Discussione:Battaglia di mezzo agosto

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Faccio rispettosamente notare a codesto Wikipedia che sono io l'autore della Battaglia aeronavale di mezzo agosto, Edizioni dell'Ateneo Roma, 1986.Quindi qualsiasi cosa debba scrivere sull'argomento è mia prerogativa. Francesco Mattesini

Cosa intendi dire? --RdocB 11:38, 28 lug 2007 (CEST)[rispondi]

Intendo dire che avevo presentato un articolo che è rimasto per alcuni giorni nel vostri sito, poi è sparito. Non capisco in base a quale concetto.

Francesco Mattesini

Articoli di Francesco Mattesini[modifica wikitesto]

Riporto nuovamente il mio articolo sulla Battaglia di Mezzo Agosto che era stato cancellato dai moderatori di WIKIPEDIA essendo stato ritenuto un testo inattendibile o copiato. In realtà é un sunto aggiornato del mio libro “La battaglia aeronavale di mezzo agosto”, Edizioni dell’Ateneo, Roma, 1986, pagine 611. Vedi anche il mio recente saggio "Operazione Pedestal. La battaglia di mezzo agosto", pibblicato on line, nel 2014, dalla Società Italiana di Storia Militare (SISM)


Francesco Mattesini.


LA BATTAGLIA AERONAVALE DI MEZZO 1942[modifica wikitesto]

(Operazione “Pedestal”)


La pianificazione dell’operazione “Pedestal”

Dopo il fallimento in giugno delle operazioni “Harpoon e Vigorous, che comportarono la perdita di sei navi mercantili, sulle diciassette avviate a Malta dalla Gran Bretagna e dai porti del Mediterraneo orientale, e l’arrivo a Malta di due soli piroscafi, il Troilus e l’Orari, negli ambienti politioco-militari britannici di Londra e del Medio oriente vi fu molto scetticismo sulle possibilità di resistenza di Malta, e sulla convenienza di effettuare un altro tentativo di rifornimento, che avrebbe comportato un grande spiegamento di mezzi, e perdite rilevanti, come aveva dimostrato l’esperienza. Inoltre, a differenza di quanto era stato pianificato nel mese di giugno, doveva essere seguita una sola rotta: quella del Mediterraneo occidentale poiché, a oriente, tutte le basi aeree della Cirenaica e dell’Egitto fino ad El Alamein, erano cadute in mano alle forze dell’Asse, dopo la conquista della piazzaforte di Tobruk da parte del generale Rommel, e l’avanzata delle sue truppe motorizzate fino ad El Alamein, 50 miglia a est di Alessandria.

Winston Churchill, che per temperamento e determinazione non era secondo a nessuno, si mostrò deciso di non abbandonare al suo destino l’isola fortezza assediata, e scrivendo al Primo Lord del Mare, ammiraglio Dudley Pound, sostenne: “Il destino di Malta è in gioco e devo poter assicurare il Governo che la Marina non l’abbandonerà mai”. L’ammiraglio Pound e il signor Hon A.V. Alexander, Primo Lord dell’Ammiragliato, condivisero il punto di vista del Primo Ministro nei riguardi di un eventuale abbandono di Malta, considerata una perdita disastrosa per l’Impero britannico e fatale alla difesa della Valle del Nilo. Pertanto, nel corso del mese di luglio, l’Ammiragliato britannico, riunendo forze navali sottratte ai più svariati scacchieri di guerra, come l’Artico e l’Oceano Indiano, pianificò la Pedestal, organizzando a Greenock (Clyde) un convoglio veloce, denominato WS.21/SA, costituito da quattordici grosse navi da trasporto, scelte fra le più grosse e veloci delle flotte mercantili britannica e statunitensi. Si trattava dei piroscafi britannici Port Chalmers (commodoro Venables), Clan Ferguson, Brisbane Star, Rochester Castle; Empire Hope, Glenorchy, Dorset, Deucalion, Wairangi e Waimarama, e di tre navi statunitensi, i piroscafi Almerya Likes e Santa Elisa e la petroliera Ohio. Ad eccezione dell’Empire Hope, i piroscafi britannici erano veterani della rotta di Malta, e i loro comandanti ed i loro equipaggi conoscevano bene i rischi della missione a cui andavano incontro. Le navi da trasporto, capaci di una velocità di quindici nodi, imbarcarono il carico dei rifornimenti e del carburante nei porti del Canale di Bristol, a Belfast, Liverpool e Glasgow, per poi riunirsi lungo le sponde dell’Estuario del fiume Clyde, a Gorouck, raggruppandosi nell’ancoraggio del Banco Tail.

Secondo un sistema adottato fino a allora, il carico delle 85.000 tonnellate di merci complessivamente destinato a Malta fu distribuito in modo da stivare su ogni nave mercantile un minimo indispensabile ai bisogni dell’isola. E questo perché, se si fossero verificate delle perdite, allo scopo di far giungere a destinazione almeno un minimo indispensabile ai bisogni della popolazione e della guarnigione di Malta, e quindi una parte di ogni prezioso rifornimento, che consisteva soprattutto in farina, munizioni, olio per le macchine e per il riscaldamento, e benzina per gli aerei in fusti. Inoltre un carico di 11.500 tonnellate di nafta e di benzina avio, necessari sull’isola per far operare i sommergibili e volare gli aerei, fu interamente imbarcato a Douglas sulla petroliera Ohio (9.514 tsl), che fino alla primavera del 1942 aveva battuto la bandiera statunitense, e che divenne pertanto la nave più importante da portare a destinazione.

La Ohio aveva già attirato l’attenzione di Londra, e mentre la petroliera si trovava già in navigazione nelle acque britanniche diretta a Clyde, la sua richiesta era stata fatta personalmente il 18 giugno dal Primo Ministro britannico, che si trovava allora a Washington assieme al suo Capo di Stato Maggiore generale Hastings Ismay. Il presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt aveva acconsentito il giorno 21, dopo che era stata avvertita la compagnia della petroliera, la Texas Oil Company. Il 25 giugno la Ohio fu requisita dal Ministero dei Trasporti e iscritta nel Registro mercantile britannico per la “Eagle Oil Ship”; la stessa cosa era avvenuta precedentemente per la altrettanto modernissima petroliera Kentucky, poi affondata il 15 giugno presso Pantelleria, durante l’operazione “Harpoon”, dalle navi italiane della 7a Divisione dell’ammiraglio Da Zara. Per evitare alla Ohio la sorte della Kentucky, che prima di essere affondata era stata immobilizzata da una bomba tedesca caduta presso la fiancata dello scafo che aveva spezzato un tubo di vapore, su disposizioni del Ministro dei Trasporti britannico le macchine della petroliera, dalla potenza di 9.000 cavalli, vennero montate su cuscinetti di gomma, per ridurre l’effetto delle esplosioni vicine, e tutti i tubi del vapore furono rinforzati con molle di acciaio e travi di legname da costruzione.

Fu anche provveduto ad imbarcare su tutte le navi del convoglio personale della Royal Navy e dell’Esercito, per migliorare i collegamenti, le segnalazioni e la codificazione delle trasmissioni, e per asservire le armi contraeree, incrementate con cannoni e altre mitragliatrici.

Per la protezione del convoglio WS.21/S furono organizzati due gruppi di scorta. Il primo gruppo, denominato Forza, Z era destinato ad accompagnare il convoglio fino al Banco Skerki, a nord di Biserta, l’ultima zona di mare, all’entrata occidentale del Canale di Sicilia, nella quale le navi da battaglia e le portaerei potevano manovrare senza eccessivi pericoli, e che era previsto sarebbe stata raggiunta per le ore 19.15 del 12 agosto. Per assolvere questo compito, la Forza Z fu costituita con le corazzate Nelson (nave di bandiera del vice ammiraglio Edward Neville Syfret) e Rodney, le portaerei Victorious (contrammiraglio Lyster), Indomitable (contrammiraglio Boyd) ed Eagle, gli incrociatori Sirius, Phoebe e Charybdis e dodici cacciatorpediniere inquadrati nella 19a Flottiglia: Laforey (capitano di vascello Reginald Maurice James Hutton), Lightning, Lookout, Quentin, Tartar, Somali, Eskimo, Wishart, Zetland, Ithuriel, Antelope e Vansittart.

Sulle tre navi portaerei della Forza Z, che al pari delle corazzate Nelson e Rodney, disponevano ciascuna di cinque apparati radar, erano imbarcati esattamente cento velivoli. Di essi erano disponibili, per la protezione aerea, settantadue caccia, (47 Sea Hurricane, 16 Fulmar e 9 Martlet), mentre per la scorta antisommergibile e l’eventuale intervento offensivo con i siluri, vi erano ventotto Albacore. Il secondo gruppo, la Forza X destinata ad accompagnare il convoglio fino agli approcci di Malta, – il cui arrivo a destinazione era previsto per il pomeriggio del 13 agosto, disponeva degli incrociatori della 10a Divisione Nigeria (nave di bandiera del contrammiraglio Harold Martin Burrough), Kenya e Mancester, del piccolo e vecchio incrociatore contraereo Cairo e di altri dodici cacciatorpediniere inquadrati nella 6a Flottiglia della Home Fleet: Ashanti, Intrepid, Icarus, Foresight, Fury, Derwent, Bramham, Bicester, Ledbury, Pathfinder, Penn e Wilton.

Essendo stata notevolmente rinforzata nei confronti dell’operazione di giugno, vi era il convincimento che la Forza X avrebbe potuto agevolmente contrastare un attacco della flotta italiana eventualmente avventuratasi con incrociatori e cacciatorpediniere nelle acque del Canale di Sicilia. Una volta aver accompagnato il convoglio nei pressi di Malta, la Forza X sarebbe tornata indietro lasciando il compito di scortare le navi mercantili, nelle ultime miglia di navigazione, ad un gruppo navale della base, arrivato alla Valletta a metà del precedente mese di giugno con l’operazione “Harpoon”, e interamente mobilitato per la “Pedestal”. Il motivo, per la Forza X, di evitare di raggiungere la Valletta risiedeva nel fatto di non andare incontro alla necessità di entrare in quel porto per rifornirsi a scapito dei già magri depositi di Malta. Pertanto, dovendo attraversare combattendo, come dimostrava l’esperienza delle altre operazioni, il Mediterraneo occidentale e parte di quello centrale nei due sensi di navigazione, le unità del contrammiraglio Burrough ricevettero la raccomandazione di fare la massima economia di nafta e possibilmente anche di munizioni.

Allo scopo di nascondere l’ingresso del convoglio in Mediterraneo, previsto per la notte fra il 9 e il 10 agosto, fu deciso che quante più navi di scorta possibile della Forza F (in modo speciale i cacciatorpediniere che navigando ad alta velocità consumavano ingente quantità di nafta) avrebbero attraversato lo Stretto di Gibilterra senza entrare in porto per rifornirsi. Questa misura comportò di organizzare un complesso servizio di rifornimento in alto mare, mediante l’impiego di petroliere, sia in Atlantico sia nel Mediterraneo.

Il gruppo di rifornimento in Atlantico, denominato Forza W, fu costituito con la petroliera di squadra Abbeydale, scortata dalle corvette della classe “Flower” Burdock (capitano di corvetta della riserva E.H. Lynes) e Armeria.

Il gruppo di rifornimento del Mediterraneo, denominato Forza R, fu costituito a Gibilterra con le grandi petroliere di squadra Brown Ranger e Dingledare, e con il rimorchiatore di squadra Salvonia. Alla sua scorta furono destinate le quattro corvette Jonquil (capitano di fregata della riserva R.E.H. Partington), Geranium, Spirea e Coltsfoot. Erano tutto unità della classe “Flower”, studiate dal genio navale britannico per la caccia ai sommergibili, la cui velocità era di poco superiore a quindici nodi e l’armamento, piuttosto modesto, comprendente un solo cannone da 120 mm con scarsa elevazione e da una coppia di mitragliatrici Oerlikon da 20 mm.

Questo gruppo navale avrebbe accompagnato la Forza F nella sua rotta verso levante fino ad un punto situato a sud delle Isole Baleari, per poi effettuare, nella giornata dell’11 agosto, il rifornimento dei cacciatorpediniere. Quindi, mantenendosi a stazionare sud delle Isole Baleari, le due petroliere della Forza R avrebbero atteso il rientro da Malta delle unità della Forza X, per assicurare loro, che eventualmente fossero arrivate con i depositi prosciugati, la nafta necessaria per raggiungere Gibilterra.

La presenza del rimorchiatore di squadra Salvonia nella Forza R era invece dovuto alla necessità di disporre di navi di salvataggio; innovazione introdotta dopo l’esperienza fatta nell’operazione “Harpoon”, in cui mancarono le unità di salvataggio necessarie per cercare di soccorrere le numerose navi danneggiate. Un secondo rimorchiatore d’alto mare, il Jaunty, era stato invece aggregato alla Forza X, ma successivamente, come vedremo, per la sua bassa velocità, apparve necessario dirottarlo alla Forza R.

Mentre l’elaborazione dei complessi piani della “Pedestal” era ormai a buon punto, all’ultimo momento sorse un’altra esigenza, che costrinse l’Ammiragliato britannico ad apportare all’ordine di operazione una non prevista variante. Poiché il Comando aereo di Malta aveva chiesto di reintegrare le perdite di velivoli da caccia, quantificate in diciassette velivoli alla settimana, su richiesta del Capo di Stato Maggiore della R.A.F., maresciallo dell’aria Charles Frederick Algernon Portal, il Primo Lord del Mare, ammiraglio Pound, mise a disposizione una quarta grande nave portaerei, la anziana Furious, destinandola a trasportare ed inviare sulle tre basi dell’isola, in due spedizioni successive, altri sessantuno Spitfire.

Per questo incarico, la Furious, che inizialmente fu aggregata al movimento del convoglio W.S. 21/S verso levante fino all’altezza di Algeri, avrebbe disposto per compiti di protezione su otto cacciatorpediniere di base a Gibilterra, e inquadrati nel gruppo scorta di riserva: Keppel (capitano di fregata J. E. Broome), Malcolm, Amazon, Venomous, Volverine, Wrestler, Vidette, e Westcott. Quindi, dopo aver fatto decollare il primo gruppo di trentanove Spitfire, all’incirca alle ore 13.00 dell’11 agosto (operazione Bellows), la Furious avrebbe invertito la rotta per imbarcare a Gibilterra i trentadue velivoli della seconda spedizione (operazione “Baritone”), che erano già stati inviati in quella base dall’Inghilterra a bordo del piroscafo Empire Clive.

Furono poi mobilitate anche le forze navali di Malta, costituite, al comando del capitano di fregata H. J. A. S. Jerome, dai quattro dragamine di squadra della 17a Flottiglia Speedy (capitano di corvetta A. E. Doran), Hebe, Hyte, Rye, e dalle sette motolance della 3a Flottiglia ML 121 (capitano di corvetta della riserva volontaria E.J. Strowlger), 126, 134, 135, 168, 459, 462. Tutte queste unità avevano il compito di prelevare dalla Forza X, destinata a rientrare a Gibilterra, il convoglio ed aprire la strada alle navi mercantili attraverso i canali dragati, fino agli ancoraggi del Grand Harbour. Con questa misura si voleva evitare il ripetersi di perdite causate da mine proprio al termine del viaggio, com’era accaduto con i due ultimi convogli, di marzo e di giugno, M.W. 10. E W.S. 19/Z. Vennero anche approntati nove sommergibili delle flottiglie 8a e 10a di Gibilterra e di Malta, che dovevano durante i giorni critici dell’operazione “Pedestal” raggiungere posizioni d’agguato nel Mediterraneo centrale. Due di questi sommergibili furono incaricati di effettuare un normale servizio di agguato a nord della Sicilia, il Safari al largo di Palermo e l’Unbroken più a levante di fronte a Milazzo: erano entrambi punti d’agguato importanti per intercettare gli incrociatori pesanti della 3a Divisione Navale italiana se fossero usciti da Messina, per spostarsi lungo la costa settentrionale della Sicilia, e andare ad attaccare il convoglio W.S. 21/S nella zona di Pantelleria, come era accaduto il precedente 15 giugno al convoglio W.S. 19/Z dell’operazione “Harpoon”. Altri sei sommergibili, Uproar, P 222, Ultimatum, Unruffled, Utmost e United, dovevano concentrarsi nel Canale di Sicilia, a levante di Pantelleria, per costituirvi successive linee di sorveglianza. Uno di questi sbarramenti sarebbe entrato in vigore all’alba del 13 agosto, in previsione dei movimenti di navi di superficie italiane che avrebbero potuto minacciare il convoglio da ponente, quando si sarebbe trovato ad attraversare quel tratto di mare. Poiché il convoglio sarebbe probabilmente passato attraverso la linea di difesa nella stessa mattinata del 13, ai sommergibili fu ordinato di procedere in superficie per fare da schermo avanzato fino a mezzogiorno, e quindi si sarebbero dovuti immergere. Vi era la speranza che le unità subacquee potessero essere individuate dagli aerei dell’Asse in modo da attirare su di loro, anziché sul convoglio, l’attenzione delle navi di superficie del nemico. Se la flotta italiana fosse stata avvistata con rotta sud per sorprendere il convoglio e colpirlo nel punto più critico della sua navigazione, ai sommergibili era concessa libertà di azione con l’ordine di attaccare con determinazione, quale obiettivo primario, le più grosse navi nemiche.

Il nono sommergibile, l’Una, doveva mettere a terra una squadra di quattro Commandos presso la foce del fiume Simeto, per cercare di sabotare e distruggere, nella fase critica dell’operazione “Pedestal”, i velivoli da bombardamento tedeschi di base sull’aeroporto di Catania, dove aveva sede il Comando e lo schieramento degli Ju. 88 del 54° Stormo Bombardamento (KG. 54).

Con l’operazione “Ascendant” fu poi programmato di riportare a Gibilterra i piroscafi Orari e Troilus arrivati a Malta a metà giugno – nel corso dell’operazione “Harpoon” – accompagnati dal cacciatorpediniere di squadra Matchless (capitano di corvetta J. Mowlam), che fungeva da nave comando del convoglio, e dal cacciatorpediniere di scorta Badsworth. Il piroscafo Orari e le due unità di scorta, entrati il 15 giugno in uno sbarramento minato posato all’entrata del Gran Harbour dalle motosilurante tedesche della 3a Flottiglia (capitano di corvetta Friedrich Kemnade), erano stati messi in condizioni di riprendere il mare, dopo che i loro danni erano stati riparati nell’arsenale della Valletta. Le quattro navi, che costituivano la Forza Y, procedendo in un’unica formazione, dovevano salpare da Malta la notte sull’11 agosto, quasi contemporaneamente all’entrata in Mediterraneo della Forza F. La speranza, su cui i britannici contavano, era di farle raggiungere Gibilterra senza danni, approfittando dell’attenzione che le forze di vigilanza dell’Asse avrebbero rivolto all’importante e appetitoso convoglio dell’operazione Pedestal che arrivava da ponente.

