Epitaffio (antica Grecia)

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L’epitaffio o epitafio (in greco antico: ἐπιτάφιος λόγος?, epitáphios lógos), spesso tradotto come orazione funebre o discorso funebre, nell'antica Grecia era un discorso funebre pubblico pronunciato in occasione della sepoltura di un defunto. L'epitaffio, pur essendo presente anche in autori come Omero e Pindaro, viene spesso considerato come un'invenzione di Atene. Il più antico epitaffio superstite è quello di Pericle.

Epitaffi ad Atene[modifica | modifica wikitesto]

Istituzione[modifica | modifica wikitesto]

L'oratore Anassimene di Lampsaco sosteneva che l'usanza dell'epitaffio era stata introdotta ad Atene nel VI secolo a.C. dal legislatore Solone,[1] ma generalmente gli storici non accettano questa informazione.[2][3]

Più plausibile, ma non certa[3][4] è invece l'affermazione di Dionigi di Alicarnasso secondo la quale gli Ateniesi istituirono gli epitaffi "in onore di coloro che combatterono all'Artemisio (480 a.C.), a Salamina (480 a.C.) e a Platea (479 a.C.) e morirono per la patria, oppure per la gloria dei successi di Maratona (490 a.C.)".[5] Su questa linea si attesta anche Diodoro Siculo, che ricorda l'istituzione degli epitaffi tramite una legge emanata dopo Platea: un oratore selezionato di volta in volta avrebbe pronunciato un epitaffio per coloro che venivano sepolti a spese dello stato.[6]

Vari storici adesso credono che le sepolture collettive per i caduti di guerra (in greco antico: δημόσιον σήμα?) e gli epitaffi siano stati stabiliti attorno al 470 a.C., rimanendo poi in vigore sotto Pericle.[7] La più antica lista di caduti di un determinato anno risale al 465/464 a.C. e i lekythoi a sfondo bianco con dipinte scene funerarie cominciarono attorno al 470 a.C.[8]

Gli epitafia[modifica | modifica wikitesto]

Gli epitafia (in greco antico: τὰ ἐπιτάφια?) erano una solenne cerimonia pubblica che si svolgeva nel mese di pianepsione (ottobre/novembre) e durava tre giorni,[9] anche se talvolta proseguivano con ludi ginnici e artistici organizzati dall'arconte polemarco.[10][11][12][13] Queste celebrazioni, sporadiche nel V secolo a.C.,[14] divennero annuali nel IV.[11]

Le ossa dei caduti venivano esposte per tre giorni sotto una tenda e chi voleva poteva portarvi delle offerte, dopodiché venivano trasportate al Ceramico e sepolte.[15] Secondo il racconto di Tucidide, i carri portavano le bare di legno di cipresso, una per ciascuna delle dieci tribù, all'interno delle quali venivano poste le ossa; veniva portato anche un letto vuoto con sopra delle tappeti, usato per rappresentare i morti di cui non si erano ritrovate le ossa.[16] Al corteo sono presenti, oltre alle donne dei defunti, che piangono sulla sepoltura, anche i cittadini e gli stranieri che lo desiderano, e il punto di arrivo è il cimitero pubblico del Ceramico, dove sono sepolti tutti i caduti di guerra ateniesi. Secondo Tucidide solo i 192 morti della battaglia di Maratona, dato il loro eccezionale valore, furono tumulati sul posto,[17] ma sembra che ciò possa valere anche per quelli della battaglia di Platea.[18][19]

Dopo la sepoltura, le celebrazioni si concludono coll'epitaffio, pronunciato in onore dei caduti da un cittadino designato dalla città (cioè dall'ecclesia su proposta della boulé[20][21]) per la sua intelligenza e per la stima che aveva presso gli Ateniesi.[22]

Struttura dell'epitaffio[modifica | modifica wikitesto]

Platone descrive con una frase la struttura tipica dell'epitaffio: "E il discorso richiesto è uno che elogerà adeguatamente i morti ed esorterà gentilmente i vivi, facendo appello ai loro figli e ai loro confratelli affinché imitino le virtù di questi eroi e offrendo consolazione ai loro padri, alle loro madri e ad ogni loro avo superstite".[23] L'epitaffio tradizionale doveva quindi contenere un elogio ai caduti di guerra e alla città, un'esortazione ai parenti ad imitare le virtù dei caduti e una consolazione ai membri viventi delle loro famiglie.[24]

Un epitaffio era composto da queste parti.

