifica | modifica wikitesto]

Si tratta del verso n. 14 del secondo libro del De rerum natura, poema filosofico che secondo l'autore avrebbe dovuto mostrare agli uomini, accecati dall'ignoranza e dalle passioni, l'ideale di vita epicurèo fondato sulla tranquillità dell'animo e sul benessere fisico e spirituale, raggiunto mediante la liberazione dalle preoccupazioni ingiustificate e dai desideri vani, fonti di turbamento e di insoddisfazione.
Il verso biasima e insieme compatisce la miseria dell'umanità causata dalla cecità mentale e spirituale, che costringe la maggior parte degli uomini a vivere nelle «tenebre»:

(LA)

«O miseras hominum mentes, o pectora caeca!
Qualibus in tenebris vitae, quantisque periclis
degitur hoc aevi quodcumquest!»

(IT)

«Oh misere menti degli uomini, oh animi ciechi!
In quale tenebrosa esistenza e fra quanti grandi pericoli
si trascorre questa breve vita!»


Nei versi immediatamente precedenti, Lucrezio descrive il saggio che, distaccato e sereno, contempla dall'alto gli uomini inquieti e travagliati, ignari della vera felicità:

(LA)

«despicere unde queas alios passimque videre
errare atque viam palantis quaerere vitae,
certare ingenio, contendere nobilitate,
noctes atque dies niti praestante labore
ad summas emergere opes rerumque potiri.»

(IT)

«abbassare lo sguardo sugli altri e vederli
errare smarriti cercando qua e là il sentiero della vita,
gareggiare d'ingegno, competere per nobiltà di sangue.
e sforzarsi giorno e notte con straordinaria fatica
di giungere a eccelsa opulenza e d'impadronirsi del potere.»


La frase può essere oggi citata con riferimento all'attivismo insensato e all'arrivismo miserevole degli uomini, e in generale come commento negativo nei confronti di situazioni e comportamenti giudicati del tutto contrari alla saggezza; biasimo tuttavia non disgiunto da una nota di sereno compatimento.[2]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Tito Lucrezio Caro, La Natura delle cose, Milano, Rizzoli, 1990. Il testo latino integrale dell'opera è disponibile nella collezione The Latin Library: Lucretius, De rerum natura.
  2. ^ Riportare la citazione con intonazione risentita e in un contesto di critica acerba sarebbe curiosamente contrario all'ideale, espresso dall'autore con questa frase, di una saggezza libera dalle passioni, serena e impeturbabile.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

  Portale Lingua latina: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di lingua latina