Infine, per creare una diversione nel Mediterraneo orientale, fu pianificata l’operazione “M.G. 3”, il cui scopo, come scrisse il Comandante della Mediterranean Fleet, ammiraglio Henry Harwood, era quello di impedire “che il nemico potesse impiegare tutto il peso delle sue forze navali ed aeree contro il convoglio proveniente da Gibilterra”. L’operazione “M.G. 3”, pertanto, consistette nel far partire dai porti del Mar del Levante, Porto Said e Haifa, un convoglio fittizio di quattro piroscafi (City of Pretoria, City of Lincoln, City of Edimburgh, Ajax) scortato dai quattro incrociatori della 15a Divisione Cleopatra (contrammiraglio Philip Louis Vian), Dido, Arethusa, Euryalus, dall’incrociatore contraereo Coventry, dai quindici cacciatorpediniere Sikh, Zulu, Javelin, Crome, Tetcott, Aldenham, Pakenham, Paladin. Hurworth, Dulverton, Beaufort, Jervis, Hursley, Kelvin, Eridge, e dalle due corvette Antwerp e Hyacinty. Una volta che fosse stato avvistato dai ricognitori dell’Asse, il convoglio, denominato MW.12, che aveva per commodoro il comandante del City of Pretoria capitano Frank Deighton, doveva disperdersi e rientrare alle basi, dopo aver raggiunto la sera dell’11 agosto, quale zona di spostamento verso ponente, un punto situato a nord di Alessandria.

Prendendo in considerazione l’eventualità che la flotta italiana fosse uscita dalle basi, spingendosi verso il convoglio, fu disposto che tre sommergibili della 1a Flottiglia di Alessandria, Turbolent, Thorn e Taku, si portassero, il primo davanti a Navarrino dove aveva la sua base la 8a Divisione Navale (tre incrociatori e quattro cacciatorpediniere), e gli altri due in zone di agguato a sudovest di Creta. Tuttavia, il Thorn (capitano di corvetta R.G. Norfolk), che era partito da Haifa il 21 luglio per operare inizialmente davanti a Tobruch, spostandosi nel pomeriggio del 7 agosto verso Capo Matapan, fu avvistato da un velivolo Ju. 88, e dal medesimo, con sgancio di bombe e raffiche di mitragliatrice in mare, segnalato alla torpediniera italiana Pegaso, di scorta a un piroscafo Istria partito da Bengasi e diretto al Pireo. La Pegaso (tenente di vascello Mario De Petris), che si trovava ad una distanza di 5.000 metri, portatasi nella zona segnalata dal velivolo tedesco e preso contatto con l’ecogoniometro, affondò il sommergibile con ripetuto lancio di bombe di profondità. Decedette l’intero equipaggio del Thorn costituito da sessantuno uomini, inclusi sei ufficiali. Questa perdita britannica si era verificata tre giorni prima dall’entrata in Mediterraneo del convoglio della “Pedestal”, ma è da considerare come conseguenza di quell’operazione.

Nella notte tra il 9 e il 10 agosto, dopo che le tre portaerei della Forza F, a cui si aggiunse temporaneamente anche la vecchia Argus, avevano svolto, nel corso della navigazione in Atlantico, un ciclo di esercitazioni ritenuto necessario per permettere agli aerei imbarcati di affinare le tattiche di combattimento (operazione Berserk), e si era svolto il rifornimento in mare di gran parte delle navi di scorta, il convoglio ed il suo poderoso nucleo di scorta – il maggiore che fosse stato impiegato nella seconda guerra mondiale per proteggere un solo convoglio di rifornimento – superò lo stretto di Gibilterra entrando nel Mediterraneo, per poi proseguire con rotta est. Il movimento, che comportò l’entrata a Gibilterra delle navi che non si erano potute rifornire in mare e che lo fecero alle petroliere dislocate in qualla importante base navale, fu subito percepito dagli agenti dell’Asse ubicati sulle coste meridionali della Spagna e in quelle del Marocco spagnolo.

Conseguentemente, nella giornata del 10 agosto, durante una riunione tenutasi a Roma, presso il Comando Supremo delle Forze Armate italiane, presenti alti ufficiali della Regia Marina, della Regia Aeronautica e dell’O.B.S., fu pianificata l’azione di contrasto delle forze aeronavali dell’Asse. Tuttavia, forse non rendendosi conto di quale importanza rivestiva un intervento di tutte le forze navali per far fallire l’operazione britannica, fu escluso l’impiego delle quattro corazzate efficienti presenti a Taranto (Vittorio Veneto, Andrea Doria, Duilio e Giulio Cesare) motivandolo per deficienza di nafta e sostenendo che l’intervento di quelle navi da battaglia avrebbe comportato di consumare l’intera quantità di combustibile della scorta intangibile destinato all’applicazione della Di. Na. n. 7; ossia all’Azione a massa aeronavale pianificata per intervenire contro la flotta britannica, che era proprio l’occasione che si stava presentando in quel momento, perché nella Di. Na. 7 era previsto il contrasto ad ogni iniziativa nemica verso il Mediterraneo centrale.

Fu disposto di attuare un ampio schieramento di 22 sommergibili (2 tedeschi) tra le Baleari e Malta, l’impiego di dodici motosiluranti (6 tedesche) e di una dozzina di Mas nel Canale di Sicilia, e l’attuazione, con il cacciatorpediniere Malocello, di uno sbarramento temporaneo di mine presso Capo Bon, in acque territoriali francesi. Dovendo poi decidere sull'eventuale intervento di 6 incrociatori (Gorizia, Bolzano, Trieste, Eugenio di Savoia, Montecuccoli e Attendolo) e 11 cacciatorpediniere a sud di Pantelleria, quando il convoglio britannico sarebbe stato abbandonato dalla sua potente scorta di copertura, il Sottosegretario di Stato e Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Riccardi mise bene in chiaro: “Naturalmente il movimento degli incrociatori è legato alla disponibilità di aerei da caccia”. Questi, avrebbero dovuto assicurare sul cielo delle navi una scorta continua con turni di otto velivoli alla volta, per fronteggiare, rispetto all’azione di giugno, un maggior numero di aerei presenti a Malta.

Dal momento le aviazioni dell’Asse stavano preparandosi ad intervenire in forze contro il convoglio britannico, rinforzando i reparti da bombardamento e di aerosiluranti dislocati in Sicilia e in Sardegna, avendo a disposizione soltanto cinque gruppi da caccia di aerei moderni (3 italiani e 2 tedeschi) per scortare una massa di circa 400 velivoli offensivi, dovettero prendere un’estrema decisione. Non volendo essere assenti sul cielo della battaglia, assegnando gran parte dei suoi cinquanta caccia alla scorta alle navi, il Comando del II Fliegerkorps sostenne di non essere in grado di farlo; ed anche Superaereo, pur riconoscendo le necessità della Marina si mostro molto restio ad accontentarla, almeno in parte, cedendo alla scorta delle navi tutti quei velivoli meno competitivi (Cr. 42, Mc. 200, Re. 2000, Cr. 25) di cui si poteva fare a meno per scortare le sue imponenti formazioni offensive. Dopo molte discussioni, proseguite nelle giornate dell’11 e del 12 agosto, il maresciallo Cavallero, Capo del Comando Supremo, riuscì a convincere il generale Fougier, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, ad assegnare, per il giorno 13 in cui era previsto l’intervento navale, un appoggio aereo sostanzioso che prevedeva l’impiego di turni di scorta di sei velivoli. In tal modo, prevedendo che ogni caccia effettuasse almeno due missioni, si riduceva da 60 a 45 il numero dei velivoli necessari per scortare le navi.

Gli attacchi contro il convoglio, iniziati nelle prime ore dell’11 agosto da parte del sommergibile italiano Uarsciek, che lancio i siluri contro la portaerei Furious senza riuscire a colpira, furono poi continuati nelle prime ore del pomeriggio – proprio mentre la Furious, trovandosi a nord di Algeri, stava lanciando i suoi 37 Spitfire diretti a Malta – dall’U 73. Questo sommergibile tedesco, comandato dal ten. vasc. Helmut Rosembaum, approfittando del fatto che 11 dei 24 cacciatorpediniere avevano abbandonato le assegnate posizioni di scorta del convoglio per rifornirsi alle petroliere, alle 13.00 superò abilmente il ridotto schermo difensivo ed attaccò, nei quartieri poppieri di sinistra la portaerei Eagle, colpendola con quattro siluri lanciati da una distanza di soli 400 metri. La portaerei affondò nello spazio di 8 minuti, e la perdita dei suoi 16 velivoli da caccia privò la Forza F del 20% della sua forza aerea di protezione, che durante tutta la mattinata era stata intensamente impegnata contro gli Ju. 88 tedeschi della 2^ Squadriglia del 122° Gruppo Ricognizione Strategica (2(F)/122).

I rilevamenti dei ricognitori tedeschi, i soli impiegati nel corso dell’11 agosto dal momento che l’intervento di quelli italiani (Cant Z. 1007 bis del 51° Gruppo R.S.) era stato previsto per la giornata del 12, servirono al Comando del II. Fliegerkorps per fornire precisi dettagli fotografici ai reparti offensivi. L’azione, a cui parteciparono 28 bombardieri Ju. 88 degli stormi KG. 54 e del KG. 77 e tre aerosiluranti He. 111 della 6^ Squadriglia del 26° Stormo Bombardamento (6/KG.26), si sviluppò poco dopo il tramonto del sole, quando le navi di scorta della Forza F si erano rifornire dalle petroliere. Ciò permise alla maggior parte dei velivoli tedeschi di eludere l’intervento dei caccia delle portaerei, che riuscirono ad abbattere soltanto uno Ju. 88 del KGr. 806. Un altro velivolo di questo gruppo fu distrutto, mentre attaccava in picchiata, dall’intenso fuoco contraereo delle navi, che da parte loro non riportarono alcun danno.

Quasi contemporaneamente, allo scopo di menomare il potenziale aereo offensivo dell’Asse concentrato sugli aeroporti della Sardegna, al tramonto dell’11 agosto una formazione di nove caccia a lungo raggio Beaufighter del 248^ Squadron della R.A.F. (ten. col. Thomas Geoffrey Pike), decollati da Malta, effettuò a volo radente una micidiale azione di mitragliamento contro gli aerei parcheggiati ad Elmas e Decimomannu. Furono colpiti e incendiati parecchi velivoli arrivati dal continente, e che non erano stati ancora decentrati perché si trovavano in fase di rifornimento. Cinque aerosiluranti S. 79 andarono completamente distrutti, ed altri 14 rimasero più o meno danneggiati; e ciò ridusse sensibilmente l’efficienza della massa offensiva italiana, che doveva entrare in azione l’indomani.

Mentre il convoglio proseguiva la sua navigazione, affrontando una navigazione notturna alquanto tranquilla, il cacciatorpediniere Wolverine – una delle navi di scorta della portaerei Furious che stava rientrando a Gibilterra per imbarcare altri Spitfire destinati a Malta – transitando nelle prime ore del 12 agosto a sud delle isole Baleari localizzò in superficie il sommergibile italiano Dagabur, e lo speronò affondandolo con l’intero equipaggio. Un altro sommergibile italiano, il Giada, trovandosi spostato più a levante, fu attaccato e danneggiato al mattino da due idrovolanti Sunderland del 202° Gruppo della R.A.F. Avendo riportato molti feriti gravi, prima di rientrare alla Maddalena, fu costretto a raggiungere il porto spagnolo di Valencia per sbarcarvi gli uomini più menomati. Infine, il sommergibile Cobalto fu localizzato ed affondato nel pomeriggio dal cacciatorpediniere Ithuriel, che poi ne recuperò i superstiti.

Sempre al mattino del 12, dopo le prime segnalazioni giunte dai ricognitori Ju. 88 tedeschi della 2(F)/122 – che decollando dalla Sardegna erano stati rinforzati nelle loro missioni esplorative dai velivoli del KGr.606 – la Forza F fu attaccata da una formazione di diciassette bombardieri del 1° e 2° Gruppo del 1° Stormo Sperimentale (I. e II./LG.1). Gli Ju 88 dei due gruppi, che appartenevano al X Fliegerkorps ed erano rispettivamente comandati dal capitano Jochim Helbig e dal maggiore Gerhard Kollewe, furono però intercettati a 16 miglia dal convoglio da 16 caccia decollati su allarme radar dalle portaerei Victorious e Indomitable, e sebbene fossero riusciti a passare sganciando le bombe in picchiata, non ottennero alcun risultato e persero ben cinque dei diciassette velivoli attaccanti.

Altri due Ju. 88 del II./LG.1, che erano stati costretti per guasti meccanici a dirigere verso la Sardegna, giunti nella zona del Golfo di Cagliari ed attaccati, per mancato riconoscimento, da due velivoli G. 50 italiani del 24° Gruppo Caccia Terrestre (sottotenenti pilota Suppo e Rodolfi), furono entrambi abbattuti dopo essere stati anche inquadrati dal tiro dalle batterie contraeree. Alle proteste tedesche, da parte di Superaereo fu risposto, con una certa stizza, che i velivoli tedeschi, avvicinandosi a Cagliari, non avevano fatto i prescritti segnali di riconoscimento. Comunque, all’Ufficio di Collegamento tedesco presso la Regia Aeronautica fu espresso rincrescimento per la perdita degli otto membri degli equipaggi dei due Ju. 88, ai quali furono tributate a Cagliari solenni onoranze funebri.

Tra le 12.00 e le 13.30, mentre la Forza F stava transitando a sud della Sardegna – con i caccia delle portaerei che erano impegnati contro i ricognitori Ju. 88 tedeschi e in particolare contro i più facili bersagli costituiti dai Cant Z. 1007 bis italiani del 51° Gruppo Ricognizione Strategica, tre dei quali furono abbattuti – si sviluppò, da parte dell’Asse, il più grande attacco in massa di tutta la guerra combattuta nel Mediterraneo. Vi parteciparono, con decollo dalle basi della Sardegna ben 116 velivoli italiani, inclusi 42 aerosiluranti, e provenienti dalla Sicilia, trentasette bombardieri Ju. 88 del KG.54 e KG.77, scortati da 21 caccia Bf. 109 del I./JG.77. Ma a dispetto del gran numero di aerei impiegati, e della perdita di quattro aerei italiani abbattuti dai caccia delle portaerei, l’azione offensiva, che vide anche impegnati 8 tuffatori Cr. 42, 10 bombardieri S. 84 armati con motobombe FFF, 2 cacciabombardieri Re. 2001, e un velivolo S. 79 radiocomandato fornito di una bomba da 1000 chili e radioguidato da un Cant Z. 1007 bis, risultò un vero fallimento. Anche perché i 42 aerosiluranti dei gruppi 89°, 105°, 109°, 130° e del 2° e 3° Nucleo Addestramento, che attaccarono il convoglio su ambo i lati, lanciarono da troppo lontano, mentre l’S. 79 radiocomandato deviò dalla sua rotta a causa di un guasto all’apparato di guida del Cant Z. 1007 bis, il cui personale tecnico non riuscì a correggere l’anomalia. Ne risultò che soltanto due speciali bombe perforanti da 630 chili, sganciate a volo radente dai Re. 2001 (tenenti Vaccari e Robone), raggiunsero il bersaglio, costituito dalla Victorious; ma a causa della bassa quota di sganciò, di soli 20 metri, vi fu un ritardo all’attivazione della spoletta, e le bombe scivolarono sul ponte di volo corazzato per poi una deflagrare e l’altra esplodere in mare, procurando alla nave portaerei soltanto lievi danni.

Anche l’azione degli Ju. 88, che attaccarono per ultimi in picchiata, fu deludente dal momento che i bombardieri tedeschi riuscirono a danneggiare il solo piroscafo Deucalion, che poi proseguì la navigazione scortato dal solo piccolo cacciatorpediniere di scorta Bramham.

Dopo questa serie di attacchi, superati senza troppi danni, la Forza F passò a circa 20 miglia a nord dell’isola Galite e trascorse il resto del pomeriggio ad evitare con successo attacchi di sommergibili italiani, affondando, come detto, il Cobalto con il cacciatorpediniere Ithuriel. Quasi contemporaneamente fu fronteggiata un’incursione di 8 tuffatori Cr. 42 italiani scortati da caccia Re. 2001, uno dei quali fu abbattuto dagli intercettori delle portaerei britanniche, che successivamente distrussero anche un ricognitore S. 79 dell’Aeronautica della Sicilia, i cui reparti offensivi iniziarono gli attacchi alle 18.35. Vi parteciparono 14 aerosiluranti S. 79 del 132° Gruppo (cap. Ugo Rivoli) e 8 Ju. 87 del 102° Gruppo Bombardamento a Tuffo (cap. Antonio Cumbat), scortati da 28 caccia Mc. 202 del 51° Stormo (ten. col, Aldo Remondino), a cui si aggiunsero 20 Ju. 87 tedeschi del 1° Gruppo del 3° Stormo Stuka (cap. Martin Mussdorf), decollati da Trapani, scortati da caccia Bf. 109 del II./JG.53 (cap. Gerhard Michalski).

L’attacco, coordinato, si svolse a 120 miglia a ovest della Sicilia, e sebbene fosse stato nuovamente contrastato dai caccia della Victorious e della Indomitable, il cui lavoro – considerato “magnifico” dal comandante delle portaerei contrammiraglio L. Lyster – non poté questa volta impedire il verificarsi di gravi danni. Gli Ju. 87 italiani, due dei quali furono abbattuti, riuscirono a colpire la corazzata Rodney con una bomba da 500 chili, che però (com’è scritto nel diario della nave) esplose fuori bordo dopo essere slittata su una torre protetta dei cannoni principali da 409 mm. Subito dopo attaccarono gli Ju. 87 tedeschi, che concentrarono la loro azione sulla Indomitable, colpendola con tre bombe e mettendone fuori uso il ponte di volo. Infine sopraggiunsero gli aerosiluranti S. 79, uno dei quali, della 278^ Squadriglia, riuscì a colpire il cacciatorpediniere della Forza X Foresight, il quale, dopo un lungo tentativo di rimorchio, dovette essere affondato l’indomani dal sezionarlo Tartar.

Questa serie di successi non doveva restare isolata, perché circa un’ora più tardi, quando il vice ammiraglio Syfret aveva anticipato l’inversione di rotta della Forza Z, per portare al più presto la danneggiata Indomitable lontana dagli aeroporti dell’Asse, il convoglio e il suo gruppo di scorta, la Forza X, entrarono nel Canale del Banco Skerki, in cui erano concentrati ben cinque sommergibili italiani. Gli attacchi da essi portati, in quella zona di mare situata a nord di Biserta, ebbero per i britannici conseguenze inimmaginabili. L’Axum (ten. vasc. Renato Ferrini) attaccò nel momento in cui il convoglio stava mutando la sua formazione da quattro a due colonne per manovrare in acque ristrette, e con un brillante lancio di quattro siluri riuscì a colpire gli incrociatori Nigeria e Cairo e la petroliera Ohio. Il Nigeria, fortemente sbandato, dovette invertire la rotta scortato da 4 cacciatorpediniere; il Cairo, colpito da due siluri, fu affondato dal cacciatorpediniere Pathfinder; mentre la Ohio, rimasta inizialmente immobilizzata, proseguì la rotta per Malta arretrata dal convoglio.

