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Giganti di Mont'e Prama

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Coordinate: 39°57′43.2″N 8°26′56.4″E / 39.962°N 8.449°E39.962; 8.449
Giganti di Monte Prama
Kolossoi, Giganti di: Mont'e Prama, Monti Prama, Mont'e Pramma
Volto di un Gigante
Civiltàciviltà nuragica
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
Comune Cabras
Altitudine≈ 50 m s.l.m.
Dimensioni
Superficie≈ 75 000 
Amministrazione
EnteSoprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Sassari e Nuoro – Centro di Conservazione e Restauro di Li Punti
ResponsabileMaria Antonietta Boninu
Sito webwww.monteprama.it/
Mappa di localizzazione
Map
Coordinate: 39°57′56.8″N 8°26′53.8″E / 39.965778°N 8.448278°E39.965778; 8.448278

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I Giganti di monte Prama sono sculture nuragiche scolpite a tutto tondo. Spezzate in numerosi frammenti, sono state trovate casualmente in un campo nel marzo del 1974 in località Mont'e Prama, a Cabras, nella Sardegna centro-occidentale, quando l'aratro di un contadino – Sisinnio Poddi – riportò alla luce la prima testa di una statua. Le statue sono scolpite in pietra arenaria locale e la loro altezza varia tra i 2 e i 2,5 metri.

Dopo quattro campagne di scavo effettuate fra il 1975 e il 1979, i circa cinquemila frammenti rinvenuti – tra i quali quindici teste e ventidue busti – vennero custoditi nei magazzini del Museo archeologico nazionale di Cagliari per trent'anni, mentre alcune tra le parti più importanti vennero esposte nello stesso museo. Insieme a statue e modelli di nuraghe furono ritrovati anche diversi betili del tipo "oragiana",[1] in genere pertinenti a una o più tombe dei giganti.[2]

Dopo lo stanziamento dei fondi nel 2005 da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Regione Sardegna, dal 2007 a oggi (2012) è in corso il restauro, affidato al CCA, Centro di Conservazione Archeologica di Roma, presso i locali del Centro di restauro e conservazione dei beni culturali di Li Punti a Sassari, coordinato dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Sassari e Nuoro, in collaborazione con quella per le province di Cagliari e Oristano. In questa sede dal maggio del 2009, in occasione di vari eventi – e stabilmente dal novembre 2011 – venticinque statue tra guerrieri, arcieri e pugili, insieme a dei modelli di nuraghe, sono esposti in una mostra aperta al pubblico.[2]

Dalle valutazioni più recenti si stima che i frammenti appartengano a ben quarantaquattro statue. Quelle finora restaurate e rimesse in piedi sono venticinque, oltre a tredici modelli di nuraghe, mentre altre tre figure umane e tre modelli di nuraghe sono stati individuati da frammenti al momento non assemblabili. Una volta completatato il restauro, la maggior parte dei reperti dovrebbe ritornare a Cabras per l'esposizione museale.[2]

A seconda delle ipotesi, la datazione dei Kolossoi – nome con il quale li chiamava l'archeologo Giovanni Lilliu – oscilla dall'VIII secolo a.C. al IX o addirittura al X secolo a.C., ipotesi che potrebbero farne fra le più antiche statue a tutto tondo del bacino mediterraneo, in quanto antecedenti ai kouroi della Grecia antica, dopo le sculture egizie.[3]

Storia della statuaria prenuragica in Sardegna

Le testimonianze della scultura in Sardegna sono molto antiche. Il più remoto esempio è costituito dalla Venere di Macomer, in stile non finito, datata dall'archeologo Giovanni Lilliu al 3750-3300 a.C. in base a evidenti analogie con le veneri del paleolitico, mentre per l'archeologo Enrico Atzeni tale statuetta dovrebbe risalire al Neolitico antico.[5] Studi effettuati di recente mettono ancora più in risalto l'appartenenza della piccola statua alla famiglia delle veneri paleolitiche e ne ipotizzano una retrodatazione al Paleolitico superiore o al Mesolitico.[6]

Posteriori – ma sempre attinenti all'iconografia della Dea madre – sono i numerosi idoli in stile volumetrico prodotti dalla Cultura di Ozieri, tra i quali figura l'idolo di Perfugas raffigurante una dea nell'atto di allattare il proprio figlio.[7] Tale simbologia sarà successivamente ripresa nella Civiltà nuragica con le cosiddette pietà nuragiche.[8] Successivi alle dee volumetriche – ma sempre appartenenti al periodo neolitico – sono gli idoli in stile geometrico-planare, i quali potrebbero raffigurare la medesima dea neolitica nel suo aspetto infero in quanto tutti gli idoli appartenenti a tale stile furono rinvenuti nei sepolcri.[9]

Le indagini condotte in seguito alla fortuita scoperta dell'altare preistorico di Monte d'Accoddi rivelarono che – in concomitanza con la produzione di piccole statue di stile geometrico – fosse già presente in Sardegna la grande statuaria, avendo il tempio di Accoddi restituito esempi di stele e di menhir. Di fianco alla rampa che portava alla sommità, le ricerche rivelarono la presenza di un grande menhir ed altri ancora furono posizionati nei suoi dintorni. Alla prima fase del sito – chiamata "del tempio rosso" – è riportabile un volto scolpito con motivi a spirale pertinente probabilmente ad una statua stele; alla seconda fase – detta "del grande tempio" – viene attribuita una stele in granito con figura femminile in rilievo.[10]

Sempre entro il periodo pre-nuragico – ma stavolta durante l'Eneolitico – si ha una cospicua produzione di stele del tipo "Laconi", attribuite alla Cultura di Abealzu-Filigosa e caratterizzate da uno schema uniforme il quale – dall'alto verso il basso – prevede la stilizzazione del volto umano a forma di T, ossia la raffigurazione dell'enigmatico simbolo del "capovolto" o tridente e, al di sotto di questo, il rilievo di un doppio pugnale.[11][12] In seguito all'affermarsi nell'Isola della Cultura di Bonnanaro, la tradizione delle statue stele sembra cessare, mentre prosegue sino al 1200 a.C. nella facies corsa della Civiltà nuragica torreana, con i guerrieri raffigurati nelle sculture di Filitosa.

Dal betilo aniconico alla scultura figurata nuragica

Nel Bronzo antico tanto in Sardegna come in Corsica si afferma il cosiddetto "epicampaniforme", tra le ultime espressioni della Cultura del vaso campaniforme. Da tale evento nascerà la Civiltà nuragica con linee di sviluppo architettoniche e culturali simili anche nella Corsica del sud tanto che la facies nuragica gallurese presenta uno sviluppo sincronico con la Civiltà nuragica torreana.[13][14][15]

Tuttavia mentre la comune tradizione architettonica delle isole del Mediterraneo centro-occidentale costituisce prova di stretti rapporti, proprio la tradizione scultorea inizia a diversificarsi. La Sardegna del Bronzo antico abbandona la tradizione delle statue-stele eneolitiche, mentre in Corsica prosegue senza soluzione di continuità la tradizione dei menhir dalla quale – nelle fasi medie e finali dell'Età del bronzo – proverranno le statue stele torreane.[16]

Una tappa intermedia di tale processo può esser considerata l'affermazione durante il Bronzo medio – sia in Sardegna come in Corsica – della scultura a rilievo e a martellina: in Sardegna vengono scolpiti betili con in rilievo attributi sessuali maschili o femminili, mentre in Corsica – forse per la maggior presenza di utensili in metallo – la scultura a rilievo viene per la prima volta applicata ai menhir. Tra il 1600 a.C. ed il 1250 a.C. in Sardegna come in Corsica non si ha una statuaria propriamente antropomorfa ma vengono rispettivamente raffigurati in rilievo attributi sessuali o armi.[17]

In un successivo stadio evolutivo, la tecnica della scultura a rilievo – per la prima volta dopo la statuaria eneolitica – è stata impiegata in Sardegna per la rappresentazione di un volto umano, come dimostra il betilo di San Pietro di Golgo, presso Baunei.[18][19][20] Non sono invece più controverse – nella loro autenticità e provenienza dalla manifattura nuragica – tre statue-betilo rinvenute nel nord della Sardegna, zona nella quale si ritiene fosse stanziata l'antica etnia Còrsa di Cultura nuragica. In un primo momento furono ritenuti manufatti punici o romani,[21][22] mentre queste particolari sculture – come suggeriscono la cresta e le cavità circolari nelle quali erano alloggiati i corni (questi ultimi ancora presenti nella statua betilo da Bulzi) – raffigurano in realtà dei guerrieri con elmo "a bustina", crestato e cornuto di tipo nuragico.[23][24]

Secondo l'archeologa Fulvia Lo Schiavo le sculture del nord Sardegna testimoniano l'esistenza di una proto-statuaria nuragica, tappa intermedia di una linea evolutiva che dai betili chiamati "ad occhi" (o "oragiana") giungerà come esito finale alle statue antropomorfe di monte Prama, in accordo con quanto già sostenuto da Giovanni Lilliu, proprio a partire dall'esame del betile di Baunei,[25][26] nel quale il famoso archeologo notava un abbandono dell'antica ideologia aniconica e un ritorno alla rappresentazione dell'essere umano:

«Questo processo sembra in qualche modo palesato dal passaggio fra la rappresentazione dell'umano per sommaria indicazione di particolari del volto o del corpo nei betili conici di Tamuli e San Costantino di Sedilo, e troncoconici di Nurachi, Perdu Pes, Solene e Oragiana, e la piena e pronunziata raffigurazione della testa nel betilo di Baunei. Ciò spinge a supporre quest'ultimo al termine di un'evoluzione ideologica e artistica nell'ordine d'una risalita dal simbolismo all'antropomorfismo, a causa di fattori diversi interni ed esterni alla Sardegna.»

