Guerra gotica (535-553)

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Guerra Gotica
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Orecchini ostrogoti

La Guerra gotica (535-553) fu il risultato della decisione di Giustiniano I nel 535 di cambiare la piega presa dagli eventi nel secolo precedente in Occidente e riconquistare all'Impero Romano d'Oriente le province italiane che erano state perse a favore di Odoacre prima e degli Ostrogoti (Goti Orientali) di Teodorico il Grande dopo.

Il casus belli fu offerto a Giustiniano (secondo uno schema già usato contro i Vandali di Gelimero in Africa) dall'esilio e successivo assassinio nel 535 di Amalasunta, erede di Teodorico, i cui ambasciatori avevano firmato un patto con Giustiniano secondo il quale le truppe imperiali potevano usare le basi sicule nella loro guerra contro i Vandali.

Il generale incaricato di dirigere le operazioni fu Belisario che da poco aveva combattuto con successo contro i Vandali e, per assolvere il nuovo incarico, chiese proprio a loro di attaccare gli Ostrogoti.

Con il loro aiuto Belisario conquistò velocemente la Sicilia e quindi sbarcò sulla penisola italiana conquistando Rhegium (Reggio Calabria) e Napoli entro il novembre 536 ed a dicembre era già a Roma, costringendo alla fuga il nuovo Re dei Goti Vitige che da poco era stato chiamato a sostituire Teodato.

L'anno dopo Belisario, non avendo truppe a sufficienza per affrontare i nemici in campo aperto, si rifugiò a Roma e difese la città dal lungo assedio messo in atto dai goti (da gennaio 537 a marzo 538) che interruppe saltuariamente lanciando qualche incursione dalle mura della città (come la Battaglia di porta Pinciana).

Quando finalmente giunsero rinforzi da Costantinopoli organizzò una nuova offesiva: inviò il generale Narsete a liberare dall'assedio Ariminum (Rimini), mentre diresse l'altro suo luogotenente Mundila a nord per conquistare Mediolanum (Milano). Tuttavia, non passò molto tempo prima che i contrasti fra Narsete e Belisario si facessero drammaticamente sentire: chi ne pagò le conseguenze furono i cittadini di Milano, che, assediati da 30000 Goti comandati da Uraia e difesi solamente dalla guarnigione di 800 uomini al comando di Mundila, per la fame furono costretti a capitolare: Mundila fu spedito a Rimini, ma i cittadini furono passati a fil di spada e la città rasa al suolo (539).

Nel 540 ci fu una temporanea entrata in scena dei Franchi al comando di Teodeberto, che riuscirono anche a prendere e saccheggiare Milano mentre Narsete veniva richiamato in patria. La mossa successiva di Belisario fu di mettere sotto assedio Ravenna, capitale degli Ostrogoti, riuscendo anche a catturare Vitige. I Goti offrirono allora allo stesso Belisario la corona di imperatore d'Occidente, che egli rifiutò. L'offerta, tuttavia, mise in allarme Giustiniano che pensò bene di richiamare Belisario per inviarlo a combattere i Persiani in Siria: questi riuscì a portare Vitige a Costantinopoli, ma Giustiniano non volle decretare a Belisario il trionfo, né volle che il tesoro di Teodorico il Grande venisse esposto al pubblico - riservando a sé il diritto di conservarlo e ammirarlo.

L'assenza di Belisario dall'Italia e i dissensi fra i vari generali bizantini permisero ai Goti di riorganizzare le loro forze nel Nord Italia, sulla scia del successo avuto a Milano. D'altra parte, è vero che Procopio testimonia come lo stesso Belisario si fosse accontentato della presa di Ravenna, stimando che nulla di pericoloso potesse provenire dalle terre al di là del Po. Si sbagliava di molto: nel 541 gli Ostrogoti acclamarono Badùila (passato alle cronache come Totila, l'immortale), capo della guarnigione di Treviso, come loro nuovo condottiero, dopo che questi aveva assassinato il predecessore – reo di aver avviato dei negoziati con l'Impero.

Totila capì subito gli errori commessi da Vitige: evitò di impegnarsi in estenuanti assedi, in cui i Bizantini potevano avere la meglio, e sfruttò la superiorità numerica, costringendo Belisario a rincorrerlo facendo il periplo in mare.