Il fatto che la metà della scorta della Forza X, inizialmente costituita, dopo la perdita del Foresight, da 11 cacciatorpediniere, fosse stata subito impegnata in soccorso delle navi danneggiate e il fatto che i due incrociatori colpiti si fossero trovati a capofila delle due colonne del convoglio, ebbe quale conseguenza uno sbandamento delle navi mercantili. Esse si trovarono scarsamente protette proprio nel momento in cui, tra le 20.30 e le 21.30, il II Fliegerkorps portava a compimento un micidiale attacco crepuscolare, con 30 bombardieri Ju. 88 del KG.54 e del KG.77 e con 7 aerosiluranti He. 111 della 6/KG.26, che fu agevolato dal fatto che i caccia a lungo raggio Beufighter, provenienti da Malta per assumere la scorta del convoglio, non poterono rintracciare al buio i velivoli attaccanti. Il piroscafo Empire Hope fu colpito da una bomba e dovette essere affondato, mentre il Clan Ferguson, raggiunto da un siluro, esplose rimanendo poi a galla come un relitto al quale più tardi il sommergibile italiano Bronzo (ten. vasc. Cesare Buldrini) dette il colpo di grazia. Altri 2 aerosiluranti rintracciarono ed affondarono il danneggiato Deucalion, che scortato dal cacciatorpediniere Bramham seguiva il convoglio costeggiando la costa della Tunisia, mentre il Brisbane Star, anch’esso colpito da un siluro sganciato da un He. 111 della 6/KG.26, fu in grado di continuare isolato la navigazione.

Infine, in mezzo a questa mischia, si fece largo il sommergibile italiano Alagi (ten. vasc. Sergio Puccini) che alle 21.05 colpì con un siluro all’estrema prora l’incrociatore Kenya, che però poté proseguire la navigazione con il convoglio. Dopo questo nuovo infortunio, i piroscafi inglesi si trovarono ampiamente disseminati in tutte le direzioni proprio quando, avvicinandosi a Capo Bon, con la scorta ridotta ai due incrociatori Manchester e Kenia e sei cacciatorpediniere – poi rafforzata al mattino del 13 agosto con l’incrociatore Charybdis e altri due cacciatorpediniere staccatisi dalla Forza Z – il convoglio stava per iniziare la navigazione notturna in una zona insidiata dai mas e dalle motosiluranti italiane e tedesche, in agguato tra la costa della Tunisia e l’isola di Pantelleria. Ne seguì una serie di arditi e micidiali attacchi che vide protagoniste le unità italiane. Dopo l’attacco di due motosiluranti tedesche della 3^ Flottiglia, una delle quali, la S 58 (sottot. di vasc. Siegrfried Wuppermann) restò colpita da una granata, arrivarono al lancio, alle 01.00 del 13 agosto, le motosiluranti italiane della 2^ Flottiglia MS 16 (capitano di corvetta Giorgio Manuti) e MS 22 (ten. vasc. Franco Mezzadra. Uno dei siluri, probabilmente lanciato dalla MS 22, colpì il Manchester, l’unico incrociatore della formazione britannica ancora indenne, il quale, rimasto immobilizzato presso Kelibia, con il timone e le caldaie inutilizzabili, dovette essere affondato.

Alle 01.47, la MS 31 (ten. vasc. Antonio Calvani) affondò con due siluri il piroscafo Glenorchy. Successivamente, dopo altre azioni non confortate dal successo condotte da motosiluranti tedesche, in una serie di attacchi, che proseguirono fino all’alba contro i mercantili isolati, i Mas della 18^ e 20^ Squadriglia colpirono 4 piroscafi. Furono affondati dai Mas 557 (guardiamarina Battista Cafiero) e 552 (sott. vasc. Rolando Parasso) il piroscafo statunitense Santa Elisa e il britannico Wairangi, mentre il Mas 554 (sottoten. Vasc. Marco Calcagno) immobilizzò il piroscafo statunitense Santa Elisa, che poi al mattino ricevé il colpo di grazia dalle bombe sganciate da uno Ju. 88 del KG.54. Invece, il piroscafo britannico Rochester Castle, pur colpito da un siluro lanciato dal Mas 564 (nocchiere 2^ cl. Giuseppe Iofrate), poté proseguire nella sua navigazione a 13 nodi, raggiungendo poco dopo la testa del convoglio.

Quando alle prime luci dell’alba – essendo stato raggiunto dall’incrociatore Charybdis e dai due cacciatorpediniere di squadra Eskimo e Somali, staccatasi dalla Forza Z – il contrammiraglio Burrought poté fare il conto di quante navi gli rimanevano, egli constatò che il grosso del convoglio era ridotto a 2 incrociatori (uno dei quali, il Kenya, con falla di siluro), 7 cacciatorpediniere e 5 navi mercantili. A questo punto, mentre le navi britanniche cominciavano ad essere attaccate dagli aerei tedeschi e italiani di base in Sicilia, avrebbe dovuto verificarsi l’intervento dei 6 incrociatori e degli 11 cacciatorpediniere italiani, che la sera del 12 agosto si erano riuniti nel basso Tirreno, presso Ustica, provenienti da Messina, Napoli e Spezia. Ma il temuto attacco navale, che avrebbe certamente avuto effetti disastrosi per le navi britanniche, non si verificò in quanto le unità italiane della 3^ e 7^ Divisione Navale, che erano al comando dell’ammiraglio Angelo Parona, avevano avuto l’ordine di rientrare alle basi quando già si trovavano a sud-ovest di Marsala. Era infatti accaduto che, sulla base di due avvistamenti di sommergibili (Alagi e Bronzo) che segnalarono a nord delle coste della Tunisia unità navali dirette verso levante, a cui si aggiunse un avvistamento di un ricognitore Cant Z. 506 della 146^ Squadriglia della Ricognizione Marittima, che la sera del 12 agosto aveva segnalò presso l’isola dei Cani tre grandi navi che stavano seguendo il convoglio (erano lo Charybdis e i suoi due cacciatorpediniere di scorta) a Supermarina vi fu il sospetto che tra quelle unità vi fosse almeno di una corazzata, destinata a sostenere il transito delle altre navi nel Canale di Sicilia. All’idea di trovare l’indomani una nave da battaglia nelle acque di Pantelleria, si aggiunse il bleuf della R.A.F , realizzato con due velivoli da ricognizione Wellington del 69° Squadron dotati di radar, che tenevano sotto osservazione le divisioni navali italiane, Essi, contraddistinti con lettere O (Orange) e Z (Zebra), simularono falsi attacchi con bombe, per poi scambiare con il loro Comando di Malta messaggi fittizi, intercettati dagli italiani, da cui si deduceva si sarebbe svolto un massiccio attacco notturno con aerosiluranti.

Ve ne era abbastanza per il sempre timoroso ammiraglio Riccardi – che era appoggiato ai vertici di Supermarina dal suo vice ammiraglio Vito Sansonetti – per premere al Comando Supremo per la sospensione della missione; e dal momento che il generale Cavallero era altrettanto preoccupato, al Capo del Comando Supremo non fu difficile, verso la mezzanotte, convincere per telefono un mortificato Mussolini ad autorizzare la ritirata delle navi. La decisione di aver deciso di sospendere l’azione fu motivata da Cavallero, presso il Duce, con il fatto che l’ammiraglio Riccardi la riteneva “troppo pericolosa per la Marina”, e che occorreva non far correre alle navi “un rischio non pagato da un rendimento corrispondente”. A Mussolini la ritirata delle navi dovette costare parecchio, e indubbiamente la autorizzò con molto rimpianto perché, come annotò nel suo diario il Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano, ciò significò far mancare nella battaglia “il cannone della Marina”. In tal modo fu impedito di trasformare un brillante successo tattico dei sommergibili, delle unità insidiose e degli aerei dell’Asse in una vittoria strategica, forse decisiva per le sorti di Malta.

Purtroppo, come se il fato avesse voluto punire la scarsa energia dimostrata in quell’occasione dai capi militari italiani, in particolare di quelli della Marina, le divisioni navali dell’ammiraglio Parona, trovandosi sulla rotta del rientro a Messina, passando per le isole Iolie, furono attaccate dal sommergibile britannico Unbroken (tenente di vascello A.C.G. Mars), che su ordine del Comando della 10^ Flottiglia di Malta si era spastato verso nord dalla zona di agguato al largo di Milazzo. L’Unbroken, ripetendo quanto l’Axum aveva fatto contro il convoglio dodici ore prima, silurò simultaneamente al largo di Lipari gli incrociatori Muzio Attendolo, che ebbe asportata l’intera prora, e Bolzano, che fu portato in secca sulla spiaggia di Lisca Bianca, a Panarea. L’Attendolo, scortato dai cacciatorpediniere, raggiunse Messina con i suoi mezzi; il Bolzano messo in condizioni di navigare dopo un mese di duro lavoro, che comportò di stendere intorno alla nave incagliata uno sbarramento retale, fu rimorchiato a Napoli. Sebbene si fossero entrambi salvati i due incrociatori non poterono ultimare i lavori di riparazione e rimasero per sempre fuori combattimento. L’Attendolo fu affondato a Napoli il 4 dicembre 1942 in un attacco di venti bombardieri B. 24 del 98° e 376° Gruppo della 12^ Air Force statunitense; il Bolzano – spostato alla Spezia per le definitive riparazioni, in seguito agli avvenimenti dell’8 settembre 1943, seguiti all’armistizio dell’Italia – caduto in mani tedesche finì i suoi giorni in quel porto ligure, dopo che il 2 giugno 1944 era stato affondato dal mezzo d’assalto britannico “chariot” del tenente di vascello M.R. Causer.

Venuto a mancare l’intervento delle navi di superficie italiane, fu soprattutto l’attività della Luftwaffe che procurò al convoglio britannico nuovi danni, affondando nel corso della giornata del 13 agosto i piroscafi Waimarama e Dorset, rispettivamente ad opera dei bombardieri Ju 88 del II./LG.1 e dei tuffatori Ju. 87 del I./St.G.3. Fallirono invece con forti perdite, determinate dalla reazione degli Spitfire di Malta che avevano assunto fin dal mattino la scorta ad ombrello delle navi, gli attacchi portati dagli aerosiluranti e dai bombardieri in picchiata dell’Aeronautica della Sicilia; attacchi che furono, continuati, dopo l’arrivo alla Valletta dei quattro superstiti piroscafi del convoglio, anche nella giornata del 14 contro la petroliera Ohio, rimastra arretrata e faticosamente trascinata da tre cacciatorpediniere, a cui si aggiunsero i mezzi di soccorso di Malta. Sebbene la Ohio fosse stata colpita dalle bombe, una delle quali, da 500 chili, sganciata da un Ju. 87 italiano del 102° Gruppo B. a T. e caduta vicino allo scafo aprì un grosso squarcio a poppa – aumentando nelle cisterne gli allagamenti causati dal siluro del sommergibile Axum – l’appesantita petroliera, sostenuta sui fianchi e trainata dai cacciatorpediniere, il mattino del 15 riuscì faticosamente a raggiungere il porto della Valletta. Qui affondò, in modo irrecuperabile, dopo aver scaricato il suo prezioso carico di 11 000 t di benzina avio, che era ritenuta indispensabile per permettere alle forze aeree dell’isola di continuare a svolgere la loro preziosa attività difensiva ed offensiva.

Nel frattempo nel corso della mattinata del 14 agosto, il massimo sforzo della Luftwaffe e della Regia aeronautica era stato rivolto contro le unità della Forza X (2 incrociatori e 5 cacciatorpediniere) che, dopo aver accompagnato i resti del convoglio WS 21/S presso Malta, avevano invertito la rotta per rientrare a Gibilterra. In rotta verso la zona a nord di Algeri, dove erano attesi da un nucleo della Forza Z, non impegnato nella scorta alle unità gravemente danneggiate che stavano dirigendo verso Gibilterra (portaerei Indomitable e incrociatore Nigeria), la Forza X fu duramente attaccata a nord delle coste dell’Algeria, dapprima dai bombardieri del II Fliegerkorps e poi dai bombardieri e dagli aerosiluranti della Regia Aeronautica, decollati dalla Sicilia e dalla Sardegna. Nel corso di questi attacchi, a cui parteciparono da parte tedesca … Ju. 88, … Ju. 87, e da parte italiana …. S. 84 e …. S. 79, soltanto l’incrociatore Kenya riportò danni per una bomba caduta vicino allo scafo, ma fu in grado di proseguire nella sua navigazione verso ponente, mantenendo la velocità della formazione. Da parte della Luftwaffe, a causa della sola reazione contraerea, dal momento che nessun caccia britannico venne a trovarsi sul cielo delle navi, andarono perduti uno Ju. 88 e uno Ju. 87. Nessuna perdita subì la Regia Aeronautica, anche se parecchi velivoli rientrarono alle basi seriamente danneggiati.

Quella che è passata alla Storia come la battaglia di “Mezzo Agosto” rappresentò una vittoria delle forze aeronavali dell’Asse, che fu resa possibile , sotto l’aspetto strettamente militare, dall’ampiezza e dalla ripartizione delle forze impiegate e dall’acume tattico con cui esse furono distribuite nel piano d’impiego. Purtroppo non raggiunse il meritato trionfo a causa dell’inopportuno ritiro degli incrociatori delle 2 divisioni navali italiane. Particolarmente lusinghieri furono i risultati conseguiti nella battaglia dalla Kriegsmarine, con l’affondamento della portaerei Eagle; dai mezzi subacquei e insidiosi della Regia Marina, che eliminarono 2 incrociatori (Cairo e Manchester) e 4 piroscafi, e danneggiarono altri 2 incrociatori (Nigeria e Kenia), una petroliera e 2 piroscafi; e dalla Luftwaffe che, impiegando complessivamente 650 aerei, affondò 5 piroscafi e danneggiò gravemente la portaerei Indomitable. Risultati di minore entità ottenne invece la Regia Aeronautica, poiché a dispetto dei 628 velivoli impiegati nella battaglia, fu affondato un solo cacciatorpediniere, a cui si aggiunse il grave danneggiamento della petroliera Ohio – già colpita dal sommergibile Axum e dai velivoli della Luftwaffe – e il lieve danneggiamento della portaerei Victorious e della corazzata Rodney. Alle perdite navali subite dai britannici si aggiunsero 36 velivoli, 29 dei quali appartenenti alle portaerei e 6 alla R.A.F. di Malta, mentre da parte dell’Asse andarono perduti 50 velivoli (32 italiani e 18 tedeschi), cui si aggiunse quella di due sommergibili italiani e il danneggiamento degli incrociatori Attendolo e Bolzano, che restarono per sempre immobilizzati.

Se le forze dell’Asse ottennero una notevole vittoria tattica, invece dal punto di vista strategico, l’operazione “Pedestal” fu un indubbio successo britannico, poiché l’arrivo a Malta di 32.000 t di rifornimenti, tra carico bellico, viveri e combustibile, permise all’isola di incrementare le scorte fino all’inverso del 1942. Ma soprattutto, l’isola potè tornare nuovamente a disporre della benzina necessaria per riprendere le micidiali azioni aeree offensive contro il traffico dell’Asse diretto in Libia, proprio nel momento in cui si decideva la battaglia di El Alamein. Le perdite inflitte in mare ai rifornimenti dell’Asse, contribuirono non poco al successo dell’offensiva terrestre dell’8^ Armata del generale Montgomery.

Occorre però dire che le forti perdite subite dai britannici nel corso dell’Operazione “Pedestal”, costituirono il fattore di maggiore pressione nel convincere gli Alleati a ritenere che un nuovo tentativo di avvicinarsi al Canale di Sicilia sarebbe stato pagato in modo ancora più severo. Di ciò furono particolarmente convinti gli statunitensi che, nel pianificare l’invasione del Nord Africa Francese (operazione Torch), poi attuata nel novembre del 1942, si opposero fermamente alle richieste dei loro colleghi britannici di sbarcare a Biserta. Limitando le operazioni anfibie ad Orano ed Algeri, per tenersi il più lontano possibile fuori dal raggio d’azione dei mezzi aeronavali dell’Asse, gli anglo-americani concessero a italiani e tedeschi di potersi impossessare rapidamente della Tunisia e di conseguire con ciò l’indubbio successo strategico di ritardare la perdita dell’Africa al maggio del 1943.”

Francesco Mattesini

Roma, 13 Agosto 2015

BETASOM - Battaglia Di Mezzo Agosto[modifica wikitesto]