Tale evoluzione induce a ritenere che oltre ai committenti anche gli scultori delle statue di monte Prama potessero essere Nuragici. Nella Civiltà nuragica infatti non mancavano maestranze in grado di lavorare perfettamente la pietra, come attestano le raffinate opere in isodomia dei pozzi sacri e delle tombe dei giganti,[27] oppure come sempre suggeriscono – in merito alla diffusione della scultura – gli stessi modelli di nuraghe e le protomi animali ritrovate in vari pozzi sacri, la cui distribuzione attesta la diffusione della scultura a tutto tondo in tutta la Sardegna nuragica.[3]

Localizzazione della penisola del Sinis nella Sardegna centro-occidentale

Luogo del ritrovamento

Le sculture furono gettate per la maggior parte nella necropoli rinvenuta in località Mont'e Prama, un rilievo di modesta altitudine (50 m s.l.m.) situato in posizione strategica al centro della penisola stessa, un tempo ricoperto da palme nane da cui poi deriverà il suo nome: infatti in lingua sarda prama significa "palma". Soltanto un altro frammento scultoreo – precisamente una testa – fu ritrovata altrove presso il pozzo sacro di Banatou di Narbolia, a circa 2 km dal nuraghe S'Uraki, poco distante dalla necropoli,[28] insieme a vari reperti ceramici sia punici che nuragici.[29][30][31]

Data l'ubicazione dei numerosi frammenti a monte Prama e dell'unico frammento di Narbolia, si presume che le statue furono originariamente erette presso la medesima necropoli o comunque in un luogo ancora imprecisato del Sinis, la vasta penisola che si estende a nord del golfo di Oristano, tra il mar di Sardegna e lo stagno di Cabras.

Il Sinis fu frequentato fin dal periodo neolitico – come attesta l'importante sito archeologico di Cuccuru s'Arriu – noto per una necropoli del Neolitico medio, nelle tombe della quale era di norma presente un idolo femminile in stile volumetrico. Successivamente sono attestate tutte le culture che si avvincendarono nell'Isola nel corso dei millenni. Tra queste è rilevante la presenza della Cultura del vaso campaniforme di cui si ha traccia anche altrove in Sardegna e che prelude alla Cultura di Bonnannaro.[32] Sarà poi quest'ultima a dar vita alla Civiltà nuragica.

Per la sua felice posizione geografica e per il numero di importanti insediamenti come la città di Tharros, nell'antichità la penisola del Sinis fu una testa di ponte per le rotte verso le Baleari e la penisola iberica, da sempre relazionate alla Sardegna. Nell'arcipelago delle Baleari sorgeva infatti la Civiltà talaiotica, sotto vari aspetti simile alle Civiltà nuragica e torreana. Il Sinis è inoltre favorito dalla vicinanza al Montiferru, luogo in cui è ubicato un antico vulcano sede di importanti miniere di ferro e di rame, anch'esso strettamente controllato tramite numerosi nuraghi.

Una statua simile a quelle del Sinis fu rinvenuta nella Sardegna meridionale a San Giovanni Suergiu, nel Sulcis.

Toponimo

La località nella quale è situata la necropoli è riportata con il toponimo "M.Prama" sulle mappe catastali del Comune di Cabras, e sulle mappe 1:25000 dell'Istituto Geografico Militare al foglio 216 N.E.[33] La lettera M di tale dicitura da luogo a diverse interpretazioni tra le quali Mont'e, Monti, Monte, Montiju, diciture tuttora in uso nella lingua sarda.

Nel passato l'uso di tale toponimo indicante la presenza delle palme nane in loco, era documentato in alcuni scritti. Secondo la testimonianza del teologo e scrittore Salvatore Vidal, nella sua opera Clypeus Aureus excellentiae calaritanae del 1641, parlando del Sinis riporta il toponimo "Montigu de Prama".[34][35] Il frate minore Antonio Felice Mattei scrisse nel 1700 una storiografia delle diocesi e dei vescovi sardi [35] e parlando delle località del Sinis menziona "Montigu Palma".[36]

Insediamenti nuragici nella penisola del Sinis

Contesto archeologico e problematiche storiche

Lo stesso argomento in dettaglio: Civiltà nuragica, Micenei, Filistei, Fenici e Shardana.

Il periodo esatto nel quale le statue furono scolpite è incerto. Prendendo in considerazione le varie ipotesi fatte dagli studiosi infatti, si abbraccia un lasso di tempo compreso tra il X secolo a.C. e l'VIII sec. a.C., ovvero il periodo tra il Bronzo finale e l'Età del ferro. In ogni caso tali sculture sono ritenute figlie di un'età della trasformazione con salde radici nell'età del tardo Bronzo.[37]

In questo periodo la penisola del Sinis – come l'intero golfo di Oristano – fu un importante area economica e commerciale, ben attestata dall'alta densità di monumenti nuragici esistenti: sono infatti almeno 106 quelli censiti nella zona, di tutte le tipologie conosciute, dalle tombe dei giganti ai pozzi sacri, ai nuraghi.[32][38][39] In piena età nuragica tale numero doveva essere molto più elevato, visti gli intensivi lavori agricoli che lungo i secoli portarono alla distruzione di numerosi monumenti.[29]

Bassorilievo sulla facciata del secondo pilone del tempio funebre a Medinet Habu, di Ramesse III, raffigurante prigionieri filistei.

A partire dal XIV sec. a.C. nel Sinis come altrove in Sardegna approdarono i Micenei; mentre viene datata intorno al 1200 a.C. la prima presenza dei Filistei. Ma poiché i Filistei utilizzarono ceramiche di foggia micenea e data la grande antichità dei rapporti tra Creta e Sardegna, non si esclude che i Filistei fossero presenti in Sardegna, ben prima del XIII sec. a.C..[40][41][42] In questo medesimo torno di tempo inizia tra Cipro e la Sardegna il commercio di lingotti di rame a pelle di bue (oxhide ingots) provenienti da Cipro.[43] Lo scambio di lingotti perdurerà per tutto il Bronzo finale.[44] Il Sinis stesso è da considerarsi un importante area metallurgica vista la sua vicinanza al Montiferru strettamente controllato da vari nuraghi.[29]

Durante il Bronzo finale la società nuragica risulta in veloce trasformazione: non vengono più costruiti nuovi nuraghi, molti vengono abbandonati o trasformati in templi, non si costruiscono più neppure tombe dei giganti anche se molte di loro continueranno ad essere utilizzate nei secoli successivi. Uguale fenomeno si verifica per i pozzi sacri ed altri luoghi di culto, alcuni vengono abbandonati, altri invece mostrano una sostanziale continuità di vita tra l'Età del bronzo finale e l'Età del ferro. Non ci sono invasioni, né segni di guerra tra popolazioni nuragiche, mancano completamente indizi di incendio. Pertanto questi importanti mutamenti vengono attribuiti a fattori interni che a loro volta determinarono un graduale cambiamento e riassetto sociale e territoriale entro la società nuragica stessa.[45][46] Un altro fattore non marginale di cambiamento sociale furono i viaggi transmarini effettuati dai Nuragici verso varie località del Mediterraneo. La loro presenza viene registrata a Gadir, a Huelva, a Camas (El Carambolo), nelle Baleari, in Etruria, a Lipari, nell'area di Agrigento (Cannatello) e a Creta. Tali segnalazioni – inerenti al lungo arco cronologico che va dal Bronzo recente a tutta l'Età del ferro – sono in costante aumento sia grazie a nuovi ritrovamenti, sia al progredire degli studi in quanto la ceramica nuragica – spesso classificata entro la variegata barbarian ware – è stata come tale riposta e conservata nei depositi dei musei senza ulteriori studi e approfondimenti.[47][48] A tali generali dinamiche fa inoltre da sfondo l'annoso problema relativo all'identificazione dei Nuragici con gli Shardana, uno dei Popoli del Mare che in qualità di mercenari parteciparono a diversi conflitti contro l'antico Egitto e frequentemente associati alla Sardegna. Gli studiosi sono ancora divisi se ritenere gli Shardana originari della Sardegna o se vi siano giunti successivamente alla loro sconfitta dagli Egizi.[49]

