Discussione:Voicing (jazz)

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Jazz
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Credo che l'articolo vada rivisto come segue:

Io direi che tutta la parte sulla teoria accordale e sui modi potrebbe essere tolta, un po' perché imperfetta e un po' perché non è il posto giusto dove parlarne. Soprattutto, servono degli esempi di voicing su pentagramma, in modo da capire di cosa davvero si tratta.--Fabrizio B. 01:47, 15 gen 2006 (CET)[rispondi]

Io ringrazio tutti per i contributi apportati, ma non ne condivido alcuni:

  • La correzione di "ii" al posto di II, come avevo scritto originariamente, in una progressione II V I : è ovvio che in una progressione II V I il II è minore, perchè di derivazione modale dalla scala dorica costruita sul II°, salvo diversa indicazione: es. II-, II7. Nella maggior parte dei libri da me incontrati è questa l'indicazione e mi sembra anche la più logica. Ditemi su questo punto perchè altrimenti non posso andare avanti a scrivere la parte sulle progressioni del jazz, se non abbiamo un linguaggio in comune...
  • L'accordo semidiminuito è stato indicato solo appartenente al VII° della minore melodica, invece è prima di tutto locrio (VII della maggiore). Inoltre l'accordo sul VII della minore melodica (superlocrio) rappresenta più un dominante "alterato", come qualunque jazzista sa, e poi anche un semidiminuito. Inoltre leggendo bene si nota come nella voce dominante (nella N.B.) analizzo anche i dominanti alterati.....percui provvedo alla modifica.
  • Poi vorrei rifarmi al "criterio di perfezione" proposto da qualcuno per quanto riguarda la parte sui modi. Ho seguito il suo consiglio, l'ho tolta perchè già presente in altre parti, ma non perchè fosse imperfetta: io qui sto trattando di Jazz per cui il criterio di perfezione passa in secondo piano: nel jazz spesso si usa precisione, coerenza, non perfezione, perchè è proprio una musica imperfetta, altrimenti le sostituzioni continue non avrebbero senso. Inoltre io analizzo quello che la maggior parte del jazz opera e ha operato nei confronti dei modi e dei vari sistemi scalari.

Cristiano Ragone 17:24, 16 gen 2006 (CET)[rispondi]

Io ho sempre visto usare come standard (ed è riportato anche in Grado (musica), ma ce l'ho messo io ;-)))) il minuscolo per il minore ed il maiuscolo per il maggiore, senza il simbolo ° in quanto il numero romano indica già l'ordinale e si confonderebbe col diminuito. Io ho sempre visto scritto così sugli Aebersold e altri manualetti (oltre che sui real books). Ma mi fermo qui, non sono uno studioso di musica, solo uno che cerca di suonarla. Suggerirei di adottare lo stesso std usato dagli inglesi ad esempio in en:Chord progression. Per quanto riguarda l'"ovvietà" ci andrei piano: ricorda che questa è una enciclopedia che deve essere compresa da tutti quelli che la leggono. --L'uomo in ammollo 23:25, 16 gen 2006 (CET)[rispondi]

Si in effetti anch'io ho trovato qualche volta queste sigle in qualche libro americano e inglese, ma non le adotto, penso che siano due modi alternativi...comunque va bene come volete voi, basta saperlo.--Cristiano Ragone 01:18, 17 gen 2006 (CET)[rispondi]

Aspetta, la mia è solo una proposta! Chiedi all'Auditorium cosa ne pensano gli altri. --L'uomo in ammollo 08:47, 17 gen 2006 (CET)[rispondi]

Il grado si indica con il solo numero romano, senza il simbolo °. Per quanto riguarda il maiuscolo e il minuscolo, dipende dall'impostazione che si vuole dare alla materia. Mi spiego: secondo l'armonia tradizionale, con il numero romano non si indica la qualità dell'accordo, che è sottintesa. Faccio un esempio: se ci troviamo nella tonalità di DO maggiore, l'accordo costruito sul secondo grado è una triade minore e non può che essere così dato che le note di questa tonalità sono DO RE MI FA SOL LA SI e nessun'altra. Quindi questo accordo verrà indicato con II e non con ii.

Invece in alcune indicazioni più recenti si trova ii, ad indicare che si tratta appunto di una triade minore (mentre il primo grado, sul quale si costruisce una triade maggiore, avrà I e non i). Il motivo di questa scelta non è del tutto ovvio, in quanto in effetti è superfluo fare la distinzione: in una data tonalità, su quel grado vi è un solo tipo di accordo... La nascita di questa abitudine va vista da una parte nell'opera teorica di Schoenberg e della sua scuola, dove si indicava con le lettere minuscole non tanto l'accordo quanto la tonalità corrispondente, e nella caduta culturale in cui è precipitata la musica pop-rock, trascinandosi con sé un po' il jazz e la musica classica stessa: molti concetti si sono perduti, molti altri sono stati messi in discussione senza motivo, altri si sono rivelati molto utili (ma sono pochi; tra i vari concetti perduti e che invece erano patrimonio comune del musicista del passato, vi è anche quello per cui un certo accordo non è un "colore" e basta ma un prodotto di una tonalità e che, quindi, vi è una BASE accordale che è sottoposta solo in parte al giudizio e all'istinto del musicista, se non altro perché spesso è autodeterminata).

