Famedio di Montenero

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Famedio di Montenero
Veduta
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneToscana
LocalitàLivorno
IndirizzoPiazza del Santuario
Coordinate43°29′33.24″N 10°20′58.04″E / 43.492567°N 10.349455°E43.492567; 10.349455
Informazioni generali
CondizioniIn uso
CostruzioneXVIII-XIX secolo
Usofamedio
Realizzazione
ProprietarioComune di Livorno

Il Famedio di Montenero è una struttura architettonica di Livorno, situata presso il santuario della Madonna delle Grazie.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La struttura, inizialmente costituita da un portico a cinque arcate, sorse a partire dal 1794, sotto l'abate Rodesindo Marcucci, per offrire riparo dal sole e dalla pioggia ai pellegrini che frequentavano il santuario della Madonna delle Grazie.

I lavori proseguirono sotto l'abate Bruni, ma vennero sospesi a causa dell'occupazione napoleonica della città.[1] Tra il 1832 e il 1842 furono eseguiti vari lavori per la sistemazione della piazza, mentre il portico raggiunse la configurazione più o meno attuale intorno al 1853, sotto l'abate Vitaliano Corelli, quando furono aggiunte altre quattro arcate oltre alle cinque già esistenti.[2] Nel medesimo periodo fu allungato anche il fabbricato a monte della piazza, unendo così il loggiato al santuario tramite il fabbricato dell'Alloggio del Pellegrino. Al termine dei lavori la piazza, dotata di una grande scalinata d'accesso, assunse una conformazione rettangolare (47,10 x 27,10 m). Il costo dell'intervento è documentato in lire 4.794,76, sostenute in parte dal Municipio di Livorno.

Nel 1886 fu approvata la legge di soppressione delle corporazioni religiose e di confisca dei beni in cui si svolgeva vita in comunitaria a carattere ecclesiastico. Fu così che il Comune di Livorno entrò in possesso del loggiato.[3]

Nel corso del XIX secolo Francesco Domenico Guerrazzi propose di trasformare il loggiato in un famedio, cioè quale Casa della fama o Tempio della fama. Per decisione del sindaco Federigo De Larderel la struttura venne utilizzata per la prima volta come sacrario degli uomini illustri il 5 ottobre 1873, proprio per accogliere le spoglie del Guerrazzi, deceduto alcuni giorni prima nella sua villa vicino a Cecina. La cappella fu disegnata dal livornese Aristide Nardini Despotti Mospignotti. Alla cerimonia solenne presenziarono più di 9.000 persone.

Negli anni a venire nel Famedio vennero accolti, o semplicemente ricordati con una lapide commemorativa, i personaggi livornesi più insigni.

Tuttavia, una parte del loggiato fu utilizzata anche come luogo per le sepolture di privati, che ne fecero vere e proprie cappelle funerarie. Il 15 gennaio 1879 il Comune di Livorno cedeva ad Aristide Castelli (fu Domenico, di origine greca) "due strisce" dell'arcata del loggiato sulla piazza del Santuario, oggi riconoscibile come edicola "Carolina Castelli" (la terza rispetto alla scalinata d'accesso alla piazza).[4] L'ultima arcata terminale del loggiato, lato monte, venne venduta ad Aspasia (fu Giovanni Reggio) vedova di Michele Castelli il 26 novembre 1862, per la somma di lire 1.764,00. La penultima arcata ad Aristide (fu Domenico) Castelli il 30 settembre 1863, per la somma di lire 1.000,00. La terz'ultima (solo per tre loculi sepolcrali) ad Aristide (fu Michele) Reggio il 17 febbraio 1866, per la somma di lire 600,00.[senza fonte][5]

Frattanto, a seguito dell'unione della Toscana al Regno d'Italia si applicò la legge del nuovo governo[6] che non riconosceva più la personalità giuridica agli ordini religiosi e ne confiscava i beni; conseguentemente la proprietà del Santuario passò dai monaci vallombrosani al Comune di Livorno.[7]

Dopo il violento bombardamento subito dalla città di Livorno il 18 maggio 1943, il Famedio divenne luogo di rifugio per molti sfollati.[8]

Il Famedio è stato restaurato e riaperto al pubblico il 23 settembre 2021.[9]

Struttura[modifica | modifica wikitesto]

Tomba di Francesco Domenico Guerrazzi
Tomba di Enrico Pollastrini

Il Famedio di Montenero sorge sul piazzale antistante al Santuario della Madonna delle Grazie. La struttura è caratterizzata da un loggiato con pilastri d'ordine toscano ed archi a tutto sesto, con terrazza alla sommità (oggi non praticabile). Le arcate sono schermate mediante cancellate artistiche in ghisa, realizzate dall'officina Fratelli Gambaro di Livorno.[10] Il Famedio si compone complessivamente di nove arcate, di cui una è utilizzata come passo carrabile per l'accesso alla piazza, estendendosi per circa cinquanta metri.

