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Faro di Alessandria

Coordinate: 31°12′50″N 29°53′08″E
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Faro di Alessandria
Φάρος τῆς Ἀλεξανδρείας
Ricostruzione tridimensionale basata su uno studio del 2013
CiviltàEllenistica
UtilizzoFaro
StileGreco classico
EpocaIII secolo a.C.XIV secolo
Localizzazione
StatoEgitto (bandiera) Egitto
LocalitàAlessandria d'Egitto
Dimensioni
Altezza103-118 m
Scavi
Data scoperta1968
Mappa di localizzazione
Map

Il faro di Alessandria (in greco antico: Φάρος τῆς Ἀλεξανδρείας?, pháros tês Alexandreíās) era un edificio costruito sull'isola di Faro, nel porto della città di Alessandria, nel III secolo a.C. sotto il regno tolemaico d'Egitto. Considerato una delle sette meraviglie del mondo, nonché una delle realizzazioni più avanzate ed efficaci della tecnologia ellenistica, rimase in funzione fino al XIV secolo, quando venne distrutto da due terremoti.

Con la creazione del regno tolemaico d'Egitto nel 305 a.C., il nuovo sovrano Tolomeo I avviò nella capitale Alessandria un ampio programma di edilizia pubblica monumentale, portato avanti anche dal suo figlio e successore, Tolomeo II. Sull'estremità esterna dell'isola di Faro, che separava il porto di Alessandria dal mar di Levante e collegata alla terraferma attraverso l'Heptastadion, venne avviata la costruzione dell'alta struttura, il cui scopo era quello di aumentare la sicurezza del traffico marittimo in entrata e in uscita, reso pericoloso dai numerosi banchi di sabbia nel tratto di mare prospiciente il porto e dall'assenza di rilievi orografici.[1] I lavori ebbero inizio intorno al 300 a.C. e terminarono circa venti anni più tardi; l'edificio costò circa 800 talenti e fu dedicato a Zeus Sotere (in greco antico: Σωτήρ?, "Salvatore"), vista la sua funzione di guida e protezione dei marinai.[2] Incerto nella storia della costruzione è il ruolo svolto da Sostrato di Cnido, a cui era dedicata un'iscrizione sulle pareti esterne: alcune fonti lo indicano come finanziatore dell'opera, che tuttavia ebbe un costo troppo elevato per essere totalmente pagata da un privato, mentre altre affermano che fosse l'architetto della struttura.[3]

Carta dell'antica città di Alessandria, con l'isola di Faro a nord-ovest

La nuova struttura consentiva di segnalare la posizione del porto alle navi, di giorno mediante degli speciali specchi di bronzo lucidato che riflettevano la luce del sole fino al largo, mentre di notte venivano accesi dei fuochi. Non si hanno tuttavia descrizioni esatte del suo funzionamento, probabilmente a causa della riservatezza che, come spesso in seguito, nel mondo ellenistico era mantenuta sugli impianti di tecnologia avanzata. Si può comunque supporre che il fascio luminoso del faro venisse rafforzato dall'uso di specchi parabolici, tecnica tipicamente applicata nell'era moderna: le conoscenze matematiche su cui si basano questi apparati riguardano la teoria delle coniche e la catottrica ben nota negli ambienti scientifici di Alessandria (Apollonio, Euclide). Inoltre, la forma cilindrica del contenitore della sorgente di luce induce a pensare che dal faro provenisse un fascio di luce girevole, più utile per i naviganti di una sorgente fissa. La costruzione si rivelò di grande utilità e indusse a costruire analoghi fari in vari altri porti del mar Mediterraneo ellenistico, ma nei secoli successivi queste tecnologie andarono perdute, come gran parte della cultura scientifico-tecnologica ellenistica. Si riprese a costruire dei fari solo nel XII secolo (la prima Lanterna di Genova è realizzata nel 1128 o nel 1139), ma senza riflettori basati sulla teoria delle coniche. Questi verranno recuperati solo nei primi decenni del XVII secolo, in particolare da Bonaventura Cavalieri, e consentiranno la costruzione dei primi fari moderni alla fine del secolo.[4]

Ad eccezione della Piramide di Cheope, il faro fu la più longeva delle sette meraviglie. Ibn Jubayr lo vide ancora integro nel XIII secolo, scrivendo che «slanciasi verso il cielo rivaleggiando con esso in altezza»[5]. Rimase infatti in funzione per sedici secoli, fino a quando nel XIV secolo due terremoti, quello di Creta del 1303 e uno successivo nel 1323, lo danneggiarono irreparabilmente. Nel 1326 Ibn Battuta giunto una prima volta ad Alessandria descrisse la struttura come conservata solo nella base quadrata, affermando anche che quando vi tornò nel 1349 la trovò in grave rovina rispetto alla prima visita:

«Durante quel viaggio andai a vedere il faro: uno dei lati era caduto in rovina, ma lo descriverei comunque come un edificio quadrato che si staglia nel cielo'. La porta è in alto rispetto al terreno e di fronte, alla stessa altezza, c'è un edificio: fra questo e la porta vengono messe delle assi di legno a mo' di passerella e quando le tolgono non vi è piü modo di entrare. Dentro la porta c'è una nicchia dove il guardiano può starsene seduto e all'interno si aprono diversi locali. Il passaggio di entrata misura 9 spanne, il muro 10 e ognuno dei quattro lati, 140. Sorge su un'alta collina a una parasanga da Alessandria, al termine di una lunga striscia di terra che ospita il cimitero, circondata per tre lati dal mare — il quale giunge sino alle mura della città, sicché solo partendo da Alessandria si può arrivare al faro via terra.
Quando feci ritorno nel Maghreb, nel 750 [1349], andai a rivederlo e lo trovai in un tale stato di rovina che non si riusciva più non solo a entrare ma nemmeno a raggiungere la porta.»

Nel 1480 il sultano d'Egitto Qaytbay utilizzò le sue rovine per la costruzione di un forte nelle vicinanze.

Si stima che la torre fosse alta 134 metri, una delle più alte costruzioni esistenti per l'epoca, e il faro, secondo la testimonianza di Flavio Giuseppe, poteva essere visto a 48 km di distanza, cioè fino al limite consentito dalla sua altezza e dalla curvatura della superficie terrestre.

Era costituito da un alto basamento quadrangolare, che ospitava le stanze degli addetti e le rampe per il trasporto del combustibile. A questo si sovrapponeva una torre ottagonale e quindi una costruzione cilindrica sormontata da una statua di Zeus o Poseidone, più tardi sostituita da quella di Elio.

Ricerche archeologiche

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Resti subacquei del faro di Alessandria

Resti della struttura del faro furono scoperti nel 1968 e l'UNESCO finanziò una spedizione di ricerca archeologica sottomarina guidata da Honor Frost. La squadra confermò la presenza di resti, ma le esplorazioni vennero interrotte per mancanza di personale e per lo stato di belligeranza in cui entrò la zona.[6]

Nel 1994 una nuova squadra di archeologi francesi, guidata da Jean-Yves Empereur, riprese le ricerche sul fondale marino del porto orientale di Alessandria; immagini della spedizione furono fatte dal cinematografo egiziano Asma El Bakry. La missione scoprì grandi blocchi di granito, tra le 49 e le 60 tonnellate, spesso ridotti in piccoli pezzi, 30 sfingi, 5 obelischi e colonne con incisioni risalenti al regno di Ramses II (XIII secolo a.C.). La catalogazione dei pezzi fu completata alla fine del 1995 e 36 di questi, restaurati, sono entrati a far parte delle collezioni museali di Alessandria; una statua colossale di Tolomeo II è attualmente esposta di fronte alla moderna Bibliotheca Alexandrina.[7]

Sempre negli anni 1990 un'altra squadra, guidata da Franck Goddio, iniziò l'esplorazione in una diversa zona del porto. Successive indagini effettuate tramite satelliti e sonar hanno rivelato resti di altre strutture, anch'esse affondate a seguito di terremoti o maremoti.[8] Attualmente il segretariato della Convenzione UNESCO 2001 sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo sta lavorando con il governo egiziano per aggiungere la Baia di Alessandria, insieme ai resti del faro, alla lista dei siti culturali sommersi dell'UNESCO.[9]

Eredità storico culturale

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Dal nome dell'isola Pharos ebbe etimologicamente origine il nome "faro" in molte lingue romanze: faro in italiano e spagnolo, farol in portoghese, phare in francese e far in rumeno.

Galleria d'immagini

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  1. ^ McKenzie 2007, p. 41.
  2. ^ McKenzie 2007, pp. 41-42.
  3. ^ Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, 36, 18; Strabone, I, 17.6; McKenzie 2007, pp. 41-42.
  4. ^ Lucio Russo, 4.5 Ingegneria navale. Il Faro, in La rivoluzione dimenticata, VII edizione, Milano, Feltrinelli, 2013, ISBN 9788807883231..
  5. ^ pp. 10-11.
  6. ^ Honor Frost, From Byblos to Pharos: some archaeological considerations, in Underwater archaeology and coastal management: Focus on Alexandria, Paris, UNESCO, 2000, pp. 64–68.
  7. ^ Andrew Lawler, Raising Alexandria, su smithsonianmag.com, 2007. URL consultato il 14 febbraio 2021.
  8. ^ Sophie Boukhari, Swimming With Sphinxes, in UNESCO, vol. 87, febbraio 1997.
  9. ^ (EN) The Alexandria Underwater Museum Project, su unesco.org. URL consultato il 14 febbraio 2021.
Fonti antiche
Fonti storiografiche moderne
Letture aggiuntivi

Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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Controllo di autoritàVIAF (EN316597654 · LCCN (ENsh2009004816 · BNF (FRcb119496177 (data) · J9U (ENHE987007288831105171