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Lucio Calpurnio Pisone (console 57)

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Lucio Calpurnio Pisone
Console dell'Impero romano
Nome originaleLucius Calpurnius Piso
Nascita23/24
Mortegennaio 70
Cartagine
ConsorteLicinia Magna
FigliCalpurnia
GensCalpurnia
PadreLucio Calpurnio Pisone
Consolatogennaio-giugno 57 (ordinario)
ProconsolatoAfrica, 69/70
Curatorecurator aquarum, 60-63; curator praepositus vectigalibus publicis, 62
Sacerdoziopontifex, primi anni 50-70; frater Arvalis, 55 o 56-70

Lucio Calpurnio Pisone (in latino: Lucius Calpurnius Piso; 23/24Cartagine, gennaio 70) è stato un magistrato e senatore romano, console dell'Impero romano.

Origini familiari

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Rampollo dell'illustre gens Calpurnia, e in particolare dell'importante ramo dei Calpurnii Pisones, Pisone, nato presumibilmente nel 23/24[1], era figlio di Lucio Calpurnio Pisone (in origine Gneo), console ordinario del 27, praefectus urbi, proconsole d'Africa sotto Caligola e forse legato di Dalmazia sotto Claudio[1][2][3][4][5][6]; la madre, allo stato attuale degli studi, rimane ignota. Suo nonno paterno[1][3][5][6] era Gneo Calpurnio Pisone, figlio dell'omonimo console del 23 a.C., intimo amicus di Tiberio, console con lo stesso futuro princeps nel 7 a.C. e noto in particolare per il suo mandato di legatus Augusti pro praetore in Siria, durante il quale si scontrò con Germanico al momento dell'invio di quest'ultimo in Oriente tra 17 e 19[7]. La nonna paterna[1][3][5][6] era Munazia Plancina, con ogni probabilità nipote del console del 42 a.C., Lucio Munazio Planco, figlia del comes di Tiberio in Asia nel 20 a.C., Munazio, e sorella del console del 13, Lucio Munazio Planco Paolino[8][9]. Zio paterno era Marco Calpurnio Pisone, che aveva accompagnato il nonno Gneo in Siria[1][10]. Rimane ancora incerto se una Calpurnia menzionata nel senatusconsultum de Cn. Pisone patre[11] sia una zia paterna o una sorella di Pisone[12].

Carriera sotto Nerone

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Gli inizi di carriera di Pisone rimangono avvolti nel mistero; è tuttavia stato ricostruito che la sua cooptazione tra i pontefici[13], uno dei quattro collegi sacerdotali maggiori dello Stato romano, potesse essere avvenuta già nei primi anni 50[14]. Allo stesso modo, la sua cooptazione tra i confratelli Arvali, attestata dalla sua partecipazione alle cerimonie degli anni dal 57 al 60 e del 63, nonché dalla carica di magister del collegio nel 59[15], è stata datata all'anno 55 o 56, con ogni probabilità in sostituzione del defunto Gaio Cecina Largo (console ordinario del 42)[14]. La presenza di Pisone in questi due importanti collegi sacerdotali implica che egli godesse senza dubbio del favore imperiale[6].

La prima comparsa di Pisone nella documentazione, sotto Nerone, proviene da Tacito. Nel 56, Pisone, infatti, in qualità di console designato, propose, nell'ambito delle limitazioni allo strapotere dei tribuni della plebe, che questi non potessero tenere processi in casa propria, che non si dovesse inserire nelle tabulae publicae nessuna multa da loro comminata prima che fossero trascorsi quattro mesi dall'emissione, e che, nei quattro mesi, si potessero presentare appelli al giudizio dei consoli[16].

L'anno successivo, nel 57, Pisone fu console ordinario insieme al princeps Nerone (console per la seconda volta), rimanendo in carica per l'intero primo semestre dell'anno[17][18][19][20][21][22]: durante il suo mandato, fu approvato il senatusconsultum Pisonianum (o Neronianum), che integrava le disposizioni del senatusconsultum Silanianum de servis (emanato nel 10) sulle indagini in caso di omicidio, in particolare stabilendo che dovessero esser sottoposti a tortura anche gli schiavi appartenenti al coniuge della vittima e che, se gli schiavi che dovevano esser sottoposti a tortura erano stati alienati, il compratore avesse diritto alla restituzione del prezzo[23][24].

