De coelesti hierarchia

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De coelesti Hierarchia
Titolo originaleΠερὶ τῆς Οὐρανίας Ἱεραρχίας
Cori angelici in forma di cerchi luminosi
AutorePseudo-Dionigi l'Areopagita
1ª ed. originaleV secolo
Generetrattato
Sottogenereangelologia, teologia cristiana
Lingua originalegreco antico

De coelesti Hierarchia, o Gerarchia celeste, è un trattato di angelologia appartenente al Corpus Dionysianum, databile circa al V secolo, attribuito a uno Pseudo-Dionigi l'Areopagita, filosofo neoplatonico;[1] esercitò una grande influenza sulla Scolastica. Descrive ampiamente la gerarchia degli angeli.

«La gerarchia è nello stesso tempo ordine, scienza e azione, conformandosi, per quanto è possibile, agli attributi divini, e riproducendo, per mezzo dei suoi splendori originali, un'espressione delle realtà che sono in Dio

Contenuto e fortuna dell'opera[modifica | modifica wikitesto]

L'opera, composta da quindici capitoli, venne tradotta in latino da Giovanni Scoto Eriugena nel IX secolo, ed è stata molto influente nello sviluppo della teologia cristiana ortodossa. Sulla sua visione gerarchica delle intelligenze angeliche si è sostenuta in proposito l'influenza della filosofia neoplatonica di Plotino, Giamblico e Proclo,[2] anche se le terminologie e i nominativi degli angeli risultano chiaramente ripresi dalle Scritture oltre che dalle citazioni di Paolo di Tarso, in particolare dalla lettera ai Colossesi e agli Efesini.[3]

Nella Summa Theologiae (1265–1274) Tommaso d'Aquino seguirà la Hierarchia (ai capp. VI e VII) nella suddivisione degli angeli in tre gerarchie, ognuna delle quali contiene a sua volta tre ordini, basati sulla loro vicinanza a Dio, corrispondenti ai nove ordini di angeli già riconosciuti da Papa Gregorio I:[4]

  1. Serafini, Cherubini e Troni;
  2. Dominazioni, Virtù e Potestà;
  3. Principati, Arcangeli e Angeli.
I cerchi angelici roteanti contemplati da Dante e Beatrice nel XXVIII canto del Paradiso secondo Gustave Doré

Notevole influsso eserciterà l'opera anche su Dante Alighieri e la sua stesura della Divina Commedia.[5] Dante riprese da Dionigi l'idea del moto circolare di ogni schiera angelica, che esercita di conseguenza un'azione sulle sfere celesti. Ad ognuno dei nove cori angelici Dante associò pertanto un cielo e un corrispondente pianeta, secondo una visione astrologica connessa con quella aristotelico-tolemaica. Nel Paradiso egli afferma di rifarsi esplicitamente allo schema angelico di Dionigi:[6]

«Questi ordini di sù tutti s'ammirano,
e di giù vincon sì, che verso Dio
tutti tirati sono e tutti tirano.
E Dionisio con tanto disio
a contemplar questi ordini si mise,
che li nomò e distinse com'io.»

Edizioni[modifica | modifica wikitesto]

  • Gabriele Burrini, Dionigi l'Areopagita. Gerarchie celesti, Teramo, Tilopa, 1981
  • Piero Scazzoso, Dionigi Areopagita. Tutte le opere: Gerarchia celeste - Gerarchia ecclesiastica - Nomi divini - Teologia mistica - Lettere, introduzione e apparati di Enzo Bellini, Milano, Rusconi, 1981
  • (EN) G. Heil, A. M. Ritter, Pseudo-Dionysius Areopagita. De Coelesti Hierarchia, De Ecclesiastica Hierarchia, De Mystica Theologia, Epistulae, 1991 ISBN 978-3-11-012041-7.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ L'autore fu identificato nel Medioevo con Dionigi, discepolo di Paolo di Tarso nel I secolo, che fu anche il primo vescovo di Atene.
  2. ^ Giornale di metafisica, vol. 23, pag. 92, Società Editrice Internazionale, 1968.
  3. ^ Le gerarchie angeliche.
  4. ^ Papa Gregorio aveva adottato tuttavia uno schema in parte differente in Moralia, XXXII, 38.
  5. ^ Dionigli l'Areopagita nell'Enciclopedia dantesca.
  6. ^ Negli stessi versi, Dante prende invece le distanze dallo schema che era stato proposto successivamente da papa Gregorio, in dissonanza con Dionigi:

    «Ma Gregorio da lui poi si divise;
    onde, sì tosto come li occhi aperse
    in questo ciel, di sé medesmo rise.»

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