Capì inoltre che la guerra non poteva essere vinta senza l'appoggio degli Italiani, che erano in massima parte favorevoli ai Bizantini: non potendo però avere il sostegno dei latifondisti e dei patrizi italici (tutti bene o male legati all'Impero), cercò e ottenne l'appoggio delle popolazioni rurali, impegnandosi in una riforma agraria di stampo egualitaristico. Dal punto di vista militare, si impegnò in una fortunata campagna contro i Bizantini riconquistando tutta l'Italia settentrionale, scendendo lungo la Flaminia (pur lasciando in mano greca alcune roccaforti come Spoleto e Perugia), evitando Roma e attaccando e conquistando Napoli (543).

Non è quindi da stupirsi se Totila, re di un popolo ariano, deciso e crudele quanto basta, e nemico dei proprietari terrieri (fra cui gli ecclesiastici) venisse dipinto a tinte fosche dai membri della Chiesa in Italia, nonostante Giustiniano avesse brutalmente sostituito (e fatto assassinare, insinua velenoso Procopio) nel 537 il santo papa Silverio con il più "morbido" papa Vigilio: il papa Gregorio Magno descrive Totila come un Anticristo, e lo stesso San Benedetto (che secondo la leggenda riceve a Montecassino la visita del re goto poco prima della conquista di Napoli) gli predice il successo, la conquista di Roma, ma poi la rovina se non si redimerà dai suoi "propositi delittuosi" (fra cui, forse, la riforma agraria).

Giustiniano, mosaico nella chiesa di San Vitale a Ravenna

Vista la situazione disperata, nel 544 Belisario fu nuovamente inviato in Italia e tentò di difendere la città di Roma dall'assedio di Totila (545, il secondo dall' inizio della guerra), che si lanciò contro di essa dopo la presa di Assisi e Spoleto. Roma veniva conquistata (17 dicembre 546) dai Goti, le cui offerte di pace tramite il prelato Pelagio (futuro papa Pelagio I) furono rifiutate da Giustiniano che rispondeva di "trattare direttamente con Belisario", e gli intimava di non nuocere alla bellezza di Roma. Totila con generosità risparmiò la città e momentaneamente si ritirò da essa, ma questo gli costò l'assedio (il terzo) e la conquista di Roma da parte di Belisario nel 547, che inviò le chiavi della città a Costantinopoli. Giustiniano, geloso ed intimorito dai suoi successi (secondo quanto raccontato dallo storico Procopio di Cesarea, secretario di Belisario), lesinava l'invio dei rinforzi necessari. Belisario cercò dunque l'appoggio dell' imperatrice Teodora, tramite la moglie Antonina che era a lei molto legata: ma il 1° luglio del 548 Teodora moriva, e Giustiniano richiamava Belisario definitivamente a Costantinopoli. L'assenza di Belisario fu la causa della subitanea riconquista di Roma da parte di Totila (per la quarta volta, 549).

Belisario intanto veniva spedito questa volta sul fronte danubiano contro i Bulgari.

Giustiniano lanciò quindi una nuova campagna di conquista dell'Italia. A capo delle sue truppe pose Germano, suo nipote. Inviò, inoltre, un altro esercito con a capo il generale Liberio per attaccare i Visigoti in Spagna.

A seguito della morte di Germano, nel 551 Narsete ottenne di nuovo il comando delle operazioni in Italia: radunò un esercito imponente, senza farsi molti scrupoli di arruolare con generosi donativi barbari slavi, Longobardi e Franchi fra le sue schiere, e puntò direttamente verso Roma: non potendo attraversare la via Flaminia da Fano, perché la roccaforte della gola del Furlo era ben presidiata, probabilmente prese la via di Sassoferrato e Fabriano, sconfiggendo Totila nella Battaglia di Tagina (Gualdo Tadino), detta dei Busta Gallorum. Totila riuscì a fuggire ferito, ma morì poco distante, in un luogo chiamato Caprae, corrispondente all'attuale frazione di Caprara, dove tuttora esiste un sito chiamato Sepolcro di Totila. Dopo la battaglia decisiva, Narsete costrinse alla resa anche i goti che ancora occupavano Roma.

Qui si inserisce il celebre commento di Procopio, che puntualizza come la vittoria bizantina si rivelasse invece una ulteriore disgrazia per gli abitanti di Roma: i barbari arruolati nelle file di Narsete si abbandonarono al saccheggio della città (al punto di "violare le donne nei templi"), tanto che il generale si affrettò a rispedirli alle loro sedi (in particolare, i Longobardi: Paolo Diacono, longobardo, nella sua Historia Langobardorum, glissa su questo episodio pur essendo un religioso).

