Maestà del Duomo di Siena

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Maestà, Museo dell'Opera Metropolitana del Duomo, Siena

La Maestà del Duomo di Siena era la pala d'altare della Cattedrale senese, dipinta tra il 1308 e il 1311 dall'iniziatore della scuola senese Duccio di Buoninsegna. È il capolavoro dell'artista ed uno dei dipinti più importanti dell'arte pre-rinascimentale italiana.

Storia

L'opera si trova oggi collocata nel Museo dell'Opera Metropolitana, dopo essere stata esposta nel Duomo, anche se fra vari spostamenti, fino al 1878.

L'opera andava a sostituire un'icona della Vergine particolarmente cara ai senesi, perché era legata alla vittoria della Battaglia di Montaperti (1260): con questa nuova grandiosa pala volevano omaggiare ancora maggiormente la loro protettrice, alla quale era dedicata anche la Cattedrale. Il 9 giugno 1311 l'ancona venne posta in essere nella Cattedrale, con una solenne processione, alla quale parteciparono le massime autorità cittadine sia religiose che civili, che iniziò dallo studio del pittore e si concluse in Duomo. Un testimone scrisse:

«Ed il giorno che (la Maestà) fu portata nella cattedrale, tutte le botteghe rimasero chiuse e il vescovo guidò una lunga fila di preti e monaci in solenne processione. Erano accompagnati dagli ufficiali del comune e da tutta la gente; tutti i cittadini importanti di Siena circondavano la pala con i ceri nelle mani, e le donne e i bambini li seguivano umilmente. Accompagnarono la pala tra i suoni delle campane attraverso la Piazza del Campo fino all'interno della cattedrale con profondo rispetto per la preziosa pala. I poveri ricevettero molte elemosine e noi pregammo la Santa Madre di Dio, nostra patrona, affinché nella sua infinita misericordia preservasse la nostra città di Siena dalle sfortune, dai traditori e dai nemici.»

La Pala d'altare rimase al suo posto fino al 1711, quanto fu smontata per essere ripartita tra due altri altari. La tavola fu segata ed alcune parti finirono danneggiate.

La pala aveva anche una predella (la prima conosciuta nell'arte italiana) e un coronamento scene della Vita di Gesù e di Maria: queste parti nono sono più a Siena ed alcune di esse si trovano al British Museum di Londra.

Il lato della Maestà

Il lato della Maestà

Si tratta di una grande tavola (425x212 cm.) a due facce, anche se oggi si presenta tagliata lungo lo spessore secondo il discutibile intervento del 1711 che non mancò di creare alcuni danni. Il lato principale, quello originariamente rivolto ai fedeli, era dipinto con una monumentale Vergine con Bambino in trono, circondata da un'affollata teoria di santi e angeli su fondo oro. Tra questi si riconoscono inginocchiati in primo piano i quattro santi protettori di Siena (Sant'Ansano, San Savino, San Crescenzio e San Vittore), mentre ai due lati sono raffigurate le due sante protettrici in piedi (Sant'Agnese e Santa Caterina d'Alessandria), avvolte da manti con un panneggio di linee nervosamente spezzate, che ricordano i goticismi della Madonna Rucellai. Altri quattro santi stanno in secondo piano (tra i quali si riconoscono a destra San Pietro e San Giovanni Battista, mentre tutto intorno si dispone con rigida simmetria un appiattito coro di venti angeli alati. Più in alto altre figure di santi più piccoli a mezzo busto sono opere di bottega. A parte gli angeli, Duccio si sforzò di caratterizzare individualmente le fisionomie, raggiungendo il vertice nei volti delle divinità. La Madonna è seduta su un ampio e sfarzoso trono, che accenna ad una spazialità tridimensionale secondo le novità già praticate da Cimabue, ed è dipinta con una cromia morbida, che dà naturalezza al dolce incarnato. Anche il bambino esprime una profonda tenerezza, ma il suo corpo non sembra generare peso e le mani di Maria che lo reggono sono piuttosto innaturali.

Il lato delle Storie della Passione e Resurrezione

Il lato delle Storie della Passione
Lettura delle scene nel lato delle Storie della Passione e Resurrezione

Il retro era invece destinato alla visione del clero, e vi sono rappresentate 24 Storie della Passione e Resurrezione di Cristo, divise in formelle più piccole, uno dei più ampli cicli dedicati a questo tema in Italia. Il posto d'onore, al centro è dato dalla Crocefissione, di larghezza maggiore e altezza doppia, come anche la formella doppia nell'angolo in basso a sinistra con l' Entrata a Gerusalemme (da dove inizia la lettura), dove forse il tiburio gotico che sporge dalle mura è una citazione fantasiosa della cupola del Duomo di Siena. Le scene si leggono dall'angolo sinistro procedendo nella fascia inferiore verso destra dal basso verso l'alto. Dopo il pannello centrale (Preghiera nel Getsemani e Bacio di Giuda) la narrazione riprende nell'angolo in basso opposto, procedendo verso sinistra, sempre dal basso verso l'alto. Questo espediente, già usato da secoli, serve per convogliare la lettura verso la scena centrale della Crocefissione. La fascia superiore invece si legge da sinistra verso destra, sempre dal basso verso l'alto fino alla Crocefissione. L'ultimo riquadro è più complesso: a sinistra in basso la Deposizione dalla Croce sovrastata dalla Sepoltura, poi si prosegue per due riquadri a sinistra, poi in basso, infine a destra dove è presente il Ritorno di Cristo che resuscita i morti e sconfigge il demonio.

In varie scene Duccio diede prova di essere aggiornato rispetto alle "prospettive" dei fondali architettonici di Giotto. Uno dei più notevoli esempi si ha nella scena di Gesù davanti al Sommo sacerdote, dove è rappresentato un edificio che continua nella formella inferiore, il Tradimento di Pietro, collegato da una verosimile scalinata con tanto di pianerottolo tra le due scene, ravvivato da un'elegante bifora.

Lo spazio però per Duccio non è mai condizione sine qua non, anzi in talune scene deroga volontariamente alla raffigurazione spaziale per mettere in risalto particolari che gli premono, come la tavola apparecchiata nella scena dell' Ultima cena (troppo inclinata rispetto al soffitto) o come il gesto di Ponzio Pilato nella Flagellazione, che è in primo piano rispetto a una colonna nonostante i suoi piedi poggino su un piedistallo che è collocato dietro. Duccio non sembra quindi interessato a complicare eccessivamente le scene con regole spaziali assolute, anzi talvolta la narrazione è più efficace proprio in quelle scene dove un generico paesaggio roccioso tradizionale lo libera dalla costrizione della rappresentazione tridimensionale.

Altre immagini

Disposizione, per quanto possibile, delle scene secondo l'ordine di lettura.

Bibliografia

  • Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 1, Bompiani, Milano 1999.

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