Decimoputzu, bronzetto nuragico: elmo confrontato al cimiero filisteo.[50]
(EN)

«From the similarity between the words Shardana and Sardinia scholars frequently suggest that the Shardana came from there. On the other hand, it is equally possible that this group eventually settled in Sardinia after their defeat at the hands of the Egyptians (...) In P. Harris, the deceased Ramesses III declares that Shardana were brought as captivites to Egypt, that settled them in strongholds bound in my name, and that he taxed them all (...) this would seem to indicate that the Shardana had been settled somewhere (...) no further away froom Caanan. This location maybe further substained by the Onomaticon of Amenemope, a composition dating to ca. 1100 BC, which lists the Shardana, among the Sea Peoples who were settled on the coast there. If is the case, then perhaps the Shardana came originally from Sardinia and were settled on the coastal Canaan. However,the Shardana are listed – in P. Wilbour – as living in Middle Egypt during the time of Ramesses V, wich would suggest that at least some of them were settled in Egypt.»

(IT)

«A causa della somiglianza tra le parole Shardana e Sardegna, gli studiosi hanno frequentemente ipotizzato che gli Shardana provenissero dalla Sardegna. D'altro canto è ugualmente possibile che questo gruppo arrivò in Sardegna dopo la sconfitta per mano egizia. Nel papiro Harris, Ramesse III dichiara che gli Shardana furono condotti in cattività in Egitto e stanziati in fortezze di confine sotto il suo nome e che furono tutti tassati (...) questo parrebbe indicare che gli Shardana fossero insediati in qualche luogo (...) non troppo distante da Caanan. Questa ubicazione sembrerebbe convalidata anche dall'Onomastico di Amenemope, un'opera datata al 1100 a.C. che elenca gli Shardana stanziati nel litorale cananeo. In questo caso, probabilmente gli Shardana vennero originariamente dalla Sardegna per stanziarsi nel litorale di Caanan. Tuttavia sono nuovamente elencati nel papiro Wilbour come abitanti del medio Egitto, durante il periodo di Ramesse V e ciò suggerisce come almeno alcuni di loro furono stanziati in Egitto.»

Nave fenicia per il trasporto di tronchi di cedro, palazzo di Sargon II, VIII sec. a.C..

Tra il XII e il IX secolo a.C. la Sardegna risulta collegata a Canaan, Siria e Cipro da almeno quattro correnti culturali: le prime due sono le più antiche e di carattere esclusivamente commerciale. Queste possono definirsi come corrente siriana e filistea. Dal IX secolo a.C. in poi si affacciarono in Occidente la terza e quarta corrente. Tra queste una si può definire cipriota-fenicia, in quanto composta da genti provenienti sia da Cipro che dalle città fenice; essa ebbe relazioni con la Sardegna ma soprattutto porterà alla nascita di Cartagine. La quarta è quella che coinvolse maggiormente l'Isola a partire dallo VIII sec. a.C.,[51] con l'urbanizzazione di importanti centri quali Tharros, Othoca e Neapolis.[52][53][54][55]

La trasformazione di questi centri costieri costituiti principalmente da una popolazione mista con una forte presenza di elementi dell'aristocrazia nuragica – come dimostrato dai corredi funerari – contribuì non poco a cambiare il volto dell'Isola e della Civiltà nuragica, accompagnandone il declino sino all'invasione cartaginese.[56] Tuttavia è certo che ancora nel VII secolo a.C. il Sinis ed il golfo di Oristano erano saldamente dominati da aristocratici nuragici[57][58] e che la fine di tale dominio per mano dei Cartaginesi coincida precisamente nel momento in cui le sculture dei Giganti furono abbattute e distrutte.[59]

Necropoli

I frammenti delle sculture furono rinvenuti al di sopra di una necropoli situata sulle pendici del monte Prama, sovrastata da un nuraghe complesso ubicato sulla sommità dell'altura. Le tombe che la compongono sono del tipo a pozzetto e per lo più risultarono prive di corredo funerario. In quelle finora esaminate sono stati rinvenuti – in posizione seduta – resti umani sia maschili che femminili, di età compresa tra i tredici e i cinquanta anni, uno per ogni tomba. Allo stato attuale (2012) il complesso funerario può essere suddiviso in due aree: la prima con forma di parallelepipedo fu indagata nel 1975 dall'archeologo Bedini; la seconda è un'area disposta a serpentina scavata tra gli anni 1976 e 1979 da Maria Ferrarese Ceruti e Carlo Tronchetti. Parallela a quest'ultima si trova una strada lastricata, delimitata da alcune lastre in pietra calcarea infisse a coltello. La costruzione della strada risulterebbe coeva alla monumentalizzazione della necropoli.[31]

Lo scavo "Bedini" ha riportato alla luce un'area con trentatre tombe a cista litica ma costruite con roccia diversa da quella dell'area a serpentina.[31] Tali ciste risultarono essere per lo più prive dei lastroni di copertura in quanto divelti dai lavori agricoli che in tutti i secoli successivi interessarono l'area. Quella che vien definita "area Bedini" risulta esser stata edificata in tre diverse fasi:

  • la prima fase – a causa della loro arcaicità – è rappresentata dalle tombe a pozzetto circolare. Queste somigliano alle tombe ritrovate nel Tempio di Antas situato nella Sardegna meridionale e dedicato al Sardus Pater il dio eponimo dei Sardi nuragici;
  • la seconda fase fu quella interessata dal rivestimento delle tombe con lastre di pietra;
  • nella terza – coeva alla parte di necropoli scavata dall'archeologo Carlo Tronchetti – si ebbe l'apposizione delle statue.[60]
Planimetria della necropoli di monte Prama.

Nella parte scavata da Carlo Tronchetti, l'inizio della necropoli è indicato – sia in ordine cronologico che spaziale – da una lastra in pietra infissa a coltello giustapposta alla prima tomba del lato Sud. Il lato Nord comprende invece le tombe di età più recente ed è anch'esso delimitato da una lastra in pietra infissa a coltello.[31] A fianco dei lastroni di copertura del tracciato a serpentina sono state rinvenute ulteriori fossette utilizzate per deporre ossa umane.[31] A causa della presenza dell'"area Bedini", le ultime tre tombe edificate non seguono il naturale tracciato ma ripiegano sul fianco delle precedenti sepolture.

La necropoli risulta attualmente (2012) non ancora completamente scavata.

Ipotesi sull'aspetto della necropoli

Lo stesso argomento in dettaglio: Sardus Pater.

A causa dell'incompletezza degli scavi non è stato possibile stabilire quale fosse il reale aspetto della necropoli e la collocazione delle statue. Da alcuni studiosi è stato messo in dubbio la loro originaria pertinenza alla necropoli medesima, in quanto l'unica prova in tal senso sarebbe la contiguità delle statue alla necropoli.[61] Ciò ha portato altri ad ipotizzare che le sculture fossero state concepite per adornare come telamoni un altro tempio, prossimo alla necropoli stessa ma dedicato al Sardus Pater. Secondo questa teoria il tempio con le statue sarebbe stato eretto in ricordo delle vittorie nuragiche contro gli invasori cartaginesi durante le guerre sardo-puniche.[62][63] In tal caso le sculture avrebbero raffigurato il corteo o la guardia del corpo del dio stesso.[62] È da notare come nei pressi della necropoli sorga una struttura rettangolare, ma anche di come questa sia in opera cementizia e come tale ascrivibile al periodo romano anche se non si può completamente escludere – a causa della mancanza di scavi – che al di sotto dell'edificio romano sia presente un megaron nuragico.[64] L'esistenza di altri monumenti di carattere sacro nei pressi della necropoli è comunque suggerito dalla presenza dei tipici conci utilizzati per l'edificazione dei pozzi sacri.[61]

Necropoli, immagini del 2012
Penisola del Sinis: area della necropoli di monte Prama.
Necropoli di monte Prama, lastre di copertura di tombe.


