Linda Kasabian

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Linda Kasabian, pseudonimo di Linda Darlene Drouin (Biddeford, 21 giugno 1949Tacoma, 21 gennaio 2023), fece parte della "Family" di Charles Manson ed è stata la testimone chiave dell'accusa nel processo per gli omicidi Tate-LaBianca, nei confronti di Manson e dei suoi seguaci.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Linda Darlene Drouin nacque a Biddeford e crebbe a Milford;[1] suo padre, Rosaire Drouin, era un operaio di origini franco-canadese, e sua madre, Joyce Taylor, era una casalinga. Suo padre abbandonò la famiglia quando Linda era ancora una bambina ed entrambi i genitori si risposarono poco tempo dopo e suo padre si trasferì a Miami. Lei era la figlia maggiore e la madre Joyce osservò che con così tanti bambini più piccoli e figliastri di cui prendersi cura, non era in grado di dedicarle l'attenzione necessaria: «Non avevo il tempo di ascoltare i suoi problemi. Molte delle cose che successero a Linda sono colpa mia».

Linda venne descritta dagli amici, dai vicini e dagli insegnanti come una studentessa buona e intelligente e come una "sognatrice ad occhi aperti", gentile e timida, ma "forzata a crescere troppo in fretta". Lasció la scuola superiore e se ne andò di casa all'età di 16 anni, a causa del patrigno, Jake Byrd, il quale maltrattava lei e sua madre e sposó Robert Peasley, divorziando poco tempo dopo.[2] Per breve tempo si trasferì a Miami per cercare di ritrovare un contatto con suo padre, che era un barista, ma si allontanarono poco dopo. Linda allora viaggiò per Boston e si risposò, dando alla luce una bambina nel 1968. Ma anche il secondo matrimonio, con un americano di origini armene, Robert Kasabian, finì e lei e la bambina Tanya tornarono nello New Hampshire per vivere con la madre di Linda. Successivamente l'ex marito contattò Linda e la invitò a Los Angeles per proporle di unirsi a lui e a un suo amico, Charles "Blackbeard" Melton, in un viaggio in barca a vela per l'America meridionale.

Incontro con Charles Manson[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Famiglia Manson.

Linda, che stava sperando in una riconciliazione, ritornò a Los Angeles per vivere con Robert nei luoghi di ritrovo hippy di Topanga Canyon. Mentre era incinta per la seconda volta, fu rifiutata dal marito, che l'aveva lasciata per il viaggio in Sud America. Un'amica di Melton, Catherine "Gypsy" Share, descriveva un ranch idilliaco dove un gruppo di hippy stavano istituendo un "buco nella terra" per sfuggire ai disordini sociali. Il "buco" suonava come le leggende Hopi che aveva letto quando era ragazza e ne era incuriosita. Nel 1969, invece di partecipare alle commemorazioni del 4 luglio a Malibù, decise di seguire Share allo Spahn Ranch, nella zona Chatsworth di Los Angeles, dove incontró Charles Manson e fu accolta dai membri del gruppo, che la salutavano con professioni di pace e amore, e dicevano che lei e sua figlia sarebbero state al sicuro, purché Linda si mostrasse leale.

Durante la sua prima notte con la "Family", incontrò ed ebbe rapporti sessuali con il seguace e collaboratore di Manson, Charles "Tex" Watson, il quale poi persuase la Kasabian a rubare una somma di denaro all'amico dell'ex-marito, Charles Melton. La Kasabian fu poi introdotta a Manson, e fu un evento drammatico per lei. Pensò che egli sembrasse magnifico con i suoi abiti in pelle di daino, e che sembrasse Cristo. Manson parló con lei sul perché fosse venuta nel ranch e, dopo aver sentito le sue gambe, lui la accettò. Quella notte, Manson e la Kasabian ebbero rapporti sessuali in una caverna allo Spahn Ranch. Lei pensò che Manson potesse vedere attraverso di lei e che lui percepisse i suoi problemi con il patrigno e le sue sensazioni di essere "usa e getta" per le persone nella sua vita e per il mondo in generale, come registrato nel suo processo di testimonianza:

D: "Che conversazione hai avuto con il signor Manson quando stavate facendo l'amore?"

R: "Io non ricordo l'intera conversazione, ma lui mi ha detto che avevo un padre ossessionato."

D: "Ti ha impressionata quando ha detto che hai un padre ossessionato?"

