Fascismo e questione ebraica

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Per comprendere appieno il rapporto tra Fascismo e questione ebraica, occorre osservare innanzi tutto come nei primi anni del Novecento, in Italia, le comunità aderenti all'ebraismo fossero integrate in maniera soddisfacente nel tessuto della società. Contestualmente, l'antisemitismo dichiarato era limitato a esigue parti del mondo cattolico.

Nel 1902 erano sei i senatori del Regno d'Italia di religione ebraica; saliranno a diciannove nel 1922.

Nel 1906 il barone Sidney Sonnino, ebreo convertito al protestantesimo, era divenuto presidente del Consiglio e, quattro anni dopo, nel 1910, Luigi Luzzatti, ebreo non convertito, sarebbe stato nominato primo ministro.

L'apporto ebraico al primo conflitto mondiale fu per contro consistente: l'Italia contava cinquanta generali ebrei ed uno di questi, Emanuele Pugliese, risulterà il più decorato dell'esercito.

Il rapporto tra fascismo ed ebraismo

Negli scontri con esponenti del Partito Socialista Italiano - avvenuti fra il 1919 e il 1922 - morirono tre ebrei: Duilio Sinigaglia, Gino Bolaffi e Bruno Mondolfo, dichiarati martiri fascisti; trecentocinquanta ebrei parteciparono alla marcia su Roma e ben settecentoquarantasei erano iscritti in parte al Partito Nazionale Fascista ed in parte al Partito Nazionalista, che poi confluirà nel primo.

Aldo Finzi, politico,per un certo tempo vicino a Gabriele D'Annunzio nell'Impresa di Fiume, divenne sottosegretario agli Interni del gabinetto diretto da Benito Mussolini e membro del Gran Consiglio Fascista (allontanato dal regime, aderirà poi alla Resistenza italiana per morire alle Fosse Ardeatine).

Guido Jung veniva eletto ministro delle Finanze fra il 1932 al 1935, mentre a Maurizio Rava era affidato l'incarico di Governatore della Libia e Governatore della Somalia, nonché quello di Generale della Milizia fascista.

Elio Jona, come molti industriali lombardi, fu finanziatore di Mussolini, soprattutto per paura del comunismo. Mussolini annoverava fra gli amici e i frequentatori del suo entourage la rivoluzionaria russa e socialista Angelica Balabanoff, ma anche Cesare e Margherita Sarfatti, amante neppure troppo segreta del capo del fascismo e autrice fra l'altro della prima biografia del Duce, intitolata non a caso Dux e tradotta in molte lingue come strumento di propaganda del fascismo a livello mondiale.

Questa necessaria premessa, non vuole significare che l'ebraismo abbia aderito in toto, almeno in un primo momento, al fascismo. Si valuta infatti che circa solo il dieci per cento della gente ebraica si iscriverà al partito. Mussolini doveva piuttosto fare i conti con l'opposizione anche di molti ebrei: il socialista Claudio Treves - che lo sfiderà a duello, ferendolo - si rammaricherà in seguito di non aver affondato la lama .... Il senatore Vittorio Polacco non mancò di pronunciare un vibrante e coraggioso discorso di dissenso, che ebbe grossa risonanza nel paese; Eucardio Momigliano, sansepolcrista ebreo (vedi Sansepolcrismo), si staccò dal fascismo quasi subito, fondando l'Unione Democratica Antifascista; Pio Donati, deputato aggredito, percosso costretto all'esilio, morirà in solitudine nel 1926; diversi professori universitari rifiutarono di giurare fedeltà al regime (in tutt'Italia vi furono dodici coraggiosi che osarono fare altrettanto, fra cui tre ebrei: Giorgio Errera, Giorgio Levi della Vida e Vito Volterra). Il presidente della Corte Suprema Ludovico Mortara rassegnò le dimissioni più o meno nel periodo in cui - maggio del 1925 - il Manifesto degli intellettuali fascisti redatto da Giovanni Gentile veniva sottoscritto con la partecipazione di soli trentatré esponenti della cultura di religione ebraica.