Altri ricercatori criticano la predetta teoria in quanto propensi a ritenere che statue e necropoli formassero un tutt'uno. In quel caso è errato supporre che l'unico indizio in tal senso sia la vicinanza tra statue e necropoli. Nella tomba numero sei dell'area scavata da Tronchetti fu rinvenuto un frammento di scarto di lavorazione di uno scudo; ciò induce a supporre che le statue furono realizzate in loco appositamente per la necropoli;[65] date alcune particolarità tecniche ad identica conclusione portano sia i modelli di nuraghe sia i betili "ad occhio". In tal caso necropoli e statue potrebbero richiamarsi all'antica tradizione della tomba dei giganti. Il tracciato ricorda infatti la planimetria di una tomba dei giganti, tale suggestione è suggerita e rafforzata anche dalla presenza dei betili da sempre presenti nelle antiche tombe dell'Età del bronzo. L'analogia attesterebbe la volontà degli antichi architetti di ricollegarsi alla tradizione sepolcrale degli avi.[31][39]

Allo stato attuale degli studi – ed almeno per quanto ne concerne l'aspetto e la composizione originaria del complesso tombe-statue – anche tale ipotesi non è da ritenersi sorretta da validi riscontri per ammissione dei loro stessi autori. È stato tuttavia ipotizzato come in tal caso le sculture sarebbero state collocate ai lati Est ed Ovest del tracciato a serpentina, a formare una sorta di grande esedra umana in analogia all'esedra a semicerchio della tomba dei giganti nella quale i pugili erano la parte più esterna – mentre nel centro immediatamente vicine alle tombe – erano collocati arcieri e guerrieri. Sempre secondo questa ipotesi i modelli di nuraghe formavano invece il coronamento del tumulo essendo collocati sopra le lastre di copertura delle tombe.[64]

Storia degli scavi

È del 1965 il primo reperto rinvenuto con ogni probabilità appartenente al complesso monumentale di monte Prama. Si tratta di un frammento di statua in calcare – precisamente una testa – trovato nel fondo del pozzo di Banaotou presso Narbolia. Data la grande presenza di reperti punici e la presunta assenza di una statuaria nuragica in pietra, il frammento di Banatou fu considerato in origine un reperto punico. È della metà degli anni '70 del secolo scorso – invece – il rinvenimento delle statue presso la necropoli del monte Prama. Secondo la testimonianza resa dai due scopritori Sisinnio Poddi e Battista Meli, il rinvenimento avvenne per caso nel mese di marzo del 1974 mentre preparavano la semina di due appezzamenti di terreno attigui che da anni affittavano dalla confraternita del Santo Rosario di Cabras. Nonostante il suolo fosse sabbioso, abbondava di manufatti rocciosi e frammenti di colonne che l'aratro portava regolarmente alla luce e che i due agricoltori accumulavano da una parte, non intuendo il loro reale valore archeologico.[66]

All'inizio di ogni stagione di semina i due scopritori constatavano che gli accumuli di frammenti dell'anno precedente erano diminuiti considerevolmente perché asportati da persone che ne comprendevano il valore storico o perché utilizzati come materiale da costruzione. Fu il proprietario del terreno, Giovanni Corrias, a rendersi conto che si trattava di resti di una statua quando, insieme a Sisinnio Poddi, intravide in un cumulo di pietre e terra la testa di un gigante. Il proprietario informò di tale rinvenimento l'archeologo oristanese Giuseppe Pau il quale allertò la Soprintendenza ai Beni archeologici di Cagliari e Oristano. L'area fu requisita ed iniziarono le campagne di scavi.[66]

Secondo l'archeologo Marco Rendeli, la storia delle prime ricerche è lacunosa e frammentaria e coinvolge diversi archeologi. Alcuni effettuarono scavi di breve durata (scavi Atzori nel 1974, scavi Pau nel 1977), altri ricercatori portarono avanti indagini programmate (scavi Bedini nel 1975, scavi Lilliu, Tore, Atzeni nel gennaio 1977, scavi Ferrarese Ceruti-Tronchetti nel 1977).[39]

Scavi presso il pozzo di Banatou Narbolia

Responsabile Area indagata e reperti rinvenuti Risultato scavi Immagini scavi
Lo scavo avvenne tra la fine del 1965 e gli inizi del 1966. Fu indagato il deposito votivo presso il pozzo sacro di Banatou Narbolia; i reperti constano di una testa di statua tipo Monte Prama in cattive condizioni, tredici statuette votive e sette vasi di epoca punica, una terracotta votiva di tipo greco rappresentante una Kore stante, numerosa ceramica sia nuragica che punica Il deposito ha tra i suoi materiali più arcaici ceramica nuragica datata al VII sec. a.C. ed il VI sec. a.C.; mentre si daterebbero al VI e V sec. a.C. le statuine puniche; poiché i materiali non sono editi non è possibile studiarne in modo preciso l'inquadramento cronologico. La tipologia delle statue puniche è da individuarsi nel tipo del "devoto-sofferente", furono realizzate al tornio e presesentano sia analogie come differenze da altre statue trovate in un grande deposito presso Bithia. L'analisi delle argille ha permesso di verificare la loro provenienza da giacimenti distinti.[67]
Gruppo di statue votive puniche dal pozzo di Banatou, Narbolia.
Testa di statua, tipo monte Prama, dal pozzo sacro Banatou, Narbolia.
Testa di statua punica dal pozzo sacro Banatou, Narbolia.
Banatou, Narbolia, busto di statua punica, particolari.

Scavi Bedini

Responsabile Area indagata e reperti rinvenuti Risultato scavi Immagini scavi
Anno 1975
Alessandro Bedini
Area parallela alla strada per Riola e distante 25 m da essa; scavo lungo 25 m e largo 3.
Furono indagate trentatre tombe rinvenendo frammenti di statue e modelli di nuraghe, ceramica nuragica, inumati.
Fu individuato il confine Ovest della necropoli delimitato da lastroni infissi a coltello. Furono rinvenute dieci sepolture a pozzetto prive del lastrone di copertura ma con all'interno i defunti adagiati in posizione rannicchiata con una lastrina di pietra sul capo. I rari frammenti ceramici reperiti datano le più antiche tombe a pozzetto tra il IX secolo a.C. e l'VIII secolo a.C.[60]
"Scavi Bedini": settore della necropoli visto da Nord-Ovest
"Scavi Bedini": una delle tombe a pozzo con sopra i lastroni della seconda fase della necropoli.
Necropoli monte Prama, tomba a pozzo con lastroni infissi a coltello ed inumato ancora in situ.

Scavi Tronchetti – Ferrarese Ceruti

Responsabile Area indagata e reperti rinvenuti Risultato scavi Immagini scavi
Anno 1977, 1978, 1979
Carlo Tronchetti, Maria Luisa Ferrarese Ceruti
Area interessata dalla discarica della necropoli. Furono indagate trenta tombe rinvenendo frammenti di statue, modelli di nuraghe, ceramica punica, un sigillo scaraboide, una collana bronzea, resti inumati, betili. Lo scavo permise di portare alla luce una strada monumentale e appurare come la monumentalizzazione della necropoli, tramite l'aggiunta delle statue, fosse coeva alla realizzazione della strada stessa. Furono inoltre rinvenute nuove e numerose parti delle sculture e al di sotto di uno di queste fu rinvenuto un grande frammento di anfora punica, non anteriore al IV secolo a.C.: tale frammento daterebbe il periodo di distruzione delle statue. Le tombe messe in luce confermarono il rituale funebre già riscontrato, con gli inumati deposti rannicchiati e sul cui capo spesso veniva adagiata una lastrina di pietra. All'interno della tomba numero venticinque fu scoperto uno dei pochi elementi di corredo, ovvero uno scarabeo datato all'VIII secolo a.C.[31]
"Scavi Tronchetti-Ferrarese Ceruti": Inizio meridionale del lastricato "a serpentina".
"Scavi Tronchetti-Ferrarese Ceruti": Termine settentrionale del tracciato a serpentina delimitato da una lastra infissa a coltello.
"Scavi Tronchetti-Ferrarese Ceruti": strada fiancheggiante la parte di necropoli scavata tra il 1978 ed il 1979.
"Scavi Tronchetti-Ferrarese Ceruti": discarica con parte dei numerosi frammenti di statua sopra i lastroni di copertura delle tombe.
"Scavi Tronchetti-Ferrarese Ceruti": intero busto di pugile, rinvenuto sopra una delle tombe.

Opera di restauro

Frammenti
Frammenti da monte Prama in attesa di restauro.
Frammento di mano che impugna uno scudo.
Arco frammentato.
Corno di un elmo nuragico.