Dal 60 al 63, poi, Pisone fu nominato all'importante carica di curator aquarum, incaricato delle infrastrutture idriche e del rifornimento d'acqua della città di Roma[25]: la nomina è resa ancora più distinta dal fatto che Pisone fu l'unico dell'antica aristocrazia repubblicana a ricoprire l'incarico[26].

Nel mentre, nel 62, Pisone, insieme ai consolari Aulo Ducenio Gemino (console suffetto nel 60 o 61) e Aulo Pompeo Paolino (console suffetto nel 54), fu assegnato da Nerone alla curatela straordinaria delle imposte pubbliche[27][28][29].

Qualche anno dopo, nonostante il coinvolgimento di quello che doveva essere senza dubbio un parente di Pisone[30], Gaio Calpurnio Pisone, nella grande congiura del 65 nota come "congiura dei Pisoni", Pisone non subì alcuna ripercussione dalle condanne[5]: egli fu infatti sorteggiato come proconsole della provincia d'Africa per l'anno 69/70[4].

Proconsolato d'Africa e morte

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Il proconsolato di Pisone si collocava in quel periodo di estrema instabilità dello Stato romano successivo alla morte di Nerone noto come "anno dei quattro imperatori". Significativo delle difficoltà percepite dal popolo e dagli intrighi dei sostenitori delle varie fazioni ancora in conflitto (Vitelliani e Flavi) è il resoconto di Tacito sulle prime settimane del 70:

(latino)
«Interea Vespasianus iterum ac Titus consulatum absentes inierunt, maesta et multiplici metu suspensa civitate, quae super instantia mala falsos pavores induerat, descivisse Africam res novas moliente L. Pisone. Is provinciae praeerat nequaquam turbidus ingenio; sed quia naves saevitia hiemis prohibebantur, vulgus alimenta in dies mercari solitum, cui una ex re publica annonae cura, clausum litus, retineri commeatus, dum timet, credebat, augentibus famam Vitellianis, qui studium partium nondum posuerant, ne victoribus quidem ingrato rumore, quorum cupiditates externis quoque bellis inexplebiles nulla umquam civilis victoria satiavit.»
(italiano)
«Frattanto assunsero il consolato, anche se assenti, Vespasiano (per lui si trattava della seconda volta) e Tito. In Roma dominavano tristezza e, per diversi motivi, paura: oltre ai mali presenti si erano sparsi anche terrori senza fondamento. Per esempio si credeva che l'Africa si fosse separata dall'impero: il rivolgimento sarebbe stato da imputare all'azione sediziosa di Lucio Pisone. Pisone era proconsole di quella provincia ma il suo carattere non era affatto incline ai torbidi; però succedeva che il clima particolarmente inclemente impedisse il transito delle navi e la gente (abituata a fare gli acquisti giorno per giorno e preoccupata di un solo affare pubblico: gli approvvigionamenti) temeva - e finiva con l'esserne convinta - che gli imbarchi fossero chiusi e che le provviste fossero tenute ferme. I Vitelliani provvedevano ad alimentare queste dicerie perché non si era ancora affievolito in loro l'amore di parte; e neppure ai vincitori quella chiacchiera era sgradita perché la loro avidità, lungi dal saziarsi con le guerre esterne, non aveva trovato di che appagarsi nemmeno nel successo della guerra civile.»

Pisone, del resto, era un personaggio illustre e legato per matrimonio alla sventurata famiglia dei Licinii Crassi e Scribonii, che erano stati per lo più trucidati nelle faide dell'anno 69 dalle diverse fazioni al potere[6]: non stupisce, quindi, che, come riporta Tacito, egli fosse al centro delle speranze della fazione ostile a Vespasiano, particolarmente diffusa nella provincia d'Africa e tra i soldati della legio III Augusta, di stanza ad Ammaedara sotto il comando del parente di Vitellio, Gaio Calpetano Ranzio Quirinale Valerio Festo. Gli ultimi giorni di Pisone sono accennati in Plinio il Giovane[2] e narrati nel dettaglio da Tacito:

