Ispettorato speciale di pubblica sicurezza per la Venezia Giulia

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Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia, al centro Gaetano Collotti

L'Ispettorato speciale di pubblica sicurezza per la Venezia Giulia fu un organismo di polizia del Ministero dell'interno con sede a Trieste, attivo dal 1942 al 1945.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Istituzione[modifica | modifica wikitesto]

Dal 1941 durante la seconda guerra mondiale nella Venezia Giulia italiana cominciarono a operare bande di partigiani sloveni. Nell'aprile del 1942 il Ministero dell'interno istituisce quindi a Trieste un organismo di pubblica sicurezza a cui viene assegnato il nome di Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia. E’ un ufficio investigativo speciale, destinato alla lotta contro l’estremismo politico in un settore enorme che abbraccia tutti i territori da Gorizia sino a Fiume. L'ispettorato viene incaricato della ricerca dei partigiani stranieri e anche della repressione dei movimenti antifascisti; è stato l'unica struttura esclusivamente dedicata a tale scopo in Italia.

L'uso di metodi di tortura fu sistematico e capillare con gli antifascisti catturati, e non si trattò di imitazione delle tecniche di interrogatorio dei nazisti, infatti tali metodi furono usati già prima della caduta di Mussolini, come testimoniato da quanto dichiararono i componenti dell'ispettorato nel corso dei processi durante il dopoguerra.

La prima sede dell'Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia era in via Bellosguardo 8, già nota come Villa Triste. Fu questa la prima fra le numerose "Ville tristi" che sorsero in Italia nel corso della II guerra mondiale[1] L'ispettorato generale era agli ordini del questore Giuseppe Gueli, già a capo dell'Ispettorato generale di P.S. in Sicilia, e aveva un organico 180 uomini del Regio Corpo degli agenti di pubblica sicurezza. Gueli portò in dote i metodi poco ortodossi con i quali aveva combattuto in Sicilia la criminalità mafiosa.

Per un'azione condotta contro partigiani slavi, il vice commissario Gaetano Collotti venne insignito di una medaglia di bronzo al valor militare, il 10 aprile 1943 nei pressi di Tolmino[2] Dopo il 25 luglio 1943 il presidente del consiglio Pietro Badoglio sciolse l'ispettorato, ma assegnò a Gueli il delicato compito della custodia di Mussolini dopo l'arresto.

«Allorché mi convocò, il capo della Polizia mi chiarì che si trattava di salvaguardare la persona di Mussolini e di impedire, in tutti i modi, che i tedeschi lo rapissero. In tal caso, bisognava far fuoco sul prigioniero e far trovare un cadavere. Risposi che ero un uomo di battaglia non un assassino e allora lui mi disse che della bisogna erano stati incaricati i Carabinieri. Badoglio volle conoscermi, e a presentarmi al Capo del Governo provvide Senise. Il Maresciallo ripeté a me la consegna già data a Polito e io, come Polito, assicurai che l'avrei fedelmente e, occorrendo, personalmente eseguita. Nella notte, trascorsa insonne, però, presi la mia decisione: poiché la sorte, fra milioni d'ltaliani restati fedeli al Duce, dava a me l'occasione favorevole, dovevo fare di tutto per salvarlo. L'indomani, mi recai in Sardegna e constatai che, per clima e per sicurezza Mussolini si trovava molto male. Se gli inglesi avessero avuto notizia della sua presenza alla Maddalena, avrebbero potuto facilmente impadronirsene o seppellirlo sotto le macerie della villa con quattro cannonate delle loro navi"»

Dopo l'8 settembre 1943[modifica | modifica wikitesto]

Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 l'Ispettorato riprende la sua attività contro gli antifascisti ma essendosi messo agli ordini dei germanici, si occupa sensibilmente della cattura degli ebrei.[4] Il governo della Repubblica sociale italiana lo ricostituisce con il nome di Ispettorato Speciale; la catena di comando è comunque mantenuta sempre con a capo Gueli.

Dopo la liberazione di Mussolini dal Gran Sasso Gueli si era portato dietro diversi agenti che avevano tenuto "prigioniero" Mussolini e l'organismo appena formato dipende dal Ministero dell'Interno della Repubblica di Salò, ufficialmente, ma in pratica sotto controllo del comando delle SS con sede Trieste. Fra gli agenti più spietati vi è Gaetano Collotti. Sarà lui che si occuperà di torturare personalmente Ercole Miani, ex Legionario dannunziano a Fiume e comandante partigiano.

