Lazzaretto di Verona
Lazzaretto di Verona | |
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Localizzazione | |
Stato | ![]() |
Regione | Veneto |
Località | Verona |
Indirizzo | via Lazzaretto |
Coordinate | 45°25′24.82″N 11°02′24.79″E / 45.42356°N 11.040219°E |
Informazioni generali | |
Condizioni | ruderi, conservato solo il tempio centrale |
Realizzazione | |
Architetto | Michele Sanmicheli |
Il lazzaretto di Verona è un lazzaretto la cui costruzione iniziò nel gennaio 1549 a Verona in località Porto San Pancrazio, vicina all'Adige, allora adeguatamente distante dalla città. Lo scopo fu di ricoverare i malati contagiosi in località isolata e agevolmente raggiungibile attraverso il fiume; gli appestati, infatti, venivano imbarcati in città presso il porto di ponte Navi.[1] Durante la fine del XVII e per tutto il XVIII secolo, il lazzaretto fu usato in funzione preventiva come luogo di quarantena per i viaggiatori provenienti dal Nord.[2]
Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il lazzaretto fu progettato, secondo il Vasari, dall'architetto Michele Sanmicheli, anche se secondo altri storici fu opera di Giangiacomo Sanguinetto, il quale nel giugno 1548 presentò alle autorità cittadine un modello per il lazzaretto. Non sono state comunque trovate prove certe circa l'autore dell'opera. Il nuovo lazzaretto venne completato solamente nel 1628, e in tempo per la peste del 1630, portata dai soldati tedeschi. Per la città il contagio fu un vero disastro: basti pensare che nel 1626 erano stati censiti 53.333 abitanti, che si erano ridotti a 20.738 alla fine del contagio: morirono dunque 33.000 persone circa. Nel tentativo di arginare l'epidemia le autorità sanitarie e cittadine cercarono di confinare i malati al lazzaretto: al culmine della pestilenza all'interno si concentrarono più di 5.000 appestati. Quella del 1630 fu l'ultima peste che colpì la città e, successivamente, il lazzaretto fu usato solo come luogo di quarantena preventiva per chi arrivava in città e nei territori Veneti dal Nord (principalmente Trentino Alto Adige). Questa funzione cessò alla fine del secolo XVIII, quando il lazzaretto fu trasformato in scuderia per cavalli. Dato in consegna alle autorità militari Austriache, fu trasformato in deposito d'esplosivi.[3]
Anche durante la seconda guerra mondiale il lazzaretto venne utilizzato come deposito d'esplosivi, e sul finire della guerra una deflagrazione distrusse la parte orientale dell'edificio. Nell'aprile del 1945 i nazisti in fuga da Verona lo lasciarono incustodito, e vi fu una nuova esplosione: all'interno però vi erano decine di persone che cercavano qualcosa di utile. La popolazione, ridotta dalla guerra in stato di povertà cercava di recuperare l'ottone dei bossoli di munizioni per poi rivenderlo. Non si prestava particolare attenzione alle norme elementari di sicurezza. Cosicché i proiettili era sbattuti sulle pietre e la polvere da sparo abbandonata a terra in quantità. Ormai era tanta la confidenza col pericolo che addirittura si fumava in maniera abituale. E il tutto era abbastanza noto. Tanto è vero che furono molti a non andare più via. Una scintilla o una sigaretta causò quanto si può vedere oggigiorno. Il bilancio dell'esplosione fu di almeno 30 morti (tra cui anche bambini, donne ed anziani), e moltissimi furono anche i feriti. In questo modo la città perdeva una costruzione secolare e di grande rilievo. Nel 1960 il tempietto centrale fu parzialmente ricostruito, ma dell'intero complesso sopravvivono solo pochi ruderi.
Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

La grande costruzione viene descritta nel 1821 dallo storico veronese Giambattista da Persico:
«Gran cortile vi sta in mezzo con portici e stanze dai quattro lati, due maggiori e due minori, quelli di arcate 51, questi di 24. Metton nel detto cortile quattro porte, ognuna alla metà circa di ogni lato; e nel minore a sera sta la porta del principale ingresso. Un po' elevato è il pian terreno per meglio preservare dall'umidore e dalle alluvioni le 152 stanze o celle, comprese le quattro più grandi, che s'alzano sui lati in guisa di torri, le quali hanno un piano di sopra colle rispettive scale. Un secondo ordine di celle, pur a volta reale, avente ciascuna quanto occorre per abitarvi separatamente, sta al di sopra di rincontro alle proprie arcate. Sopra il lato del principale ingresso si ha un altro ordine, compartito in dieci stanze, al servigio del magistrato, e risponde alle cinque arcate del portico, mettendo ad esso due ben ordinate scale. In quattro parti eguali vien da muretti diviso il cortile per distinguere in tempi diversi le rispettive contumacie degli appestati. Ognuno dei quattro angoli del cortile ha il suo pozzo; e due ve ne stanno tra i muri, che dividono il lato maggiore. Sopra tre ordini di gradini s'alza al centro del cortile un tempietto rotondo con doppio giro di colonne del nostro marmo, d'ordine toscano, differenti nell’altezza. Le colonne interne sostentano il timpano e la cupola del tempietto; le esterne forniscono il portico dattorno allo stesso, cupola e cupolini, quella coperta di piombo, questo sormontato dalla statua di San Rocco, il gran protettore degli appestati. Nel centro del tempio v'ha l'altare a quattro facce, sì ch'esso è in vista di tutti i malati; stando di rincontro ad ogni porta delle dette 153 celle.» |
Note[modifica | modifica wikitesto]
Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]
- Mario Patuzzo, L'Adige: Verona e i suoi ponti, Vago di Lavagno, Gianni Bussinelli, 2015, ISBN 978-88-6947-129-2.
- F. Pellegrini, Il Lazzaretto di Verona, in Studi Storici Veronesi, II, 1949-50.
- Paolo Rigoli, Il virtuoso in gabbia, Musicisti in quarantena al lazzaretto di Verona (1655-1740), Venezia, Fondazione Levi, 1996.
Filmografia[modifica | modifica wikitesto]
- La peste, la guerra, l'abbandono. La storia del Lazzaretto di Verona, regia di Mauro Vittorio Quattrina
Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]
Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]
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