R: "Molto."

D: "Perché?"

R: "Perché nessuno me lo aveva mai detto, e io avevo un padre ossessionato. Odiavo il mio patrigno."

La Kasabian adottó un atteggiamento verso Manson che avevano le altre ragazze del ranch. "Abbiamo sempre voluto fare tutto e di più per lui".[3] La Kasabian iniziò ad aderire ai membri della famiglia con le loro "strisciate raccapriccianti": entravano furtivamente in case a caso a Los Angeles per rubare soldi, mentre gli occupanti dormivano. Queste e altre attività criminali erano il mezzo coi quali i membri della famiglia si sostenevano, e la Kasabian era disposta a partecipare. «Tutto è di tutti», ribadiva Manson durante i suoi numerosi colpi, con l'ingestione di droghe psichedeliche. Quando Mary Brunner fu incarcerata per aver usato una carta di credito rubata, la Kasabian diventó l'unico membro del gruppo a possedere una patente di guida valida.[4] L'8 agosto del 1969, Manson annunciò «ora è l'ora dell'Helter Skelter», un termine preso dall'omonima canzone dei Beatles che Manson credeva (o convinse i suoi seguaci che credeva) significasse una rivelazione profetizzata nel Libro della Rivelazione (il termine "Helter Skelter" significa confusione, disordine).

Omicidi Tate-LaBianca[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Eccidio di Cielo Drive e Leno LaBianca.

La Kasabian fu spinta da Charles Manson a prendere un coltello, un cambio di vestiti e la sua patente di guida, per accompagnare altri tre membri della famiglia, Charles "Tex" Watson, Susan Atkins e Patricia Krenwinkel, alla residenza del regista Roman Polański e di sua moglie Sharon Tate. Qui la Kasabian vide Watson sparare e uccidere Steven Parent, un adolescente che era venuto a trovare il custode.[5] Dopo Watson ordinó alla Kasabian di rimanere fuori dalla residenza e lei se ne restò in macchina, mentre Watson, Atkins e Krenwinkel erano in casa e uccidevano Jay Sebring, Wojciech Frikowsky, Abigal Folger, e la moglie di Polanski, Sharon Tate. La Kasabian testimonió che a un certo punto sentì le "orribili urla" delle vittime e lasciò la macchina. «Iniziai a correre verso la casa, volevo che la smettessero. Sapevo cosa avevano fatto a quell'uomo (Parent), che stavano uccidendo quelle persone. Volevo che la smettessero». Avvicinandosi alla casa, la Kasabian incontró Frykowski che stava scappando. La Kasabian disse poi nella sua testimonianza che «C'era un uomo che stava uscendo dalla porta e aveva la faccia coperta di sangue, stava in piedi grazie a un palo, ci siamo guardati negli occhi per un minuto e dissi "Oh, Dio, mi dispiace tanto. Per favore fa che smetta". Ma l'uomo cadde a terra sui cespugli». Allora Watson ripetutamente accoltellò Frykowski e lo colpì alla testa con l'impugnatura di una pistola. La Kasabian cercò di fermare gli assassini, sostenendo di aver sentito delle persone arrivare nella proprietà, ma Atkins insisteva che era troppo tardi.

Secondo Watson e Atkins, la Kasabian rimase inchiodata di fronte al prato, guardando con un'espressione inorridita i suoi compagni commettere l'omicidio. La Kasabian testimoniò che, sotto shock, corse verso la macchina, la mise in moto e pensò di andarsene per chiedere aiuto, ma poi divenne ansiosa per sua figlia che era al ranch.