(latino)
«Sub idem tempus L. Piso pro consule interficitur. Ea de caede quam verissime expediam, si pauca supra <re>petiero ab initio causisque talium facinorum non absurda. [...] Nec ambigitur provinciam et militem alienato erga Vespasianum animo fuisse; et quidam e Vitellianis urbe profugi ostentabant Pisoni nutantes Gallias, paratam Germaniam, pericula ipsius et in pace suspecto tutius bellum. Inter quae Claudius Sagitta, praefectus alae Petri<a>nae, prospera navigatione praevenit Papirium centurionem a Muciano missum adseveravitque mandata interficiendi Pisonis centurioni data: cecidisse Galerianum consobrinum eius generumque; unam in audacia spem salutis, sed duo itinera audendi, seu mallet statim arma, seu petita navibus Gallia ducem se Vitellianis exercitibus ostenderet, nihil ad ea moto Pisone. Centurio a Muciano missus ut portum Carthaginis attigit, magna voce laeta Pisoni omnia tamquam principi continuare, obvios et subitae rei miraculo attonitos, ut eadem adstreperent, hortari. Vulgus credulum ruere in forum, praesentiam Pisonis exposcere; gaudio clamoribusque cuncta miscebant indiligentia veri et adulandi libidine. Piso indicio Sagittae vel insita modestia non in publicum egressus est neque se studiis vulgi permisit, centurionemque percontatus, postquam quaesitum sibi crimen caedemque comperit, animadverti in eum iussit, haud perinde spe vitae quam ira in percussorem, quod idem ex interfectoribus Clodii Macri cruentas legati sanguine manus ad caedem proconsulis rettulisset. Anxio deinde edicto Carthaginiensibus increpitis, ne solita quidem munia usurpabat, clausus intra domum, ne qua motus novi causa vel forte oreretur. Sed ubi Festo consternatio vulgi, centurionis supplicium veraque et falsa more famae in maius innotuere, equites in necem Pisonis mittit. Illi raptim vecti obscuro adhuc coeptae lucis domum proconsulis inrumpunt destrictis gladiis, et magna pars Pisonis ignari, quod Poenos auxiliaris Maurosque in eam caedem delegerat. Haud procul cubiculo obvium forte servum, quisnam et ubi esset Piso, interrogavere. Servus egregio mendacio se Pisonem esse respondit ac statim obtruncatur. Nec multo post Piso interficitur; namque aderat qui nosceret, Baebius Massa e procuratoribus Africae [...]. Festus Adrumeto, ubi speculabundus substiterat, ad legionem contendit [...] militesque et centuriones quosdam puniit, alios praemiis adfecit, neutrum ex merito, sed ut oppressisse bellum crederetur.»
(italiano)
«Sempre nei primi giorni dell'anno viene ucciso il proconsole Lucio Pisone. Racconterò di questa uccisione attenendomi ai fatti quanto più sarà possibile e rifacendomi a circostanze precedenti e certo non estranee agli inizi e alle cause di tali delitti. [...] È invece assodato che la provincia e i soldati erano ostili a Vespasiano. Alcuni membri del partito vitelliano, in fuga da Roma, indicavano a Pisone le Gallie indecise, la Germania pronta alla ribellione, i pericoli che lui correva, la maggior sicurezza che offriva la guerra a chi è sospetto in periodo di pace. Durante questi eventi, Claudio Sagitta, prefetto dello squadrone di cavalleria petriana, navigando senza incontrare intoppi, riuscì a precedere il centurione Papirio inviato da Muciano; egli assicurò che il centurione aveva il compito di uccidere Pisone: Galeriano, suo cugino e genero, già era stato trucidato. L'unica speranza di salvezza era in un atto di coraggio. Due strade aveva davanti: prendere le armi immediatamente o proporsi come comandante agli eserciti vitelliani dopo aver raggiunto la Gallia via mare. Pisone non fu minimamente turbato da tutto ciò. Appena il centurione mandato da Muciano sbarcò a Cartagine, cominciò a gridare frasi augurali all'indirizzo di Pisone, come se fosse imperatore; esortava poi tutti quelli che trovava per strada, increduli per l'improvvisa novità, ad urlare le stesse parole. La gente credulona si precipitò nel foro chiedendo che Pisone si facesse vivo. Quel che davvero stava accadendo poco contava: la voglia di adulare rimescolava ogni cosa tra manifestazioni di gioia e clamore. Pisone, o per l'avvertimento di Sagitta o per sua naturale modestia, non uscì in pubblico e non si fece coinvolgere dall'entusiasmo della folla. Interrogò il centurione e da lui venne a sapere che si cercava un pretesto per sopprimerlo. Lo fece giustiziare non tanto perché si illudesse davvero di aver salva la vita, ma per lo sdegno contro quel sicario. Era, costui, uno degli uccisori di Clodio Macro ed ora veniva ad uccidere il proconsole con le mani ancora sporche del sangue del legato. Rimproverò i Cartaginesi con un editto da cui traspariva tutta la sua preoccupazione e si chiuse in casa: non adempieva nemmeno ai consueti uffici del suo ruolo affinché, nemmeno per caso, ci fosse qualche motivo di nuovi sommovimenti. Ma quando Festo fu informato dello sdegno popolare e dell'esecuzione del centurione (la verità e le menzogne passando di bocca in bocca, come al solito, si ingigantiscono), mandò dei cavalieri a uccidere Pisone. Quelli partono immediatamente e, ancora nel chiaroscuro del giorno incipiente, irrompono nella casa del proconsole con le spade sguainate. La maggior parte di loro non conosceva Pisone, perché Festo aveva mandato in quella missione di morte ausiliari cartaginesi e mauri. Vicino alla camera da letto, chiesero al primo servo che trovarono chi e dove fosse Pisone. Costui, con una generosa menzogna, rispose che Pisone era lui: subito lo trucidarono. Ma Pisone non sfuggì per molto tempo alla morte: infatti c'era uno che lo conosceva ed era Bebio Massa, uno dei procuratori d'Africa [...]. Festo si mosse da Adrumeto, dove si era trattenuto ad aspettare lo svolgersi degli eventi, e raggiunse la sua legione. [...] Poi punì alcuni soldati e centurioni, altri ne premiò: in realtà non teneva conto di meriti o demeriti, ma voleva semplicemente dare l'impressione di essere riuscito a domare una rivolta.»

