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Filosofia buddista

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Illustrazione thailandese che ritrae Siddharta Gautama durante il suo Discorso di Benares nel 528 a.C.

La filosofia buddista è una tradizione di pensiero che si sviluppa attorno agli insegnamenti del Buddha, che visse nel VI secolo a.C. nel contesto dell'India antica. Il buddismo si concentra sulla sofferenza (dukkha), la sua causa, la sua cessazione e il cammino verso la liberazione (nirvana). Si distingue per la sua pratica di meditazione, il rigore analitico, e il suo approccio pragmatico alla realtà, basato su un'esperienza diretta della realtà e sul superamento del sé egoistico.[1]

Origini e Sviluppo

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L'albero di Bodhi nel giardino del Tempio di Mahabodhi in India
Lo stesso argomento in dettaglio: Storia del buddismo.

Siddhartha Gautama, noto come il Buddha, nacque circa 2.500 anni fa in quello che oggi è il Nepal. Secondo la tradizione, dopo aver raggiunto l'illuminazione sotto l'albero di Bodhi, il Buddha insegnò la "Via di Mezzo", che implica evitare gli estremi della mortificazione e del piacere sensoriale. Le sue prime prediche, conosciute come il Discorso del Primo Insegnamento, gettano le basi della filosofia buddista. I primi seguaci del Buddha formarono una comunità di monaci e monache, che diffondevano il suo insegnamento in India e nelle terre circostanti. Il Buddismo si radicò profondamente nel subcontinente indiano, dove il Regno di Asoka, uno dei più potenti imperatori dell'India, giocò un ruolo decisivo nel promuovere il Buddismo. Asoka adottò il Buddismo come religione di stato e incoraggiò la sua diffusione in tutta l'Asia, inviando missionari in paesi come Sri Lanka, Birmania, in altre regioni dell'Asia meridionale e in seguito anche nell'Estremo oriente.[2]

Quattro Nobili Verità

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Lo stesso argomento in dettaglio: Quattro nobili verità.

Le Quattro Nobili Verità (dukkha, samudaya, nirodha, magga) sono fondamentali per la comprensione della sofferenza e della liberazione nella dottrina buddista. La prima Nobile Verità afferma che la sofferenza è una parte inevitabile della vita umana. Dukkha non si riferisce solo alla sofferenza fisica, ma anche a un'instabilità più profonda che permea tutte le esperienze. Questa sofferenza si manifesta in vari modi, tra cui:

  • Sofferenza evidente: come la malattia, la morte, il dolore fisico, la separazione dalle persone care.
  • Sofferenza dovuta al cambiamento: anche le esperienze piacevoli sono impermanenti e finiscono, portando frustrazione.
  • Sofferenza esistenziale: la consapevolezza che la vita stessa, con tutte le sue incertezze e cambiamenti, è insoddisfacente.

La seconda Nobile Verità insegna che la causa della sofferenza è il desiderio (tanha), l'attaccamento e l'ignoranza. In altre parole, siamo legati al desiderio di esperienze piacevoli e al rifiuto di quelle dolorose, nonché all'illusione di un "sé" permanente e separato. Questi desideri e attaccamenti alimentano il ciclo della sofferenza, noto come samsara. La causa principale di questa sofferenza è la nostra ignoranza della vera natura della realtà, che ci porta a non comprendere l'impermanenza di tutte le cose e a cercare soddisfazione in qualcosa di illusorio e temporaneo.

La terza Nobile Verità afferma che è possibile cessare la sofferenza. Questo si realizza eliminando la causa della sofferenza, cioè il desiderio, l'attaccamento e l'ignoranza. La cessazione della sofferenza è ciò che il Buddismo chiama Nirvana, uno stato di liberazione, pace profonda e saggezza. Quando si raggiunge il Nirvana, si esce dal ciclo di nascita, morte e rinascita (samsara), e si è liberati dalla sofferenza e dall'attaccamento.