La notte seguente, Manson ordinò ancora una volta al quartetto di prendere un cambio di vestiti e di andare in macchina, questa volta per "mostrare loro come si fa", perché sentiva che l'atto della notte precedente era stato eseguito in modo sciatto. Questa volta uniti con Leslie Van Houten e Steve "Clem" Grogan, il gruppo partì per la città, verso la residenza dei coniugi LaBianca a Los Feliz. La Kasabian vide Manson e Watson camminare verso la casa e ritornare alla macchina pochi minuti dopo e Manson riferì che gli occupanti della casa erano legati. Manson incaricó Watson, Krenwinkel e Van Houten di entrare nella casa. A quel punto, Manson, la Kasabian, Susan Atkins e Grogan partirono. Nella residenza, Watson, Krenwinkel e Van Houten uccisero Leno e Rosemary LaBianca.[6] Quando le venne chiesto perché fosse uscita di nuovo con il gruppo, sapendo a questo punto che sarebbero avvenuti gli omicidi, la Kasabian rispose che quando Manson le chiese di andare con loro, aveva "paura di dire no". Dopo quella notte, nella zona della Venice Beach di Los Angeles, Manson chiese alla Kasabian di partecipare all'omicidio di un conoscente, un attore libanese di nome Saladin Nader. La Kasabian aveva incontrato l'attore pochi giorni prima con un membro della famiglia, Sandra Good. Atkins e Grogan aspettarono a pochi passi, con un coltello e una pistola in mano, pronti a uccidere, come Manson aveva detto loro. La Kasabian bussó intenzionalmente alla porta dell'appartamento sbagliato, al fine di evitare qualsiasi danno a Nader. Quando l'occupante rispose, la Kasabian si scusò, impedendo così il reato. Prima di abbandonare la scena con un nulla di fatto, Susan Atkins defecò sulle scale dell'abitazione.[7]

Due giorni dopo l'omicidio LaBianca, Linda fuggì dalla Family e alla fine tornò a casa della madre nello New Hampshire.

Processo e pentimento[modifica | modifica wikitesto]

Susan Atkins fu arrestata insieme al resto dei membri rimanenti della famiglia in seguito a un'irruzione allo Spahn Ranch avvenuto a ottobre, per furto d'auto. La polizia non aveva idea che avessero commesso anche gli omicidi Tate-LaBianca. Le investigazioni di questi erano ancora in corso. Atkins diede una svolta nella ricerca degli assassini quando raccontò ai suoi compagni di cella - tra cui una donna chiamata Ronnie Howard - dei crimini. Howard e le altre prigioniere del carcere femminile della contea di Los Angeles informarono le autorità di ciò che avevano sentito da Atkins. Nei primi di dicembre del 1969, Manson, Watson, Krenwinkel, Atkins, Van Houten e la Kasabian furono incriminati per gli omicidi Tate-LaBianca. Inizialmente, ad Atkins era stata offerta una condanna ridotta (l'ergastolo invece della pena di morte) in cambio della sua testimonianza, dal momento che era stata la prima imputata ad essere arrestata, ed era d'accordo a collaborare. Tuttavia Atkins rinunciò tornando fedele a Manson e ritrattò tutte le sue dichiarazioni precedenti. Quindi i procuratori si rivolsero alla Kasabian, alla quale offrirono l'immunità in cambio della testimonianza.

Ci sono state segnalazioni che la Kasabian avrebbe voluto raccontare la propria storia ai procuratori, con o senza alcun tipo di accordo, per "farlo uscire dalla mia testa", come il capo procuratore Vincent Bugliosi descriveva, ma il suo avvocato, Gary Fleischman, insistette affinché lei rimanesse in silenzio fino a che il procuratore distrettuale non avesse offerta l'immunità. La Kasabian, che era incinta del suo secondo bambino, accettò l'offerta dell'immunità. L'accordo venne visto all'epoca come un qualcosa di controverso per l'accusa per svariati motivi. Alcuni la volevano pienamente perseguita per i crimini. Tuttavia, anche se la Kasabian era stata complice degli omicidi e non aveva impedito gli omicidi o contattato le autorità in seguito, non era né entrata nella residenza, né aveva partecipato fisicamente a nessuno degli omicidi. Era stata descritta come riluttante ed estremamente sconvolta durante gli eventi di entrambe le notti, anche sfidando Manson («Non sono te, Charlie. Non posso uccidere nessuno»), ed era l'unica del gruppo ad aver espresso rimorso e compassione per le vittime. Quando tornò alla residenza Tate per la ricostruzione, la Kasabian subì un crollo emotivo. L'accusa fu costretta a ritirare l'accordo con Atkins, il cui comportamento e le cui dichiarazioni sembravano particolarmente corrotte.