Inviato 29 marzo 2008 - 10:59

Dopo il fallimento a metà giugno delle operazioni Harpoon e Vigorous, che comportarono la perdita di 6 navi mercantili, sulle 17 avviate da Malta dalla Gran Bretagna e dai porti del Mediterraneo orientale, e l’arrivo a Malta di due soli piroscafi, l’Orari e il Troilus, negli ambienti britannici di Londra e del Medio oriente vi fu molto scetticismo sulle possibilità di resistenza di Malta, e sulla convenienza di effettuare un altro tentativo di rifornimento, che avrebbe comportato un grande spiegamento di mezzi, e perdite rilevanti, come aveva dimostrato l’esperienza. Inoltre, a differenza di quanto era stato pianificato nel mese di giugno, doveva essere seguita una sola rotta: quella del Mediterraneo occidentale, dal momento che, ad oriente, tutte le basi aeree della Cirenaica e dell’Egitto fino ad El Alamein, erano cadute in mano alle forze dell’Asse. Winston Churchill, che per temperamento e determinazione non era secondo a nessuno, si mostrò deciso di non abbandonare al suo destino l’isola fortezza assediata, e scrivendo al Primo Lord del Mare, ammiraglio Dudley Pound, sostenne: “Il destino di Malta è in gioco e devo poter assicurare il Governo che la Marina non l’abbandonerà mai”. L’ammiraglio Pound e il signor Hon A.V. Alexander, Primo Lord dell’Ammiragliato, condivisero il punto di vista del Primo Ministro nei riguardi di un eventuale abbandono di Malta, considerata una perdita disastrosa per l’Impero britannico e fatale alla difesa della Valle del Nilo. Pertanto, nel corso del mese di luglio, l’Ammiragliato britannico, riunendo forze navali sottratte ai più svariati scacchieri di guerra, come l’Artico e l’Oceano Indiano, pianificò la Pedestal, organizzando a Greenock (Clyde) un convoglio veloce, costituito da quattordici grosse navi da trasporto e da una petroliera, a cui furono assegnati, riuniti nella Forza F (vice ammiraglio E. N. Syfret), due gruppi di scorta. Il primo gruppo, denominato Forza Z e destinato ad accompagnare il convoglio fino al canale di Sicilia, fu costituito con le corazzate Nelson (vice ammiraglio Syfret) e Rodney, le navi portaerei Victorious, Indomitable ed Eagle, gli incrociatori Sirius, Phoebe e Charybdis e 12 cacciatorpediniere. Il secondo gruppo, la Forza X destinata ad accompagnare il convoglio fino agli approcci di Malta per poi tornare indietro a Gibilterra, disponeva degli incrociatori Nigeria (ammiraglio Harold Martin Burrough), Kenya e Mancester, del piccolo e vecchio incrociatore Cairo – il vincitore della battaglia di Pantelleria – e di altri 12 cacciatorpediniere. Vi era poi un gruppo di rifornimento in mare, costituito da 2 petroliere e da 4 corvette di scorta, a cui furono aggregati, quali navi di salvataggio, 2 grossi rimorchiatori. Per la scorta aerea e l’eventuale intervento offensivo erano disponibili sulle navi portaerei 72 velivoli da caccia, tra Hurricane, Fulmar e Martlet, e 28 aerosiluranti Albacore. Dal momento che il Comando della R.A.F. di Malta aveva chiesto di reintegrare le perdite di velivoli da caccia, quantificate in 17 velivoli alla settimana, fu deciso di inviare sulle 3 basi dell’isola, in 2 spedizioni successive, altri 60 Spitfire tramite la portaerei Furious, che inizialmente fu aggregata al movimento del convoglio verso levante, fino all’altezza di Algeri, accompagnata da 8 cacciatorpediniere. Furono poi mobilitate anche le forze navali di Malta, costituite da 4 dragamine di squadra e da 7 motolance, e vennero inviati in agguato 9 sommergibili presso le principali basi nemiche, in particolare a nord della Sicilia e a levante di Pantelleria per ostacolare l’eventuale intervento di navi di superficie italiane. Con l’operazione Ascendant fu poi programmato di riportare a Gibilterra i 2 piroscafi arrivati a Malta a metà giugno, accompagnati da 2 cacciatorpediniere che erano stati riparati a La Valletta dopo i danni per mine riportati nel corso di quell’operazione, l’Harpoon. Infine, dopo che la R.A.F. aveva inviato a Malta notevoli rinforzi dall’Inghilterra e dal Medio Oriente, portando il quantitativo di velivoli al numero di circa 280 – inclusi più di 200 caccia tra Spitfire e Beaufighter, ed il resto aerosiluranti, bombardieri e ricognitori – allo scopo di creare una diversione nel Mediterraneo orientale, fu pianificata l’operazione MG. 3. Il suo scopo come scrisse il Comandante della Mediterranean Fleet, ammiraglio Harwood, era quello di impedire “che il nemico potesse impiegare tutto il peso delle sue forze navali ed aeree contro il convoglio proveniente da Gibilterra”. L’operazione MG. 3, pertanto, consistette nel far partire dai porti del Mar del Levante un convoglio fittizio di 4 piroscafi che, scortato dai 4 incrociatori Cleopatra (contrammiraglio Vian), Dido, Arethusa e Euryalus, e quindici unità di scorta, una volta localizzato dai ricognitori dell’Asse, doveva disperdersi e rientrare alle basi dopo aver raggiunto, la sera dell’11 agosto, una zona situata a nord di Alessandria. Nella notte tra il 9 e il 10 agosto, dopo che le 3 portaerei della Forza F, a cui si aggiunse temporaneamente anche la vecchia Argus, avevano svolto, nel corso della navigazione in Atlantico, un ciclo di esercitazioni ritenuto necessario per permettere agli aerei imbarcati di affinare le tattiche di combattimento, il convoglio ed il suo poderoso nucleo di scorta – il maggiore che fosse stato impiegato nella seconda guerra mondiale per proteggere un solo convoglio di rifornimento – superarono lo stretto di Gibilterra ed entrarono nel Mediterraneo, per poi proseguire con rotta est. Il movimento fu subito percepito dagli agenti dell’Asse ubicati sulle coste meridionali della Spagna e in quelle del Marocco spagnolo, e nella giornata del 10 agosto, durante una riunione tenutasi a Roma, presso il Comando Supremo, presenti alti ufficiali della Marina, dell’Aeronautica italiana e dell’O.B.S., fu pianificata l’azione di contrasto delle forze aeronavali dell’Asse. Tuttavia, forse non rendendosi conto di quale importanza rivestiva un intervento di tutte le forze navali per far fallire l’operazione britannica, fu escluso l’impiego delle 4 corazzate efficienti presenti a Taranto (Vittorio Veneto, Andrea Doria, Duilio e Giulio Cesare) motivandolo per deficienza di nafta e sostenendo che l’intervento di quelle navi da battaglia avrebbe comportato di consumare l’intera quantità di combustibile della scorta intangibile destinato all’applicazione della Di. Na. n. 7; ossia all’Azione a massa aeronavale pianificata per intervenire contro la flotta britannica, che era proprio l’occasione che si stava presentando in quel momento, perché nella Di. Na. 7 era previsto il contrasto ad ogni iniziativa nemica verso il Mediterraneo centrale. Fu disposto di attuare un ampio schieramento di 22 sommergibili (2 tedeschi) tra le Baleari e Malta, l’impiego di dodici motosiluranti (6 tedesche) e di una dozzina di Mas nel Canale di Sicilia, e l’attuazione, con il cacciatorpediniere Malocello, di uno sbarramento temporaneo di mine presso Capo Bon, in acque territoriali francesi. Dovendo poi decidere sull'eventuale intervento di 6 incrociatori (Gorizia, Bolzano, Trieste, Eugenio di Savoia, Montecuccoli e Attendolo) e 11 cacciatorpediniere a sud di Pantelleria, quando il convoglio britannico sarebbe stato abbandonato dalla sua potente scorta di copertura, il Sottosegretario di Stato e Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Riccardi mise bene in chiaro: “Naturalmente il movimento degli incrociatori è legato alla disponibilità di aerei da caccia”. Questi, avrebbero dovuto assicurare sul cielo delle navi una scorta continua con turni di otto velivoli alla volta, per fronteggiare, rispetto all’azione di giugno, un maggior numero di aerei presenti a Malta. Dal momento le aviazioni dell’Asse stavano preparandosi ad intervenire in forze contro il convoglio britannico, rinforzando i reparti da bombardamento e di aerosiluranti dislocati in Sicilia e in Sardegna, avendo a disposizione soltanto cinque gruppi da caccia di aerei moderni (3 italiani e 2 tedeschi) per scortare una massa di circa 400 velivoli offensivi, dovettero prendere un’estrema decisione. Non volendo essere assenti sul cielo della battaglia, assegnando gran parte dei suoi cinquanta caccia alla scorta alle navi, il Comando del II Fliegerkorps sostenne di non essere in grado di farlo; ed anche Superaereo, pur riconoscendo le necessità della Marina si mostro molto restio ad accontentarla, almeno in parte, cedendo alla scorta delle navi tutti quei velivoli meno competitivi (Cr. 42, Mc. 200, Re. 2000, Cr. 25) di cui si poteva fare a meno per scortare le sue imponenti formazioni offensive. Dopo molte discussioni, proseguite nelle giornate dell’11 e del 12 agosto, il maresciallo Cavallero, Capo del Comando Supremo, riuscì a convincere il generale Fougier, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, ad assegnare, per il giorno 13 in cui era previsto l’intervento navale, un appoggio aereo sostanzioso che prevedeva l’impiego di turni di scorta di sei velivoli. In tal modo, prevedendo che ogni caccia effettuasse almeno due missioni, si riduceva da 60 a 45 il numero dei velivoli necessari per scortare le navi. Gli attacchi contro il convoglio, iniziati nelle prime ore dell’11 agosto da parte del sommergibile italiano Uarsciek, che lancio i siluri contro la portaerei Furious senza riuscire a colpira, furono poi continuati nelle prime ore del pomeriggio – proprio mentre la Furious, trovandosi a nord di Algeri, stava lanciando i suoi 37 Spitfire diretti a Malta – dall’U 73. Questo sommergibile tedesco, comandato dal ten. vasc. Helmut Rosembaum, approfittando del fatto che 11 dei 24 cacciatorpediniere avevano abbandonato le assegnate posizioni di scorta del convoglio per rifornirsi alle petroliere, alle 13.00 superò abilmente il ridotto schermo difensivo ed attaccò, nei quartieri poppieri di sinistra la portaerei Eagle, colpendola con quattro siluri lanciati da una distanza di soli 400 metri. La portaerei affondò nello spazio di 8 minuti, e la perdita dei suoi 16 velivoli da caccia privò la Forza F del 20% della sua forza aerea di protezione, che durante tutta la mattinata era stata intensamente impegnata contro gli Ju. 88 tedeschi della 2^ Squadriglia del 122° Gruppo Ricognizione Strategica (2(F)/122). I rilevamenti dei ricognitori tedeschi, i soli impiegati nel corso dell’11 agosto dal momento che l’intervento di quelli italiani (Cant Z. 1007 bis del 51° Gruppo R.S.) era stato previsto per la giornata del 12, servirono al Comando del II. Fliegerkorps per fornire precisi dettagli fotografici ai reparti offensivi. L’azione, a cui parteciparono 28 bombardieri Ju. 88 degli stormi KG. 54 e del KG. 77 e tre aerosiluranti He. 111 della 6^ Squadriglia del 26° Stormo Bombardamento (6/KG.26), si sviluppò poco dopo il tramonto del sole. Ciò permise alla maggior parte dei velivoli tedeschi di eludere l’intervento dei caccia delle portaerei, che riuscirono ad abbattere soltanto uno Ju. 88 del KGr. 806. Un altro velivolo di questo gruppo fu distrutto, mentre attaccava in picchiata, dall’intenso fuoco contraereo delle navi, che da parte loro non riportarono alcun danno. Quasi contemporaneamente, allo scopo di menomare il potenziale aereo offensivo dell’Asse concentrato sugli aeroporti della Sardegna, al tramonto dell’11 agosto una formazione di nove caccia a lungo raggio Beaufighter del 248^ Squadron della R.A.F. (ten. col. Thomas Geoffrey Pike), decollati da Malta, effettuò a volo radente una micidiale azione di mitragliamento contro gli aerei parcheggiati ad Elmas e Decimomannu. Furono colpiti e incendiati parecchi velivoli arrivati dal continente, e che non erano stati ancora decentrati perché si trovavano in fase di rifornimento. Cinque aerosiluranti S. 79 andarono completamente distrutti, ed altri 14 rimasero più o meno danneggiati; e ciò ridusse sensibilmente l’efficienza della massa offensiva italiana, che doveva entrare in azione l’indomani. Mentre il convoglio proseguiva la sua navigazione, affrontando una navigazione notturna alquanto tranquilla, il cacciatorpediniere Wolverine – una delle navi di scorta della portaerei Furious che stava rientrando a Gibilterra per imbarcare altri Spitfire destinati a Malta – transitando nelle prime ore del 12 agosto a sud delle isole Baleari localizzò in superficie il sommergibile italiano Dagabur, e lo speronò affondandolo con l’intero equipaggio. Un altro sommergibile italiano, il Giada, trovandosi spostato più a levante, fu attaccato e danneggiato al mattino da due idrovolanti Sunderland del 202° Gruppo della R.A.F. Avendo riportato molti feriti gravi, prima di rientrare alla Maddalena, fu costretto a raggiungere il porto spagnolo di Valencia per sbarcarvi gli uomini più menomati. Infine, il sommergibile Cobalto fu localizzato ed affondato nel pomeriggio dal cacciatorpediniere Ithuriel, che poi ne recuperò i superstiti. Sempre al mattino del 12, dopo le prime segnalazioni giunte dai ricognitori Ju. 88 tedeschi della 2(F)/122 – che decollando dalla Sardegna erano stati rinforzati nelle loro missioni esplorative dai velivoli del KGr.606 – la Forza F fu attaccata da una formazione di diciassette bombardieri del 1° e 2° Gruppo del 1° Stormo Sperimentale (I. e II./LG.1). Gli Ju 88 dei due gruppi, che appartenevano al X Fliegerkorps ed erano rispettivamente comandati dal capitano Jochim Helbig e dal maggiore Gerhard Kollewe, furono però intercettati a 16 miglia dal convoglio da 16 caccia decollati su allarme radar dalle portaerei Victorious e Indomitable, e sebbene fossero riusciti a passare sganciando le bombe in picchiata, non ottennero alcun risultato e persero ben cinque dei diciassette velivoli attaccanti. Altri due Ju. 88 del II./LG.1, che erano stati costretti per guasti meccanici a dirigere verso la Sardegna, giunti nella zona del Golfo di Cagliari ed attaccati, per mancato riconoscimento, da due velivoli G. 50 italiani del 24° Gruppo Caccia Terrestre (sottotenenti pilota Suppo e Rodolfi), furono entrambi abbattuti dopo essere stati anche inquadrati dal tiro dalle batterie contraeree. Alle proteste tedesche, da parte di Superaereo fu risposto, con una certa stizza, che i velivoli tedeschi, avvicinandosi a Cagliari, non avevano fatto i prescritti segnali di riconoscimento. Comunque, all’Ufficio di Collegamento tedesco presso la Regia Aeronautica fu espresso rincrescimento per la perdita degli otto membri degli equipaggi dei due Ju. 88, ai quali furono tributate a Cagliari solenni onoranze funebri. Tra le 12.00 e le 13.30, mentre la Forza F stava transitando a sud della Sardegna – con i caccia delle portaerei che erano impegnati contro i ricognitori Ju. 88 tedeschi e in particolare contro i più facili bersagli costituiti dai Cant Z. 1007 bis italiani del 51° Gruppo Ricognizione Strategica, tre dei quali furono abbattuti – si sviluppò, da parte dell’Asse, il più grande attacco in massa di tutta la guerra combattuta nel Mediterraneo. Vi parteciparono, con decollo dalle basi della Sardegna ben 116 velivoli italiani, inclusi 42 aerosiluranti, e provenienti dalla Sicilia, trentasette bombardieri Ju. 88 del KG.54 e KG.77, scortati da 21 caccia Bf. 109 del I./JG.77. Ma a dispetto del gran numero di aerei impiegati, e della perdita di quattro aerei italiani abbattuti dai caccia delle portaerei, l’azione offensiva, che vide anche impegnati 8 tuffatori Cr. 42, 10 bombardieri S. 84 armati con motobombe FFF, 2 cacciabombardieri Re. 2001, e un velivolo S. 79 radiocomandato fornito di una bomba da 1000 chili e radioguidato da un Cant Z. 1007 bis, risultò un vero fallimento. Anche perché i 42 aerosiluranti dei gruppi 89°, 105°, 109°, 130° e del 2° e 3° Nucleo Addestramento, che attaccarono il convoglio su ambo i lati, lanciarono da troppo lontano, mentre l’S. 79 radiocomandato deviò dalla sua rotta a causa di un guasto all’apparato di guida del Cant Z. 1007 bis, il cui personale tecnico non riuscì a correggere l’anomalia. Ne risultò che soltanto due speciali bombe perforanti da 630 chili, sganciate a volo radente dai Re. 2001, raggiunsero il bersaglio, costituito dalla Victorious; ma a causa della bassa quota di sganciò, di soli 20 metri, vi fu un ritardo all’attivazione della spoletta, e le bombe scivolarono sul ponte di volo corazzato per poi una deflagrare e l’altra esplodere in mare, procurando alla nave portaerei soltanto lievi danni. Anche l’azione degli Ju. 88, che attaccarono per ultimi in picchiata, fu deludente dal momento che i bombardieri tedeschi riuscirono a danneggiare il solo piroscafo Deucalion, che poi proseguì la navigazione scortato dal solo piccolo cacciatorpediniere di scorta Bramham. Dopo questa serie di attacchi, superati senza troppi danni, la Forza F passò a circa 20 miglia a nord dell’isola Galite e trascorse il resto del pomeriggio ad evitare con successo attacchi di sommergibili italiani, affondando, come detto, il Cobalto con il cacciatorpediniere Ithuriel. Quasi contemporaneamente fu fronteggiata un’incursione di 8 tuffatori Cr. 42 italiani scortati da caccia Re. 2001, uno dei quali fu abbattuto dagli intercettori delle portaerei britanniche, che successivamente distrussero anche un ricognitore S. 79 dell’Aeronautica della Sicilia, i cui reparti offensivi iniziarono gli attacchi alle 18.35. Vi parteciparono 14 aerosiluranti S. 79 del 132° Gruppo (cap. Ugo Rivoli) e 8 Ju. 87 del 102° Gruppo Bombardamento a Tuffo (cap. Antonio Cumbat), scortati da 28 caccia Mc. 202 del 51° Stormo (ten. col, Aldo Remondino), a cui si aggiunsero 20 Ju. 87 tedeschi del 1° Gruppo del 3° Stormo Stuka (cap. Martin Mussdorf), decollati da Trapani, scortati da caccia Bf. 109 del II./JG.53 (cap. Gerhard Michalski). L’attacco, coordinato, si svolse a 120 miglia a ovest della Sicilia, e sebbene fosse stato nuovamente contrastato dai caccia della Victorious e della Indomitable, il cui lavoro – considerato “magnifico” dal comandante delle portaerei contrammiraglio L. Lyster – non poté questa volta impedire il verificarsi di gravi danni. Gli Ju. 87 italiani, due dei quali furono abbattuti, riuscirono a colpire la corazzata Rodney con una bomba da 500 chili, che però (com’è scritto nel diario della nave) esplose fuori bordo dopo essere slittata su una torre protetta dei cannoni principali da 409 mm. Subito dopo attaccarono gli Ju. 87 tedeschi, che concentrarono la loro azione sulla Indomitable, colpendola con tre bombe e mettendone fuori uso il ponte di volo. Infine sopraggiunsero gli aerosiluranti S. 79, uno dei quali, della 278^ Squadriglia, riuscì a colpire il cacciatorpediniere della Forza X Foresight, il quale, dopo un lungo tentativo di rimorchio, dovette essere affondato l’indomani dal sezionarlo Tartar. Questa serie di successi non doveva restare isolata, perché circa un’ora più tardi, quando il vice ammiraglio Syfret aveva anticipato l’inversione di rotta della Forza Z, per portare al più presto la danneggiata Indomitable lontana dagli aeroporti dell’Asse, il convoglio e il suo gruppo di scorta, la Forza X, entrarono nel Canale del Banco Skerki, in cui erano concentrati ben cinque sommergibili italiani. Gli attacchi da essi portati, in quella zona di mare situata a nord di Biserta, ebbero per i britannici conseguenze inimmaginabili. L’Axum (ten. vasc. Renato Ferrini) attaccò nel momento in cui il convoglio stava mutando la sua formazione da quattro a due colonne per manovrare in acque ristrette, e con un brillante lancio di quattro siluri riuscì a colpire gli incrociatori Nigeria e Cairo e la petroliera Ohio. Il Nigeria, fortemente sbandato, dovette invertire la rotta scortato da 4 cacciatorpediniere; il Cairo, colpito da due siluri, fu affondato dal cacciatorpediniere Pathfinder; mentre la Ohio, rimasta inizialmente immobilizzata, proseguì la rotta per Malta arretrata dal convoglio.