Tullio Tamburini, prefetto di Fiume, innalza al grado di maresciallo Sigfrido Mazzuccato, ex squadrista fascista, con lo scopo di costituire un nucleo che si occupi degli interrogatori e costituito da un reparto di polizia ausiliaria, la cui sede è posta in via San Michele. Il nucleo è conosciuto al tempo come "squadra Olivares" e conta 200 membri, la cui maggioranza è cooptata fra i pregiudicati locali. Il reparto verrà sciolto in settembre dalle stesse autorità germaniche. Lo stesso Mazzucato fu inviato in Germania a Buchenwald.

Alcune testimonianze tratte dagli atti del processo a Gueli[modifica | modifica wikitesto]

il dottor Paul Messiner, di nazionalità austriaca, nel 1944 aveva l'incarico di capo-sezione Giustizia del Supremo Commissariato della Zona di Operazioni del Litorale Adriatico:

«Mi è stato riferito che nell’anno 1944 l’Ispettorato di P.S. di via Bellosguardo, trasferitosi dopo in via Cologna, procedette all’arresto dei fratelli Antonio e Augusto Cosulich (armatori che avevano finanziato il C.L.N., n.d.a.). Il barone Economo si rivolse al Supremo Commissario dott. Rainer per ottenere l’immediato trasferimento dei detenuti dall’Ispettorato alla sede delle S.S. di piazza Oberdan, a causa dei noti sistemi di tortura dei detti agenti italiani, usati contro patrioti. Il Supremo Commissario accolse subito la richiesta e disse che la polizia tedesca non usava i metodi crudeli e le sevizie escogitati dall’Ispettorato [26]… Ho saputo da diverse persone e tra queste dall’avv. Tončič, che la polizia italiana usava metodi barbari e sadici contro i detenuti. Ho parlato e fatto rapporto scritto al dott. Rainer... Mi sono state date assicurazioni in merito. (...) Il giudice Anasipoli sa che ho fatto arrestare due agenti dell’Ispettorato pur non rientrando nelle mie attribuzioni. (...) Ho dato ordine che i tribunali provinciali italiani non potessero giudicare antifascisti e che se avessero violato tale ordine sarebbero stati arrestati. (...)»

[5]

l'avvocato Tončič:

«Slavik mi disse di aver fatto un esposto al capo della sezione giustizia dell’ex-Commissariato dott. Paul Messiner e me lo mostrò. In tale esposto oltre a narrare quanto contro di lui era stato commesso dagli agenti (dell’Ispettorato, n.d.a.), espose anche i maltrattamenti e le violenze carnali commesse ai danni di una ragazza diciassettenne e di una signora di Trieste... Il dott. Slavik fu arrestato poco tempo dopo dalle S.S. germaniche e deportato a Mauthausen dove purtroppo trovò la morte»

[5]

Arrestato nel 1944, all'età di 16 anni, Pietro Prodan, insieme a Nives e Nerina, sue sorelle:

«Tra i poliziotti che procedettero al nostro arresto c’era anche Sigfrido Mazzuccato.»

Dopo un periodo ci circa un mese negli uffici del "gruppo Olivares" dove i tre furono percossi anche da Gaetano Collotti:

«mi hanno portato in Germania al campo di Buchenwald dove sono stato liberato dagli alleati. Nello stesso campo di concentramento è venuto nel novembre del 1944 anche il maresciallo Mazzuccato che la vigilia di Natale è stato, verso mezzanotte, trasportato nel forno crematorio e gettato in esso. Ho visto coi miei occhi la cartella scritta dai tedeschi in cui si diceva: “Mazzuccato, deceduto per catarro intestinale il 24 dicembre 1944»

[5]

Il rebus della sparizione di Mazzuccato fatto rimuovere dal comando SS dall'incarico è stato risolto.

Agli atti del processo ci son numerosissime testimonianze sui "metodi di interrogatorio" queste testimonianze sono agli atti sia del processo a carico di Gueli sia di quello relativo alla Risiera di San Sabba. Da tali testimonianze si deduce che il metodo della tortura non era occasionale bensì sistematico e lo stesso vescovo di Trieste, mons. Santin, intervenne tentando di porre fine a tal modo di agire nel 1942, dopo un periodo di incredulità su quanto era venuto a conoscenza, ma senza gli esiti che il prelato si era prefisso.

Specifico sulla caccia agli ebrei e l'uso dei delatori[modifica | modifica wikitesto]

Un altro dei compiti dell'Ispettorato, oltre la cattura e gli "interrogatori" di partigiani e antifascisti, era quello di prelevare gli ebrei.