Il progetto di conservazione e restauro è stato elaborato dall'archeologo conservatore Roberto Nardi, direttore del CCA, Centro di Conservazione Archeologica di Roma, con la direzione scientifica dell'archeologa Antonietta Boninu. Dal 2007 al 2012, i 5178 reperti provenienti dalle campagne di scavi e dai recuperi, per un peso complessivo di dieci tonnellate[68], sono stati assemblati e 38 sculture sono state montate su supporto metallico. Per tutta la durata dell'intervento, il cantiere di lavoro è stato aperto al pubblico, mediante visite guidate su prenotazione. La possibilità di osservare in diretta le operazioni di restauro, quali le analisi[69], lo studio delle tracce di lavorazione, la documentazione dello stato di conservazione, la pulitura, la ricerca degli attacchi, il riassemblaggio, ha garantito informazioni sui tempi dell'intervento ed ha aperto una finestra sulle problematiche legate alla conservazione ed alla conservazione preventiva, temi sui quali il CCA è impegnato da anni.

Dopo una prima pulitura delle superfici lapidee e dopo un'analisi approfondita di ciascun frammento, sono stati man mano ritrovati gli attacchi tra le varie parti delle sculture, identificando così le varie tipologie di guerrieri e di modelli di nuraghe. La ricerca degli attacchi si è alternata con altri tipi di intervento come la pulitura con acqua atomizzata (una tecnica poco invasiva in grado di solubilizzare le incrostazioni senza danneggiare la pietra, già sperimentata nella ripulitura dei monumenti del Foro romano), ma soprattutto con il consolidamento delle superfici.[69] Il materiale utilizzato dagli antichi scultori infatti risulta costituito da tenera calcarenite – un tipo di arenaria di provenienza locale – caratterizzata nella sua composizione interna da microfossili marini. Dalle analisi effettuate nei reperti risultano evidenti tracce di un remoto incendio che ha modificato chimicamente la parte superficiale della pietra rendendo i reperti più fragili e riducendone la resistenza.[69]

La ricerca degli attacchi è stata laboriosa ed impegnativa e ha consentito di ricomporre più mille frammenti combacianti tra di loro ricostruendo in questo modo le varie tipologie di guerrieri e di nuraghi. Sono state ricomposte ventitré statue alcune delle quali formate da cinquanta frammenti, con pesi a volte superiori ai duecentocinquanta chilogrammi.[70]

Delle particolari strutture portanti – personalizzate per ciascuna scultura – sono state ideate per permettere il progressivo lavoro di ricomposizione, in modo da liberare i monoliti con i relativi frammenti dal dover supportare il proprio peso, e allo stesso tempo per garantire sicurezza e reversibilità, senza alcun inserimento di perni. [71] In questo modo sono stati ricomposti tredici modelli di nuraghe (tra monotorre e polilobati), sedici pugili, quattro guerrieri, cinque arcieri. Le parti che non presentano attacchi sono sei e documentano la presenza di altre sei sculture portando il loro numero complessivo a quarantaquattro.[69]


Caratteristiche generali
Braccio di arciere, brassard in rilievo e decorazioni incise, centro restauro Li Punti, Sassari.
Particolare del basamento.


Caratteristiche generali e confronti stilistici esterni

Statua votiva etrusca.
Creta, stile dedalico.

Nel complesso sono statue fortemente stilizzate e di forma geometrica improntate a quello che gli studiosi definiscono lo "stile dedalico", ispirandosi in questo allo stile scultoreo affermatosi in Creta nel VII secolo a.C.. Il volto delle statue segue lo schema a T, tipico dei bronzetti sardi e delle vicine statue stele corse.[31] L'arcata sopracciliare e il naso sono molto marcati, gli occhi risultano incavati nel volto e resi in modo simbolico con un doppio cerchio concentrico. La bocca è resa con un breve tratto inciso, rettilineo o angolare.[72] L'altezza delle statue varia da un minimo di 2 m ad un massimo di 2,50 m. Esse hanno come soggetti pugili, arcieri e guerrieri, tutti in posizione eretta e con le gambe leggermente divaricate. I piedi sono ben definiti e poggiano su solide basi quadrangolari.[73] Caratteristica delle sculture è inoltre la presenza di dettagli decorativi con motivi geometrici eseguiti a chevron [74] o a zig-zag, con linee parallele e cerchi concentrici, laddove a causa di ragioni statiche non fu possibile per gli artisti rendere tali dettagli in rilievo. Questo accade tanto per gli oggetti quanto per la raffigurazione di varie parti del corpo. Così, ad esempio, le trecce che scendono ai bordi del viso sono in rilievo ma i capelli sono resi con incisioni a spina di pesce. Il brassard [75] degli arcieri risulta leggermente in rilievo mentre i dettagli sono resi con disegni geometrici. Tali peculiarità – insieme ad altri elementi – provano che i bronzetti sardi furono la principale fonte d'ispirazione per la loro realizzazione.[76][77] Le statue originariamente risulterebbero esser state dipinte, in alcune infatti sono state rinvenute tracce di colori; un arciere presenta il torso dipinto di rosso mentre un altro colore rintracciato nei frammenti è il nero.[78][79]

È difficile trovare confronti in ambito mediterraneo per queste sculture:

  • l'archeologo Carlo Tronchetti parla di committenze e di ideologie pienamente orientalizzanti[80] e in accordo con quest'ultimo altri studiosi – come Paolo Bernardini – individuano nelle sculture influenze orientali con richiami alle sculture etrusche arcaiche;[81]
  • l'archeologa Brunilde Sismondo Ridgway trova confronti nella scultura picena, dauna, lunigiana dell'VIII–V secolo a.C., stavolta inserite nella corrente stilizzante italica ed egea naturalistica;[82]
  • per Giovanni Lilliu le sculture appartengono allo stile artistico geometrico, riscontrabile nei segni ornamentali riprodotti con disegni incisi, nella diretta ispirazione nei bronzetti sardi di stile "Abini-Teti"; secondo l'illustre archeologo risulta quindi profondamente sbagliato assegnare tali statue al periodo orientalizzante, tranne forse per la struttura colossale del corpo;[78]
  • per l'archeologo Marco Rendeli i tentativi di confronto tra le sculture del Sinis e quelle di area ellenica, italica, etrusca appena citati hanno tutti portato ad esiti deludenti. Il giusto approccio nell'inquadrarle consiste nell'intederle come un unicum, prodotto dalla interazione tra artigiani levantini e committenza nuragica. Tale unicità del resto trova conferma anche nelle particolari tombe a pozzetto della necropoli, anche queste non sono paragonabili in alcun modo ad altri siti, sia del Mediterraneo occidentale che di quello orientale.[83]
File:Pugile di Dorgali.JPG
Pugile, bronzetto nuragico da Dorgali.

Pugili

Sculture di pugile ricomposte
Monte Prama, pugile con scudo (centro restauro Li Punti, Sassari).
Pugile di monte Prama.
Pugile, statua incompleta.
Pugile, particolare del tipico kilt.
Pugile, braccio con protezione.
Scudo di pugile visto dall'alto.
Lo stesso argomento in dettaglio: Caestus.

Pugile (o pugilatore) è il termine convenzionale per indicare una particolare figura di bronzetti nuragici dotati di un'arma paragonabile al caestus. Essa infatti avvolgeva l'intero avambraccio con una guaina rigida, probabilmente in metallo.[84] La panoplia del guerriero o lottatore, a seconda delle interpretazioni, prevedeva inoltre uno scudo rettangolare semi-rigido e avvolgente.[84] Si ipotizza che i pugili fossero adibiti a giochi sacri o funebri in onore dei morti, come altrove nel Mediterraneo.[84][85] I pugilatori costituiscono il gruppo più numeroso delle statue del Sinis. Presentano caratteristiche uniformi e costanti in tutti e sedici gli esemplari accertati, variando solo nelle dimensioni o in trascurabili particolari.[76]

Il torso è rappresentato sempre nudo con incisi l'ombelico o i capezzoli; i fianchi del bacino sono cinti da un breve gonnellino svasato posteriormente a V, tipico nella bronzistica dei pugili ma pure di guerrieri come l'arciere di Serri. La parte superiore dell'addome è protetto da un cinturone dal quale si dipartono talora i lacci – raffigurati a bassorilievo – che tenevano legato il gonnellino. La testa delle figure è rivestita da una calotta liscia. L'avambraccio destro – sin dal gomito – è rivestito dalla guaina protettiva verosimilmente di cuoio, terminante con una calotta sferica nella quale era inserita l'arma metallica o in altro materiale. Il braccio sinistro tiene lo scudo a coprire il capo.[31][86] Lo scudo è di forma rettangolare ad angoli arrotondati. Molto probabilmente doveva essere composto da cuoio, o da un altro materiale flessibile, perché arrotondato per la lunghezza. Presenta inoltre nella sua parte interna una intelaiatura a stecche di legno, mentre la parte esterna si caratterizza per un bordo in rilievo lungo tutto il perimetro. Sempre dai particolari risultanti dalla parte interna, lo scudo appare fissato ad un bracciale decorato a chevron, indossato nel gomito del braccio sinistro.[84]

La figura del pugilatore è rappresentata anche nella bronzistica, tra le quali si segnala – oltre agli esemplari sardi – anche il bronzetto rinvenuto presso Vetulonia nella Tomba del capo. Il bronzetto nel quale si riscontra non solo l'identità tipologica ma persino la rispondenza nei particolari è quello proveniente da Dorgali.[87][88]

File:Arciere abini.JPG
Arciere di "Abini" con arco leggero ed elmo cornuto.