Il fatto che la metà della scorta della Forza X, inizialmente costituita, dopo la perdita del Foresight, da 11 cacciatorpediniere, fosse stata subito impegnata in soccorso delle navi danneggiate e il fatto che i due incrociatori colpiti si fossero trovati a capofila delle due colonne del convoglio, ebbe quale conseguenza uno sbandamento delle navi mercantili. Esse si trovarono scarsamente protette proprio nel momento in cui, tra le 20.30 e le 21.30, il II Fliegerkorps portava a compimento un micidiale attacco crepuscolare, con 30 bombardieri Ju. 88 del KG.54 e del KG.77 e con 7 aerosiluranti He. 111 della 6/KG.26, che fu agevolato dal fatto che i caccia a lungo raggio Beufighter, provenienti da Malta per assumere la scorta del convoglio, non poterono rintracciare al buio i velivoli attaccanti. Il piroscafo Empire Hope fu colpito da una bomba e dovette essere affondato, mentre il Clan Ferguson, raggiunto da un siluro, esplose rimanendo poi a galla come un relitto al quale più tardi il sommergibile italiano Bronzo (ten. vasc. Cesare Buldrini) dette il colpo di grazia. Altri 2 aerosiluranti rintracciarono ed affondarono il danneggiato Deucalion, che scortato dal cacciatorpediniere Bramham seguiva il convoglio costeggiando la costa della Tunisia, mentre il Brisbane Star, anch’esso colpito da un siluro sganciato da un He. 111 della 6/KG.26, fu in grado di continuare isolato la navigazione. Infine, in mezzo a questa mischia, si fece largo il sommergibile italiano Alagi (ten. vasc. Sergio Puccini) che alle 21.05 colpì con un siluro all’estrema prora l’incrociatore Kenya, che però poté proseguire la navigazione con il convoglio. Dopo questo nuovo infortunio, i piroscafi inglesi si trovarono ampiamente disseminati in tutte le direzioni proprio quando, avvicinandosi a Capo Bon, con la scorta ridotta ai due incrociatori Manchester e Kenia e sei cacciatorpediniere – poi rafforzata al mattino del 13 agosto con l’incrociatore Charybdis e altri due cacciatorpediniere staccatisi dalla Forza Z – il convoglio stava per iniziare la navigazione notturna in una zona insidiata dai mas e dalle motosiluranti italiane e tedesche, in agguato tra la costa della Tunisia e l’isola di Pantelleria. Ne seguì una serie di arditi e micidiali attacchi che vide protagoniste le unità italiane. Dopo l’attacco di due motosiluranti tedesche della 3^ Flottiglia, una delle quali, la S 58 (sottot. di vasc. Siegrfried Wuppermann) restò colpita da una granata, arrivarono al lancio, alle 01.00 del 13 agosto, le motosiluranti italiane della 2^ Flottiglia MS 16 (capitano di corvetta Giorgio Manuti) e MS 22 (ten. vasc. Franco Mezzadra. Uno dei siluri, probabilmente lanciato dalla MS 22, colpì il Manchester, l’unico incrociatore della formazione britannica ancora indenne, il quale, rimasto immobilizzato presso Kelibia, con il timone e le caldaie inutilizzabili, dovette essere affondato. Alle 01.47, la MS 31 (ten. vasc. Antonio Calvani) affondò con due siluri il piroscafo Glenorchy. Successivamente, dopo altre azioni non confortate dal successo condotte da motosiluranti tedesche, in una serie di attacchi, che proseguirono fino all’alba contro i mercantili isolati, i Mas della 18^ e 20^ Squadriglia colpirono 4 piroscafi. Furono affondati dai Mas 557 (guardiamarina Battista Cafiero) e 552 (sott. vasc. Rolando Parasso) il piroscafo statunitense Almeria Lykes e il britannico Wairangi, mentre il Mas 554 (sottoten. Vasc. Marco Calcagno) immobilizzò il piroscafo statunitense Santa Elisa, che poi al mattino ricevé il colpo di grazia dalle bombe sganciate da uno Ju. 88 del KG.54. Invece, il piroscafo britannico Rochester Castle, pur colpito da un siluro lanciato dal Mas 564 (nocchiere 2^ cl. Giuseppe Iofrate), poté proseguire nella sua navigazione a 13 nodi, raggiungendo poco dopo la testa del convoglio. Quando alle prime luci dell’alba – essendo stato raggiunto dall’incrociatore Charybdis e dai due cacciatorpediniere di squadra Eskimo e Somali, staccatasi dalla Forza Z – il contrammiraglio Burrought poté fare il conto di quante navi gli rimanevano, egli constatò che il grosso del convoglio era ridotto a 2 incrociatori (uno dei quali, il Kenya, con falla di siluro), 7 cacciatorpediniere e 5 navi mercantili. A questo punto, mentre le navi britanniche cominciavano ad essere attaccate dagli aerei tedeschi e italiani di base in Sicilia, avrebbe dovuto verificarsi l’intervento dei 6 incrociatori e degli 11 cacciatorpediniere italiani, che la sera del 12 agosto si erano riuniti nel basso Tirreno, presso Ustica, provenienti da Messina, Napoli e Spezia. Ma il temuto attacco navale, che avrebbe certamente avuto effetti disastrosi per le navi britanniche, non si verificò in quanto le unità italiane della 3^ e 7^ Divisione Navale, che erano al comando dell’ammiraglio Angelo Parona, avevano avuto l’ordine di rientrare alle basi quando già si trovavano a sud-ovest di Marsala. Era infatti accaduto che, sulla base di due avvistamenti di sommergibili (Alagi e Bronzo) che segnalarono a nord delle coste della Tunisia unità navali dirette verso levante, a cui si aggiunse un avvistamento di un ricognitore Cant Z. 506 della 146^ Squadriglia della Ricognizione Marittima, che la sera del 12 agosto aveva segnalò presso l’isola dei Cani tre grandi navi che stavano seguendo il convoglio (erano lo Charybdis e i suoi due cacciatorpediniere di scorta) a Supermarina vi fu il sospetto che tra quelle unità vi fosse almeno di una corazzata, destinata a sostenere il transito delle altre navi nel Canale di Sicilia. All’idea di trovare l’indomani una nave da battaglia nelle acque di Pantelleria, si aggiunse il bleuf della R.A.F , realizzato con due velivoli da ricognizione Wellington del 69° Squadron dotati di radar, che tenevano sotto osservazione le divisioni navali italiane, Essi, contraddistinti con lettere O (Orange) e Z (Zebra), simularono falsi attacchi con bombe, per poi scambiare con il loro Comando di Malta messaggi fittizi, intercettati dagli italiani, da cui si deduceva si sarebbe svolto un massiccio attacco notturno con aerosiluranti. Ve ne era abbastanza per il sempre timoroso ammiraglio Riccardi – che era appoggiato ai vertici di Supermarina dal suo vice ammiraglio Vito Sansonetti – per premere al Comando Supremo per la sospensione della missione; e dal momento che il generale Cavallero era altrettanto preoccupato, al Capo del Comando Supremo non fu difficile, verso la mezzanotte, convincere per telefono un mortificato Mussolini ad autorizzare la ritirata delle navi. La decisione di aver deciso di sospendere l’azione fu motivata da Cavallero, presso il Duce, con il fatto che l’ammiraglio Riccardi la riteneva “troppo pericolosa per la Marina”, e che occorreva non far correre alle navi “un rischio non pagato da un rendimento corrispondente”. A Mussolini la ritirata delle navi dovette costare parecchio, e indubbiamente la autorizzò con molto rimpianto perché, come annotò nel suo diario il Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano, ciò significò far mancare nella battaglia “il cannone della Marina”. In tal modo fu impedito di trasformare un brillante successo tattico dei sommergibili, delle unità insidiose e degli aerei dell’Asse in una vittoria strategica, forse decisiva per le sorti di Malta. Purtroppo, come se il fato avesse voluto punire la scarsa energia dimostrata in quell’occasione dai capi militari italiani, in particolare di quelli della Marina, le divisioni navali dell’ammiraglio Parona, trovandosi sulla rotta del rientro a Messina, passando per le isole Iolie, furono attaccate dal sommergibile britannico Unbroken (tenente di vascello A.C.G. Mars), che su ordine del Comando della 10^ Flottiglia di Malta si era spastato verso nord dalla zona di agguato al largo di Milazzo. L’Unbroken, ripetendo quanto l’Axum aveva fatto contro il convoglio dodici ore prima, silurò simultaneamente al largo di Lipari gli incrociatori Muzio Attendolo, che ebbe asportata l’intera prora, e Bolzano, che fu portato in secca sulla spiaggia di Lisca Bianca, a Panarea. L’Attendolo, scortato dai cacciatorpediniere, raggiunse Messina con i suoi mezzi; il Bolzano messo in condizioni di navigare dopo un mese di duro lavoro, che comportò di stendere intorno alla nave incagliata uno sbarramento retale, fu rimorchiato a Napoli. Sebbene si fossero entrambi salvati i due incrociatori non poterono ultimare i lavori di riparazione e rimasero per sempre fuori combattimento. L’Attendolo fu affondato a Napoli il 4 dicembre 1942 in un attacco di venti bombardieri B. 24 del 98° e 376° Gruppo della 12^ Air Force statunitense; il Bolzano – spostato alla Spezia per le definitive riparazioni, in seguito agli avvenimenti dell’8 settembre 1943, seguiti all’armistizio dell’Italia – caduto in mani tedesche finì i suoi giorni in quel porto ligure, dopo che il 2 giugno 1944 era stato affondato dal mezzo d’assalto britannico “chariot” del tenente di vascello M.R. Causer. Venuto a mancare l’intervento delle navi di superficie italiane, fu soprattutto l’attività della Luftwaffe che procurò al convoglio britannico nuovi danni, affondando nel corso della giornata del 13 agosto i piroscafi Waimarama e Dorset, rispettivamente ad opera dei bombardieri Ju 88 del II./LG.1 e dei tuffatori Ju. 87 del I./St.G.3. Fallirono invece con forti perdite, determinate dalla reazione degli Spitfire di Malta che avevano assunto fin dal mattino la scorta ad ombrello delle navi, gli attacchi portati dagli aerosiluranti e dai bombardieri in picchiata dell’Aeronautica della Sicilia; attacchi che furono, continuati, dopo l’arrivo alla Valletta dei quattro superstiti piroscafi del convoglio, anche nella giornata del 14 contro la petroliera Ohio, rimastra arretrata e faticosamente trascinata da tre cacciatorpediniere, a cui si aggiunsero i mezzi di soccorso di Malta. Sebbene la Ohio fosse stata colpita dalle bombe, una delle quali, da 500 chili, sganciata da un Ju. 87 italiano del 102° Gruppo B. a T. e caduta vicino allo scafo aprì un grosso squarcio a poppa – aumentando nelle cisterne gli allagamenti causati dal siluro del sommergibile Axum – l’appesantita petroliera, sostenuta sui fianchi e trainata dai cacciatorpediniere, il mattino del 15 riuscì faticosamente a raggiungere il porto della Valletta. Qui affondò, in modo irrecuperabile, dopo aver scaricato il suo prezioso carico di 11 000 t di benzina avio, che era ritenuta indispensabile per permettere alle forze aeree dell’isola di continuare a svolgere la loro preziosa attività difensiva ed offensiva. Nel frattempo nel corso della mattinata del 14 agosto, il massimo sforzo della Luftwaffe e della Regia aeronautica era stato rivolto contro le unità della Forza X (2 incrociatori e 5 cacciatorpediniere) che, dopo aver accompagnato i resti del convoglio WS 21/S presso Malta, avevano invertito la rotta per rientrare a Gibilterra. In rotta verso la zona a nord di Algeri, dove erano attesi da un nucleo della Forza Z, non impegnato nella scorta alle unità gravemente danneggiate che stavano dirigendo verso Gibilterra (portaerei Indomitable e incrociatore Nigeria), la Forza X fu duramente attaccata a nord delle coste dell’Algeria, dapprima dai bombardieri del II Fliegerkorps e poi dai bombardieri e dagli aerosiluranti della Regia Aeronautica, decollati dalla Sicilia e dalla Sardegna. Nel corso di questi attacchi, a cui parteciparono da parte tedesca … Ju. 88, … Ju. 87, e da parte italiana …. S. 84 e …. S. 79, soltanto l’incrociatore Kenya riportò danni per una bomba caduta vicino allo scafo, ma fu in grado di proseguire nella sua navigazione verso ponente, mantenendo la velocità della formazione. Da parte della Luftwaffe, a causa della sola reazione contraerea, dal momento che nessun caccia britannico venne a trovarsi sul cielo delle navi, andarono perduti uno Ju. 88 e uno Ju. 87. Nessuna perdita subì la Regia Aeronautica, anche se parecchi velivoli rientrarono alle basi seriamente danneggiati. Quella che è passata alla Storia come la battaglia di “Mezzo Agosto” rappresentò una vittoria delle forze aeronavali dell’Asse, che fu resa possibile , sotto l’aspetto strettamente militare, dall’ampiezza e dalla ripartizione delle forze impiegate e dall’acume tattico con cui esse furono distribuite nel piano d’impiego. Purtroppo non raggiunse il meritato trionfo a causa dell’inopportuno ritiro degli incrociatori delle 2 divisioni navali italiane. Particolarmente lusinghieri furono i risultati conseguiti nella battaglia dalla Kriegsmarine, con l’affondamento della portaerei Eagle; dai mezzi subacquei e insidiosi della Regia Marina, che eliminarono 2 incrociatori (Cairo e Manchester) e 4 piroscafi, e danneggiarono altri 2 incrociatori (Nigeria e Kenia), una petroliera e 2 piroscafi; e dalla Luftwaffe che, impiegando complessivamente 650 aerei, affondò 5 piroscafi e danneggiò gravemente la portaerei Indomitable. Risultati di minore entità ottenne invece la Regia Aeronautica, poiché a dispetto dei 628 velivoli impiegati nella battaglia, fu affondato un solo cacciatorpediniere, a cui si aggiunse il grave danneggiamento della petroliera Ohio – già colpita dal sommergibile Axum e dai velivoli della Luftwaffe – e il lieve danneggiamento della portaerei Victorious e della corazzata Rodney. Alle perdite navali subite dai britannici si aggiunsero 36 velivoli, 29 dei quali appartenenti alle portaerei e 6 alla R.A.F. di Malta, mentre da parte dell’Asse andarono perduti 50 velivoli (32 italiani e 18 tedeschi), cui si aggiunse quella di due sommergibili italiani e il danneggiamento degli incrociatori Attendolo e Bolzano, che restarono per sempre immobilizzati. Se le forze dell’Asse ottennero una notevole vittoria tattica, invece dal punto di vista strategico, l’operazione “Pedestal” fu un indubbio successo britannico, poiché l’arrivo a Malta di 32.000 t di rifornimenti, tra carico bellico, viveri e combustibile, permise all’isola di incrementare le scorte fino all’inverso del 1942. Ma soprattutto, l’isola potè tornare nuovamente a disporre della benzina necessaria per riprendere le micidiali azioni aeree offensive contro il traffico dell’Asse diretto in Libia, proprio nel momento in cui si decideva la battaglia di El Alamein. Le perdite inflitte in mare ai rifornimenti dell’Asse, contribuirono non poco al successo dell’offensiva terrestre dell’8^ Armata del generale Montgomery.

Occorre però dire che le forti perdite subite dai britannici nel corso dell’Operazione “Pedestal”, costituirono il fattore di maggiore pressione nel convincere gli Alleati a ritenere che un nuovo tentativo di avvicinarsi al Canale di Sicilia sarebbe stato pagato in modo ancora più severo. Di ciò furono particolarmente convinti gli statunitensi che, nel pianificare l’invasione del Nord Africa Francese (operazione Torch), poi attuata nel novembre del 1942, si opposero fermamente alle richieste dei loro colleghi britannici di sbarcare a Biserta. Limitando le operazioni anfibie ad Orano ed Algeri, per tenersi il più lontano possibile fuori dal raggio d’azione dei mezzi aeronavali dell’Asse, gli anglo-americani concessero a italiani e tedeschi di potersi impossessare rapidamente della Tunisia e di conseguire con ciò l’indubbio successo strategico di ritardare la perdita dell’Africa al maggio del 1943.”

FrancescoMattesini


Su questo argomento nel 1986 e uscito un mio libro, di 611 pagine, che tratta dettagliatamente lo svolgimento della battaglia. Attualmente sto nuovamente lavorando su questo libro, revisionandolo, in modo da farne una nuova ediione aggiornata. Modificata da Mattesini, 29 marzo 2008 - 07:49 .


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La battaglia aeronavale di mezzo agosto 1942 (Operazione “Pedestal”)[modifica wikitesto]

Per saperne di più: Francesco Mattesini, “La battaglia aeronavale di mezzo agosto”, Edizioni dell’Ateneo, Roma, 1986, pagine 611.

“Dopo il fallimento in giugno delle operazioni Harpoon e Vigorous, che comportarono la perdita di 6 navi mercantili, sulle 17 avviate da Malta dalla Gran Bretagna e dai porti del Mediterraneo orientale, e l’arrivo a Malta di due soli piroscafi, negli ambienti britannici di Londra e del Medio oriente vi fu molto scetticismo sulle possibilità di resistenza di Malta, e sulla convenienza di effettuare un altro tentativo di rifornimento, che avrebbe comportato un grande spiegamento di mezzi, e perdite rilevanti, come aveva dimostrato l’esperienza. Inoltre, a differenza di quanto era stato pianificato nel mese di giugno, doveva essere seguita una sola rotta: quella del Mediterraneo occidentale, dal momento che, ad oriente, tutte le basi aeree della Cirenaica e dell’Egitto fino ad El Alamein, erano cadute in mano alle forze dell’Asse.

Winston Churchill, che per temperamento e determinazione non era secondo a nessuno, si mostrò deciso di non abbandonare al suo destino l’isola fortezza assediata, e scrivendo al Primo Lord del Mare, ammiraglio Dudley Pound, sostenne: “Il destino di Malta è in gioco e devo poter assicurare il Governo che la Marina non l’abbandonerà mai”. L’ammiraglio Pound e il signor Hon A.V. Alexander, Primo Lord dell’Ammiragliato, condivisero il punto di vista del Primo Ministro nei riguardi di un eventuale abbandono di Malta, considerata una perdita disastrosa per l’Impero britannico e fatale alla difesa della Valle del Nilo. Pertanto, nel corso del mese di luglio, l’Ammiragliato britannico, riunendo forze navali sottratte ai più svariati scacchieri di guerra, come l’Artico e l’Oceano Indiano, pianificò la Pedestal, organizzando a Greenock (Clyde) un convoglio veloce, costituito da quattordici grosse navi da trasporto e da una petroliera, a cui furono assegnati, riuniti nella Forza F (vice ammiraglio E. N. Syfret), due gruppi di scorta.

Il primo gruppo, denominato Forza Z e destinato ad accompagnare il convoglio fino al canale di Sicilia, fu costituito con le corazzate Nelson (vice ammiraglio Syfret) e Rodney, le navi portaerei Victorious, Indomitable ed Eagle, gli incrociatori Sirius, Phoebe e Charybdis e 12 cacciatorpediniere. Il secondo gruppo, la Forza X destinata ad accompagnare il convoglio fino agli approcci di Malta per poi tornare indietro a Gibilterra, disponeva degli incrociatori Nigeria (ammiraglio Harold Martin Burrough), Kenya e Mancester, del piccolo e vecchio incrociatore Cairo – il vincitore della battaglia di Pantelleria – e di altri 12 cacciatorpediniere. Vi era poi un gruppo di rifornimento in mare, costituito da 2 petroliere e da 4 corvette di scorta, a cui furono aggregati, quali navi di salvataggio, 2 grossi rimorchiatori. Per la scorta aerea e l’eventuale intervento offensivo erano disponibili sulle navi portaerei 72 velivoli da caccia, tra Hurricane, Fulmar e Martlet, e 28 aerosiluranti Albacore.