La quarta Nobile Verità descrive il cammino pratico che porta alla cessazione della sofferenza: l'Ottuplice sentiero. Questo cammino è una serie di pratiche e principi che aiutano a vivere in modo etico, meditativo e saggio.[3]

Principi Fondamentali

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Anatta: assenza di sé

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uno dei concetti fondamentali della filosofia buddista e si traduce generalmente come "assenza del sé" o "non-sé". La parola deriva dal pali anatta e dal sanscrito anatman, che significano letteralmente "non sé" o "senza un sé" permanente e immutabile. Questo insegnamento è uno degli aspetti distintivi del Buddismo, che lo differenzia da molte altre tradizioni filosofiche e religiose. Il concetto di "anatta" indica l'assenza di un "sé" stabile, eterno e indipendente in ogni essere vivente. Secondo gli insegnamenti del Buddha, ciò che percepiamo come un "io" o un "sé" è in realtà una costruzione mentale, un aggregato di esperienze, emozioni, pensieri, sensazioni e percezioni, che cambiano costantemente e che non possiedono una natura intrinseca e permanente.

Secondo il Buddha, l'idea di un "io" separato e permanente è una illusione che alimenta l'attaccamento, il desiderio e la sofferenza. Quando ci identifichiamo con un "sé" fisso, ci legano a una percezione errata della realtà, che impedisce di vedere la vera natura dell'esistenza. Nel "Discorso sulla Non-Sofferenza" (Samyutta Nikaya 22.94), il Buddha afferma: "Tutto ciò che è soggetto alla nascita è soggetto anche alla morte". Con questa affermazione, invita a riconoscere che il nostro corpo e la nostra mente sono impermanenti e in costante cambiamento. La fede in un "sé" permanente porta all'attaccamento, che è la causa della sofferenza.[4]

Anicca: impermanenza

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L'impermanenza (anicca) è una delle caratteristiche fondamentali dell'esistenza. Secondo il Buddha, tutto ciò che esiste è impermanente, in costante mutamento. Questa comprensione aiuta a ridurre l'attaccamento e il desiderio, che sono alla radice della sofferenza. Il concetto di anicca sottolinea che nulla nell'universo è permanente. Tutte le cose, materiali o immateriali, soggiacciono al cambiamento continuo. Questo vale per tutte le esperienze della vita: i nostri corpi, i nostri pensieri, le emozioni, le relazioni, gli oggetti fisici e le circostanze che ci circondano. Tutto è soggetto a nascita, cambiamento e, infine, alla cessazione. In questo contesto suggerisce che la realtà stessa è caratterizzata da un flusso costante, e che nulla è destinato a durare. Tutto ciò che esiste è in uno stato di continua trasformazione, e ogni cosa che nasce è destinata a finire, a declinare o a evolversi in qualche forma.

Secondo il buddismo, l'attaccamento a cose impermanenti è una delle principali cause della sofferenza (dukkha). Quando le persone si attaccano a esperienze, oggetti, persone o stati d'animo, tendono a credere che siano permanenti, ma questa visione errata genera sofferenza quando inevitabilmente tutto cambia. La sofferenza deriva in gran parte dal fatto che l'essere umano tende a cercare stabilità, sicurezza e soddisfazione in cose che sono, per loro natura, impermanenti. Quando queste cose cambiano o scompaiono, si genera delusione, dolore e frustrazione. L'insegnamento di anicca aiuta a comprendere che il cambiamento è inevitabile e che accettarlo è fondamentale per ridurre la sofferenza.[5]

Dukkha: sofferenza

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La sofferenza è una delle verità universali dell'esistenza umana. Secondo il Buddismo, la sofferenza è dovuta alla nostra attaccamento ai piaceri, alla nostra resistenza al cambiamento e al nostro desiderio di controllare ciò che è fuori dal nostro controllo. Tuttavia il termine ha un significato più profondo e ampio che va oltre la semplice sofferenza fisica o mentale. Dukkha rappresenta l'idea che tutte le esperienze della vita, anche quelle piacevoli, sono caratterizzate da una forma di insoddisfazione dovuta alla loro natura impermanente e imperfetta.