Portata al banco dei testimoni, la Kasabian divenne la testimone chiave per l'accusa, e raccontò in lacrime gli omicidi nei minimi dettagli. Raccontò al processo tutto quello che aveva visto e sentito quando era con la famiglia e durante i delitti. La sua testimonianza, considerata la parte più drammatica del processo, ricevette una vasta copertura mediatica. Durante il processo, alcuni membri della famiglia Manson in libertà condussero una campagna intimidatoria contro la Kasabian, nel tentativo di non farla testimoniare. I veri imputati del reato interrompevano costantemente la sua testimonianza: Manson avrebbe portato un dito alla gola fissando la Kasabian, come lei ha testimoniato, un atto che ripeteva durante la testimonianza degli altri testimoni d'accusa. Susan Atkins ripetutamente bisbigliava alla Kasabian attraverso l'aula «Ci stai uccidendo!», alla quale la Kasabian rispose «Non vi sto uccidendo, voi vi siete uccisi da soli». Manson interrompeva la testimonianza della Kasabian, tenendo in mano una copia del giornale Los Angeles Times con il titolo "Manson colpevole, dichiara Nixon", riferendosi alle dichiarazioni del presidente Nixon sul processo; egli apparentemente sperava di convincere che si trattasse di un errore giudiziario, come la difesa aveva sostenuto. Per la maggior parte dei suoi 18 giorni di testimonianza, gli avvocati difensori cercarono senza successo di screditare la Kasabian, menzionando il suo ampio uso di LSD nel tentativo di togliere credibilità alla sua testimonianza. La Kasabian non cedette sotto l'intenso interrogatorio, e la sua testimonianza trovò tutte le prove fisiche che erano state presentate, oltre a essere supportata dai successivi testimoni d'accusa.

Durante l'interrogatorio della Kasabian, l'avvocato difensore di Manson, Irving Kanarek, mostrò grandi fotografie a colori della scena del crimine degli omicidi Tate. La reazione emotiva della Kasabian fu in grande contrasto rispetto a quella degli altri membri della famiglia. Ricomponendosi abbastanza da vedere la fotografia della morta, la Kasabian guardò gli imputati nell'aula. «Come potete fare questo?», lei chiese. Le imputate risero. L'avvocato difensore di Manson chiese alla Kasabian come potesse essere così sicura, considerando il suo uso di LSD, che non avesse partecipato al macabro atto. «Perché non ho quel tipo di cosa dentro di me, fare qualcosa di così animalesco», rispose. Anche se il processo di Charles Manson e dei suoi seguaci durò nove mesi, con la deposizione di numerosi testimoni, fu la testimonianza della Kasabian, più che ogni altra cosa, a portare alle condanne di Manson, Watson, Atkins, Krenwinkel e Van Houten.[4] Il 25 gennaio 1971, furono considerati colpevoli su tutti i fronti e condannati. Vari testimoni, incluse le imputate e gli altri membri leali della famiglia, testimoniarono che la Kasabian, piuttosto che Manson, aveva pianificato gli omicidi. Tuttavia la giuria del processo rifiutò completamente la loro testimonianza. Più recentemente, queste accuse sono state ripudiate pubblicamente da molti membri della famiglia, che originariamente le avevano fatte, inclusa Catherine Share, Susan Atkins, e in modo particolare Tex Watson, che ha descritto queste accuse come «palesemente ridicole».

Nella cultura di massa[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Linda Kasabian, su IMDb. URL consultato il 15 gennaio 2018.
  2. ^ (EN) If The World Comes Down ‘I Won’t Talk’ - Charles Manson Family and Sharon Tate-Labianca Murders Archive, su cielodrive.com. URL consultato il 15 gennaio 2018.
  3. ^ Testimony of Linda Kasabian, su members.tripod.com. URL consultato il 15 gennaio 2018 (archiviato dall'url originale il 31 gennaio 2018).
  4. ^ a b Stefano Leto, Sharon Tate: vittima innocente della follia di Charles Manson. URL consultato il 15 gennaio 2018.
  5. ^ (EN) Steven Parent | Charles Manson Family and Sharon Tate-Labianca Murders | Cielodrive.com, su cielodrive.com. URL consultato il 15 gennaio 2018.
  6. ^ Steven M. Chermak e Frankie Y. Bailey, Crimes and Trials of the Century: From the Black Sox scandal to the Attica prison riots, ABC-CLIO, p. 302.
  7. ^ Vincent Bugliosi e Curt Gentry, 1994, pp. 270-273.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) Vincent Bugliosi e Curt Gentry, Helter Skelter. The True Story of the Manson Murders, 25th Anniversary Edition, W.W. Norton & Company, 1994, ISBN 0-393-08700-X.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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