Mussolini si era sentito di dichiarare, dalle colonne del Popolo d'Italia (1920:

«In Italia non si fa assolutamente nessuna differenza fra ebrei e non ebrei; in tutti i campi, dalla religione, alla politica, alle armi, all'economia ... la nuova Sionne, gli ebrei italiani, l'hanno qui, in questa nostra adorabile terra.»

Anche se solo un anno prima, nel 1919, aveva affermato:

«Sulla Rivoluzione russa mi domando se non è stata la vendetta dell'ebraismo contro il cristianesimo, visto che l'ottanta per cento dei dirigenti dei Soviet sono ebrei ... La finanza dei popoli è in mano agli ebrei, e chi possiede le casseforti dei popoli dirige la loro politica.»

Terminando con la considerazione che il bolscevismo era difeso dalla plutocrazia internazionale, e che la borghesia russa era guidata dagli ebrei (quindi - soggiungeva - proletari non illudetevi).
Ma l'astuzia tattica, il trasformismo ed il metodo di manipolazione delle masse fu arma usata assai raramente con la capacita' dello stesso Mussolini:

«... S.E. ha dichiarato formalmente che il governo e il fascismo italiano non hanno mai inteso di fare e non fanno una politica antisemita, e che anzi deplora che si voglia sfruttare dai partiti antisemiti esteri ai loro fini il fascino che il fascismo esercita nel mondo.»

L'anno dopo la stipula dei Patti Lateranensi fu adottata la cosiddetta Legge Falco sulle comunità israelitiche italiane, giudicata favorevolmente dagli stessi ebrei italiani: il problema era di tattica politica. Infatti Mussolini pensò di cooptare il rabbino di Alessandria d'Egitto, David Prato, in modo da aumentare l'influenza dell'Italia fascista nel levante del Mar Mediterraneo.

L'editore Hoepli nel 1932 pubblicava i Colloqui con Mussolini, di Emil Ludwig, in cui Duce condannava il razzismo senza mezzi termini, affermando che l'antisemitismo non esiste in Italia.

I profughi ebrei tedeschi, dopo l'avvento del nazismo, vennero accolti senza ostacolo alcuno, a testimonianza che nel periodo storico in esame la questione ebraica era nella medesima situazione di qualunque altra comunità, ovvero inquadrabile nei canoni della lotta di classe, prima, e della lotta politica, dopo.

Inizio e affermazione dell'antisemitismo

Nel 1933, dopo la progressiva affermazione registrata in Germania dal Nazismo, su alcuni giornali fascisti apparvero i primi segni di un chiaro antisemitismo: in pratica gli ebrei venivano accusati di voler conquistare il dominio del mondo. Nel 1934 Sion Segrè e Mario Levi di Giustizia e Libertà venivano arrestati dall'OVRA per propaganda antifascista; Levi riuscì a fuggire mentre a finire nelle maglie del regime furono anche Leone Ginzburg, Carlo Mussa Ivaldi, Barbara Allaso, Augusto Monti.

Fu l'inizio di una campagna antisemita che veniva portata avanti dai giornali controllati dal regime: Roberto Farinacci invitò apertamente tutti gli ebrei italiani a scegliere tra sionismo e fascismo. Ettore Ovazza, che nel 1943 sarà ucciso dai tedeschi, fondò il giornale La nostra Bandiera, fedele agli ideali del regime, nel tentativo forse di sedare la marea antisemita che ormai stava salendo.

Nel 1937, i due fratelli Nello e Carlo Rosselli - discendenti di Pellegrino Rosselli e Jeannette Nathan Rosselli, e amici di Giuseppe Mazzini - venivano uccisi in Francia da sicari fascisti. Carlo, in esilio a Parigi, aveva fondato il movimento Giustizia e libertà ed era stato combattente nella guerra civile spagnola, dove aveva potuto prendere le difese degli ideali di anarchia applicati socialmente a Barcellona. È di quegli anni un suo scritto di forte critica per le sterili posizioni Aventiniane.