Arcieri

Sculture di arciere ricomposte
Monte Prama, arciere con pettorale.
Arciere in attesa di restauro.
Particolare della goliera di un arciere.

I frammenti di questa tipologia di guerriero hanno permesso fino ad oggi di restaurare cinque esemplari mentre di un sesto restano solo parti del torso e della spalla. Al contrario dei pugili gli arcieri presentano numerose varianti.[76] L'iconografia maggiormente attestata vede l'arciere indossare una corta tunica su cui pende la placca pettorale quadrata a lati leggermente concavi. Talvolta la tunica giunge all'inguine, altre volte lascia scoperti i genitali. Oltre alla placca pettorale sono raffigurati anche altri elementi della panoplia, come goliere ed elmi. I diversi frammenti di arti superiori presentano spesso il braccio sinistro munito di brassard che tiene l'arco, mentre la mano destra è tesa con la palma rivolta in avanti come nel tipico segno di saluto visibile nei bronzetti. Le gambe sono protette da singolari gambali dai bordi dentellati, appesi con dei laccetti sotto la tunica; in un polpaccio è ben visibile anche la lavorazione posteriore avente profilo a forma di 8, mentre nei piedi è talvolta raffigurato un sandalo. Il volto risulta simile a quello del pugile con la capigliatura raccolta in lunghe trecce che scendono ai lati del volto. La testa è cinta fino alla nuca da un elmo a calotta crestato e cornuto che lascia libere le orecchie. Vari frammenti documentano i corni leggermente ricurvi e rivolti in avanti, di difficile misurazione, terminanti a punta (a differenza dei guerrieri); c'è inoltre traccia di un rinforzo ricavato dalla stessa roccia che le univa a circa metà della lunghezza.[84] Molto particolareggiata è la raffigurazione delle armi. In analogia ai bronzetti, nella schiena risulta scolpita in maniera molto raffinata la faretra.[31][76] È evidente inoltre la presenza di due tipi di arco: il più pesante avente sezione quadrangolare e costolato e uno di tipo più leggero a sezione cilindrica, forse appartenente a chi utilizzava un armamento misto. Le milizie nuragiche risultavano infatti composte da arcieri, spadaccini e guerrieri con armamento misto in quanto muniti sia di arco come di spada; questi casi sono evidenti sia nell'ipotesi in cui arco e spada vengono sfoggiati contemporaneamente, come nei bronzetti stile "Uta" (da Uta, luogo del ritrovamento), o quando la spada rimane riposta nel fodero accanto alla faretra mentre l'arciere scocca la freccia.[89]

L'insieme faretra-fodero di spada è visibile in almeno una scultura[90] e trova riscontro tanto nei bronzetti di stile "Uta", quanto in quelli di stile "Abini" (dal Santuario nuragico di Abini, luogo del ritrovamento).[91] L'archeologo Giovanni Lilliu mise inoltre particolare risalto nel confronto tra l'elsa lunata della statua di monte Prama e l'elsa a mezzaluna dell'arciere di Santa Vittoria di Serri con il medesimo abito a coda di frac dei pugili di monte Prama.[92][93] Il bronzetto d'arciere più corrispondente a quello degli arcieri di monte Prama dovrebbe essere l'arciere di Abini.[94]

Bronzetto nuragico, guerriero con scudo e spada.

Guerrieri

Sculture di guerriero ricomposte
Guerriero, monte Prama.
Corazza e ornamenti del guerriero.
Scudo di guerriero.


Di questa tipologia iconografica – molto rappresentata nella bronzistica – sono stati finora individuati due esemplari, più un terzo incerto, dei quali solo uno in ottimo stato di conservazione. Tuttavia uno scudo ricomposto, non riconducibile ai 3 esemplari suddetti e i numerosi altri frammenti di scudo e (pare) di un torso fan pensare che il numero di guerrieri fosse ancora più elevato.

Inizialmente i vari frammenti di scudo rotondo furono attribuiti alle statue di arciere. Solo successivamente, l'impugnatura d'una spada e la somiglianza delle decorazioni geometriche dello scudo ad analoghi motivi presenti nella bronzistica, fecero pensare alla presenza di una o più statue di guerrieri.[95][96] La scultura del guerriero si differenzia da quella dall'arciere fondamentalmente per l'abbigliamento.

La testa in miglior stato di conservazione mostra il tipico elmo cornuto "a bustina", il quale – come pure l'elmo di arciere – doveva senz'altro presentare i tipici corni raffigurati nella bronzistica. Diversi frammenti di piccoli elementi cilindrici sono infatti stati rinvenuti nel corso degli scavi. Alcuni di questi corni – una volta ricomposti – presentano delle piccole sfere nella parte terminale, come in certi bronzetti, sia antropomorfi (in questo caso solo guerrieri e mai arcieri) che zoomorfi.

La statua di guerriero meglio conservata è tra le più suggestive dell'intero complesso. Oltre all'elmo cornuto – i cui corni sono spezzati – si distingue per la presenza di una corazza a bande verticali, corta nella parte posteriore ma robusta sulle spalle e più sviluppata sul petto. In analogia con le corazze visibili nei vari bronzetti, si suppone che il corsetto fosse costituito da bande in metallo applicate al cuoio indurito. Dalla parte inferiore del corsetto fuoriesce un pannello decorato e frangiato.

Lo scudo è rappresentato in maniera molto accurata con disegno a chevron che ricorda i motivi geometrici delle pintadere, e con solcature disposte a raggiera convergenti verso l'umbone.[84] Il bronzetto di guerriero più simile a quelli rinvenuti a monte Prama è quello trovato a Senorbì.


Modello in bronzo di nuraghe quadrilobato, da Olmedo, (Museo Sanna, Sassari).
Altorilievo dal nuraghe Cann'e vadosu, da Cabras.



Modelli di nuraghe

Modelli ricomposti
Monte Prama, modellino di nuraghe quadrilobato.
Modello di nuraghe quadrilobato (o complesso).
Sommità del modello di nuraghe: particolare della cupola in rilievo.
Modello di nuraghe complesso.
Lo stesso argomento in dettaglio: Nuraghe.

Il sito di monte Prama è quello nel quale è stato rinvenuto il maggior numero di modelli di nuraghe.[97] Per modello di nuraghe s'intende la rappresentazione in scala delle torri e dei castelli nuragici, a fini sacrali e/o politici. Analogamente ai reali edifici gli stessi modelli sono suddivisibili in due categorie generali: i modelli di nuraghe complesso con torre centrale circondato da bastioni e altre quattro torri ossia il cosiddetto quadrilobo, e i modelli di nuraghe semplice in quanto raffigurazioni di nuraghi con un'unica torre.

Al centro di restauro di Li Punti è stato possibile sin'ora ricostruire cinque modelli di nuraghi complessi e venti nuraghi semplici. I modelli di nuraghe rinvenuti a monte Prama si caratterizzano per le loro notevoli dimensioni, sino a 1,40 m di altezza per i quadrilobati, e da 13 cm a 70 cm di diametro dei monotorre,[31] oltre che per alcune soluzioni tecniche originali.[97] Unici tra tutti i modelli di nuraghi rinvenuti in Sardegna, le grandi sculture sono modelli componibili nei quali il fusto del mastio è unito alla parte sommitale attraverso un'intercapedine in cui faceva da perno e da legante un'anima di piombo.[97]

Il terrazzo dei nuraghi è stato rappresentato fedelmente nei vari modelli, e sulla sommità delle torri è stata scolpita una sorta di cupola conica indicante la copertura del vano scala di accesso al terrazzo stesso.[98][99][100] Vari elementi architettonici delle reali strutture sono stati rappresentati con incisioni. Il parapetto del terrazzo ad esempio è stato raffigurato tramite una fila singola o doppia di triangoli incisi, ovvero con tratti verticali in stretta analogia con nuraghi miniaturizzati provenienti da altri siti sardi, come l'altorilievo dal nuraghe Cann'e Vadosu, o il modellino della sala delle riunioni di Su Nuraxi a Barumini.[101] Anche i grandi blocchi con la funzione di sostegno al terrazzo sono resi nei modelli tramite motivi decorativi. I mensoloni e la loro funzione sono indicati da incisioni o scanalature parallele e i blocchi – che nei siti archeologi si rinvengono copiosi in corrispondenza dei crolli delle parti sommitali – confermano la perfetta corrispondenza dei modelli in questione con l'architettura nuragica dell'Età del bronzo medio e recente.[97]

Monte Prama, betile con doppia fila di incavi.