Una lancia spezzata a favore dei numeri romani maiuscoli e minuscoli giunge dalla considerazione che nel '900, a partire dalla musica classica ma poi rafforzata ed enormemente amplificata dal blues e dal jazz, fanno il loro rientro le modalità cosiddette "gregoriane" (dorico, frigio, lidio & Co.). Visto che si è cercato, e ancora si fa, di inserirle nel contesto tonalistico del modo Maggiore e del modo Minore, in effetti le armonizzazioni hanno scoperto colori nuovi, non molti, ma abbastanza da giustificare una nuova scrittura che indichi con "V" il quinto grado del modo maggiore e con "v" il quinto grado del misolidio. Se questo è un motivo buono, bisogna però anche dire che chi usa queste sigle spesso lo fa a pappagallo, confondendo dolorosamente "accordo" con "modalità" (quante volte ho dovuto sentirmi dire che sul secondo grado di DO maggiore c'era la scala dorica... se vi chiedete cosa c'è di strano in quest'affermazione, chiedetevi anche come fa un modo a contenerne un altro; purtroppo, o è modo maggiore o è modo dorico; la politonalità esiste ma è un'altra cosa).

Cosa fare, allora? A parte tutte le mie noiose dissertazioni (comprendetemi: non so dove scriverle queste cose se non qui!) credo che la miglior cosa da fare è attenersi alla teoria più adatta per il repertorio che si tratta. Parlando di jazz, quindi, ben vengano le nomenclature teoriche più usate, comprese le indicazioni maiuscole o minuscole per i gradi. Magari, quando queste sono solo rivisitazioni di concetti antichi e ben conosciuti nella musica classica, si può tentare una "mediazione", confrontando sia le teorie che i termini.

In particolare, leggendo l'articolo, vedo due difetti: il primo è la scarsa decodificazione delle note indicate con i numeri (7 9 3 5 stanno per SI RE MI SOL? non è chiaro qual'è il riferimento adottato...) e di alcune frasi, per le quali si presuppone una cultura musicale già piuttosto avanzata per il lettore ("per il V7alt la posizione che era propria della settima si usa invece sulla terza, e viceversa, questo per la regola delle sostituzioni di tritono sui dominanti. (Il V7alt rappresenta un VII° della scala minore melodica)"... un po' complicato).

Secondo appunto è la presentazione dei concetti dell'armonia in maniera un po' poco logica. Questo però è un problema insito nella teoria jazz attuale che deriva da un approccio "pratico" che ora viene teorizzato ma che è ancora in fase di sviluppo...

Dato che a me la teoria jazz interessa molto, vogliamo cercare di fare luce sull'argomento? La teoria musicale classica è a vostra disposizione, tramite la mia indegna preparazione. Se volete, procediamo con confronti che, vi assicuro, a volte sono sorprendenti per entrambe le parti (fa senso scoprire che Bach usava soluzioni accordali arditissime e che Ravel e Gershwin hanno una maniera di scrivere che si somiglia in modo imbarazzante...)

Spero di non avervi annoiato--Fabrizio B. 03:11, 19 gen 2006 (CET)[rispondi]

Teoria e Accordi[modifica wikitesto]

Il linguaggio jazzistico,la sua teoria sono CODIFICATI in maniera diversa da quella dell' armonia tradizionale, per ragioni tecniche, sebbene un accordo non si puo' da solo definire ne' classico ne' jazz. Ravel,Gerswhin,e Bach usavano gli accordi cosiccome anche i jazzisti e tutti i musicisti di qualsiasi campo musicale,con delle differenze sintattiche.Le regole acustiche non cambiano. Cambia il gusto e cambia il modo con cui una "regola" puo' essere accettata e utilizzata. Prima di Bach si puo' andare indietro nel tempo fino ai madrigali del cinquecento e notare anche li' arditezze sonore..