«Prima della seconda guerra mondiale gli ebrei triestini erano circa 5.000. Si trattava di una comunità di antico insediamento, assai radicata nella vita culturale ed economica della città. Dopo le leggi razziali fasciste del 1938 e l'istituzione anche a Trieste di uno dei famigerati "Centri per lo studio del problema ebraico" (uno dei 4 istituiti in Italia) molte famiglie decisero di emigrare all'estero, sottraendosi alla persecuzione fascista. Ciononostante fascisti e nazisti riuscirono dopo l'8 settembre a catturare e a deportare nei campi di sterminio più di 700 ebrei triestini»

[6] da inviare ai lager germanici e per questo compito specifico potevano disporre della non trascurabile cifra di 10.000 lire messa a disposizione dai nazisti per i delatori che avessero permesso una cattura. I catturati dopo un passaggio negli uffici del "gruppo Olivares" venivano inviati alla Risiera di San Sabba.

Quindi il gruppo si poteva avvalere di delatori organizzati sistematicamente che riferivano alla "banda Collotti", nome con cui è meglio conosciuto il gruppo di agenti dell'Ispettorato, o ai preposti organi delle SS. Un caso è molto noto è quello relativo a Giorgio Bacolis, impiegato presso il Lloyd Triestino, il quale si travisava da pastore evangelico oppure valdese a seconda della bisogna, per poter ottenere più facilmente informazioni, anche da persone che non erano delatori, lui ebbe un "premio" di 100.000 lire per avere fatto catturare un membro di rilievo del CLN.

I processi del dopoguerra[modifica | modifica wikitesto]

Nel dopoguerra furono istituiti processi a carico di alcuni membri dell'Ispettorato. Quello di maggior peso era riferito a Giuseppe Gueli, Umberto Perrone, Nicola Cotecchia, Domenico Miano, Antonio Signorelli, Gherardo Brugnerato e Udino Pavan. In seconda istanza Gueli ebbe una condanna a 8 anni e undici mesi, gli altri pene molto minori, a parte Cotecchia e Perrone che vennero direttamente assolti. Lucio Ribaudo con capi di imputazione gravissimi inerenti a un pervicace e continuo metodo di applicazione feroce della tortura fu condannato a 24 anni.

Essendo stato Gaetano Collotti trucidato dai partigiani nel corso dell'eccidio della cartiera di Mignagola insieme con la fidanzata incinta, il difensore di Gueli si giocò la carta di impostare la difesa sul fatto che Gueli era "succube" di Collotti.[7] Con sentenza della Corte di assise straordinaria del 25 febbraio 1947 Giuseppe Gueli fu condannato, per il solo reato di collaborazionismo, ad otto anni di reclusione. La sentenza rientrò però tra quella previste dall'amnistia Togliatti [8]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Testimonianza di Nerina De Walderstein nata a Trieste nel 1925, residente a Trieste da RAI, su testimonianzedailager.rai.it. URL consultato il 12 gennaio 2009 (archiviato dall'url originale il 7 ottobre 2008).
  2. ^ Ricompense al valor militare, in Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale, n. 12, 16 gennaio 1954, p. 3.
    «Decreto Presidenziale del 25 agosto 1953 ... sono state conferite le seguenti decorazioni al valor militare: ... medaglia di bronzo Collotti Gaetano di Alessandro e di Di Stefano Maria da Castelbuono (Palermo), classe 1917, vice commissario aggiunto di P.S., ispettorato speciale P.S. per la Venezia Giulia. In qualità di vice commissario di P.S., incaricato di procedere ad alcuni arresti di partigiani in una località del Goriziano, venuto a conoscenza del probabile passaggio di elementi partigiani nemici in località prossima, accompagnato da pochi agenti, predisponeva un appostamento. Successivamente, rimasto solo, ne affrontava coraggiosamente alcuni armati, riuscendo ad ucciderne uno, a catturarne altro e a ferirne un terzo che si dava alla fuga unitamente ad altro piccolo gruppo posto in agguato nelle vicinanze. Tolmino (Gorizia) 10 aprile 1943»
  3. ^ Corsainfinita sito dei bersaglieri
  4. ^ da ANED Archiviato il 24 settembre 2008 in Internet Archive.
  5. ^ a b c didaweb
  6. ^ La persecuzione degli ebrei triestini Archiviato il 27 luglio 2008 in Internet Archive. da ANED
  7. ^ Padrini della patria - Paperblog
  8. ^ Vittorio Coco, Il poliziotto di un regime totalitario. Vita e carriera di Giuseppe Gueli, pagina 61, «Qualestoria» n. 1 - giugno 2013

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]