Betili oragiana

Lo stesso argomento in dettaglio: Betilo.

Il termine betile, dall'ebraico bet-el, ovvero "casa del dio", indica delle pietre sacre di semplice forma geometrica, prive del tutto o quasi di raffigurazione. In analogia al significato religioso rivestito in Oriente, si ritiene come anche per i Nuragici essi potessero rappresentare o la casa del nume, o il dio stesso, in modo astratto e simbolico. Questo suggerisce la loro costante presenza in tutti i luoghi di culto della Civiltà nuragica, dai santuari come Su Romanzesu di Bitti alle tombe dei giganti.

Per tipologia sono suddivisibili in betili conici e betili troncoconici. La distinzione ha rilevanza cronologica essendo i betili troncoconici più recenti in quanto pertinenti alle tombe dei giganti in opera isodoma.[102][103][104] Presso monte Prama si rinvennero dei betili troncoconici con incavi di tipo "oraggiana" (o "oragiana"). Secondo l'archeologo Giovanni Lilliu tali incavi potrebbero simboleggiare gli occhi di una divinità che sorvegliava e proteggeva le tombe.[105][106] I betili nuragici sono oggetti simbolici tipici del Bronzo medio e del Bronzo recente nuragico, venendo scolpiti a partire dal XIV secolo. La loro presenza nella necropoli di monte Prama fu spiegata da Giovanni Lilliu tramite due soluzioni alternative: verosimilmente i betili provenivano da una precedente tomba dei giganti andata distrutta, oppure sono la copia di analoghi più antichi, nella volontà dei Nuragici di rimarcare la linea di continuità con la loro tradizione in una sorta di rievocazione nostalgica.[107][108] Attualmente la doppia fila di incavi notata in un betile di monte Prama e non attestata in alcun altro esemplare in Sardegna, fa propendere per una loro produzione coeva alla necropoli, e perciò gli studiosi ritengono che furono realizzati appositamente per il complesso di monte Prama.[104]

File:Scarabeo.JPG
Scarabeo egizio da monte Prama.

Problema della datazione

Sul problema della datazione delle statue il dibattito è ancora molto acceso. Le dispute sono alimentate da varie difficoltà relative tanto all'individuazione della data di edificazione, quanto a quella della loro distruzione. Il primo e più generale di tali problemi consiste nel riconoscere se le statue fossero collocate inizialmente sopra la necropoli, o se fossero pertinenti ad un diverso tempio sito in un luogo diverso. Alcuni studiosi sostengono che le statue furono scolpite per creare una necropoli monumentale e dunque collocate immediatamente sopra le tombe.[31][60] Per altri non v'è alcuna prova a sostegno di tale ipotesi e dunque le statue potrebbero provenire da un altro tempio in pieno Bronzo finale,[4] probabilmente a guardia del tempio del Sardus Pater.[109]

Il secondo problema di ordine generale è la scarsezza dei reperti datanti; le ceramiche sono scarsissime, i pochi frammenti rinvenuti nei primi scavi sono datati dal IX secolo a.C.;[60] le tombe sono generalmente prive di corredo, tranne la numero venticinque nella quale fu rinvenuto uno scarabeo di produzione egiziana, o più precisamente uno "scaraboide" di tipo Hyksos.[110] La tipologia di scarabei a cui l'esemplare del Sinis appartiene, iniziò ad esser prodotta già dal secondo periodo intermedio, proseguendo per tutto il Nuovo Regno, ed in particolare alla XX dinastia. Lo specifico disegno dello scaraboide di monte Prama è identico ad un altro oggetto proveniente dal sito siriano di Tell Fara oppure da quello palestinese di Tall al-Ajjul, quest'ultimo spesso identificata con Sharuhen. Tuttavia il più recente tra gli scarabei della tipologia alla quale appartiene quello di monte Prama – ancorché diverso nel disegno – fu rinvenuto presso Tiro e datato all'VIII secolo a.C.; inoltre occorre sottolineare la scarsa affidabilità degli scarabei in generale nel provare la cronologia dei siti e dei monumenti nei quali si rinvengono, in quanto tali manufatti possono rimanere in uso anche per un millennio, come diversi casi dimostrano.[111][112][113][114] La fibula bronzea rinvenuta tra i detriti delle statue sembra confermare anch'essa la prima metà dell'VIII secolo a.C.. I pigmenti di colore rinvenuti sulle superfici lapidee e analizzati poi nei laboratori del Centro di restauro di Li Punti, sono risultati di origine animale; benché il materiale biologico sia possibile datarlo con la tecnica del Carbonio-14, purtroppo le esigue quantità rinvenute non lo permettono. Una colorazione di quel tipo però non sarebbe casuale e ciò permette invece di affermare che le sculture furono dipinte.[115]

Altro problema d'ordine generale è la relazione tra le grandi statue e i bronzetti sardi per la datazione dei quali è in corso un acceso dibattito, molti studiosi oramai sostengono come la produzione dei bronzetti inizi tra il 1100 a.C. ed il 1000 a.C.[45][116] Data la strettissima somiglianza tra bronzetti e statue sorge il dilemma se le statue furono d'ispirazione ai bronzetti – risultando in tal caso più antiche – oppure se i bronzetti siano – nella loro maggiore antichità – il modello che l'aristocrazia nuragica impose agli artigiani: in tal caso le statue sarebbero molto meno antiche dei bronzetti.[39] La data della distruzione o la data di formazione della discarica è invece determinata dalla presenza di un frammento di anfora punica al di sotto di un busto di arciere, databile con certezza al IV secolo a.C.; il frammento ceramico punico costituisce pertanto il limite cronologico ante quem non.[117] Nei pressi del nuraghe s'Uraki, nel pozzo sacro di Banatou, a Narbolia, fu rinvenuto un frammento di statua insieme a statue votive puniche e ceramiche miste puniche e nuragiche, ma purtroppo le difficoltà nelle quali lo scavo si svolse non consentono una datazione affidabile del reperto.[118]

Aspetti ideologici del complesso monumentale

Altare o trono dalla camera del consiglio, Nuraghe Palmavera, Sassari, Museo Sanna.

In generale tutti gli studiosi vedono nel complesso di monte Prama l'autocelebrazione di una élite aristocratica nuragica e dei suoi ideali guerrieri ed eroici.[120] La collocazione strategica entro il golfo di Oristano mirerebbe a veicolare nei frequentatori stranieri, in particolare nei Fenici della Sardegna un messaggio di dominio e di potere sull'Isola.[31] La presenza dei modellini di nuraghe in relazione alle statue è da leggersi ad un tempo come affermazione dell'identità nuragica, e come simbolo sacrale. Come simbolo identitario i vari modelli di nuraghe scolpiti intorno al X secolo a.C.[97] sarebbero un vero e proprio totem del mondo nuragico[121] oltre che un simbolo di potere al pari delle statue; i modelli sono infatti presenti nelle grandi sale consiliari di numerosi nuraghi, tra i quali su Nuraxi a Barumini.

Camera del Consiglio, nuraghe Palmavera, modello di nuraghe, Sassari, Museo Sanna.

Come simbolo sacrale, potrebbero aver assolto sia alla tutela dei morti della necropoli, sia ad una funzione rituale, data la loro presenza come altari in tutti i grandi santuari.[97][122] L'ambivalenza sacrale e politica, la raffigurazione del nuraghe in oggetti della sfera quotidiana come bottoni, lisciatoi e altro, documenta attraverso i cosiddetti modellini, un vero e proprio culto del nuraghe.[4] Se esiste generale consenso circa i valori e l'ideologia specchiati dal monumentale complesso, non altrettanto può dirsi circa le implicazioni politiche e le influenze artistiche. Per quanto riguarda le implicazioni politiche, alcuni studiosi vedrebbero nel grande numero di pugili rispetto all'esiguo numero di guerrieri un segno della decadenza militare e politica nuragica anche causata dalla fondazione dei centri fenici in Sardegna. Questo si rifletterebbe nell'importazione e adozione di modelli ideologici levantini e la collocazione della statuaria nuragica nel periodo orientalizzante, il quale, dall VIII sec. a.C. in poi investiva tutto il Mediterraneo.[31][80][123]

Le attuali (2012) ricerche hanno tuttavia dimostrato come le teorie che facevano coincidere la fine del mondo nuragico con l'arrivo dei Fenici e la loro colonizzazione della Sardegna siano completamente superate; i Fenici del IX sec. a.C. giunti in Sardegna furono poco numerosi, si disseminarono lungo le coste e tesero a cooperare con i Nuragici – in quel periodo all'apice della loro civiltà – i quali continuarono a gestire i porti e le risorse economiche dell'isola.[124] Per l'archeologo Giovanni Lilliu le statue non furono erette in un periodo di decadenza politica, ma nel periodo di una grande rivoluzione aristocratica, economica e politica, durante la quale le sculture riflettono una condizione politica indipendente e sovrana.[120] Inoltre lo stile geometrico "Abini-Teti" esclude la collocazione delle statue nell'ideologia e nel periodo orientalizzante riscontrabile solo nella bronzistica del VII secolo a.C..[4][125] Per cui è giusto parlare di un filone artistico protosardo orientale, ma non di un filone protosardo orientalizzante.[126] Per Giovanni Lilliu le statue appartengono ad un climax artistico e politico indigeno quasi urbano.[127] Tutte queste differenze di vedute sono largamente causate dal problema cronologico.[4]

Compasso nuragico, Museo Sanna, Sassari.