Nel jazz si cambia spessissimo tonalita', piu' di quanto accade in ambito "classico". Per questo per l' analisi di un brano jazzistico (o di un solo) con i soli metodi classici risulterebbe non di facile lettura... Comunque il num. arabo sottintende sempre la nota dell' accordo: 7935 di Dm7 (cioe' l' accordo minore con la settima minore, che nella tonalita' di DoMagg. e nel modo di DoMin. Armonico e Melodico e' il II grado). Questo 7935 (C E F A)e' un voicing che si puo' dire "alla Wynton Kelly" ma anche "alla Bill Evans" che se usato a due mani per accompagnare diventa 7359 (C F A E) senza la fondamentale D. C' e' da dire inoltre che nel jazz e' desueto usare la 5 degli accordi di dominante (in G7 il Re) all' interno dell'accordo stesso. La 5(re) verra': 1.omesso; 2.cambiato in 6 opp.13( mi) ; 3.alterato in 5diesis o 5bemolle. Nel passaggio tipico del jazz la formula II-V-I (per es. Dm7-G7-CMaj7) i voicing alla mano sinistra possono essere 7935(CEFA)-3679(BEFA)-7935(BDEG)..

troppo tecnico? vabbe'...e' il mio mestiere.. --Muso 20:52, 25 set 2006 (CEST)[rispondi]

Bisognerebbe trovare il modo di dire queste cose in un linguaggo comprensibile anche ai non addetti ai lavori, magari con schemi disegni e partiture... --L'uomo in ammollo 08:40, 26 set 2006 (CEST)[rispondi]

Hai ragione.. ho cercato di usare le nozioni che erano gia' nell' articolo, ma in effetti risulta ostico.. --Muso 04:46, 27 set 2006 (CEST)[rispondi]

definizione di voicing[modifica wikitesto]

riposto l'inizio della voce:

"il voicing è un accordo musicale molto complesso (di termine intraducibile dall'inglese se non con l'erroneo o generico termine "accordo") che non presenta più quelle relazioni base così evidenti nell'accordo classico che chiameremo "accordo teorico".

È l'idea di precisione così netta associata ad un accordo che non corrisponde al voicing, laddove quest'ultimo rappresenta più di una possibilità e di una funzione."


Ho provato a far leggere questa definizione a varie persone non troppo esperte di musica che comunque sapevano cosa fosse un accordo ma non cosa fosse un "voicing". Il risultato è che alla fine non mi hanno saputo dire a parole loro cosa effettivamente fosse un "voicing"!

Intendiamoci, tutto cio' che segue all'interno della voce e preciso e veritiero nonchè sicuramente esposto molto meglio rispetto all'incipit che scoraggia la lettura dell'intero articolo.

Io a mio umilissimo avviso credo che si sarebbe potuto iniziare tentando una traduzione del termine inglese "voicing" in fondo non così intraducibile se vogliamo.

"Dare voce" la trovo, sempre a mio modesto parere, una traduzione non troppo azzardata.E in fondo non è proprio questo il "voicing" ? : "Il disporre in maniera verticale le varie voci (note) che formano un dato accordo."

Ripeto, sono d'accordo ed entusiasta dei contenuti della voce, è solo l'incipit che parte da un livello troppo avanzato per chi effettivamente non sa cosa un "voicing" sia e voglia capire di cosa si tratta.

Aspetto commenti , pareri e critiche.

Grazie mille anticipatamente.

--LuKeys 16:04, 27 nov 2006 (CET)[rispondi]


Salve a tutti. "To voice a chord" si traduce in Italiano con "Disporre le parti di un accordo" ovvero il decidere in quale ordine compariranno le note di un accordo, e se e quali raddoppiare (o triplicare) tra le note dell'accordo. Quindi "this voicing" si traduce in "questa disposizione delle note". Così la triade maggiore di Do, che nella sua forma minima è fatta di 3 suoni (Do, Mi, Sol) può avere infiniti "voicings" a seconda di quanti e quali strumenti suoneranno contemporaneamente dei Do, dei Mi e dei Sol. Purtroppo spesso quando si legge dall'Inglese si tende sempre meno a tradurre e sempre più a "importare" o a traslitterare (vedi per esempio la traduzione di "Education" in "Educazione" quando in realtà corrisponde a "Istruzione"). Nel caso della didattica del jazz sono molto frequenti le parole che non si traducono nemmeno più e si accettano così come sono (non solo in Italiano); esempi: sound, performance, groove, ride, drive, free, solo, beat, etc... tutte (o quasi) parole traducibilissime usando termini tecnici musicali, ma che si sono accettate così come sono, forse per rispetto alla loro "origine" (qualcosa di simile alle parole italiane in musica classica, tipo "allegro, andante, sostenuto, rallentando, etc).

Per quanto riguarda gli inglesismi in generale ti do ragione, ma in questo caso particolare ormai il termine voicing è utilizzato in modo del tutto esclusivo dai pianisti, non si tratta di parlare semplicemente di rivolti di un accordo. Uomo in ammollo 12:07, 27 apr 2009 (CEST)[rispondi]

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Cordiali saluti, Lsjbot (msg) 02:54, 20 mar 2015 (CET)[rispondi]