Nel contesto buddista, dukkha è spesso descritta come il disagio, la frustrazione o la sofferenza che proviamo a causa dell'attaccamento, del desiderio e della nostra ignoranza sulla vera natura della realtà. Si ritiene che ogni esperienza umana sia in qualche modo macchiata da dukkha, perché tutte le cose sono impermanenti (anicca) e non esiste un "sé" stabile e duraturo (anatta).[6]

Nobile ottuplice sentiero

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Lo stesso argomento in dettaglio: Ottuplice sentiero.

Si tratta di uno degli insegnamenti fondamentali del Buddha e costituisce l'ultima Quattro Nobili Verità. Esso rappresenta la via pratica che conduce alla cessazione della sofferenza (dukkha) e al raggiungimento dell'illuminazione (nirvana). Il cammino è chiamato "ottuplice" perché si articola in otto pratiche che il Buddha ha identificato come essenziali per vivere una vita etica, saggiamente orientata e meditativa.

Il Cammino Ottuplice è suddiviso in tre aree principali di pratica: saggezza (prajna), etica (sila) e concentrazione (samadhi). Ogni passo del cammino corrisponde a uno specifico aspetto della vita del praticante e aiuta a sviluppare una mente e un comportamento che conducono alla liberazione.[7]

Retta Visione

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Implica comprendere correttamente la natura della realtà, incluse le Quattro Nobili Verità: la sofferenza, la causa della sofferenza, la cessazione della sofferenza e la via che conduce alla cessazione della sofferenza. La retto visione implica anche una comprensione profonda dell'impermanenza (anicca), della sofferenza (dukkha) e della non-sostanzialità del sé (anatta). La saggezza inizia con la comprensione che tutte le cose sono transitorie, che la sofferenza è una parte inevitabile dell'esistenza e che questa sofferenza può essere eliminata seguendo il Cammino Ottuplice. Retta Intenzione (Sammā-sankappa):

Retta Intenzione

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Riguarda la motivazione che guida le nostre azioni. Essa implica coltivare intenzioni di benevolenza (mettā), non attaccamento e non violenza (avihimsa). In particolare il praticante deve evitare desideri egoistici, rancori o malizia. Avere intenzioni pure e disinteressate è essenziale per la purificazione mentale e per il cammino verso l'illuminazione. La retta intenzione è un passo importante per vivere con compassione e senza egoismo.

Implica l'uso corretto della parola, evitando il linguaggio dannoso e coltivando comunicazione onesta e gentile. Ciò include l'evitare: mentire o ingannare, usare parole che causano conflitto e divisione, linguaggio violento o aggressivo, parlare inutilmente o in modo frivolo. La retto parola è un modo per migliorare le relazioni con gli altri e per vivere in armonia.

Si riferisce alla condotta etica nel comportamento fisico e nelle azioni. Ciò include evitare: l'omicidio o la violenza (agire con compassione e non fare del male agli altri), il furto (prendere ciò che non ci è stato dato), comportamenti sessuali dannosi: (infedeltà, abuso sessuale o altre forme di comportamenti immorali). Questo principio promuove la pace e l'armonia nelle relazioni umane, impedendo di arrecare danni agli altri e contribuendo alla purificazione della mente.

Retta Sussistenza

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Regola il modo in cui una persona guadagna il proprio sostentamento. Il Buddha ha insegnato che è importante vivere in modo onesto e virtuoso, evitando mezzi di sussistenza che danneggiano il prossimo, come il commercio di armi, esseri viventi, carne e sostanze inebrianti. La retta sussistenza implica lo scegliere una professione che sia moralmente giusta, che non causi sofferenza agli altri e che favorisca una vita di pace e di rispetto per tutte le forme di vita esistenti.

Stabilisce l'impegno costante nel migliorare la propria condizione mentale e spirituale. Implica evitare e allontanarsi da emozioni, pensieri o comportamenti negativi e dannosi, mentre si coltivano pensieri positivi, virtuosi e salutari. Il praticante deve fare uno sforzo continuo per sviluppare la bontà, la compassione e la saggezza, e per purificare la mente da tendenze negative come l'odio, l'attaccamento e l'ignoranza.