Sui giornali, intanto, facevano la loro comparsa sempre più frequentemente articoli antisemiti. A Tripoli, due anni dopo, diversi appartenenti alla comunità ebraica vennero frustati perché, in quanto commercianti, chiudevano i negozi nel giorno del sabato. Tutto questo, mentre Mussolini si autoproclamava protettore dell'Islam (è notissima la fotografia in cui viene ritratto con la spada dell'Islam in mano).

Nel medesimo periodo, Galeazzo Ciano ordinava che ai funzionari ebrei della Farnesina fosse vietato trattare con la Germania. Il periodo è pero' ancora interlocutorio, in quanto Mussolini stesso tende a tenere i piedi in due staffe, in attesa dello sviluppo degli eventi (giungendo a consentire la nascita della sezione ebraica della scuola marittima di Civitavecchia, da cui - per inciso - uscirono futuri ufficiali della marina israeliana).

L'anno dopo diversi ebrei parteciparono alla guerra d'Etiopia. Nella guerra di Spagna cadeva intanto Alberto Liuzzi, decorato con medaglia d'oro.

Il Governo italiano entrò a causa della guerra in Africa orientale a contatto con i trentamila Falascia Abissini, comunità di colore di religione ebraica vissuta per secoli in assoluto isolamento. Mussolini favorì questo gruppo tanto che i capi Falascia prestarono giuramento di fedeltà. Gli appartenenti alla comunità vennero messi in contatto con gli ebrei italiani ma, contemporaneamente, il regime iniziò una legislazione di contenimento del meticciato, che si rivelerà poi apripista ai concetti della superiorità della razza ariana.

Anche in questo caso a far fede fu la politica del doppio binario. Il sempre maggior avvicinamento di fascisti e nazisti fece comunque peggiorare la situazione, anche se a febbraio del 1938 Mussolini smentiva che esistesse una qualunque forma di antisemitismo in Italia.

La campagna di stampa si faceva, per contro, sempre più pesante. Regime Fascista pubblicava oramai sempre più frequentemente articoli di impronta razzista a firma di Roberto Farinacci. Il Tevere, Giornalissimo, Quadrivio, tutti giornali antisemiti, instaurarono il metodo della calunnia e dell'insulto sistematico e ripetitivo contro gli ebrei (da ricordare, in questo contesto, il pamphlet Contra Judaeos di Telesio Interlandi).

Leggi razziali e contesto storico

Lo stesso argomento in dettaglio: Leggi razziali fasciste.

Adolf Hitler nel maggio del 1938 si recò in visita a Roma, ed anche se nessuno storico ha mai implicato un nesso diretto fra tale visita e la promulgazione delle leggi razziali, resta il fatto che nello stesso periodo giunsero in Italia esperti tedeschi con il compito di istruire i fascisti italiani sulla scienza della razza: il risultato fu che il 15 luglio 1938 veniva pubblicato il Manifesto della razza firmato da noti professori fra cui Nicola Pende.

Galeazzo Ciano riporta nel suo diario per la giornata del 14 luglio 1938: «Il Duce mi annuncia la pubblicazione da parte del Giornale d'Italia di uno statement sulle questioni della razza. Figura scritto da un gruppo di studiosi, sotto l'egida della Cultura Popolare. Mi dice che in realtà l'ha quasi completamente redatto lui»[1].

Quanto sopra apparve il 15 luglio 1938 come articolo anonimo nella prima pagina del giornale citato sotto il titolo: "Il Fascismo e i problemi della razza".

Nella sostanza, si precisava che la razza italiana è prettamente ariana, e va difesa da contaminazioni. Gli ebrei - sempre stando al documento - sono estranei e pericolosi per il popolo italiano.
Immediatamente l'ufficio demografico del Ministero dell'Interno diventa Direzione generale per la demografia e la Razza.