Dal momento che il Comando della R.A.F. di Malta aveva chiesto di reintegrare le perdite di velivoli da caccia, quantificate in 17 velivoli alla settimana, fu deciso di inviare sulle 3 basi dell’isola, in 2 spedizioni successive, altri 60 Spitfire tramite la portaerei Furious, che inizialmente fu aggregata al movimento del convoglio verso levante, fino all’altezza di Algeri, accompagnata da 8 cacciatorpediniere. Furono poi mobilitate anche le forze navali di Malta, costituite da 4 dragamine di squadra e da 7 motolance, e vennero inviati in agguato 9 sommergibili presso le principali basi nemiche, in particolare a nord della Sicilia e a levante di Pantelleria per ostacolare l’eventuale intervento di navi di superficie italiane. Con l’operazione Ascendant fu poi programmato di riportare a Gibilterra i 2 piroscafi arrivati a Malta a metà giugno, accompagnati da 2 cacciatorpediniere che erano stati riparati a La Valletta dopo i danni per mine riportati nel corso di quell’operazione, l’Harpoon.

Infine, dopo che la R.A.F. aveva inviato a Malta notevoli rinforzi dall’Inghilterra e dal Medio Oriente, portando il quantitativo di velivoli al numero di circa 280 – inclusi più di 200 caccia tra Spitfire e Beaufighter, ed il resto aerosiluranti, bombardieri e ricognitori – allo scopo di creare una diversione nel Mediterraneo orientale, fu pianificata l’operazione MG. 3. Il suo scopo come scrisse il Comandante della Mediterranean Fleet, ammiraglio Harwood, era quello di impedire “che il nemico potesse impiegare tutto il peso delle sue forze navali ed aeree contro il convoglio proveniente da Gibilterra”. L’operazione MG. 3, pertanto, consistette nel far partire dai porti del Mar del Levante un convoglio fittizio di 4 piroscafi che, scortato dai 4 incrociatori Cleopatra (contrammiraglio Vian), Dido, Arethusa e Euryalus, e quindici unità di scorta, una volta localizzato dai ricognitori dell’Asse, doveva disperdersi e rientrare alle basi dopo aver raggiunto, la sera dell’11 agosto, una zona situata a nord di Alessandria.

Nella notte tra il 9 e il 10 agosto, dopo che le 3 portaerei della Forza F, a cui si aggiunse temporaneamente anche la vecchia Argus, avevano svolto, nel corso della navigazione in Atlantico, un ciclo di esercitazioni ritenuto necessario per permettere agli aerei imbarcati di affinare le tattiche di combattimento, il convoglio ed il suo poderoso nucleo di scorta – il maggiore che fosse stato impiegato nella seconda guerra mondiale per proteggere un solo convoglio di rifornimento – superarono lo stretto di Gibilterra ed entrarono nel Mediterraneo, per poi proseguire con rotta est. Il movimento fu subito percepito dagli agenti dell’Asse ubicati sulle coste meridionali della Spagna e in quelle del Marocco spagnolo, e nella giornata del 10 agosto, durante una riunione tenutasi a Roma, presso il Comando Supremo, presenti alti ufficiali della Marina, dell’Aeronautica italiana e dell’O.B.S., fu pianificata l’azione di contrasto delle forze aeronavali dell’Asse. Tuttavia, forse non rendendosi conto di quale importanza rivestiva un intervento di tutte le forze navali per far fallire l’operazione britannica, fu escluso l’impiego delle 4 corazzate efficienti presenti a Taranto (Vittorio Veneto, Andrea Doria, Duilio e Giulio Cesare) motivandolo per deficienza di nafta e sostenendo che l’intervento di quelle navi da battaglia avrebbe comportato di consumare l’intera quantità di combustibile della scorta intangibile destinato all’applicazione della Di. Na. n. 7; ossia all’Azione a massa aeronavale pianificata per intervenire contro la flotta britannica, che era proprio l’occasione che si stava presentando in quel momento, perché nella Di. Na. 7 era previsto il contrasto ad ogni iniziativa nemica verso il Mediterraneo centrale.

Fu disposto di attuare un ampio schieramento di 22 sommergibili (2 tedeschi) tra le Baleari e Malta, l’impiego di dodici motosiluranti (6 tedesche) e di una dozzina di Mas nel Canale di Sicilia, e l’attuazione, con il cacciatorpediniere Malocello, di uno sbarramento temporaneo di mine presso Capo Bon, in acque territoriali francesi. Dovendo poi decidere sull'eventuale intervento di 6 incrociatori (Gorizia, Bolzano, Trieste, Eugenio di Savoia, Montecuccoli e Attendolo) e 11 cacciatorpediniere a sud di Pantelleria, quando il convoglio britannico sarebbe stato abbandonato dalla sua potente scorta di copertura, il Sottosegretario di Stato e Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Riccardi mise bene in chiaro: “Naturalmente il movimento degli incrociatori è legato alla disponibilità di aerei da caccia”. Questi, avrebbero dovuto assicurare sul cielo delle navi una scorta continua con turni di otto velivoli alla volta, per fronteggiare, rispetto all’azione di giugno, un maggior numero di aerei presenti a Malta.

Dal momento le aviazioni dell’Asse stavano preparandosi ad intervenire in forze contro il convoglio britannico, rinforzando i reparti da bombardamento e di aerosiluranti dislocati in Sicilia e in Sardegna, avendo a disposizione soltanto cinque gruppi da caccia di aerei moderni (3 italiani e 2 tedeschi) per scortare una massa di circa 400 velivoli offensivi, dovettero prendere un’estrema decisione. Non volendo essere assenti sul cielo della battaglia, assegnando gran parte dei suoi cinquanta caccia alla scorta alle navi, il Comando del II Fliegerkorps sostenne di non essere in grado di farlo; ed anche Superaereo, pur riconoscendo le necessità della Marina si mostro molto restio ad accontentarla, almeno in parte, cedendo alla scorta delle navi tutti quei velivoli meno competitivi (Cr. 42, Mc. 200, Re. 2000, Cr. 25) di cui si poteva fare a meno per scortare le sue imponenti formazioni offensive. Dopo molte discussioni, proseguite nelle giornate dell’11 e del 12 agosto, il maresciallo Cavallero, Capo del Comando Supremo, riuscì a convincere il generale Fougier, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, ad assegnare, per il giorno 13 in cui era previsto l’intervento navale, un appoggio aereo sostanzioso che prevedeva l’impiego di turni di scorta di sei velivoli. In tal modo, prevedendo che ogni caccia effettuasse almeno due missioni, si riduceva da 60 a 45 il numero dei velivoli necessari per scortare le navi.

Gli attacchi contro il convoglio, iniziati nelle prime ore dell’11 agosto da parte del sommergibile italiano Uarsciek, che lancio i siluri contro la portaerei Furious senza riuscire a colpira, furono poi continuati nelle prime ore del pomeriggio – proprio mentre la Furious, trovandosi a nord di Algeri, stava lanciando i suoi 37 Spitfire diretti a Malta – dall’U 73. Questo sommergibile tedesco, comandato dal ten. vasc. Helmut Rosembaum, approfittando del fatto che 11 dei 24 cacciatorpediniere avevano abbandonato le assegnate posizioni di scorta del convoglio per rifornirsi alle petroliere, alle 13.00 superò abilmente il ridotto schermo difensivo ed attaccò, nei quartieri poppieri di sinistra la portaerei Eagle, colpendola con quattro siluri lanciati da una distanza di soli 400 metri. La portaerei affondò nello spazio di 8 minuti, e la perdita dei suoi 16 velivoli da caccia privò la Forza F del 20% della sua forza aerea di protezione, che durante tutta la mattinata era stata intensamente impegnata contro gli Ju. 88 tedeschi della 2^ Squadriglia del 122° Gruppo Ricognizione Strategica (2(F)/122).

I rilevamenti dei ricognitori tedeschi, i soli impiegati nel corso dell’11 agosto dal momento che l’intervento di quelli italiani (Cant Z. 1007 bis del 51° Gruppo R.S.) era stato previsto per la giornata del 12, servirono al Comando del II. Fliegerkorps per fornire precisi dettagli fotografici ai reparti offensivi. L’azione, a cui parteciparono 28 bombardieri Ju. 88 degli stormi KG. 54 e del KG. 77 e tre aerosiluranti He. 111 della 6^ Squadriglia del 26° Stormo Bombardamento (6/KG.26), si sviluppò poco dopo il tramonto del sole. Ciò permise alla maggior parte dei velivoli tedeschi di eludere l’intervento dei caccia delle portaerei, che riuscirono ad abbattere soltanto uno Ju. 88 del KGr. 806. Un altro velivolo di questo gruppo fu distrutto, mentre attaccava in picchiata, dall’intenso fuoco contraereo delle navi, che da parte loro non riportarono alcun danno.

Quasi contemporaneamente, allo scopo di menomare il potenziale aereo offensivo dell’Asse concentrato sugli aeroporti della Sardegna, al tramonto dell’11 agosto una formazione di nove caccia a lungo raggio Beaufighter del 248^ Squadron della R.A.F. (ten. col. Thomas Geoffrey Pike), decollati da Malta, effettuò a volo radente una micidiale azione di mitragliamento contro gli aerei parcheggiati ad Elmas e Decimomannu. Furono colpiti e incendiati parecchi velivoli arrivati dal continente, e che non erano stati ancora decentrati perché si trovavano in fase di rifornimento. Cinque aerosiluranti S. 79 andarono completamente distrutti, ed altri 14 rimasero più o meno danneggiati; e ciò ridusse sensibilmente l’efficienza della massa offensiva italiana, che doveva entrare in azione l’indomani.

Mentre il convoglio proseguiva la sua navigazione, affrontando una navigazione notturna alquanto tranquilla, il cacciatorpediniere Wolverine – una delle navi di scorta della portaerei Furious che stava rientrando a Gibilterra per imbarcare altri Spitfire destinati a Malta – transitando nelle prime ore del 12 agosto a sud delle isole Baleari localizzò in superficie il sommergibile italiano Dagabur, e lo speronò affondandolo con l’intero equipaggio. Un altro sommergibile italiano, il Giada, trovandosi spostato più a levante, fu attaccato e danneggiato al mattino da due idrovolanti Sunderland del 202° Gruppo della R.A.F. Avendo riportato molti feriti gravi, prima di rientrare alla Maddalena, fu costretto a raggiungere il porto spagnolo di Valencia per sbarcarvi gli uomini più menomati. Infine, il sommergibile Cobalto fu localizzato ed affondato nel pomeriggio dal cacciatorpediniere Ithuriel, che poi ne recuperò i superstiti.

Sempre al mattino del 12, dopo le prime segnalazioni giunte dai ricognitori Ju. 88 tedeschi della 2(F)/122 – che decollando dalla Sardegna erano stati rinforzati nelle loro missioni esplorative dai velivoli del KGr.606 – la Forza F fu attaccata da una formazione di diciassette bombardieri del 1° e 2° Gruppo del 1° Stormo Sperimentale (I. e II./LG.1). Gli Ju 88 dei due gruppi, che appartenevano al X Fliegerkorps ed erano rispettivamente comandati dal capitano Jochim Helbig e dal maggiore Gerhard Kollewe, furono però intercettati a 16 miglia dal convoglio da 16 caccia decollati su allarme radar dalle portaerei Victorious e Indomitable, e sebbene fossero riusciti a passare sganciando le bombe in picchiata, non ottennero alcun risultato e persero ben cinque dei diciassette velivoli attaccanti.

Altri due Ju. 88 del II./LG.1, che erano stati costretti per guasti meccanici a dirigere verso la Sardegna, giunti nella zona del Golfo di Cagliari ed attaccati, per mancato riconoscimento, da due velivoli G. 50 italiani del 24° Gruppo Caccia Terrestre (sottotenenti pilota Suppo e Rodolfi), furono entrambi abbattuti dopo essere stati anche inquadrati dal tiro dalle batterie contraeree. Alle proteste tedesche, da parte di Superaereo fu risposto, con una certa stizza, che i velivoli tedeschi, avvicinandosi a Cagliari, non avevano fatto i prescritti segnali di riconoscimento. Comunque, all’Ufficio di Collegamento tedesco presso la Regia Aeronautica fu espresso rincrescimento per la perdita degli otto membri degli equipaggi dei due Ju. 88, ai quali furono tributate a Cagliari solenni onoranze funebri.

Tra le 12.00 e le 13.30, mentre la Forza F stava transitando a sud della Sardegna – con i caccia delle portaerei che erano impegnati contro i ricognitori Ju. 88 tedeschi e in particolare contro i più facili bersagli costituiti dai Cant Z. 1007 bis italiani del 51° Gruppo Ricognizione Strategica, tre dei quali furono abbattuti – si sviluppò, da parte dell’Asse, il più grande attacco in massa di tutta la guerra combattuta nel Mediterraneo. Vi parteciparono, con decollo dalle basi della Sardegna ben 116 velivoli italiani, inclusi 42 aerosiluranti, e provenienti dalla Sicilia, trentasette bombardieri Ju. 88 del KG.54 e KG.77, scortati da 21 caccia Bf. 109 del I./JG.77. Ma a dispetto del gran numero di aerei impiegati, e della perdita di quattro aerei italiani abbattuti dai caccia delle portaerei, l’azione offensiva, che vide anche impegnati 8 tuffatori Cr. 42, 10 bombardieri S. 84 armati con motobombe FFF, 2 cacciabombardieri Re. 2001, e un velivolo S. 79 radiocomandato fornito di una bomba da 1000 chili e radioguidato da un Cant Z. 1007 bis, risultò un vero fallimento. Anche perché i 42 aerosiluranti dei gruppi 89°, 105°, 109°, 130° e del 2° e 3° Nucleo Addestramento, che attaccarono il convoglio su ambo i lati, lanciarono da troppo lontano, mentre l’S. 79 radiocomandato deviò dalla sua rotta a causa di un guasto all’apparato di guida del Cant Z. 1007 bis, il cui personale tecnico non riuscì a correggere l’anomalia. Ne risultò che soltanto due speciali bombe perforanti da 630 chili, sganciate a volo radente dai Re. 2001, raggiunsero il bersaglio, costituito dalla Victorious; ma a causa della bassa quota di sganciò, di soli 20 metri, vi fu un ritardo all’attivazione della spoletta, e le bombe scivolarono sul ponte di volo corazzato per poi una deflagrare e l’altra esplodere in mare, procurando alla nave portaerei soltanto lievi danni.

Anche l’azione degli Ju. 88, che attaccarono per ultimi in picchiata, fu deludente dal momento che i bombardieri tedeschi riuscirono a danneggiare il solo piroscafo Deucalion, che poi proseguì la navigazione scortato dal solo piccolo cacciatorpediniere di scorta Bramham. Dopo questa serie di attacchi, superati senza troppi danni, la Forza F passò a circa 20 miglia a nord dell’isola Galite e trascorse il resto del pomeriggio ad evitare con successo attacchi di sommergibili italiani, affondando, come detto, il Cobalto con il cacciatorpediniere Ithuriel. Quasi contemporaneamente fu fronteggiata un’incursione di 8 tuffatori Cr. 42 italiani scortati da caccia Re. 2001, uno dei quali fu abbattuto dagli intercettori delle portaerei britanniche, che successivamente distrussero anche un ricognitore S. 79 dell’Aeronautica della Sicilia, i cui reparti offensivi iniziarono gli attacchi alle 18.35. Vi parteciparono 14 aerosiluranti S. 79 del 132° Gruppo (cap. Ugo Rivoli) e 8 Ju. 87 del 102° Gruppo Bombardamento a Tuffo (cap. Antonio Cumbat), scortati da 28 caccia Mc. 202 del 51° Stormo (ten. col, Aldo Remondino), a cui si aggiunsero 20 Ju. 87 tedeschi del 1° Gruppo del 3° Stormo Stuka (cap. Martin Mussdorf), decollati da Trapani, scortati da caccia Bf. 109 del II./JG.53 (cap. Gerhard Michalski).

L’attacco, coordinato, si svolse a 120 miglia a ovest della Sicilia, e sebbene fosse stato nuovamente contrastato dai caccia della Victorious e della Indomitable, il cui lavoro – considerato “magnifico” dal comandante delle portaerei contrammiraglio L. Lyster – non poté questa volta impedire il verificarsi di gravi danni. Gli Ju. 87 italiani, due dei quali furono abbattuti, riuscirono a colpire la corazzata Rodney con una bomba da 500 chili, che però (com’è scritto nel diario della nave) esplose fuori bordo dopo essere slittata su una torre protetta dei cannoni principali da 409 mm. Subito dopo attaccarono gli Ju. 87 tedeschi, che concentrarono la loro azione sulla Indomitable, colpendola con tre bombe e mettendone fuori uso il ponte di volo. Infine sopraggiunsero gli aerosiluranti S. 79, uno dei quali, della 278^ Squadriglia, riuscì a colpire il cacciatorpediniere della Forza X Foresight, il quale, dopo un lungo tentativo di rimorchio, dovette essere affondato l’indomani dal sezionarlo Tartar. Questa serie di successi non doveva restare isolata, perché circa un’ora più tardi, quando il vice ammiraglio Syfret aveva anticipato l’inversione di rotta della Forza Z, per portare al più presto la danneggiata Indomitable lontana dagli aeroporti dell’Asse, il convoglio e il suo gruppo di scorta, la Forza X, entrarono nel Canale del Banco Skerki, in cui erano concentrati ben cinque sommergibili italiani. Gli attacchi da essi portati, in quella zona di mare situata a nord di Biserta, ebbero per i britannici conseguenze inimmaginabili. L’Axum (ten. vasc. Renato Ferrini) attaccò nel momento in cui il convoglio stava mutando la sua formazione da quattro a due colonne per manovrare in acque ristrette, e con un brillante lancio di quattro siluri riuscì a colpire gli incrociatori Nigeria e Cairo e la petroliera Ohio. Il Nigeria, fortemente sbandato, dovette invertire la rotta scortato da 4 cacciatorpediniere; il Cairo, colpito da due siluri, fu affondato dal cacciatorpediniere Pathfinder; mentre la Ohio, rimasta inizialmente immobilizzata, proseguì la rotta per Malta arretrata dal convoglio. Il fatto che la metà della scorta della Forza X, inizialmente costituita, dopo la perdita del Foresight, da 11 cacciatorpediniere, fosse stata subito impegnata in soccorso delle navi danneggiate e il fatto che i due incrociatori colpiti si fossero trovati a capofila delle due colonne del convoglio, ebbe quale conseguenza uno sbandamento delle navi mercantili. Esse si trovarono scarsamente protette proprio nel momento in cui, tra le 20.30 e le 21.30, il II Fliegerkorps portava a compimento un micidiale attacco crepuscolare, con 30 bombardieri Ju. 88 del KG.54 e del KG.77 e con 7 aerosiluranti He. 111 della 6/KG.26, che fu agevolato dal fatto che i caccia a lungo raggio Beufighter, provenienti da Malta per assumere la scorta del convoglio, non poterono rintracciare al buio i velivoli attaccanti. Il piroscafo Empire Hope fu colpito da una bomba e dovette essere affondato, mentre il Clan Ferguson, raggiunto da un siluro, esplose rimanendo poi a galla come un relitto al quale più tardi il sommergibile italiano Bronzo (ten. vasc. Cesare Buldrini) dette il colpo di grazia. Altri 2 aerosiluranti rintracciarono ed affondarono il danneggiato Deucalion, che scortato dal cacciatorpediniere Bramham seguiva il convoglio costeggiando la costa della Tunisia, mentre il Brisbane Star, anch’esso colpito da un siluro sganciato da un He. 111 della 6/KG.26, fu in grado di continuare isolato la navigazione.