Retta Consapevolezza

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È l'arte di essere pienamente presenti nel momento, osservando attentamente le sensazioni, i pensieri, le emozioni e i fenomeni che si verificano senza identificarsi con essi o giudicarli. Questa è la base della meditazione Vipassana, che aiuta a vedere la vera natura delle cose, ossia che tutto è impermanente (anicca), che non c'è un sé permanente (anatta) e che la sofferenza è una parte inevitabile della vita (dukkha). La consapevolezza aiuta a sviluppare la capacità di rispondere in modo più saggio, compassionevole e meno reattivo agli eventi della vita quotidiana.

Retta Concentrazione

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Si riferisce alla pratica della meditazione per sviluppare una mente concentrata e focalizzata. La meditazione di samatha (meditazione tranquillizzante) e vipassana (meditazione di insight) sono pratiche comuni per raggiungere un livello profondo di concentrazione. La concentrazione aiuta a purificare la mente e a liberarla dalle distrazioni, permettendo una comprensione più chiara della vera natura della realtà. La concentrazione mentale è necessaria per sviluppare una visione penetrante e la saggezza che conduce alla cessazione della sofferenza.

Il monaco buddista Roland Yuno Rech raccolto in meditazione
Lo stesso argomento in dettaglio: Meditazione buddista.

una pratica centrale nel cammino spirituale del Buddhismo, utilizzata per sviluppare consapevolezza (sati), concentrazione (samādhi), e saggezza (prajna). È uno degli strumenti più potenti per comprendere la vera natura della realtà e per ridurre la sofferenza (dukkha). La meditazione aiuta a coltivare una mente calma, chiara e penetrante, che porta alla comprensione profonda delle Quattro Nobili Verità e del Cammino Ottuplice, e infine alla realizzazione del Nirvana, lo stato di liberazione dalla sofferenza e dal ciclo di rinascite (samsara).

La meditazione buddista si suddivide in diverse tradizioni e scuole, ma in generale può essere classificata in due categorie principali: samatha e vipassana. Queste pratiche sebbene abbiano approcci e obiettivi differenti, si integrano entrambi per promuovere la liberazione dalla sofferenza. La samatha è una meditazione che mira a sviluppare la concentrazione mentale e la tranquillità. L'obiettivo principale della samatha è quello di addestrare la mente a rimanere focalizzata su un oggetto di meditazione, senza distrazioni, sviluppando una profonda serenità e calma interiore. La concentrazione raggiunta in questo tipo di meditazione è fondamentale per proseguire verso le pratiche più avanzate di vipassana. La vipassana è invece la meditazione interiore, che mira a sviluppare la comprensione profonda della natura della realtà. Mentre la samatha si concentra sulla tranquillità mentale, la vipassana si concentra sulla comprensione dei fenomeni mentali e fisici, riconoscendo la loro natura impermanente, la loro sofferenza e l'assenza di un sé permanente. L'obbiettivo della vipassana è quello di vedere le cose come realmente sono, al di là delle illusioni create dalla mente. La consapevolezza sviluppata nella vipassana aiuta a comprendere la transitorietà di tutti i fenomeni e a ridurre l'attaccamento che è la causa della sofferenza.[8]

Lo stesso argomento in dettaglio: Nirvana.

Il Nirvana rappresenta la cessazione della sofferenza e l'estinguersi degli stati mentali che alimentano il ciclo di rinascita (samsara). In altre parole, è uno stato di pienezza e liberazione assoluta dalla sofferenza, un superamento completo del desiderio, dell'attaccamento, dell'odio e dell'ignoranza. La sofferenza e la continua reincarnazione sono causate dall'ignoranza della vera natura della realtà. L'illusione di un "sé" permanente, insieme al desiderio e all'attaccamento ai piaceri mondani, perpetua la sofferenza. Il Nirvana, quindi, è la cessazione di questa ignoranza e il risveglio alla vera natura della realtà. Il Nirvana è in sostanza il fine ultimo del cammino buddista, il cui scopo è eliminare la sofferenza. In questo stato, il meditante è completamente libero dal dolore, dal desiderio e dall'attaccamento. La sofferenza è causata dal desiderio e dall'attaccamento. Quando questi vengono eliminati, il Nirvana è raggiunto, poiché non c'è più nulla a cui aggrapparsi o da cui dipendere. L'ignoranza, cioè la percezione errata della realtà e la credenza in un "sé" permanente e separato, è uno dei principali ostacoli per il raggiungimento del Nirvana. Quando l'ignoranza si dissolve, la verità ultima viene compresa e si realizza che non esiste un "io" permanente o un'entità separata. Nel Nirvana il praticante riconosce la natura transitoria di tutte le cose. Questa consapevolezza porta a una liberazione dalla sofferenza, poiché il desiderio di permanenza si dissolve. È quindi il risultato finale del seguire il Cammino Ottuplice delineato dal Buddha.[9]

