Iscrizione di Nazareth

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Iscrizione di Nazaret (o lapide di Nazaret) è il nome convenzionale generalmente attribuito a una lastra di marmo di 24 x 15 cm recante un'iscrizione greca in 22 righe, riportante la prescrizione della pena capitale per chi avesse asportato cadaveri dai sepolcri.

La lingua dell'iscrizione rimanda al greco della koinè dei due secoli a cavallo dell'inizio dell'evo moderno[1], ma la lettura del testo lascia l'impressione che la sua redazione riposi su un originale latino[2].

Non vi è accordo tra gli studiosi sulla reale natura del documento, se esso sia da considerarsi un rescritto, o invece un editto imperiale[3]. A quest'ultimo potrebbe ricondurre il significato generalmente associato al termine in greco diátagma (Kaísaros) e l'analogia tra le formula prescrittive utilizzate (piace a me..., ordino) con quelle leggibili nel primo editto di Augusto a Cirene[3].

Origine[modifica | modifica wikitesto]

Fu acquisita nel 1878 da Wilhelm Fröhner (1834–1925), e inventariata con una scarna nota manoscritta (Dalle de marbre envoyée de Nazareth en 1878[4]) che ne indicava il luogo di provenienza e l'anno di acquisizione, senza fornire però alcuna indicazione sulle circostanze e sulla data del ritrovamento[4]: pur dando fede a tale laconica annotazione, non è possibile concludere alcunché, come fanno alcuni studiosi (tra cui Michael Green), sulla località in cui essa è stata scoperta o in cui era originariamente eretta[4]. Non è escluso che la stele sia pervenuta a Nazareth da un diverso luogo, non necessariamente nell'antichità, forse anche in un'epoca moderna, non esclusi gli anni settanta dell'Ottocento, quando la città, al pari di Gerusalemme, era sede naturale di un mercato di reperti antiquari[5].

Nel 1925 la lapide, insieme alla collezione, fu acquistata dalla Biblioteca nazionale di Francia, dove è oggi in mostra al Cabinet des Médailles.

Traduzione[modifica | modifica wikitesto]

1. Ordinanza di Cesare
2. Piace a me che i sepolcri e tombe, di qualsiasi tipo
3. che furono fatte per la devozione per i genitori o (per la devozione) dei figli o dei familiari
4. queste rimangano indisturbate in perpetuo. Qualora qualcuno legalmente
5. denuncia persone che hanno distrutto, o hanno in qualsiasi modo sottratto
6. chi vi era sepolto, o hanno, con cattiva intenzione, spostato in altri posti,
7. coloro che vi sono stati sepolti, commettendo un crimine contro di loro, o hanno
8. spostato pietre sepolcrali, contro queste persone, ordino che
9. venga istruito un giudizio, a protezione della pietà dei mortali, alla stessa stregua delle pratiche
10. religiose rivolte alle divinità. Ancora di più perciò sarà obbligatorio
11. onorare color che sono stati sepolti. Voi non dovete assolutamente
12. permettere a nessuno di spostare [coloro che sono stati sepolti]. Ma se
13. [qualcuno lo facesse], io ordino che [il violatore] subisca la pena capitale con
14. l'accusa di violatore di tombe.

Autenticità[modifica | modifica wikitesto]

L'editio princeps del testo fu condotta da Franz Cumont nel 1930[6], su sollecitazione di Michael Rostovtzeff[4]. Da allora l'autenticità del reperto è largamente accettata, contro le contestazioni di alcuni studiosi che ne hanno ipotizzato la genesi in una falsificazione antica o, viceversa, ottocentesca, finalizzata in questo caso alla creazione di una prova 'antica' della resurrezione di Gesù[7][8].

Contro l'ipotesi di una genesi ottocentesca, si ritiene la scrittura troppo complessa e pleonastica per essere stata prodotta al solo scopo di ingannare il pubblico[8]. Si ritiene inoltre improbabile che un falsario moderno, in epoca anteriore al 1878, sia stato in grado di servirsi di elementi stilistici e itacismi che oggi si riconoscono tipici della scrittura greco-ellenistica dell'epoca[8].

Contro l'ipotesi della falsificazione antica sta il fatto che, se l'iscrizione fosse un prodotto locale, opera di magistrati o del proprietario di una tomba, essa non avrebbe l'apparenza stilistica di un calco da un testo originale in lingua latina[8].