I personaggi accolti nel Famedio[modifica | modifica wikitesto]

La struttura raccoglie le spoglie mortali dei seguenti livornesi illustri:[11]

I personaggi ricordati nel Famedio[modifica | modifica wikitesto]

Con epigrafi commemorative sono ricordati:

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Nel 1808 Napoleone Bonaparte soppresse a Montenero la congregazione vallombrosana confiscandone le relative proprietà. Nel 1817 Ferdinando III di Toscana, tornato sul trono dopo gli interregni delle dinastie dei Borbone-Parma e della Casata dei Bonaparte, restituì ai Vallombrosani il Santuario e le terre annesse.
  2. ^ C. Adorni, Il Famedio di Montenero e i suoi personaggi illustri, Livorno, p. 8.
  3. ^ Roberto Manera, Il famedio restaurato, in L'Eco del Santuario di Montenero, n. 4, ottobre-dicembre 2021, pp. 19-20
  4. ^ Antonio Cambi, Livorno e Chios (PDF), su giustiniani.info. URL consultato il 16-09-2014.
  5. ^ Tali vendite vennero fatte ad estinzione della famiglia acquirente e con vincoli di carattere artistico. Inoltre i monaci venivano riconosciuti proprietari delle cancellate poste a delimitazione delle cappelle e le chiavi delle stesse, oltre ai proprietari, dovevano essere anche nelle mani del padre abate.
  6. ^ D.L. 3036 del 7 luglio 1866
  7. ^ C. Adorni, Il Famedio di Montenero e i suoi personaggi illustri, Livorno, pp. 8-9.
  8. ^ Quei tragici momenti rivivono nelle parole di Gastone Razzaguta, pittore e critico d'arte livornese:

    «Guardo laggiù Livorno lontana nell'assolata pianura: Livorno bombardata e deserta appare intatta, lievemente annebbiata in un assaggio incantato e fermissimo che scende e si confonde al pallido azzurro del mare.»

  9. ^ Il Famedio di Montenero restituito ai livornesi nella sua veste migliore, su comune.livorno.it, 23 settembre 2021 (archiviato dall'url originale l'8 dicembre 2023).
    «L'intervento è stato realizzato grazie ad una convenzione tra Comune di Livorno e Lions Club Livorno Host, che, tramite il suo presidente Gian Luca Zingoni, è riuscito a coinvolgere altri club di service cittadini, ovvero Lions Club Porto Mediceo, Rotary Club Livorno e Rotary Club Mascagni, quindi la Fondazione Livorno e numerosi soggetti privati.»
  10. ^ I fratelli Alceste ed Ernesto Gambaro fondarono a Livorno verso il 1870 una fonderia di ghisa che divenne nel tempo una delle più importanti della Toscana. Oltre alla fusione a carattere industriale la fonderia si era specializzata in fusioni artistiche ed aveva la sua sede in via delle Cateratte.
  11. ^ C. Adorni, Il Famedio di Montenero e i suoi personaggi illustri, Livorno, pp. 17-42.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • C. Adorni, Il Famedio di Montenero e i suoi personaggi illustri, Livorno, senza data.
  • C. Adorni, G. Giorgetti, Guida al Famedio di Montenero, Ed. Il Quadrifoglio, Livorno 2013.
  • Mauro Ercolani, Piccola guida di Montenero, Pescia, Edizioni Franci, 1936.
  • E. Lucchesi, La Madonna di Montenero nel suo Santuario, nella storia, nell'arte, nella pietà cristiana, Tip. Cesare Frittelli, Livorno 1928.
  • Su e giù per Livorno, Guida illustrata con molte vedute della città e de' dintorni e una pianta tipografica, Ugo Bastogi Editore, 1901.
  • G. Wiquel, Dizionario di persone e cose Livornesi, U. Bastogi Editore, Livorno, 1976-85.

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