Scuole buddiste

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Distribuzione geografica in Oriente delle principali scuole buddiste

Il Theravada si considera la tradizione più vicina agli insegnamenti originali del Buddha. Il termine Theravāda (in lingua pali, Via degli Anziani) si riferisce a una delle più antiche forme del buddismo e si concentra sulla trasmissione fedele degli insegnamenti del Buddha, come sono stati registrati nelle scritture della Tripiṭaka, che costituiscono la base fondamentale della dottrina e della pratica. Questa scuola è predominante in Sri Lanka, Thailandia, Birmania, Cambogia, Laos e in altre regioni del Sud-est asiatico. Sebbene esistano diverse varianti regionali della tradizione, il cuore del Theravāda rimane il Cammino della Liberazione attraverso la pratica e la realizzazione delle Quattro Nobili Verità e dell'Ottuplice sentiero.[10]

Il Mahayana o (Grande Veicolo), è una tradizione che enfatizza la compassione e il desiderio di aiutare tutti gli esseri senzienti a raggiungere il Nirvana. Tra le sue principali caratteristiche vi è l'idea del Bodhisattva, un essere che rinuncia al nirvana per aiutare gli altri a raggiungere la liberazione. La sua diffusione è stata significativa in molte regioni dell'Asia, tra cui la Cina, la Corea, il Giappone, il Vietnam e il Tibet. Nel Mahāyāna, l’idealizzazione del Bodhisattva rappresenta una delle sue caratteristiche distintive. Il Bodhisattva è un individuo che ha fatto il voto di rinviare l'ingresso nel Nirvana fino a quando tutti gli esseri senzienti non saranno liberati dalla sofferenza. In altre parole, il Bodhisattva rimane nel mondo per aiutare gli altri a raggiungere l'illuminazione, rinunciando a entrare nel Nirvana per motivi egoistici. Questa figura incarna l'ideale di compassione universale (karunā). Tale visione differisce notevolmente dal Theravāda, dove l’obiettivo principale è diventare un Arhat (colui che ha raggiunto l’illuminazione individuale e ha estinto il desiderio e la sofferenza). Nel Mahāyāna l’obiettivo è più grande: diventare un Buddha, cioè un essere completamente illuminato e pieno di compassione per gli altri.

Una delle dottrine fondamentali del Mahāyāna è la vacuità (sunyata), la quale sostiene che tutti i fenomeni sono privi di una natura intrinseca e indipendente. In altre parole, niente esiste in sé stesso; ogni cosa è dipendente da cause e condizioni. La realizzazione della vacuità è considerata la via per comprendere la realtà ultima e superare l’illusione dell’autosufficienza degli oggetti. La vacuità non implica il nulla, ma piuttosto il fatto che tutto è interconnesso e interdipendente. Questo concetto ha implicazioni profonde sulla percezione del mondo e sulla pratica spirituale, poiché permette di abbattere il dualismo tra soggetto e oggetto, tra il "sé" e il "non-sé".

La scuola prevede molti sutra non riscontrabili nella versione Theravada. Il Sutra del Loto (Saddharmapuṇḍarīka Sūtra), uno dei testi principali, descrive la natura universale della salvezza e sottolinea l'idea che ogni essere vivente possiede il potenziale per diventare un Buddha. Il Sutra del Loto enfatizza l'importanza della fede e della dedizione nella pratica spirituale, ma anche la compassione che deve essere portata verso tutti gli esseri senzienti.[11]