C'è un gran consenso fra gli intellettuali: quelli che vigliaccamente si erano asserviti al fascismo, gli altri - e non sono pochi (vedi Piero Gobetti, Antonio Gramsci, il sopracitato Carlo Roselli ecc.) - o erano al confino o in carcere o più semplicemente eliminati.
Gli unici a non approvare tale presa di posizione furono Giovanni Gentile, Massimo Bontempelli e Tommaso Marinetti, ideatore del Futurismo.
Anche Giorgio La Pira levò una voce di protesta in quanto gli ambienti cattolici non videro di buon occhio il lato pagano che stava prendendo l'antisemitismo, anche se - secondo la testimonianza di Renzo De Felice - lo Stato del Vaticano tutto sommato non si dimostra contrario ad una moderata azione antisemita.

L'ambasciatore italiano presso la Santa Sede informò Mussolini che le iniziative prese per la difesa della razza non avevano trovato forte opposizione, e che l'unica preoccupazione sembrava derivare dalla possibilità di matrimoni con ebrei convertiti. L'estate del 1938 venne solertemente utilizzata da tutta la stampa italiana legale per la pubblicazione di articoli diffamatori ed infamanti verso gli ebrei, in modo da preparare l'opinione pubblica

A settembre venne emanata la prima legge razziale secondo la quale tutti gli ebrei italiani venivano banditi della vita pubblica. Persino la frequentazione delle scuole pubbliche venne vietata ai giovani appartenenti a famiglie ebraiche. Fra i fascisti, l'unico che si oppose fu Italo Balbo. L'obbligo di registrazione presso le questure sara particolarmente utile per l'organizzazione delle retate da parte dei nazisti e delle milizie durante il periodo di Salo. Come fu dimostrato per il caso della Francia durante il processo Papon, anche in Italia le retate furono possibili grazie allo zelo antisemita di numerosi funzionari che non furono mai processati dopo la guerra.

Sinteticamente vengono qui riportati i principali dati della persecuzioni causate dalle leggi razziali in vigore in Italia dal 1938 al 1943 (la fonte è uno scritto di Michele Sarfatti, studioso del problema):

  • Vennero assoggettate alla persecuzione circa cinquantunomila persone (quarantaseimila ebrei e circa quattromilacinquecento persone non esattamente classificate come aderenti all'ebraismo), ovvero circa l'uno per mille della popolazione italiana del tempo.
  • In un anno, dei circa diecimila ebrei stranieri presenti in Italia, seimilaquattrocentottanta furono costretti a lasciare il paese; novantasei professori universitari, centotrentatré assistenti universitari, duecentosettanvanove presidi e professori di scuola media, un centinaio di maestri elementari, duecento liberi docenti, duecento studenti universitari, mille studenti delle medie e quattromilaquattrocento delle elementari vennero scacciati dalle scuole pubbliche del Regno.
  • A Tullio Levi Civita, allievo e collaboratore di Gregorio Ricci-Curbastro, autore di studi sul calcolo tensoriale, base della costruzione del modello matematico della teoria della relatività poi elaborata da Albert Einstein, venne vietato da parte del nuovo direttore Francesco Severi l'accesso alla biblioteca del suo Istituto di Matematica dell'Università di Roma.
  • Inoltre quattrocento dipendenti pubblici, cinquecento dipendenti di aziende private, centocinquanta militari e duemilacinquecento professionisti, persero il posto di lavoro restando senza alcun sostentamento.
  • Contestualmente, anche se limitati nel numero, si verificarono casi di violenza squadristica esplicita specialmente nelle città di Roma, Trieste, Ferrara, Ancona e Livorno).

Persecuzioni e resistenza ebraica nel periodo bellico

Il governo fascista emanò nel settembre 1938 un decreto legge che stabiliva il divieto «agli stranieri ebrei di fissare stabile dimora nel Regno, in Libia e nei Possedimenti dell'Egeo» e l'espulsione, entro sei mesi dalla data di pubblicazione, di coloro vi risiedevano includendo quelli che avevano ottenuto la cittadinanza italiana dopo il 1° gennaio 1919.[2]

Nel febbraio 1940 Mussolini ordinò che venisse organizzata l'espulsione degli ebrei italiani nei successivi dieci anni. Ma l'entrata in guerra, nel giugno 1940, bloccò tali decisioni aggravando maggiormente la situazione della gente ebraica in Italia.