Infine, in mezzo a questa mischia, si fece largo il sommergibile italiano Alagi (ten. vasc. Sergio Puccini) che alle 21.05 colpì con un siluro all’estrema prora l’incrociatore Kenya, che però poté proseguire la navigazione con il convoglio. Dopo questo nuovo infortunio, i piroscafi inglesi si trovarono ampiamente disseminati in tutte le direzioni proprio quando, avvicinandosi a Capo Bon, con la scorta ridotta ai due incrociatori Manchester e Kenia e sei cacciatorpediniere – poi rafforzata al mattino del 13 agosto con l’incrociatore Charybdis e altri due cacciatorpediniere staccatisi dalla Forza Z – il convoglio stava per iniziare la navigazione notturna in una zona insidiata dai mas e dalle motosiluranti italiane e tedesche, in agguato tra la costa della Tunisia e l’isola di Pantelleria. Ne seguì una serie di arditi e micidiali attacchi che vide protagoniste le unità italiane. Dopo l’attacco di due motosiluranti tedesche della 3^ Flottiglia, una delle quali, la S 58 (sottot. di vasc. Siegrfried Wuppermann) restò colpita da una granata, arrivarono al lancio, alle 01.00 del 13 agosto, le motosiluranti italiane della 2^ Flottiglia MS 16 (capitano di corvetta Giorgio Manuti) e MS 22 (ten. vasc. Franco Mezzadra. Uno dei siluri, probabilmente lanciato dalla MS 22, colpì il Manchester, l’unico incrociatore della formazione britannica ancora indenne, il quale, rimasto immobilizzato presso Kelibia, con il timone e le caldaie inutilizzabili, dovette essere affondato. Alle 01.47, la MS 31 (ten. vasc. Antonio Calvani) affondò con due siluri il piroscafo Glenorchy. Successivamente, dopo altre azioni non confortate dal successo condotte da motosiluranti tedesche, in una serie di attacchi, che proseguirono fino all’alba contro i mercantili isolati, i Mas della 18^ e 20^ Squadriglia colpirono 4 piroscafi. Furono affondati dai Mas 557 (guardiamarina Battista Cafiero) e 552 (sott. vasc. Rolando Parasso) il piroscafo statunitense Santa Elisa e il britannico Wairangi, mentre il Mas 554 (sottoten. Vasc. Marco Calcagno) immobilizzò il piroscafo statunitense Almerya Likes, che poi al mattino ricevé il colpo di grazia dalle bombe sganciate da uno Ju. 88 del KG.54. Invece, il piroscafo britannico Rochester Castle, pur colpito da un siluro lanciato dal Mas 564 (nocchiere 2^ cl. Giuseppe Iofrate), poté proseguire nella sua navigazione a 13 nodi, raggiungendo poco dopo la testa del convoglio.

Quando alle prime luci dell’alba – essendo stato raggiunto dall’incrociatore Charybdis e dai due cacciatorpediniere di squadra Eskimo e Somali, staccatasi dalla Forza Z – il contrammiraglio Burrought poté fare il conto di quante navi gli rimanevano, egli constatò che il grosso del convoglio era ridotto a 2 incrociatori (uno dei quali, il Kenya, con falla di siluro), 7 cacciatorpediniere e 5 navi mercantili. A questo punto, mentre le navi britanniche cominciavano ad essere attaccate dagli aerei tedeschi e italiani di base in Sicilia, avrebbe dovuto verificarsi l’intervento dei 6 incrociatori e degli 11 cacciatorpediniere italiani, che la sera del 12 agosto si erano riuniti nel basso Tirreno, presso Ustica, provenienti da Messina, Napoli e Spezia. Ma il temuto attacco navale, che avrebbe certamente avuto effetti disastrosi per le navi britanniche, non si verificò in quanto le unità italiane della 3^ e 7^ Divisione Navale, che erano al comando dell’ammiraglio Angelo Parona, avevano avuto l’ordine di rientrare alle basi quando già si trovavano a sud-ovest di Marsala. Era infatti accaduto che, sulla base di due avvistamenti di sommergibili (Alagi e Bronzo) che segnalarono a nord delle coste della Tunisia unità navali dirette verso levante, a cui si aggiunse un avvistamento di un ricognitore Cant Z. 506 della 146^ Squadriglia della Ricognizione Marittima, che la sera del 12 agosto aveva segnalò presso l’isola dei Cani tre grandi navi che stavano seguendo il convoglio (erano lo Charybdis e i suoi due cacciatorpediniere di scorta) a Supermarina vi fu il sospetto che tra quelle unità vi fosse almeno di una corazzata, destinata a sostenere il transito delle altre navi nel Canale di Sicilia. All’idea di trovare l’indomani una nave da battaglia nelle acque di Pantelleria, si aggiunse il bleuf della R.A.F , realizzato con due velivoli da ricognizione Wellington del 69° Squadron dotati di radar, che tenevano sotto osservazione le divisioni navali italiane, Essi, contraddistinti con lettere O (Orange) e Z (Zebra), simularono falsi attacchi con bombe, per poi scambiare con il loro Comando di Malta messaggi fittizi, intercettati dagli italiani, da cui si deduceva si sarebbe svolto un massiccio attacco notturno con aerosiluranti.

Ve ne era abbastanza per il sempre timoroso ammiraglio Riccardi – che era appoggiato ai vertici di Supermarina dal suo vice ammiraglio Vito Sansonetti – per premere al Comando Supremo per la sospensione della missione; e dal momento che il generale Cavallero era altrettanto preoccupato, al Capo del Comando Supremo non fu difficile, verso la mezzanotte, convincere per telefono un mortificato Mussolini ad autorizzare la ritirata delle navi. La decisione di aver deciso di sospendere l’azione fu motivata da Cavallero, presso il Duce, con il fatto che l’ammiraglio Riccardi la riteneva “troppo pericolosa per la Marina”, e che occorreva non far correre alle navi “un rischio non pagato da un rendimento corrispondente”. A Mussolini la ritirata delle navi dovette costare parecchio, e indubbiamente la autorizzò con molto rimpianto perché, come annotò nel suo diario il Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano, ciò significò far mancare nella battaglia “il cannone della Marina”. In tal modo fu impedito di trasformare un brillante successo tattico dei sommergibili, delle unità insidiose e degli aerei dell’Asse in una vittoria strategica, forse decisiva per le sorti di Malta. Purtroppo, come se il fato avesse voluto punire la scarsa energia dimostrata in quell’occasione dai capi militari italiani, in particolare di quelli della Marina, le divisioni navali dell’ammiraglio Parona, trovandosi sulla rotta del rientro a Messina, passando per le isole Iolie, furono attaccate dal sommergibile britannico Unbroken (tenente di vascello A.C.G. Mars), che su ordine del Comando della 10^ Flottiglia di Malta si era spastato verso nord dalla zona di agguato al largo di Milazzo. L’Unbroken, ripetendo quanto l’Axum aveva fatto contro il convoglio dodici ore prima, silurò simultaneamente al largo di Lipari gli incrociatori Muzio Attendolo, che ebbe asportata l’intera prora, e Bolzano, che fu portato in secca sulla spiaggia di Lisca Bianca, a Panarea. L’Attendolo, scortato dai cacciatorpediniere, raggiunse Messina con i suoi mezzi; il Bolzano messo in condizioni di navigare dopo un mese di duro lavoro, che comportò di stendere intorno alla nave incagliata uno sbarramento retale, fu rimorchiato a Napoli. Sebbene si fossero entrambi salvati i due incrociatori non poterono ultimare i lavori di riparazione e rimasero per sempre fuori combattimento. L’Attendolo fu affondato a Napoli il 4 dicembre 1942 in un attacco di venti bombardieri B. 24 del 98° e 376° Gruppo della 12^ Air Force statunitense; il Bolzano – spostato alla Spezia per le definitive riparazioni, in seguito agli avvenimenti dell’8 settembre 1943, seguiti all’armistizio dell’Italia – caduto in mani tedesche finì i suoi giorni in quel porto ligure, dopo che il 2 giugno 1944 era stato affondato dal mezzo d’assalto britannico “chariot” del tenente di vascello M.R. Causer.

Venuto a mancare l’intervento delle navi di superficie italiane, fu soprattutto l’attività della Luftwaffe che procurò al convoglio britannico nuovi danni, affondando nel corso della giornata del 13 agosto i piroscafi Waimarama e Dorset, rispettivamente ad opera dei bombardieri Ju 88 del II./LG.1 e dei tuffatori Ju. 87 del I./St.G.3. Fallirono invece con forti perdite, determinate dalla reazione degli Spitfire di Malta che avevano assunto fin dal mattino la scorta ad ombrello delle navi, gli attacchi portati dagli aerosiluranti e dai bombardieri in picchiata dell’Aeronautica della Sicilia; attacchi che furono, continuati, dopo l’arrivo alla Valletta dei quattro superstiti piroscafi del convoglio, anche nella giornata del 14 contro la petroliera Ohio, rimastra arretrata e faticosamente trascinata da tre cacciatorpediniere, a cui si aggiunsero i mezzi di soccorso di Malta. Sebbene la Ohio fosse stata colpita dalle bombe, una delle quali, da 500 chili, sganciata da un Ju. 87 italiano del 102° Gruppo B. a T. e caduta vicino allo scafo aprì un grosso squarcio a poppa – aumentando nelle cisterne gli allagamenti causati dal siluro del sommergibile Axum – l’appesantita petroliera, sostenuta sui fianchi e trainata dai cacciatorpediniere, il mattino del 15 riuscì faticosamente a raggiungere il porto della Valletta. Qui affondò, in modo irrecuperabile, dopo aver scaricato il suo prezioso carico di 11 000 t di benzina avio, che era ritenuta indispensabile per permettere alle forze aeree dell’isola di continuare a svolgere la loro preziosa attività difensiva ed offensiva.

Nel frattempo nel corso della mattinata del 14 agosto, il massimo sforzo della Luftwaffe e della Regia aeronautica era stato rivolto contro le unità della Forza X (2 incrociatori e 5 cacciatorpediniere) che, dopo aver accompagnato i resti del convoglio WS 21/S presso Malta, avevano invertito la rotta per rientrare a Gibilterra. In rotta verso la zona a nord di Algeri, dove erano attesi da un nucleo della Forza Z, non impegnato nella scorta alle unità gravemente danneggiate che stavano dirigendo verso Gibilterra (portaerei Indomitable e incrociatore Nigeria), la Forza X fu duramente attaccata a nord delle coste dell’Algeria, dapprima dai bombardieri del II Fliegerkorps e poi dai bombardieri e dagli aerosiluranti della Regia Aeronautica, decollati dalla Sicilia e dalla Sardegna. Nel corso di questi attacchi, a cui parteciparono da parte tedesca … Ju. 88, … Ju. 87, e da parte italiana …. S. 84 e …. S. 79, soltanto l’incrociatore Kenya riportò danni per una bomba caduta vicino allo scafo, ma fu in grado di proseguire nella sua navigazione verso ponente, mantenendo la velocità della formazione. Da parte della Luftwaffe, a causa della sola reazione contraerea, dal momento che nessun caccia britannico venne a trovarsi sul cielo delle navi, andarono perduti uno Ju. 88 e uno Ju. 87. Nessuna perdita subì la Regia Aeronautica, anche se parecchi velivoli rientrarono alle basi seriamente danneggiati.

Quella che è passata alla Storia come la battaglia di “Mezzo Agosto” rappresentò una vittoria delle forze aeronavali dell’Asse, che fu resa possibile , sotto l’aspetto strettamente militare, dall’ampiezza e dalla ripartizione delle forze impiegate e dall’acume tattico con cui esse furono distribuite nel piano d’impiego. Purtroppo non raggiunse il meritato trionfo a causa dell’inopportuno ritiro degli incrociatori delle 2 divisioni navali italiane. Particolarmente lusinghieri furono i risultati conseguiti nella battaglia dalla Kriegsmarine, con l’affondamento della portaerei Eagle; dai mezzi subacquei e insidiosi della Regia Marina, che eliminarono 2 incrociatori (Cairo e Manchester) e 4 piroscafi, e danneggiarono altri 2 incrociatori (Nigeria e Kenia), una petroliera e 2 piroscafi; e dalla Luftwaffe che, impiegando complessivamente 650 aerei, affondò 5 piroscafi e danneggiò gravemente la portaerei Indomitable. Risultati di minore entità ottenne invece la Regia Aeronautica, poiché a dispetto dei 628 velivoli impiegati nella battaglia, fu affondato un solo cacciatorpediniere, a cui si aggiunse il grave danneggiamento della petroliera Ohio – già colpita dal sommergibile Axum e dai velivoli della Luftwaffe – e il lieve danneggiamento della portaerei Victorious e della corazzata Rodney. Alle perdite navali subite dai britannici si aggiunsero 36 velivoli, 29 dei quali appartenenti alle portaerei e 6 alla R.A.F. di Malta, mentre da parte dell’Asse andarono perduti 50 velivoli (32 italiani e 18 tedeschi), cui si aggiunse quella di due sommergibili italiani e il danneggiamento degli incrociatori Attendolo e Bolzano, che restarono per sempre immobilizzati.

Se le forze dell’Asse ottennero una notevole vittoria tattica, invece dal punto di vista strategico, l’operazione “Pedestal” fu un indubbio successo britannico, poiché l’arrivo a Malta di 32.000 t di rifornimenti, tra carico bellico, viveri e combustibile, permise all’isola di incrementare le scorte fino all’inverso del 1942. Ma soprattutto, l’isola potè tornare nuovamente a disporre della benzina necessaria per riprendere le micidiali azioni aeree offensive contro il traffico dell’Asse diretto in Libia, proprio nel momento in cui si decideva la battaglia di El Alamein. Le perdite inflitte in mare ai rifornimenti dell’Asse, contribuirono non poco al successo dell’offensiva terrestre dell’8^ Armata del generale Montgomery.

Occorre però dire che le forti perdite subite dai britannici nel corso dell’Operazione “Pedestal”, costituirono il fattore di maggiore pressione nel convincere gli Alleati a ritenere che un nuovo tentativo di avvicinarsi al Canale di Sicilia sarebbe stato pagato in modo ancora più severo. Di ciò furono particolarmente convinti gli statunitensi che, nel pianificare l’invasione del Nord Africa Francese (operazione Torch), poi attuata nel novembre del 1942, si opposero fermamente alle richieste dei loro colleghi britannici di sbarcare a Biserta. Limitando le operazioni anfibie ad Orano ed Algeri, per tenersi il più lontano possibile fuori dal raggio d’azione dei mezzi aeronavali dell’Asse, gli anglo-americani concessero a italiani e tedeschi di potersi impossessare rapidamente della Tunisia e di conseguire con ciò l’indubbio successo strategico di ritardare la perdita dell’Africa al maggio del 1943.”

Francesco Mattesini

Roma, 16 Marzo 2010

La battaglia aeronavale di mezzo agosto 1942 (Operazione “Pedestal”).[modifica wikitesto]

Estratto dal lavoro di Francesco Mattesini, “Immagini della nostra ultima guerra sul mare”, parte settima: 1° luglio – 30 settembre 1942, stampato dal Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, settembre 2002.

Per saperne di più: Francesco Mattesini, “La battaglia aeronavale di mezzo agosto”, Edizioni dell’Ateneo, Roma, 1986, pagine 611.