Possibili tecniche di lavorazione

Nelle analisi effettuate dallo storico dell'arte Peter Rockwell è stato riscontrato l'uso di vari strumenti in metallo, probabilmente in bronzo. In particolare si è potuto osservare l'uso di:

  • una subbia, ossia uno scalpello con lama di varie misure;
  • uno strumento simile ad un raschietto utilizzato per levigare la superficie al pari o insieme ad abrasivi;
  • una punta secca per incidere linee fini di dettaglio;
  • uno strumento per produrre fori che può essere assimilato al trapano, il cui uso da parte dei Nuragici è infatti provato dai rinvenimenti archeologici;
  • è evidente l'uso di uno strumento simile al compasso con il quale sono state realizzate le linee circolari come quelle degli occhi;
  • una gradina, strumento simile alla subbia ma dal bordo dentellato e affilato, adatta in modo particolare alla scultura su marmo e che ha lasciato sui Giganti le tracce più interessanti. Veniva colpita sulla superficie tenendola obliqua, per creare una sorta di prima levigatura a scanalature più o meno fitte. Secondo gli studiosi sarebbe comparsa in Grecia solo nel VI secolo a.C.

Un compasso in ferro fu trovato nel nuraghe Funtana presso Ittireddu.[128]


Altre sculture
Frammenti scultorei dal Pozzo sacro Irru, Nulvi. In primo piano, una protome di ariete e frammenti di modelli di nuraghe, Museo di Perfugas
File:Guerrieri viddalba.jpg
Guerrieri di Viddalba, Museo Sanna
File:Testa di bulzi.jpg
Testa di guerriero di Bulzi, con parte del corno dell'elmo ancora inserito


Altri casi di scultura

Di data e contesto indeterminati sono i reperti scultorei di Viddalba, Ossi, questi custoditi al Museo Sanna di Sassari, e Bulzi, dei quali non si conosce neppure la provenienza esatta. Essi si contraddistinguono per essere a metà strada tra il betile e la statua.[129] L'elmo crestato e appuntito rimanda anche in questo caso alla bronzistica, ed in particolare all'arciere di Serri e all'arciere corazzato trovato nel tempio a megaron di Domu 'e Urxia.[130] Le statue sono scolpite su calcare, il volto con il tipico schema a T, in cui sono praticati due fori per rappresentare gli occhi. L'elmo crestato a visiera frontale è dotato di due incavi nei quali erano inseriti ad incastro i corni in pietra calcarea e dei quali residua un breve tratto. Se la cresta ricorda gli elmi dei bronzetti nuragici l'incavo in cui alloggiare i corni è un particolare comune alle statue-menhir di Cauria e Filitosa in Corsica datate al 1200 a.C., attribuiti alla Civiltà nuragica torreana, strettamente imparentata con quella nuragica.[131]

A San Giovanni Suergiu, nella Sardegna meridionale, secondo lo studioso Paolo Bernardini appare di nuovo la statuaria monumentale, molto probabilmente in connessione con una necropoli. In quel sito una ricognizione di superficie ha recuperato tra le pietre ammucchiate dal dissodamento dei campi, una testa umana in pietra arenaria sormontata da un alto e ricurvo copricapo, ornato da zanne di animale. I tratti del volto, rovinatissimi, conservano ancora un occhio reso con lo stilema del doppio cerchiello, identico a quello dei Giganti di monte Prama, ed il mento fortemente appuntito; altri frammenti sembrano appartenere a un torso umano, solcato da una bandoliera, mentre più chiara è l'immagine di una palmetta, scolpita a rilievo e parzialmente dipinta in rosso. [132]

Note

  1. ^ Particolari betili con incavi quadrangolari nella parte superiore. Devono il loro nome alla tomba dei giganti di Oragiana, Cuglieri (OR). Fanno parte della categoria dei betili "a mammellari" e betili "ad oculari" a secondo che mostrino in rilievo delle bozze tipo mammelle (Tomba dei giganti di Tamuli) o invece dei fori circolari o quadrangolari (Tomba dei giganti Oragiana). Quelli rinvenuti a monte Prama sono a doppia fila di incavi.
  2. ^ a b c Antonio Meloni, Giganti di Mont'e Prama verso Cabras e Cagliari, in La Nuova Sardegna, 23 novembre 2011. URL consultato il 27-02-2012.
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  16. ^ Michel-Claude Weiss, François de Lanfranchi, p. 247.
  17. ^ François De Lanfranchi, p. 354. «Pour nous, la sculpture en relief sur une statue ne peut être faite qu'avec des outils en métal et l'émergence de ce mode de sculpture sur statues se situerait au Bronze moyen de la Corse (notamment les longues épées représentées sur les stèles non anthropomorphes). La perduration des statues jusqu'au Bronze final, voire au début de l'Âge du Fer, se traduit nécessairement par les représentations d'armes différentes.» Traduzione: "Per noi la scultura in rilievo su una statua non può che essere fatta con degli utensili in metallo e il sorgere di questo modo di scolpire le statue si colloca nel Bronzo medio della Corsica (ossia le lunghe spade rappresentate sulle stele non antropomorfe). Il perdurare delle statue fino al Bronzo finale e all'inizio dell'Età del ferro si traduce necessariamente con la rappresentazione di armi differenti".
  18. ^ Lilliu (2007), p. 1728.
  19. ^ Lilliu, La civiltà nuragica, p. 98.« Su d'uno dei cinque betili troncoconici della tomba dei giganti di Nurachi-Sédilo (altezza da 1,40 a 1,43 m, diametro basale da 83 e 87 cm, superiore da 51 a 58 cm) si osservano due linee incise orizzontali sovrapposte: includevano forse un viso umano dipinto. Meno oscuro un betilo da San Pietro di Golgo-Baunei (fig. 100), alto 1,21 m. A 36 cm sotto la sommità piatta, si rileva un volto antropomorfo con gli essenziali tratti fisionomici di occhi, naso e bocca. Il contorno, morbido, sfuma nel fondo della pietra, quasi vi si connaturasse. L'aniconico fa una sorvegliata concessione all'iconico limitato a puro sema. Sa di maschera applicata sul pilastro: una tête coupée, anomala, nella sua posizione mediana, rispetto a quella in alto, normale, delle statue-menhir. La testa suggerisce il confronto con le protomi antropomorfe rilevate sul fusto troncoconico dell'insegna liturgica in bronzo di Santa Maria di Tergu, di circa l'VIII secolo a.C. Il viso – pur rimanendo dell'indeterminatezza personale – accentua la tendenza verso la rappresentazione umana. E ciò – nella tenace tradizione della religione aniconica e dell'arte che la segue – può indicare un certo cambiamento, che va oltre la presenza puramente magica, connesso con la storia dello spirito, avvenuto negli ultimi tempi del II o nel primo periodo del I millennio a.C., data probabile del betilo di Baunei»
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  21. ^ G.Tore (1975), pp. 315-316, fig. XIII, 4, (nel testo si fa erroneamente riferimento alla fig. XIII, 3.)
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  74. ^ Tipo di decorazione costituita da una serie di segni lineari disposti a V. Conosciuta anche come "decorazione a spiga" o a "spina di pesce".
  75. ^ Placca rettangolare in cuoio o altro materiale che copriva parte del braccio, utilizzata anticamente come "salvapolso" dagli arcieri. Si ritrova anche in pietra o in osso con quattro fori alle estremità durante la cultura di Bonnanaro o nel Campaniforme.
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  112. ^ Alfonso Stiglitz, Fenici e Nuragici nell'entroterra tharrense, p. 94. L'archeologo effettua il raffronto tra scarabeo di monte Prama e di Tiro citando a sua volta M. Bikai, The pottery of Tyro, Warminister 1978, p. 85, plate XIV,18; F. Petrie, Hyksos and israelite cities, London 1906, p. 32, pl XXXIII
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  118. ^ Alfonso Stiglitz, p. 62.
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