Iniziarono così gli internamenti nei campi di concentramento di ebrei giudicati pericolosi per il fascismo, fra cui quello di Leone Ginzburg e della moglie Natalia. Alla fine del 1940 gli internati saranno duecento; per salire nel 1943 a circa un migliaio, con moltissimi ebrei stranieri per i quali mancano dati numerici certi.

I campi di concentramento più noti sono sono quelli di Campagna e di Ferramonti. Lo storico De Felice nel suo libro Storia degli ebrei sotto il fascismo ipotizza circa quattrocento tra luoghi di confino e campi di internamento. Molti ebrei vennero rinchiusi nelle prigioni comuni quali il carcere di San Vittore a Milano, quello di Marassi a Genova e quello di Regina Coeli a Roma.

Dopo l'8 settembre 1943 la comunità ebraica e gli ebrei del sud dell'Italia poterono iniziare a sperare in un allentamento della pressione nei loro confronti. Il governo Badoglio applicò una norma dell'armistizio che li riguardava in maniera diretta:

«Tutte le leggi italiane che implicano discriminazioni di razza, colore, fede od opinioni politiche saranno, se questo non sia già stato fatto, abrogate.»

Il 24 novembre dello stesso anno il Consiglio dei ministri rendeva operativa la direttiva. Il centro nord, occupato dai nazisti presentava una situazione ben diversa e comunque peggiore per la gente ebraica (nel solo settembre 1943 i nazisti deportarono ventidue ebrei di Merano, uccidendo poi circa cinquanta ebrei sul lago Maggiore), poiché lo RSHA, organismo nazista che gestiva le direttive antiebraiche, riteneva che gli ebrei italiani sono divenuti immediatamente assoggettabili alle misure in vigore per gli altri ebrei europei.

La prima retata delle SS ebbe luogo a Trieste, il 9 ottobre 1943. In questa, e in un'altra retata successiva (19 gennaio 1944) vennero arrestati nella città giuliana settecentodieci ebrei[3]. Pochi giorni più tardi (16 ottobre 1943), un rastrellamento di grandi proporzioni fu effettuato presso il ghetto di Roma provocando l'arresto di milleduecentocinquantanove ebrei; due giorni dopo milleventitré vennero deportati ad Auschwitz (solo diciassette sopravvissero). Successivamente altre retate operate dai nazisti nella capitale portarono il numero totale degli ebrei romani scomparsi durante l'occupazione tedesca a duemilaventuno[4]. La Carta di Verona (novembre 1943) della appena sorta Repubblica Sociale Italiana risolse il problema dell'ebraismo d'Italia nel settimo capitolo settimo: Gli ebrei sono stranieri e parte di una nazione nemica.

Ogni proprietà ebraica nella Repubblica di Salò venne sequestrata ed assegnata alle vittime dei bombardamenti anglo-americani. Al momento della Liberazione i decreti di confisca erano approssimativamente ottomila: la R.S.I. confiscò alla gente ebraica beni fra immobili e preziosi del valore approssimativo di due miliardi di lire del tempo).

Lo storico Renzo De Felice, riferendosi indistintamente a carabinieri e polizia e loro gerarchie, scrisse:

«Alcune prefetture e comandi ci mettono uno zelo veramente incredibile, fatto al tempo stesso di fanatismo, di sete di violenza, di rapacità, nel collaborare con i nazisti.»

Per aggiungere, subito dopo:

«Basta ricordare che sulle tracce del commissario Giovanni Palatucci, che salvò col sacrificio della vita migliaia di ebrei, gli addetti ai lavori furono guidati da uno "zelante" poliziotto italiano, mai perseguito dopo la Liberazione.»

