Hubal

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Hubal (in arabo حبل?) era l'idolo venerato in età preislamica a La Mecca nel santuario urbano della Kaʿba a lui principalmente dedicato.

Secondo la tradizione, riportata in età islamica da Ibn al-Kalbī nel suo Kitāb al-aṣnām (Libro degli idoli), l'idolo sarebbe stato portato alla Mecca, forse dalla Mesopotamia, nella prima metà del III secolo d.C. da Qusayy (il costitutore della realtà tribale dei Quraysh), o dalle regioni transgiordaniche da ʿAmr ibn Luḥayy, il mitico organizzatore dei culti idolatrici alla Mecca.

L'aspetto dell'idolo era quello di un vecchio con un arco e una faretra, al cui interno le frecce, senza punte né impennaggi, sarebbero servite al sādin (custode del santuario) per emettere a pagamento vaticini belomantici (istiqsām bi-azlām[1]) su richiesta degli interessati.

L'idolo sarebbe stato di cornalina rossa e si narra che un braccio, il destro, si fosse rotto per essere poi sostituito da un nuovo arto in oro.

Il nome della divinità, di carattere lunare, sembra essere semplicemente la variante araba del nord-semitico ha-Baʿl, vale a dire "il Dio" e non è forse un caso che l'espressione usata in età islamica per chiamare Allah fosse quella di Rabb al-Bayt, vale a dire "Il Dio (Signore) del Santuario", la medesima formula cioè usata precedentemente per Hubal.

Fuori dall'Arabia meridionale, il nome Hubal appare solo una volta in una iscrizione nabatea[2] dove è menzionato assieme a Dushara (ذو الشراة) e Manawatu; quest'ultimo adorato anche alla Mecca col nome Manāt.[3][4]

Ad egli venivano sacrificati animali nel mese lunare di rajab, la cui sacralità (con ben altre liturgie e significati) si è in parte conservata nell'Islam.

Alcune teorie affermano che Hubal sia il dio islamico, il quale sarebbe stato l'unico non abolito da Maometto perchè era il dio della Kaaba e la struttura era gestista dal clan di Maometto, e che in seguito venne chiamato semplicemente "Allah" ovvero Dio, per camuffare la cosa. Queste teorie sono sostenute dal fatto che molti attributi riguardanti Hubal come il simbolo della luna sono stati riciclati dal culto precedente, tuttavia sono contrastate. L'ipotesi che che in Allah sia confluita una precedente divinità lunare fu avanzatada da Hugo Winckler nel 1901 e riproposta da Robert Morey nel 1994 in Moon-god in the Archeology of the Middle East, ma scartata da studiosi come Patricia Crone"[5] e Joseph Lumbard,[6] oltre ad essere violentemente avversata nel mondo islamico.[7][8]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Ibn Hishām, al-Sīrat al-nabawiyya (Vita del Profeta), ed. Muṣṭafà al-Saqqā et alii, I, pp. 152-3.
  2. ^ Corpus Inscriptiones Semit., vol. II: 198; Jaussen and Savignac, Mission Archéologique en Arabie, I (1907) p. 169f.
  3. ^ Maxime Rodinson, Mohammed, 1961, translated by Anne Carter, 1971, pp. 38-49.
  4. ^ John F. Healey, The religion of the Nabataeans: a conspectus, BRILL, 2001, pp.127-132.
  5. ^ Patricia Crone, Meccan Trade And The Rise Of Islam, 1987, pp. 193–194.
  6. ^ Scholarly Pursuits: Joseph Lumbard, classical Islam professor, su BrandeisNOW, Brandeis University, 11 dicembre 2007.
  7. ^ Arab and Muslim Stereotyping in American Popular Culture (PDF), su www12.georgetown.edu. URL consultato il 2 gennaio 2012 (archiviato dall'url originale il 24 marzo 2012).
  8. ^ Lori Peek, Behind the Backlash: Muslim Americans After 9/11, Temple University Press, 2010. p.46.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Ibn Isḥāq/Ibn Hishām, al-Sīrat al-nabawiyya (Vita del Profeta), ed. Muṣṭafà al-Saqqā, Ibrāhīm al-Abyārī e ʿAbd al-Ḥāfiẓ Shalabī, Il Cairo, Muṣṭafà al-Bābī al-Ḥalabī, 1955 (rist. dell'ediz. del 1937).
  • Hishām ibn al-Kalbī, Kitāb al-aṣnām (Libro degli idoli), ed. a cura di Aḥmad Zakī Pāshā, Il Cairo, Dār al-kutub, 1913.
  • al-Azraqī, Akhbār Makka (Le notizie [riguardanti] Mecca), Beirut, 1986 (rist. dell'ediz. orig. del 1934 curata da Rushdī al-Ṣāliḥ Malḥas, 2 voll.
  • T. Fahd, Le panthéon de l'Arabie centrale à la veille de l'Hégire, Parigi, Librairie Orientaliste Paul Geuthner, 1968.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]