Con la successiva Battaglia dei Monti Lattari combattuta nell'ottobre 553, Narsete sconfisse anche Teia (successore di Totila) e quanto rimaneva dell'esercito goto in Italia. Teia fu l'ultimo re dei Goti.

La Prammatica Sanzione del 554 ricondusse tutti i territori dell'Italia sotto la legislazione dell'Impero bizantino, e reintegrando tutti i proprietari terrieri delle terre alienate dall'"immondo" Totila a favore dei contadini. Questo gravò ulteriormente le condizioni già precarie degli Italiani: come conseguenza della guerra, degli stenti, e delle imposizioni fiscali, una terribile pestilenza infuriò in Italia dal 559 al 562.

Anche la vittoria militare fu effimera per i Bizantini: stando a ciò che scrive Paolo Diacono, dissensi fra Narsete e il nuovo imperatore Giustino II (oppure, come indica il Diacono con ironia, le continue contumelie dell'imperatrice Sofia), spinsero Narsete a chiamare in Italia il re dei Longobardi Alboino. Secondo ricerche storiche recenti forse questa è un'esagerazione: è comunque attestata da Procopio la presenza di Longobardi al comando di Audoino (padre di Alboino) nella battaglia di Tagina.

Secondo la tradizione riportata da Paolo Diacono, il giorno di Pasqua del 568 Alboino entrò in Italia. I Bizantini furono costretti a ritirarsi davanti all'avanzata dei Longobardi, tanto che nel 571 l'Esarcato di Ravenna controllava solo qualche importante centro costiero e poco altro. Il loro breve governo fu, però, particolarmente duro in quanto gravarono di tasse esose le genti italiche, anche perché le violenze che erano seguite al conflitto avevano drenato dalle casse dell'Impero Romano d'Oriente risorse che probabilmente sarebbe stato più utile impiegare contro le minacce che cominciavano ad affacciarsi da Est.

Le conseguenze della guerra si fecero sentire sull'Italia per molto tempo dopo la fine della guerra, anche perché la popolazione per non essere coinvolta aveva abbandonato le città per rifugiarsi nelle campagne, spezzando il processo di aggregazione ed urbanizzazione in atto. Anche se le cifre delle vittime riportate da Procopio sono forse esagerate, si può stimare che quasi metà della popolazione italiana fosse decimata dagli assedi, dalle carestie e dalla peste. Particolarmente raccapriccianti sono nella testimonianza di Procopio i dettagli degli stenti subiti dalla popolazione di Milano durante l'assedio del 539. La ripresa dell'Italia si potrà dire completata solo con la nascita dei Comuni in pieno Medioevo.

Inoltre, la differenziazione fra domini longobardi nella terraferma, tipicamente organizzati in ducati (Cividale, Verona, Pavia, Milano, Spoleto, Benevento), e domini bizantini sulla costa (Venezia, Napoli, Ravenna, la Pentapoli), inizia il processo di frammentazione politica che sarà tipico dell'Italia per oltre mille anni successivi.

Fonti storiografiche

La gran parte delle informazioni oggi disponibili sulla guerra gotica sono state tramandate da Procopio di Cesarea, segretario di Belisario, che li racconta in 4 libri degli 8 che formano la sua Storia delle guerre. Procopio partecipò direttamente alle prime fasi della guerra, in particolare durante il primo assedio di Roma (537-538). Procopio, però, non era un amico di Giustiniano e per questa ragione, secondo alcuni storici, le sue affermazioni e valutazioni sono da prendere con cautela.

Un'altra importante fonte è offerta dal De Bello Gothico ("La guerra gotica"), un panegirico composto da Claudio Claudiano dove però in realtà si celebra la prima parte della guerra, o meglio un episodio delle invasioni barbariche successo più di 150 anni prima, in particolare la battaglia di Pollenzo e la cacciata di Alarico dall'Italia. La storia è raccontata dal punto di vista di Flavio Stilicone, generale dell'Impero Romano d'Occidente, che Claudiano definisce come "il restauratore della gloria della civiltà".

Infine, una testimonianza importante è fornita dalla opera De origine actibusque Getarum dello storico Giordane, meglio nota come Getica. Giordane, essendo di origine gotica, fornisce una visione complementare di molti fatti testimoniati da Procopio.

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