Grigorij Ivanovič Davidenko

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Grigorij Ivanovič Davidenko
NascitaStaryj Kovraj, 17 aprile 1921
MorteLibau, 8 maggio 1945
Cause della morteCaduto in combattimento
Dati militari
Paese servito Unione Sovietica
Forza armataVoenno-morskoj flot
ArmaAviacija voenno-morskogo flota
Anni di servizio1941-1945
GradoStaršij lejtenant
GuerreSeconda guerra mondiale
CampagneOperazione Barbarossa
BattaglieAssedio di Leningrado
Offensiva del Baltico
Decorazionivedi qui
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Grigorij Ivanovič Davidenko (in russo Григорий Иванович Давиденко?; Staryj Kovraj, 17 aprile 1921Libau, 8 maggio 1945) è stato un militare e aviatore sovietico, che nel corso della seconda guerra mondiale fu insignito delle onorificenze di Eroe dell'Unione Sovietica, dell'Ordine di Lenin, dell'Ordine della Bandiera rossa (3 volte), e dell'Ordine della Guerra Patriottica di I Classe.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Un Petlyakov Pe-2 esposto presso il Museo centrale della Federazione Russa delle aeronautiche militari di Monino, a Mosca.

Nacque il 17 aprile 1921 nel villaggio di Staryj Kovraj, nel distretto di Čornobaj, nell'Oblast' di Čerkasy, all'interno di una famiglia di contadini.[1] Dopo aver conseguito il diploma liceale, lavorò nel suo villaggio natale.[2] Nel 1939 si arruolò nella Voenno-morskoj flot, e appassionatosi al mondo dell'aviazione iniziò a frequentare la Scuola di aviazione navale S.A. Levanevskij, uscendone nel giugno 1941 con il grado di sergente.[2] Assegnato in forza al 73º Reggimento della Flotta del Baltico, dal mese di ottobre fino maggio 1942 effettuò la conversione al pilotaggio del nuovo cacciabombardiere Petlyakov Pe-2.[1] Iniziò ad effettuare operazioni belliche dal mese di luglio, come navigatore del 26º Gruppo autonomo da ricognizione.[2] Alla fine dell'anno aveva totalizzato 93 missioni di combattimento, attaccando navi nemiche in navigazione sul golfo di Finlandia, o sul Lago Ladoga, ed eseguendo ricognizioni sulle basi navali finlandesi.[2] Per questo fu decorato due volte con l'Ordine della Bandiera rossa.[1] Nel gennaio 1943, in preparazione dell'Operazione Iskra, che doveva porre termine all'assedio di Leningrado, effettuò 4 missioni di ricognizione fotografando strade e linee ferroviarie, aeroporti, e nodi di comunicazione in mano al nemico.[2] Le informazioni da lui ottenute furono considerate decisive per la preparazione del tiro dell'artiglieria sui principali punti dove doveva avvenire lo sfondamento del fronte nemico.[1] Nel mese di marzo fu trasferito al 44º Gruppo del 15º Reggimento da ricognizione, e nel corso dell'anno fu ammesso ai ranghi del PCUS.[2]

A settembre aveva eseguito 215 missioni, di cui 139 da ricognizione nel golfo di Finlandia, 20 sul lago Ladoga, 38 su obiettivi terrestri, come strade, linee ferroviarie, aeroporti, capisaldi, e batterie d'artiglieria nemiche, sostenendo 13 combattimenti aerei.[1] Con un decreto del Presidium del Soviet Supremo dell'Unione Sovietica del 22 gennaio 1944, fu insignito del titolo di Eroe dell'Unione Sovietica con Stella d'oro (n. 2918), e dell'Ordine di Lenin.[1] Tra il 1944 e il 1945 partecipò alle operazioni belliche che portarono alla liberazione della regione di Leningrado, della Carelia, degli Stati Baltici, e delle isole del golfo di Finlandia.[1]

Morì l'8 maggio 1945 durante una missione di combattimento nell'area della città lettone di Liepāja.[3] Quel giorno tutti i circa 50 Focke-Wulf Fw 190 dello Jagdgeschwader 54 decollarono dalla sacca di Curlandia per trasferirsi a Flensburg in zona controllata dagli inglesi, o per farsi internare in Svezia, mentre alcuni piloti raggiunsero le loro città di residenza.[4] L'aereo dell'asso Gerhard Thyben, che aveva a bordo il suo meccanico A. Mayers, stipato nel compartimento radio, decollò insieme a quello del suo gregario, l'oberfeldwebel Fritz Hagenbrauk, e si allontanò da Libau oramai in fiamme per dirigersi verso il mare aperto.[4] Mentre stava volando alle 07:54 avvistò un ricognitore Petlyakov Pe 2 che volava a bassa quota in una missione di ricognizione marittima, alla ricerca delle navi cha stavano lasciando la sacca di Curlandia cariche di soldati e civili, per sfuggire alla cattura da parte dei sovietici.[5] L'equipaggio Pe-2 era composto dallo staršij lejtenant Grigorij I. Davidenko, dal kapitan Aleksej Ivanovič Gračëv, entrambi insigniti dell'onorificenza di Eroi dell'Unione Sovietica e dallo staršiná Michail Muraško.[5] Dopo un breve combattimento sul mare il Pe-2 fu abbattuto, e precipitò tra le onde con la morte di tutti e tre i membri dell'equipaggio.[5]

Il suo nome risulta presente su una lastra di marmo del monumento ai caduti dell'aviazione del Baltico presente nel cimitero centrale di Liepaja, in Lettonia.[2] Una via del suo villaggio natale porta il suo nome, così come una del villaggio di Čkalovsk, ora parte della città di Kaliningrad.[1]

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Eroe dell'Unione Sovietica - nastrino per uniforme ordinaria
— 22 gennaio 1944
Ordine di Lenin - nastrino per uniforme ordinaria
— 22 gennaio 1944
Ordine della Bandiera Rossa - nastrino per uniforme ordinaria
— 13 ottobre 1942
Ordine della Bandiera Rossa - nastrino per uniforme ordinaria
— 27 gennaio 1943
Ordine della Bandiera Rossa - nastrino per uniforme ordinaria
— 26 novembre 1944
Ordine della Guerra Patriottica di I Classe - nastrino per uniforme ordinaria

Note[modifica | modifica wikitesto]

Annotazioni[modifica | modifica wikitesto]


Fonti[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h Nashapobeda.
  2. ^ a b c d e f g Warheroes.
  3. ^ Weal 2001, p. 117.
  4. ^ a b Mattioli 2016, p. 4.
  5. ^ a b c Mattioli 2016, p. 5.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) Dimitry Khazanov e Aleksander Medved, Pe-2 Guards Units of World War II, Oxford, Osprey Publishing, 2013.
  • (EN) Peter C. Smith, Petlyakov Pe-2 'Peshka', Ramsbury, Crowood Aviation Series, 2003.
  • (EN) John Weal, Jagdgeschwader 54 'Grünherz', Oxford, Osprey Publishing, 2001, ISBN 978-1-84176-286-9.

Pubblicazioni[modifica | modifica wikitesto]

  • Marco Mattioli, Gli ultimi combattimenti aerei della seconda guerra mondiale, in Aerei nella Storia, n. 110, Parma, West-Ward Edizioni, ottobre-novembre 2016, pp. 4-13.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]