Haraç

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L'haraç, (in armeno խարջ / kharj?, in macedone arač / арач?, in greco χαράτσι / charatsi?ù, in serbo-croato харач / harač?ù) era una tassa fondiaria applicata ai non musulmani nell'Impero ottomano. Coloro che pagavano il tributo venivano chiamati haraçgüzar.[1] Il termine caragio era una forma italianizzata dell'haraç usata dagli scrittori italiani dell'epoca.[2] Altri adattamenti italiani antichi includono caraccio e carazzo.[3]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

L'haraç era stato sviluppato da una precedente forma di tassazione fondiaria, il kharaj (harac), ed era, in linea di principio, pagabile solo dai non musulmani; era visto come una controparte della zakat pagata dai musulmani.[4] Inizialmente, ai tempi del califfato, era legato alla quantità di terra posseduta e si contrapponeva alla cizye, un'imposta pro-capite personale anch'essa pagata dai non musulmani.[5][6] Il sistema dell'haraç si fuse in seguito nel sistema di tassazione della cizye.

La riscossione dell'haraç fu riformata da un firmano del 1834 di Mahmud II che abolì il vecchio sistema e richiese che venisse riscossa da una commissione composta dai kadı e dagli ayan, o capi municipali delle rayah in ogni distretto.[7] Il firmano apportò alla tassazione diverse altre modifiche.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Maria Pia Pedani Fabris, In nome del Gran Signore : inviati ottomani a Venezia dalla caduta di Costantinopoli alla guerra di Candia, vol. 222, Deputazione editrice, 1994. URL consultato il 30 settembre 2021.
  2. ^ Rassegna degli archivi di Stato, 1968, p. 615. URL consultato il 30 settembre 2021.
  3. ^ Luciano Rocchi e Filippo Argenti, Ricerche sulla lingua osmanlı del XVI secolo: il corpus lessicale turco del manoscritto fiorentino di Filippo Argenti (1533), Otto Harrassowitz Verlag, 2007, p. 115, ISBN 978-3-447-05511-6. URL consultato il 30 settembre 2021.
  4. ^ Hunter, Malik and Senturk, p. 77
  5. ^ Luciano Vaccaro, Storia religiosa dell'Islam nei Balcani, Centro ambrosiano, 2008, p. 97, ISBN 978-88-8025-668-7. URL consultato il 30 settembre 2021.
  6. ^ Archivio di Stato di Venezia, I "documenti turchi" dell'Archivio di Stato di Venezia: inventario della miscellanea a cura di Maria Pia Pedani Fabris, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1994, p. LXIV, ISBN 978-88-7125-090-8. URL consultato il 30 settembre 2021.
  7. ^ (EN) George Hill, A History of Cyprus, Cambridge University Press, 23 settembre 2010, p. 167, ISBN 978-1-108-02065-7. URL consultato il 30 settembre 2021.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]