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Giuseppe Vavassori (prelato)

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Giuseppe Vavassori, noto anche con lo pseudonimo di Bepo (Osio Sotto, 7 marzo 1888Bergamo, 5 febbraio 1975), è stato un presbitero italiano fondatore nel 1927 del Patronato San Vincenzo. Il 5 febbraio 2024 si è aperta la prima sessione d'inchiesta diocesana di beatificazione presieduta dal vescovo Francesco Beschi.[1].[2]

Don Bepo, così è conosciuto, è stato un prelato che ha dedicato la sua vita ai giovani, considerato il don Bosco della bergamasca per la sua vita dedicata alla carità e all'educazione dei ragazzi con la fondazione nel 1927 del patronato San Vincenzo e la costruzione di strutture adatte all'accoglienza dove ospitò fino a 50.000 bambini e ragazzi, nonché i più poveri e bisognosi[3] Durante la sua vita fu cappellano militare durante il primo conflitto mondiale, padre spirituale nel Seminario vescovile di Bergamo nonché direttore del quotidiano L'Eco di Bergamo dal 1930 al 1932.

Giuseppe, figlio di Battista e Caterina Cella, nacque il 19 luglio 1888 a Osio Sotto decimo figlio di diciassette. Per mantenere la famiglia tanto numerosa il padre svolgeva il lavoro di tintore (veniva conosciuto come “ol tenciùr”), girava con il suo carretto nei paesi a raccogliere indumenti che necessitavano di essere tinti.[4][5][6] Fu battezzato con il primo nome di Alpinolo, per volontà del padrino, solo secondo Giuseppe come volevano i genitori e Vincenzo per volontà di una zia.[7]. Non fu certo un'infanzia facile per Giuseppe che raccontava di non aver vissuto bene gli anni della materna dove si sentiva solo, e aver avuto una grave malattia all'età di dieci mesi.[8] Era stato inoltre toccato dal doloroso lutto della sorella Margherita, primogenita morta improvvisamente a ventiquattro anni.[9]

Giovane sacerdote

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Ottenuto il diploma elementare espresse il desiderio di farsi sacerdote, e date le poche possibilità economiche della famiglia, saranno due zie a offrire la cifra di 150 lire necessarie a coprire parte della retta del seminario entrandovi il 20 gennaio 1906.[10][11] Tra i suoi professori vi fu Angelo Giuseppe Roncalli poi papa Giovanni XXIII.[12] Il 25 luglio 1912 ricevette il mandato di sacerdote dal vescovo di Bergamo Giacomo Radini-Tedeschi. La sua prima messa verrà celebrata nella chiesa di Santa Grata in Columnellis, venendo poi mandato in alta Val Brembana come curato di montagna, nella piccola parrocchia di Branzi, esperienza che racconterà nel diario quotidiano. In quegli anni gli fu chiesto di collaborare con il mensile “L'alta Valle Brembana”, dove saprà fare analisi del territorio e delle necessità dei valligiani, facendo campagna d'informazione anche sui problemi locali come il fenomeno preoccupate dell'alcolismo.[13] Nel 1914 viene trasferito nella parrocchia della frazione Trabuchello sempre in val Brembana, dove assunse l'incarico di responsabile del «Legato Bartolomeo Manzoni» fondato nel 1839 dedicato all'assistenza dei più bisognosi.[14] Purtroppo i suoi progetti di sviluppo del territorio vennero elusi a causa delle gravi situazioni politiche italiane e mondiali con lo scoppio della «Grande Guerra» che lo vide protagonista.

Al fronte nella prima guerra mondiale

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Il 24 maggio 1915 l'Italia entra in guerra e nel 1916 don Bepo riceve la cartolina che lo precettava al servizio militare e che lo vedrà lontano da Trabuchello per quattro anni.

«[…] mi è pesante all'anima la leggerezza di chi vuole la guerra e l'incommensurabile caos di ardori, di atrocità continue e orribili che la guerra è»

In forza all'8º Reggimento di Fanteria della Brigata Brescia, trascorre i primi due mesi a Milano, venendo poi trasferito nel ruolo di portaferiti al nosocomio militare di Sant'Orsola e poi all'ospedale di Riserva delle Benedettine in via Cramer, con il frate cappuccino clusonese Giangrisostomo Luigi Marinoni.[15] Vene spostato sull'altopiano di Asiago e il 16 giugno 1917 nel piccolo ospedale militare di Oliero ad assistere i numerosi feriti e benedire i morti. I diari personali che raccontano il suo dolore, sono un documento importante come testimonianza dal fronte raccontando importanti e semplici atti di eroismo e di miseria umana. Viene poi inviato a Cora fino al 14 dicembre quando torna per una breve licenza a casa. Viene poi assegnato al 19º Fanteria come tenente cappellano.[16] Sarà presente nella sanguinosa Seconda battaglia della Marna dove perirono 9.334 soldati italiani salvandosi tra i 100 supestiti. Scriverà:

«Davanti a tutti quei morti, sentii la vergogna di essere rimasto tra i vivi»

Scrisse poi un articolo per il quotidiano L'Eco di Bergamo che venne pubblicato il 14 luglio 1927 con il titolo: “La data più tragica della mia vita”. Proprio in questa battaglia è documentato il suo coraggio nel salvataggio il 5 giugno 1917 di Ettore Musco che ferito portò in salvo.[17][18] Neppure don Bepo uscì indenne, venne ferito da un militare tedesco sul viso con un coltello e una scheggia d'artiglieria lo colpì a una gamba. Con la fine della guerra don Bepo fu congedato ma non amò mai raccontare come fossero stati quei quattro anni.

Patronato San Vincenzo

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Don Giuseppe fu nuovamente inviato in val Brembana, ma l'esperienza militare lo fece avvicinare sempre più alla cura dei ragazzi e dei giovani e fonda il Circolo Giovanile Cattolico, apre asili, scuole di canto e di teatro. Continua a pubblicare articoli sulla rivista “L'Alta Valle Brembana” dove si dichiara vicino a don Luigi Sturzo, e dopo essere trasferito nella parrocchia di Olmo al Brembo inserisce come cronisti nella rivista due giovani sacerdoti.[19] S'interessa anche dei restauri della chiesa e del santuario della Madonna dei Campelli. La sua attività apostolica è oggetto d'attenzione del vescovo don Luigi Maria Marelli che, nel 1925, gli assegna una parrocchia di Bergamo, e gli conferisce l'incarico prima di vice e successivamente di direttore del quotidiano L'Eco di Bergamo, per tentare di portare il messaggio evangelico che il regime fascista tentava di zittire, e la direzione spirituale del seminario vescovile cittadino.[20]

La sua presenza nella dimora presso il chiostro di Sant'Agata nel Carmine lo portarono ad avvicinarsi ai giovani operai del Patronato San Vincenzo, fondato nel 1909 dal conte Felice Colleoni che presiedeva la conferenza di san Vincenzo de' Paoli. I ragazzi erano quasi tutti orfani e provenienti dalle valli bergamasche a cui bisognava dare un'istruzione e un lavoro. Don Bepo si propone per seguire il loro percorso educativo, unendo a loro anche ex detenuti e soldati che avevano bisogno di accoglienza. La struttura non era certo adatta a questa finalità, per questo don Vavassori decide di costruire nuove case-famiglia simili a quelle delle famiglie d'origine.[21] La prima verrà venne inaugurata il 9 ottobre 1927 con dodici giovani ospiti nelle ex fornaci Murnigotti, abbandonate e riadattate e nuova sede del patronato. Per poter creare laboratori meccanici, tessili o falegnamerie don Bepo ipoteca la sua casa d'origine. Questo portò attenzione da parte dei personaggi più importanti di Bergamo che diedero il loro appoggio economico. Gli impegni non mancavano: fu nominato cappellano delle carceri San Agata di Bergamo e del manicomio di Seriate. Furono questi gli anni che lo videro anche importante collaboratore prima nel 1927 e direttore nel 1930 del quotidiano locale L'Eco di Bergamo, proprio per la sua capacità comunicativa e di relazionarsi con le differenti fazioni politiche cittadine.[22] La fondazione soffriva gravi mancanze economiche, fu nel maggio 1928 a ricevere l'importante aiuto da parte delle suore Adoratrici di Rivolta d'Adda con infermiere, cuoche e madri educatrici.[23]La loro presenza sarà parte viva nelle residenza a Clusone, Endine, Sorisole Nembro e San Paolo d'Argon, tante furono le case aperte da don Giuseppe Vavassori, la sua fu infatti un'opera in continua espansione, la prima a Santa Brigida nella sua val Brembana nel 1928, per i ragazzi cagionevoli.

Don Bepo non aveva mai voluto che si mettesse il volto di Mussolini nelle case accoglienza che aveva aperto, non diede la sua non disponibilità alla scuola di formazione repubblicana, inoltre fu nominato presidente nel 1943 della Croce Rossa, che aveva ospitato nei locali del patronato considerata la prima organizzazione clandestina a favore dei dissidenti politici per l'esodo in Svizzera. Per questo la sua casa viene considerata luogo d'incontro della residenza. Il 24 e 25 novembre i locali vengono perquisiti e don Bepo arrestato con don Franco Ferrari e rinchiuso nel carcere di Sant'Agata dove già era incarcerato don Antonio Seghezzi:

«Ho molto sofferto fisicamente, ma ancora più mi sentivo il cuore oppresso fino ad avere l'affanno. Tuttavia comprendo che quello che avviene è secondo la Divina Volontà a mio riguardo, che vuol guarirmi dalle mie infermità spirituali […]»

Viene scarcerato il 29 dicembre[1] mentre con Seghezzi verrà portato nel Campo di concentramento di Dachau dove morirà nel 1945. Scriverà[24]

«Le sofferenze di quei giorni mi persuasero di accettare tutte le tribolazioni della vita che mai avrebbero potuto superare quelle.»

