Cantalicio

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Giovanni Battista Valentini
vescovo della Chiesa cattolica
 
Nato1450 circa a Cantalice
Deceduto1515 a Roma
 

Giovanni Battista Valentini, più noto come Cantalicio (Cantalice, 1450 circa – Roma, 1515), è stato un vescovo cattolico e umanista italiano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nato a Cantalice, ma di origini familiari ancora oscure[1], è noto che, intorno alla fine degli anni 1460, fu accolto a Pavia dal cardinale Papiense, di cui era diventato discepolo[2]. Poco più tardi divenne maestro di scuola, insegnando per oltre un ventennio grammatica, poetica, rettorica e storia d'Italia in diversi luoghi, a partire dalla Toscana. In questa veste, infatti, la sua presenza è attestata a San Gimignano dal 1471 al 1476[3], a Siena (dove scrisse la Rheatina: pro defensione Senensius, per celebrare la respinta delle incursioni del 1477) e a Firenze[4]. Qui era stato chiamato da Lorenzo de' Medici, al quale il Cantalicio aveva dedicato, nel 1472, durante la sua permanenza a San Gimignano, un poemetto sul sacco di Volterra: le relazioni tra lui e la corte medicea furono comunque favorite dal Poliziano, cui l'umanista di Cantalice era legato d'amicizia[5].

Successivamente insegnò a Rieti, Foligno, Spoleto, Perugia e Viterbo, continuando a scrivere. Di questo periodo sono, in particolare, la più volte ristampata Summa perutilis in regulas distinctas totius artis grammatices et artis metricae e gli Epigrammata (in dodici libri), opere uscite nel 1493. La maggior parte dei suoi carmi sono dedicati agli autori classici latini, fra i quali Giovenale, Marziale, Ovidio, Orazio e Terenzio; gli altri, per lo più ai signori delle corti in cui era stato ospitato, quali Giulio Cesare Varano e Federico da Montefeltro, al quale dedicò il pometto De gestis et moribus invictissimi Phederici Pheretrani Urbini ducis.

Nel 1494 fu a Napoli, al seguito del cardinale Giovanni Borgia, per l'investitura di Alfonso II di Napoli. L'entusiasmo per la dinastia aragonese ne fece tessere le lodi per Bartolomeo d'Alviano, cui dedicò un poema per la difesa di Bracciano del 1497, così come per la duchessa Isabella. In seguito, ospite dei Borgia, dedicò alla celebre Lucrezia gli Spectacula lucretiana, un dettagliato racconto delle feste svoltesi a Roma per le nozze con Alfonso I d'Este: si trattava, secondo Benedetto Croce, della migliore descrizione data alle stampe di quell'evento[6].

Viaggiando tra Roma e Napoli, ebbe modo di stringere amicizia con Consalvo di Cordova, viceré di Napoli, che gli fece ottenere da Giulio II il vescovado di Atri e Penne, cui fu titolare dal 1º dicembre 1503. Non a caso, nel 1506, dedicò al Gran Capitano il poema in quattro libri De bis recepta parthenope Gonsalviae, che s'inscriveva in quella serie di contributi sulla disfida di Barletta utili alla trasformazione - come ha osservato lo storico Giuliano Procacci - «dell'episodio in evento, se non epopea», peraltro accostando in virtù dell'omonimia il Fieramosca con l'eroe troiano Ettore[7]. Del resto, in quel contesto l'epica, come quella espressa nel De bis recepta, già diventata occasione di encomio politico, era molto gradita ai sovrani europei[8]. Partecipò alla prima sessione del Concilio Lateranense V, prima di rinunciare, in favore del nipote, alle diocesi di Atri e Penne.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Benedetto Croce, che è il primo ad averne stilato una biografia compiuta, peraltro grazie a fonti all'epoca inedite, riporta le tesi secondo cui il cognome Valentini, utilizzato dall'umanista solo dalla fine del quattrocento, sarebbe stata una concessione del cardinale Pier Luigi Borgia, di cui era stato precettore, soggiungendo che restava una mera congettura che la sua famiglia potesse essere identificata in quella dei Carlucci, cioè i feudatari di Cantalice, tesi peraltro adombrata senza prove da un nipote del Cantalicio stesso (Cfr. B. Croce, Un maestro di scuola e versificatore latino del Rinascimento: il Cantalicio, in Idem, Uomini e cose della vecchia Italia, s. I, Laterza, Bari 1927, pp. 46-67). Ma neanche in precedenza l'ipotesi scartata dal Croce era stata ritenuta suggestiva, come si ricava da F.A. Soria, Memorie storico-critiche degli storici napoletani, t. I, Simoniana, Napoli 1781, p. 124
  2. ^ F. Di Bernardo, Un vescovo umanista alla corte pontificia: Giannantonio Campano (1429-1477), Pontificia Università Gregoriana, Roma 1975, pp. 206-207.
  3. ^ A. Perosa, Studi sulla tradizione delle poesie latine del Poliziano, in Idem, Studi di filologia umanistica, vol. I, a cura di P. Viti, Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, Roma 2000, pp. 24-25.
  4. ^ B. Croce, op. cit., pp. 50-51.
  5. ^ A. Perosa, op. cit., pp. 24-25.
  6. ^ B. Croce, op. cit., p. 60.
  7. ^ G. Procacci, La disfida di Barletta tra storia e romanzo, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2001, pp. 21-22.
  8. ^ A. Balduino (a cura di), Storia letteraria d'Italia. Il Cinquecento, t. I, Vallardi, Milano 2007, p. 203.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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