Legami matrimoniali e discendenza

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Pisone sposò certamente Licinia Magna[4][13][31][32][33]: ella era figlia del console ordinario del 27 Marco Licinio Crasso Frugi e di Scribonia, discendente di Gneo Pompeo Magno, il che faceva di lei una delle pronipoti dei due triumviri Marco Licinio Crasso e Pompeo[31][33]. Cognati di Pisone di altissimo lignaggio - e per questo motivo tutti defunti prima di Pisone stesso[6] - erano[33][34][35] Gneo Pompeo Magno, genero di Claudio da questi ucciso insieme ai genitori nel 47; Marco Licinio Crasso Frugi, console ordinario del 64 e legato ai Sulpicii Camerini, ucciso da Nerone negli ultimissimi anni di regno; Lucio Calpurnio Pisone Frugi Liciniano, effimero erede di Galba legato ai Veranii, e ucciso da Otone nel gennaio 69; Marco Licinio Crasso Scriboniano, cui Antonio Primo offrì invano la porpora e che fu ucciso dai Flavi nel 69; e la piccola Licinia, morta giovanissima. È stato ipotizzato che Licinia Magna sia morta negli ultimi anni del principato di Claudio[14].

Il racconto di Tacito stabilisce poi che Pisone e Licinia ebbero almeno una figlia, Calpurnia, che sposò il cugino di Pisone, Calpurnio Pisone Galeriano, ucciso anch'egli nel 69[4][31][33][36]: si è proposto che essi siano antenati di Gaio(?) Calpurnio Pisone, console suffetto nel 97[36].