La sua opera di carità pare non avesse limiti. S'interessò molto anche degli emigranti, dei senzatetto, disoccupati, gli sfollati di Montecassino nel 1944, i braccati dai nazi-fascisti, e così nel dopoguerra quando la situazione economica era sempre più grave e tanti erano gli orfani e le vedove. Tutti i bisognosi ricevevano attenzione senza distinzione di età, sesso e razza.[25] Il dopoguerra lo porterà ad avere attenzione verso le giovani famiglie che avevano bisogno di speranza ma anche di abitazioni per questo furono edificate in due aree alle porte di Bergamo il villaggio alla Grumellina quello che è conosciuto come Villaggio degli Sposi, e quello di Sorisole, aveva promesso una casa a tutti.[26][1]

Nel 1952 anno del suo 40° di sacerdozio riceve la Stella della Bontà e nel 1959 l'amministrazione comunale cittadina lo insignisce della “Medaglia d'oro” al merito civico.[27]

L'impegno di don Bepo non ebbe confini e nel 1969 con l'aiuto del vescovo Giuseppe Piazzi fonda a Munaypaya in Bolivia la “Ciudad de los Niños” con strutture atte ad accogliere non solo gli orfani, ma anche ospedali, reparti neonatali, e laboratori scolastici di lavoro. Quando nel 1969 torna per la seconda volta in Bolivia all'età di 81 anni dirà: “I vuoti li colmerà la provvidenza” dirà ai giovani:

«Mi metterò alle porte del paradiso per ricevervi uno per uno come oggi, per avere la gioia di vedervi entrare tutti»

muore il 5 febbraio 1975 dopo pochi giorni di malattia.[28] La salma che inizial,ente fu sepolta nel cimitero monumentale di Bergamo fu l'anno successivo posta nella cappella della sede del patronato.[2]

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  1. ^ a b c Dpn Bepo Vavassori si apre la 1a sessione della causa di beatificazione, su bergamonwes.it. URL consultato il 25 agosto 2025..
  2. ^ a b Servo di Dio Giuseppe Vavassori, su santibeati.it. URL consultato il 26 agosto 2025.
  3. ^ Don Bepo al via i preliminari per la causa di beatificazione, su L'Eco di Bergamo, 2021. URL consultato il 25 agosto 2025.
  4. ^ Il padre fu uno dei primi conosciuti come tintori nella provincia di Bergamo, usava due grandi caldaie in rame.
  5. ^ Patronato, p. 19.
  6. ^ Alborghetti, p. 6.
  7. ^ Patronato, p. 20
  8. ^ Alborghetti, p. 8.
  9. ^ Patronato, p. 21.
  10. ^ Alborghetti, p. 9.
  11. ^ Patronato, p.29.
  12. ^ Alborghetti, p. 10.
  13. ^ Alborghetti, p. 12.
  14. ^ Alborghetti, p. 13.
  15. ^ Mario Carobbio, Un apostolo dell'Eritrea Giangrisostomo Luigi, Milano, 1972, SBN SBL0450687.
  16. ^ Alborghetti, p. 14.
  17. ^ Martino Compagnoni, il cuore immenso di "Don Giuseppe Vavassori".
  18. ^ Sul luogo fu posta una lapide commemorativa con la presenza del sacerdote e di Giuseppe Ungaretti che suggerì l'epigrafe “Al gentil sangue latino/perché non prevalga il grossolano”. Il cippo fu poi distrutto da una cannonata.
  19. ^ Alborghetti, p. 17.
  20. ^ Alborghetti, p. 18.
  21. ^ Ritratti di città: Bergamo, su teche.rai.it, 1968. URL consultato il 25 agosto 2025..
  22. ^ Si era dimesso nel 1930 il direttore Camillo Fumagalli per la difficile situazione fascista creatasi in città.
  23. ^ Alborghetti, p. 25.
  24. ^ Alborghetti, p. 32.
  25. ^ Alborghetti, p. 29.
  26. ^ Amatevi a vicenda. A 50 anni dalla morte di don Bepo Vavassori, il “don Bosco bergamasco”, su santalessandro.org. URL consultato il 25 agosto 2025..
  27. ^ Alborghetti, p. 38.
  28. ^ Alborghetti, p. 44.
  • Martino Campagnoni, Don Giuseppe Vavassori: il cuore immenso di don Bepo in una pagina di storia bergamasca, Bergamo, 2007, SBN LO11203293.
  • AA.VV., Don Bepo (1888-1975), SESAAB, 2005, SBN LO10913665.
  • Roberto Alborghetti, Don Bepo Vavassori, editrice Velar, 2009, ISBN 978-88-01-04270-2.