Storicità di Gesù e della resurrezione[modifica | modifica wikitesto]

L'iscrizione ha dato luogo a varie controversie, in particolare riguardo alla sua utilizzazione come prova della storicità di Gesù e della sparizione del suo corpo dal sepolcro, che per i credenti è una prova della sua resurrezione e per i non credenti del furto del cadavere[9].

Franz Cumont, autore della «magistrale editio princeps»[10], pur non potendo categoricamente escludere una tale ipotesi, propendeva per un'origine pre-cristiana dell'iscrizione[10].

Clyde Billington del Northwestern College (Minnesota) la data[11] al 41, e la interpreta come prova della storicità della resurrezione di Cristo, redatta nel decennio successivo alla sua crocifissione.

Il teologo anglicano Michael Green[12] ritiene che questa iscrizione sia la dimostrazione che, immediatamente dopo la morte di Cristo, la tomba vuota aveva creato una reazione da parte dell'autorità costituita. Così ne parla nel suo Man Alive:

«È indicata con il nome di iscrizione di Nazaret, dalla cittadina dove venne ritrovata. Essa riporta un editto imperiale, redatto sotto Tiberio (14-37 d.C.) o Claudio (41-54). È una invettiva, con le relative sanzioni, che colpiva i profanatori di tombe e sepolcri. Sembra verosimilmente una reazione alla tomba vuota che il rapporto di Ponzio Pilato deve aver riportato all'imperatore come l'atto di un furto perpetrato dai suoi discepoli. L'editto è la risposta dell'autorità a questo evento.»

Altri studiosi ne forniscono una datazione più tarda. Erhard Grzybek, sulla base di considerazioni stilistiche, data l'iscrizione al 63 o al 64 e la attribuisce all'imperatore Nerone[13] (54-68 d.C.). All'iniziativa neroniana, forse sollecitata dalla «giudaizzante» Poppea, aderisce anche la studiosa Marta Sordi[13], che già da tempo aveva anticipato l'ipotesi di identificazione, basandosi però su considerazioni storiche[3].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Bruce Metzger, New Testament Studies: Philological, Versional, and Patristic, Brill Publishing, 1980, ISBN 90-04-06163-0 (p. 81)
  2. ^ Bruce Metzger, New Testament Studies: Philological, Versional, and Patristic, Brill Publishing, 1980, ISBN 90-04-06163-0 (p. 80)
  3. ^ a b c Marta Sordi, Il Cristianesimo e Roma, Bologna, 1965, pp. 88-90
  4. ^ a b c d Bruce Metzger, New Testament Studies: Philological, Versional, and Patristic, Brill Publishing, 1980, ISBN 90-04-06163-0 (p. 75)
  5. ^ Bruce Metzger, New Testament Studies: Philological, Versional, and Patristic, Brill Publishing, 1980, ISBN 90-04-06163-0 (p. 76)
  6. ^ Franz Cumont, Un rescrit impérial sur la violation de sépulture, in Revue historique CLXIII, 1930, pp. 241-266 (con riproduzione dell'iscrizione in facsimile)
  7. ^ Leandro Zancan, Sull'iscrizione di Nazareth, in Atti del Reale istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Tomo XCVI, parte II, a.a. 1931/32, pp. 51-64
  8. ^ a b c d Bruce Metzger, New Testament Studies: Philological, Versional, and Patristic, Brill Publishing, 1980, ISBN 90-04-06163-0 (p. 84)
  9. ^ Mary Smallwood, The Jews under Roman Rule Brill, Leiden, 1976
  10. ^ a b Bruce Metzger, New Testament Studies: Philological, Versional, and Patristic, Brill Publishing, 1980, ISBN 90-04-06163-0 (p. 89)
  11. ^ Billington, Clyde E., The Nazareth Inscription: Proof of the Resurrection of Christ? Archiviato il 1º agosto 2007 in Internet Archive., in Artifax, 2005
  12. ^ Man Alive, 1968, p. 36
  13. ^ a b Erhard Grzybek, Marta Sordi, L'Edit de Nazareth et la politique de Neron a l'egard des Chretiens, in Zeitschrift fur Papyrologie und Epigraphik, 120, 1998, pp. 279–91

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]