  1. ^ a b c d e A. Caballos, W. Eck, F. Fernández, Das senatus consultum de Cn. Pisone patre, Munich 1996, pp. 75-80.
  2. ^ a b Plinio il Giovane, Lettere, III, 7, 12.
  3. ^ a b c PIR2 C 293 (Groag).
  4. ^ a b c d PIR2 C 294 (Groag).
  5. ^ a b c d U. Vogel Weidemann, Die Statthalter von Africa und Asia in den Jahren 14-68 n. Chr., Bonn, 1982, pp. 117-128.
  6. ^ a b c d e f A. Cooley, The Senatus consultum de Cn. Pisone patre. Text, translation, and commentary, Cambridge 2023, pp. 95-100.
  7. ^ PIR2 C 287 (Groag).
  8. ^ PIR2 M 737 (Petersen).
  9. ^ M.T. Raepsaet-Charlier, Prosopographie des femmes de l'ordre sénatorial, Louvain 1987, pp. 462-463 n° 562.
  10. ^ PIR2 C 296 (Groag).
  11. ^ AE 1996, 885, ll. 104-105.
  12. ^ Un'utilissima riesamina della questione, con bibliografia precedente, è in A. Cooley, The Senatus consultum de Cn. Pisone patre. Text, translation, and commentary, Cambridge 2023, pp. 205-206.
  13. ^ a b CIL VI, 31655.
  14. ^ a b c J. Rüpke, Fasti sacerdotum, Oxford 2008, p. 593 n° 1054.
  15. ^ J. Scheid, Commentarii fratrum Arvalium qui supersunt, Rome 1998, frgm. 25-29.
  16. ^ Tacito, Annales, XIII, 28.
  17. ^ CIL IV, 3340, n° 28-33, 35, 41-42.
  18. ^ CIL VI, 845
  19. ^ CIL VI, 853.
  20. ^ CIL X, 5204.
  21. ^ Tacito, Annales, XIII, 31.
  22. ^ Prologus paschae ad Vitalem scriptum, in T. Mommsen, Chronica minora, I, 738.
  23. ^ Paolo, Sententiae, III, 5, 5.
  24. ^ Paolo, in Digesto, XXIX, 5, 8.
  25. ^ Frontino, De aquis, CII.
  26. ^ R. Syme, Roman Papers, VII, Oxford 1991, p. 526 nota 29.
  27. ^ Tacito, Annales, XV, 18.
  28. ^ AE 1989, 681.
  29. ^ Su questo incarico, cfr. in particolare A. Bérenger, La commission financière extraordinaire de 62 ap. J.-C., in Mélanges de l'École Française de Rome. Antiquité, vol. 105.1 (1993), pp. 75-101, e soprattutto M. Cottier, M.H. Crawford, C.V. Crowther, J.-L. Ferrary, B.M. Levick, O. Salomies, M. Wörrle (ed.), The Customs Laws of Asia, Oxford 2008.
  30. ^ R. Syme, Roman Papers, IV, Oxford 1988, p. 368.
  31. ^ a b c PIR2 L 269 (Petersen).
  32. ^ R. Syme, The Augustan Aristocracy, Oxford 1986, p. 279 nota 69.
  33. ^ a b c d M.T. Raepsaet-Charlier, Prosopographie des femmes de l'ordre sénatorial, Louvain 1987, pp. 424-425 n° 494.
  34. ^ M.T. Raepsaet-Charlier, Prosopographie des femmes de l'ordre sénatorial, Louvain 1987, pp. 552-553 n° 689.
  35. ^ M.T. Raepsaet-Charlier, Prosopographie des femmes de l'ordre sénatorial, Louvain 1987, p. 419 n° 490.
  36. ^ a b M.T. Raepsaet-Charlier, Prosopographie des femmes de l'ordre sénatorial, Louvain 1987, p. 170 n° 176.
  • PIR2 C 294 (Groag).
  • M.T. Raepsaet-Charlier, Prosopographie des femmes de l'ordre sénatorial, Louvain 1987, p. 170 n° 176.
  • A. Caballos, W. Eck, F. Fernández, Das senatus consultum de Cn. Pisone patre, Munich 1996, pp. 75-80.
  • J. Rüpke, Fasti sacerdotum, Oxford 2008, p. 593 n° 1054.
  • A. Cooley, The Senatus consultum de Cn. Pisone patre. Text, translation, and commentary, Cambridge 2023, pp. 95-100.

Altri progetti

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Predecessore Console dell'Impero romano Successore
Publio Clodio Trasea Peto gennaio-giugno 57 Lucio Cesio Marziale
con Lucio Duvio Avito con Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico II con Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico II
Predecessore Curator aquarum Successore
Gneo Domizio Afro 60-63 Publio Petronio Turpiliano
Predecessore Proconsole d'Africa Successore
Gaio Vipstano Aproniano 69/70 ?