  • Un preambolo, che tratta le aspettative del pubblico.[25] L'oratore di solito afferma che è pressoché impossibile per lui trovare parole degne delle imprese dei caduti;[24] un preambolo del genere rivela la posizione dell'epitaffio come genere orale all'interno di una società ritualmente e socialmente delimitata.[25]
  • Una parte riguardante le origini di Atene e le gesta degli Ateniesi del passato.[4]
  • Una parte riguardante i caduti, il loro sacrificio e la loro devozione alla democrazia ateniese.[4]
  • Un epilogo, che costituisce la consolazione e l'incoraggiamento per le famiglie dei caduti.[24] Alla fine la città promette di educare gli orfani dei caduti, segnalando così la rinascita della vita nella polis.[25]

Funzioni dell'epitaffio e critiche[modifica | modifica wikitesto]

La funzione primaria dell'epitaffio era esprimere pubblicamente la concezione della potenziale eccellenza della polis. Era un'occasione in cui Atene si "inventava" e "reinventava" in forma narrativa.[26] La città mostrava le proprie imprese e le virtù civiche e personali alle quali i cittadini potevano aspirare.[27] La prosa dell'epitaffio si dedica a celebrare l'ideale dell'Atene democratica.[28] Attraverso l'epitaffio la città si riconosceva come desiderava essere.[26]

È per questa ragione che Platone ha scelto l'orazione funebre come obiettivo principale: nel Menesseno si impegna negli interessi dell'oratoria funebre e per la filosofia si appropria di parte della missione intellettuale che gli Ateniesi associavano colla forma più celebrata e democratica di epidittica, l'epitaffio.[29]

Epitafi superstiti[modifica | modifica wikitesto]

La tradizione ha conservato solo sei epitaffi:

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Anassimene, frammento 44.
  2. ^ (EN) James P. Sickinger, Public records and archives in classical Athens, UNC Press, 1999, p. 30.
  3. ^ a b (EN) Stephen Usher, Greek oratory: tradition and originality, Oxford University Press, 1999, p. 349.
  4. ^ a b c Marzi, Leone, Malcovati, p. 49.
  5. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, V, 17.
  6. ^ Diodoro Siculo, Bibliotheca historica, XI, 33, 3.
  7. ^ Andrea Wilson Nightingale, Genres in Dialogues, Cambridge, 1995, pp. 95-96.
  8. ^ John H. Oakley, Bail Oinochoai, 2005, p. 13.
  9. ^ Tucidide, II, 34, 2.
  10. ^ Lisia, 80.
  11. ^ a b Platone, 249 B.
  12. ^ Demostene, 13 e 36.
  13. ^ Aristotele, 58, 1.
  14. ^ Tucidide, II, 34, 7.
  15. ^ Tucidide, II, 34, 2-3.
  16. ^ Tucidide, II, 34, 3.
  17. ^ Tucidide, II, 34, 4-5.
  18. ^ Erodoto, Storie, IX, 85.
  19. ^ Pausania il Periegeta, Periegesi della Grecia, IX, 2, 5-6.
  20. ^ Demostene, 285.
  21. ^ Platone, 234 B.
  22. ^ Tucidide, II, 34, 6.
  23. ^ Platone, 236 E.
  24. ^ a b c Funeral Oration, in Helios, 1952.
  25. ^ a b c (EN) Katherine Derderian, Leaving Words to Remember, Brill, 2001, p. 181.
  26. ^ a b (EN) Nicole Loraux, The Invention of Athens, Zone Books, 2006, p. 312.
  27. ^ Monoson, p. 202.
  28. ^ (EN) Nicole Loraux, The Children of Athena, Princeton, Princeton University Press, 1994, p. 45.
  29. ^ Monoson, p. 205.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Fonti primarie
Fonti secondarie
  • Mario Marzi, Pietro Leone e Enrica Malcovati (a cura di), Oratori attici minori, I, UTET, 1995, ISBN 978-88-02-02633-6.
  • (EN) S. Sara Monoson, Plato's Democratic Entanglements, Princeton, Princeton University Press, 2000.