Nel febbraio del 1944 il comando tedesco assunse possesso in via diretta del campo di Fossoli. Il direttore italiano del campo, dopo aver rassicurato che non avrebbe mai consegnato il campo ai nazisti, si ritirò senza colpo ferire.

Michele Sarfatti scrive che a Fossoli si ha la saldatura tra le politiche antiebraiche italiane e tedesca. Gli ebrei del campo, vicino a Modena, vengono mandati nei campi dell'europa orientale: Mussolini lo sa dall'inizio del 1943, dal rapporto segreto fornitogli da Galeazzo Ciano, che ci sono deportazioni e sterminio di massa della gente ebraica in Germania.

Va ricordato per verità storica che l'antisemitismo non attecchì granché fra la popolazione, trovando per contro forte opposizione specialmente in certi gruppi intellettuali, nel proletariato e nei ceti a più basso reddito.
Sono moltissimi i casi registrati di ebrei e/o di ebrei aderenti a movimenti di sinistra tenuti nascosti durante i rastrellamenti. Una città in cui questo fenomeno fu ragguardevole è stata quella di Genova, mentre storicamente accertati sono i contributi dati in questo senso da molte personalità divenute poi figure storiche, tipo Palatucci e Perlasca, considerati una sorta di Oscar Schindler all'italiana.

Le deportazione degli ebrei in Italia - scrive Liliana Picciotto Fargion in "Libro della Memoria" - permette di avere dati aggiornati: gli ebrei arrestati e deportati nel nostro Paese furono seimilaottocentosette; gli arrestati e morti in Italia trecentoventidue; gli arrestati e scampati in Italia quattrocentocinquantuno. Tolti quelli morti in Italia, gli uccisi nella Shoah sono cinquemilasettecentonovantuno, quindi circa il venti per cento degli ebrei italiani (secondo le cifre fornite dai rabbini-capo tale percentuale salirebbe però a circa il quarantatré per cento); di novecentocinquanta persone mancano notizie attendibili per difficoltà di classificazione.

Per quanto riguarda forme di Resistenza organizzata da soli combattenti ebrei, anche se non italiani, si ricorda la Brigata ebraica, composta da cinquemila volontari ebrei organizzati dal governo inglese, venti per cento di provenienza palestinese, la restante parte di provenienza internazionale con maggioranza di ebrei polacchi e russi.

La Brigata aveva come bandiera quella attuale israeliana e combatté con onore per liberare parte dell'Emilia-Romagna. Tecnicamente la sua struttura era quella di una compagnia di fanteria corazzata.

A livello internazionale, in questo periodo, l'unico tentativo di collusione conosciuto fra nazifascisti e una sparuta minoranza di terroristi ebrei è quello della Banda Stern (così chiamata dalle autorità britanniche in Palestina, dal nome del loro primo comandante), gruppo che propugnava una "variante" non-socialista dell'ideologia anti-imperialistica. A tal fine ebbe luogo nel 1940 un incontro tra un'esponente della Banda e il funzionario tedesco Werner Otto von Hentig a Beirut, in cui venne proposta un alleanza in chiave anti-britannica, in cambio del sostegno tedesco per la creazione di uno stato ebraico in palestina, in cui far immigrare gli ebrei europei, ma questo incontro e un ulteriore tentativo effettuato l'anno successivo non condussero a nessun risultato concreto.

Note

  1. ^ Galeazzo Ciano, 'Diario' 1937-1943, Rizzoli 1998, p. 158
  2. ^ Regio decreto-legge 7 settembre 1938-XVI, n. 1381, Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri a firma di Vittorio Emanuele III e Benito Mussolini.
  3. ^ Attilio Milano, Storia degli ebrei in Italia, Giulio Einaudi ed., Torino 1992 pag. 404
  4. ^ Attilio Milano, Storia degli ebrei in Italia, Giulio Einaudi ed., Torino 1992 pag. 403 e 404

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