Talvolta considerato un sottogruppo del Mahāyāna, possiede tuttavia caratteristiche uniche che lo distinguono dalle altre scuole. Il termine Vajrayana può essere tradotto come il Veicolo del Diamante o Veicolo della Gemma, ed è spesso descritto come un metodo rapido e potente per raggiungere l'illuminazione. Si distingue per l'uso di pratiche esoteriche, tantriche e rituali che mirano a ottenere una realizzazione spirituale immediata attraverso la trasformazione della mente e delle emozioni. Il Vajrayāna è principalmente praticato in Tibet, ma anche in alcune altre regioni dell'Himalaya, in Mongolia e in determinate zone della Cina.[12]

Il buddismo zen è una sotto-scuola del Mahāyāna, che si sviluppò in Cina durante il VI secolo, con il nome di Chan. Successivamente si diffuse in Giappone, dove divenne conosciuto come "Zen". Il termine "Zen" deriva dalla parola cinese "Chan", che a sua volta è una traslitterazione del termine sanscrito dhyāna, che significa "meditazione" o "concentrazione". Il buddismo zen è una tradizione che enfatizza la meditazione diretta e l’esperienza immediata della realtà, piuttosto che la semplice lettura dei testi sacri o la dipendenza da concetti intellettuali. La sua pratica è focalizzata sulla realizzazione diretta della propria natura, rifiutando la distinzione tra il soggetto e l'oggetto della meditazione.[13]

Lo stesso argomento in dettaglio: Precetti buddisti.

I precetti buddisti rappresentano linee guida etiche destinate a favorire la crescita spirituale e l’armonizzazione del comportamento individuale con gli insegnamenti del Buddha. Questi precetti sono visti come strumenti per ridurre la sofferenza e coltivare una vita virtuosa e meditativa. Sebbene la loro applicazione possa variare tra le diverse scuole del buddismo, essi sono considerati universali nelle loro intenzioni.[14]

Cinque precetti

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I cinque precetti sono norme di condotta morale chi laici aderenti al buddismo sono tenuti a rispettare:

  • Non uccidere
  • Non rubare
  • Non commettere atti sessuali illeciti
  • Non mentire
  • Non consumare sostanze inebrianti

Otto precetti

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Sono le regole di condotta morale da seguire all'interno di un tempio buddista e almeno durante i giorni di osservanza:

  • Astenersi dall'uccidere
  • Astenersi dal rubare
  • Astenersi da qualsiasi genere di condotta sessuale
  • Astenersi dall'utilizzo di linguaggi volgari e offensivi
  • Astenersi da mangiare dopo mezzogiorno fino all'alba successiva
  • Astenersi dalle attività ludiche e ricreative
  • Astenersi dall'uso di gioielli, cosmetici e profumi
  • Astenersi dal riposare e dormire in letti o giacigli di eccessiva dimensione

Dieci precetti

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Si tratta delle regole di condotta etica che devono sempre essere rispettate da ogni membro del clero buddista:

  • Astenersi dall'uccidere
  • Astenersi dal rubare
  • Astenersi da ogni genere di condotta sessuale
  • Astenersi dal dire il falso
  • Astenersi dalle sostanze che alterano la lucidità mentale
  • Astenersi dal cibarsi da mezzogiorno fino all'alba del giorno successivo
  • Astenersi dalle attività ludiche e ricreative
  • Astenersi dall'utilizzo di gioielli, cosmetici e profumi
  • Astenersi dal riposare e dormire in letti o giacigli di eccessiva dimensione
  • Astenersi dall'accettare oro e argento

Influenza in Occidente

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La Pagoda della pace che sorge su una collina di Comiso in Sicilia
Lo stesso argomento in dettaglio: Storia del buddismo in Occidente.

L’impatto della filosofia buddista sull'Occidente è stato profondo e ha avuto un effetto crescente durante il XX secolo. Sebbene le radici del buddismo siano saldamente ancorate in Asia, la filosofia e le pratiche buddiste, come la meditazione e il concetto di consapevolezza (mindfulness), sono diventate sempre più popolari nei paesi occidentali, influenzando vari ambiti della cultura, della spiritualità e anche della psicologia.

Uno degli eventi più significativi fu la partecipazione di monaci buddisti indiani al Parlamento delle religioni del mondo di Chicago nel 1893. Il monaco Swami Vivekananda, un importante rappresentante dell'induismo, parlò della spiritualità orientale e il suo discorso fu una delle prime aperture per l'interesse occidentale verso le religioni orientali, compreso il buddismo. Nonostante la filosofia buddista non fosse ancora ampiamente compresa, cominciò a guadagnare un seguito tra intellettuali, artisti e altri pensatori occidentali. Nel XX secolo, una serie di maestri buddisti (come il 14° Dalai Lama, Thich Nhat Hanh, Chögyam Trungpa e Shunryu Suzuki) si sono stabiliti in Occidente e hanno contribuito alla diffusione della filosofia buddista, specialmente in America e in Europa. L'adozione della meditazione buddista, in particolare la meditazione zen e vipassana ha giocato un ruolo importante.

Una delle aree in cui la filosofia buddista ha avuto un impatto diretto e profondo sull'Occidente è nella psicologia, in particolare attraverso la diffusione della pratica della mindfulness (consapevolezza). Il concetto di mindfulness proviene dalle pratiche meditative del buddismo Theravāda, in particolare dalla meditazione vipassana, che enfatizza l'osservazione attenta dei propri pensieri, emozioni e sensazioni nel momento presente. L'integrazione della mindfulness nella psicoterapia occidentale è stata facilitata dal lavoro di Jon Kabat-Zinn, che ha creato il programma Mindfulness-Based Stress Reduction negli anni '70. Questo programma, che mescola la meditazione buddista con la psicoterapia, ha aiutato milioni di persone a gestire lo stress, l'ansia e la depressione, contribuendo a una maggiore accettazione del presente e a una riduzione dei pensieri disturbanti. La mindfulness è stata anche integrata nella psicoterapia cognitivo-comportamentale. Oggigiorno molte cliniche, ospedali e professionisti della salute mentale utilizzano tecniche derivate dalla meditazione buddista per aiutare i pazienti a gestire problemi emotivi, tra cui ansia, depressione e disturbi post traumatici da stress.

Il buddismo ha anche avuto un impatto notevole sulla spiritualità popolare in Occidente. La crescente insoddisfazione verso le religioni abramitiche e l'interesse per percorsi più orientati alla pratica ha portato a una crescente adozione delle tecniche spirituali orientali. Molti individui si sono avvicinati al buddismo per una spiritualità che non dipendesse dalla fede in un Dio personale, ma che invece fosse centrata sulla pratica e sulla realizzazione della propria natura interiore. Il concetto di compassione e interconnessione di tutte le cose, che è fondamentale nella dottrina buddista, è diventato una base per la spiritualità e l’etica di molti che cercano alternative ai dogmi religiosi tradizionali. Inoltre la pratica di non-attaccamento e di equanimità è stata adottata come un modo per affrontare la frenesia della vita moderna, dove le emozioni e i desideri possono portare a stress e infelicità. In un’epoca di crescente consapevolezza globale e di disillusione verso il consumismo, il buddismo ha trovato una base di seguaci occidentali che cercano di vivere una vita più semplice, più in sintonia con la natura e meno orientata al materialismo.[15]

  1. ^ Fulcro della filosofia, su gironi.it.
  2. ^ Le radici del buddismo, su indocinatours.it.
  3. ^ Quattro Nobili Verità, su studybuddhism.com.
  4. ^ Anatta, su it.dhammadana.org.
  5. ^ Anicca, su it.dhammadana.org.
  6. ^ Dukkha, su it.dhammadana.org.
  7. ^ Nobile ottuplice sentiero, su scuolailtempio.com.
  8. ^ Samatha e vipassana, su zeninthecity.org.
  9. ^ Raggiungere il Nirvana, su lamenteemeravigliosa.it.
  10. ^ Theravada, su treccani.it.
  11. ^ Mahayana, su treccani.it.
  12. ^ Vajrayana, su treccani.it.
  13. ^ Buddismo zen, su treccani.it.
  14. ^ Precetti religiosi, su hdasianart.com.
  15. ^ Filosofia buddista in Occidente, su periodicoitalianomagazine.it.

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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Controllo di autoritàJ9U (ENHE987007541111005171 · NDL (ENJA00560971