Dopo il fallimento in giugno delle operazioni Harpoon e Vigorous, che comportarono la perdita di 6 navi mercantili, sulle 17 avviate da Malta dalla Gran Bretagna e dai porti del Mediterraneo orientale, e l’arrivo a Malta di due soli piroscafi, negli ambienti britannici di Londra e del Medio oriente vi fu molto scetticismo sulle possibilità di resistenza di Malta, e sulla convenienza di effettuare un altro tentativo di rifornimento, che avrebbe comportato un grande spiegamento di mezzi, e perdite rilevanti, come aveva dimostrato l’esperienza. Inoltre, a differenza di quanto era stato pianificato nel mese di giugno, doveva essere seguita una sola rotta: quella del Mediterraneo occidentale, dal momento che, ad oriente, tutte le basi aeree della Cirenaica e dell’Egitto fino ad El Alamein, erano cadute in mano alle forze dell’Asse. Winston Churchill, che per temperamento e determinazione non era secondo a nessuno, si mostrò deciso di non abbandonare al suo destino l’isola fortezza assediata, e scrivendo al Primo Lord del Mare, ammiraglio Dudley Pound, sostenne: “Il destino di Malta è in gioco e devo poter assicurare il Governo che la Marina non l’abbandonerà mai”. L’ammiraglio Pound e il signor Hon A.V. Alexander, Primo Lord dell’Ammiragliato, condivisero il punto di vista del Primo Ministro nei riguardi di un eventuale abbandono di Malta, considerata “una perdita disastrosa per l’Impero britannico e fatale alla difesa della Valle del Nilo”. Pertanto, nel corso del mese di luglio, l’Ammiragliato britannico, riunendo forze navali sottratte ai più svariati scacchieri di guerra, come l’Artico e l’Oceano Indiano, pianificò la “Pedestal”, organizzando a Greenock (estuario del Clyde) un convoglio veloce, costituito da quattordici grosse navi da trasporto e da una petroliera, a cui furono assegnati, riuniti nella Forza F (vice ammiraglio E. N. Syfret), due gruppi di scorta. Il primo gruppo, denominato Forza Z e destinato ad accompagnare il convoglio fino al canale di Sicilia, fu costituito con le corazzate Nelson (vice ammiraglio Syfret) e Rodney, le navi portaerei Victorious, Indomitable ed Eagle, gli incrociatori Sirius, Phoebe e Charybdis e 12 cacciatorpediniere. Il secondo gruppo, la Forza X destinata ad accompagnare il convoglio fino agli approcci di Malta per poi tornare indietro a Gibilterra, disponeva degli incrociatori Nigeria (ammiraglio H. M. Burrough), Kenya e Mancester, del piccolo e vecchio incrociatore Cairo – il vincitore della battaglia di Pantelleria – e di altri 12 cacciatorpediniere. Vi era poi un gruppo di rifornimento in mare, costituito da 2 petroliere e da 4 corvette di scorta, a cui furono aggregati, quali navi di salvataggio, 2 grossi rimorchiatori. Per la scorta aerea e l’eventuale intervento offensivo erano disponibili sulle navi portaerei 72 velivoli da caccia, tra Hurricane, Fulmar e Martlet, e 28 aerosiluranti Albacore. Dal momento che il Comando della R.A.F. di Malta aveva chiesto di reintegrare le perdite di velivoli da caccia, quantificate in 17 velivoli alla settimana, fu deciso di inviare sulle 3 basi dell’isola, in 2 spedizioni successive, altri 60 Spitfire tramite la portaerei Furious (operazione “Bellows”), che inizialmente fu aggregata al movimento del convoglio verso levante, fino all’altezza di Algeri, accompagnata da 8 cacciatorpediniere. Furono poi mobilitate anche le forze navali di Malta, costituite da 4 dragamine di squadra e da 7 motolance, e vennero inviati in agguato 8 sommergibili presso le principali basi nemiche, in particolare a nord della Sicilia e a levante di Pantelleria per ostacolare l’eventuale intervento di navi di superficie italiane Un altro sommergibile (Una) fu destinato a sbarcare alcuni “commandos” alla foce del fiume Simeto, destinati ad effettuare azioni di sabotaggio contro i reparti da bombardamento tedeschi nell’aeroporto di Catania. Azione che fallì completamente per la vigilanza italiana. Con l’operazione “Ascendano” fu poi programmato di riportare a Gibilterra i 2 piroscafi arrivati a Malta a metà giugno (operazione “Harpoon”), accompagnati da 2 cacciatorpediniere. Questi ultimi, il Badsworth e il Matchless, assieme al piroscafo Orari, erano stati sommariamente riparati a La Valletta dopo i danni riportati al momento di entrare nel porto di Malta, per mine tedesche, posate dalle motosiluranti della 3^ Flottiglia del famoso tenente di vascello Friedrich Kemnade. Infine, dopo che la R.A.F. aveva inviato a Malta notevoli rinforzi dall’Inghilterra e dal Medio Oriente, portando il quantitativo di velivoli al numero di circa 280 – inclusi più di 200 caccia tra Spitfire e Beaufighter, ed il resto aerosiluranti, bombardieri e ricognitori – allo scopo di creare una diversione nel Mediterraneo orientale, fu pianificata l’operazione “M.G. 3”. Il suo scopo come scrisse il Comandante della Mediterranean Fleet, ammiraglio Harwood, era quello di impedire “che il nemico potesse impiegare tutto il peso delle sue forze navali ed aeree contro il convoglio proveniente da Gibilterra”. L’operazione “M.G. 3,” pertanto, consistette nel far partire dai porti del Mar del Levante un convoglio fittizio di 4 piroscafi che, scortato dai 4 incrociatori Cleopatra (contrammiraglio Vian), Dido, Arethusa e Euryalus, e quindici unità di scorta, una volta localizzato dai ricognitori dell’Asse, doveva disperdersi e rientrare alle basi dopo aver raggiunto, la sera dell’11 agosto, una zona situata a nord di Alessandria. Nella notte tra il 9 e il 10 agosto, dopo che le 3 portaerei della Forza F, a cui si aggiunse temporaneamente anche la vecchia Argus, avevano svolto, nel corso della navigazione in Atlantico, un ciclo di esercitazioni ritenuto necessario per permettere agli aerei imbarcati di affinare le tattiche di combattimento, il convoglio ed il suo poderoso nucleo di scorta – il maggiore che fosse stato impiegato nella seconda guerra mondiale per proteggere un solo convoglio di rifornimento – superarono lo stretto di Gibilterra ed entrarono nel Mediterraneo, per poi proseguire con rotta est. Il movimento fu subito percepito dagli agenti dell’Asse ubicati sulle coste meridionali della Spagna e in quelle del Marocco spagnolo, e nella giornata del 10 agosto, durante una riunione tenutasi a Roma, presso il Comando Supremo, presenti alti ufficiali della Marina, dell’Aeronautica italiana e dell’O.B.S., fu pianificata l’azione di contrasto delle forze aeronavali dell’Asse. Tuttavia, forse non rendendosi conto di quale importanza rivestiva un intervento di tutte le forze navali per far fallire l’operazione britannica, fu escluso l’impiego delle 4 corazzate efficienti presenti a Taranto (Vittorio Veneto, Andrea Doria, Duilio e Giulio Cesare) motivandolo per deficienza di nafta e sostenendo che l’intervento di quelle navi da battaglia avrebbe comportato di consumare l’intera quantità di combustibile della scorta intangibile destinato all’applicazione della Di. Na. n. 7; ossia all’ “Azione a massa aeronavale”, pianificata fin dalla fine di maggio 1941 per intervenire contro la flotta britannica, che era proprio l’occasione che si stava presentando in quel momento, perché nella Di. Na. 7 era previsto il contrasto ad ogni iniziativa nemica verso il Mediterraneo centrale. Fu disposto di attuare un ampio schieramento di 22 sommergibili (2 tedeschi) tra le Baleari e Malta, l’impiego di dodici motosiluranti (6 tedesche) e di una dozzina di Mas nel Canale di Sicilia, e l’attuazione, con il cacciatorpediniere Malocello, di uno sbarramento temporaneo di mine presso Capo Bon, in acque territoriali francesi. Dovendo poi decidere sull'eventuale intervento di 6 incrociatori (Gorizia, Bolzano, Trieste, Eugenio di Savoia, Montecuccoli e Attendolo) e 11 cacciatorpediniere a sud di Pantelleria, quando il convoglio britannico sarebbe stato abbandonato dalla sua potente scorta di copertura, il Sottosegretario di Stato e Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Riccardi mise bene in chiaro: “Naturalmente il movimento degli incrociatori è legato alla disponibilità di aerei da caccia”. Questi, avrebbero dovuto assicurare sul cielo delle navi una scorta continua con turni di otto velivoli alla volta, per fronteggiare, rispetto all’azione di giugno, un maggior numero di aerei presenti a Malta. Dal momento le aviazioni dell’Asse stavano preparandosi ad intervenire in forze contro il convoglio britannico, rinforzando i reparti da bombardamento e di aerosiluranti dislocati in Sicilia e in Sardegna, avendo a disposizione soltanto cinque gruppi da caccia di aerei moderni (3 italiani e 2 tedeschi) per scortare una massa di circa 400 velivoli offensivi, dovettero prendere un’estrema decisione. Non volendo essere assenti sul cielo della battaglia, assegnando gran parte dei suoi cinquanta caccia alla scorta alle navi, il Comando del II Fliegerkorps sostenne di non essere in grado di farlo; ed anche Superaereo, pur riconoscendo le necessità della Marina si mostro molto restio ad accontentarla, almeno in parte, cedendo alla scorta delle navi tutti quei velivoli meno competitivi (Cr. 42, Mc. 200, Re. 2000, Cr. 25) di cui si poteva fare a meno per scortare le sue imponenti formazioni offensive. Dopo molte discussioni, proseguite nelle giornate dell’11 e del 12 agosto, il maresciallo Cavallero, Capo del Comando Supremo, riuscì a convincere il generale Fougier, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, ad assegnare, per il giorno 13 in cui era previsto l’intervento navale, un appoggio aereo sostanzioso che prevedeva l’impiego di turni di scorta di sei velivoli. In tal modo, prevedendo che ogni caccia effettuasse almeno due missioni, si riduceva da 60 a 45 il numero dei velivoli necessari per scortare le navi.

Gli attacchi contro il convoglio, iniziati nelle prime ore dell’11 agosto da parte del sommergibile italiano Uarsciek (tenente di vascello Gaetano Arezzo della Targia), che lancio i siluri contro la portaerei Furious senza riuscire a colpira, furono poi continuati nelle prime ore del pomeriggio – proprio mentre la Furious, trovandosi a nord di Algeri, stava lanciando, in quattro formazioni, i suoi 37 Spitfire diretti a Malta – dall’U 73. Questo sommergibile tedesco, comandato dal ten. vasc. Helmut Rosembaum, approfittando del fatto che 11 dei 24 cacciatorpediniere avevano abbandonato le assegnate posizioni di scorta del convoglio per rifornirsi alle petroliere, alle 13.00 superò abilmente il ridotto schermo difensivo ed attaccò, nei quartieri poppieri di sinistra la portaerei Eagle, colpendola con quattro siluri lanciati da una distanza di soli 400 metri. La portaerei affondò nello spazio di 8 minuti, e la perdita dei suoi 16 velivoli da caccia privò la Forza F del 20% della sua forza aerea di protezione, che durante tutta la mattinata era stata intensamente impegnata contro gli Ju. 88 tedeschi della 2^ Squadriglia del 122° Gruppo Ricognizione Strategica (2(F)/122). I rilevamenti dei ricognitori tedeschi Ju. 88 della 2^ Squadriglia del 122° Gruppo (2(F)/122), i soli impiegati nel corso dell’11 agosto dal momento che l’intervento di quelli italiani (i Cant Z. 1007 bis del 51° Gruppo R.S.) era stato previsto per la giornata del 12, pur svolgendosi sotto il contrasto dei caccia delle portaerei che abbatterono uno degli Ju. 88, servirono al Comando del II. Fliegerkorps per fornire precisi dettagli fotografici ai reparti offensivi. L’azione, a cui parteciparono 28 bombardieri Ju. 88 degli stormi KG. 54 e del KG. 77 e tre aerosiluranti He. 111 della 6^ Squadriglia del 26° Stormo Bombardamento (6/KG.26), si sviluppò poco dopo il tramonto del sole. Ciò permise alla maggior parte dei velivoli tedeschi di eludere l’intervento dei caccia delle portaerei, che riuscirono ad abbattere soltanto uno Ju. 88 del Gruppo da Combattimento KGr. 806. Un altro velivolo di questo gruppo fu distrutto, mentre attaccava in picchiata, dall’intenso fuoco contraereo delle navi, che da parte loro non riportarono alcun danno, mentre almeno tre aerei da caccia, che nella sopraggiunta oscurità avevano tentato di intercettare i velivoli tedeschi, si sfasciarono atterrando al buio nei ponti di volo delle portaerei Quasi contemporaneamente, allo scopo di menomare il potenziale aereo offensivo dell’Asse concentrato sugli aeroporti della Sardegna, al tramonto dell’11 agosto una formazione di nove caccia a lungo raggio Beaufighter del 248^ Squadron della R.A.F. (ten. col. Thomas Geoffrey Pike), decollati da Malta, effettuò a volo radente una micidiale azione di mitragliamento contro gli aerei parcheggiati ad Elmas e Decimomannu. Furono colpiti e incendiati parecchi velivoli arrivati dal continente, e che non erano stati ancora decentrati perché si trovavano in fase di rifornimento. Cinque aerosiluranti S. 79 andarono completamente distrutti, ed altri 14 rimasero più o meno danneggiati; e ciò ridusse sensibilmente l’efficienza della massa offensiva italiana, che doveva entrare in azione l’indomani. Mentre il convoglio proseguiva la sua navigazione, affrontando una navigazione notturna alquanto tranquilla, il cacciatorpediniere Wolverine – una delle navi di scorta della portaerei Furious che stava rientrando a Gibilterra per imbarcare altri Spitfire destinati a Malta – transitando nelle prime ore del 12 agosto a sud delle isole Baleari localizzò in superficie il sommergibile italiano Dagabur (tenente di vascello Renato Pecori), e lo speronò affondandolo con l’intero equipaggio. Un altro sommergibile italiano, il Giada (tenente di vascello Gaspare Cavallina), trovandosi spostato più a levante, fu attaccato e danneggiato al mattino da due idrovolanti quadrimotori Sunderland del 202° Squadron della R.A.F., uno dei quali, il TK7C, fu abbattuto dalle mitragliere dell’unità subacquea. Avendo riportato molti feriti gravi, e prima di rientrare alla Maddalena, il Giada fu costretto a raggiungere il porto spagnolo di Valencia per sbarcarvi gli uomini più menomati. Infine, il sommergibile Cobalto (tenente di vascello Raffaele Amicarelli) fu localizzato ed affondato nel pomeriggio dal cacciatorpediniere Ithuriel, che poi ne recuperò i superstiti. Sempre al mattino del 12, dopo le prime segnalazioni giunte dai ricognitori Ju. 88 tedeschi della 2(F)/122 – che decollando dalla Sardegna erano stati rinforzati nelle loro missioni esplorative dai velivoli del KGr.606 – la Forza F fu attaccata da una formazione di diciassette bombardieri del 1° e 2° Gruppo del 1° Stormo Sperimentale (I. e II./LG.1). Gli Ju 88 dei due gruppi, che appartenevano al X Fliegerkorps ed erano rispettivamente comandati dai capitani Jochim Helbig e Karl-Heinz Schomann, furono però intercettati a 16 miglia dal convoglio da 16 caccia decollati su allarme radar dalle portaerei Victorious e Indomitable, e sebbene fossero riusciti a passare sganciando le bombe in picchiata, non ottennero alcun risultato e persero ben cinque dei diciassette velivoli attaccanti. Altri due Ju. 88 del II./LG.1, che erano stati costretti per guasti meccanici a dirigere verso la Sardegna, giunti nella zona del Golfo di Cagliari ed attaccati, per mancato riconoscimento, da due velivoli G. 50 italiani del 24° Gruppo Caccia Terrestre (sottotenenti pilota Suppo e Rodolfi), furono entrambi abbattuti dopo essere stati anche inquadrati dal tiro dalle batterie contraeree. Alle proteste tedesche, da parte di Superaereo fu risposto, con una certa stizza, che i velivoli tedeschi, avvicinandosi a Cagliari, non avevano fatto i prescritti segnali di riconoscimento. Comunque, all’Ufficio di Collegamento tedesco presso la Regia Aeronautica, fu espresso rincrescimento per la perdita degli otto membri degli equipaggi dei due Ju. 88, ai quali furono tributate a Cagliari solenni onoranze funebri. Tra le 12.00 e le 13.30, mentre la Forza F stava transitando a sud della Sardegna – con i caccia delle portaerei che erano impegnati contro i ricognitori Ju. 88 tedeschi e in particolare contro i più facili bersagli costituiti dai Cant Z. 1007 bis italiani del 51° Gruppo Ricognizione Strategica, tre dei quali furono abbattuti – si sviluppò, da parte dell’Asse, il più grande attacco in massa di tutta la guerra combattuta nel Mediterraneo. Vi parteciparono, con decollo dalle basi della Sardegna ben 116 velivoli italiani, inclusi 42 aerosiluranti, e provenienti dalla Sicilia, trentasette bombardieri Ju. 88 del KG.54 e KG.77, scortati da 21 caccia Bf. 109 del I./JG.77. Ma a dispetto del gran numero di aerei impiegati, e della perdita di quattro aerei italiani abbattuti dai caccia delle portaerei, l’azione offensiva, - che vide anche impegnati 8 tuffatori Cr. 42, 10 bombardieri S. 84 armati con motobombe FFF, 2 cacciabombardieri Re. 2001, armati con grossa bomba perforante da 630 chili, e un velivolo S. 79 radiocomandato fornito di una bomba da 1000 chili e radio-guidato da un Cant Z. 1007 bis, - risultò un vero fallimento. Anche perché i 42 aerosiluranti dei gruppi 89°, 105°, 109°, 130° e del 2° e 3° Nucleo Addestramento, che attaccarono il convoglio su ambo i lati, lanciarono da troppo lontano, mentre l’S. 79 radiocomandato deviò dalla sua rotta a causa di un guasto all’apparato di guida del Cant Z. 1007 bis, il cui personale tecnico non riuscì a correggere l’anomalia. Ne risultò che soltanto le due speciali bombe perforanti da 630 chili, sganciate a volo radente dai Re. 2001, raggiunsero il bersaglio, costituito dalla Victorious; ma a causa della bassa quota di sganciò, di soli 20 metri, vi fu un ritardo all’attivazione della spoletta, e le bombe scivolarono sul ponte di volo corazzato per poi una deflagrare e l’altra esplodere in mare, procurando alla nave portaerei soltanto lievi danni. Anche l’azione degli Ju. 88, che attaccarono per ultimi in picchiata, risultò deludente dal momento che i bombardieri tedeschi riuscirono, ad opera del velivolo del Comandante del II./KG.77 (capitano Heinrich Paepck), a danneggiare il solo piroscafo Deucalion, che poi proseguì la navigazione scortato dal solo piccolo cacciatorpediniere di scorta Bramham. Dopo questa serie di attacchi, superati senza troppi danni, la Forza F passò a circa 20 miglia a nord dell’isola Galite e trascorse il resto del pomeriggio ad evitare con successo attacchi di sommergibili italiani, affondando, come detto, il Cobalto con il cacciatorpediniere Ithuriel. Quasi contemporaneamente fu fronteggiata un’incursione di 8 tuffatori Cr. 42 italiani del 24° Gruppo scortati da caccia Re. 2001, uno dei quali, del 22° Gruppo, fu abbattuto dagli intercettori delle portaerei britanniche, che successivamente distrussero anche un ricognitore S. 79 del 32° Gruppo dell’Aeronautica della Sicilia, i cui reparti offensivi iniziarono gli attacchi alle 18.35. Vi parteciparono 14 aerosiluranti S. 79 del 132° Gruppo (capitano Ugo Rivoli) e 8 Ju. 87 del 102° Gruppo Bombardamento a Tuffo (capitano Antonio Cumbat), scortati da 28 caccia Mc. 202 del 51° Stormo (tenente colonnello Aldo Remondino), a cui si aggiunsero 20 Ju. 87 tedeschi del 1° Gruppo del 3° Stormo Stuka (capitano Martin Mussdorf), decollati da Trapani, scortati da caccia Bf. 109 del II./JG.53 (capitano Gerhard Michalski). L’attacco, coordinato, si svolse a 120 miglia a ovest della Sicilia, e sebbene fosse stato nuovamente contrastato dai caccia della Victorious e della Indomitable, il cui lavoro – considerato “magnifico” dal comandante delle portaerei contrammiraglio Lumley Lyster – non poté questa volta impedire il verificarsi di gravi danni. Gli Ju. 87 italiani, due dei quali furono abbattuti, riuscirono a colpire la corazzata Rodney con una bomba da 500 chili, che però (com’è scritto nel diario della nave) esplose fuori bordo dopo essere slittata su una torre protetta dei cannoni principali da 409 mm. Subito dopo attaccarono gli Ju. 87 tedeschi, che concentrarono la loro azione sulla Indomitable, colpendola con tre bombe e mettendone fuori uso il ponte di volo. Infine sopraggiunsero gli aerosiluranti S. 79, uno dei quali, della 278^ Squadriglia, riuscì a colpire il cacciatorpediniere della Forza X Foresight, il quale, dopo un lungo tentativo di rimorchio, dovette essere affondato l’indomani dal sezionarlo Tartar. Questa serie di successi non doveva restare isolata, perché circa un’ora più tardi, quando il vice ammiraglio Syfret aveva anticipato l’inversione di rotta della Forza Z, per portare al più presto la danneggiata Indomitable lontana dagli aeroporti dell’Asse, il convoglio e il suo gruppo di scorta, la Forza X, entrarono nel Canale del Banco Skerki, in cui erano concentrati ben cinque sommergibili italiani. Gli attacchi da essi portati, in quella zona di mare situata a nord di Biserta, ebbero per i britannici conseguenze inimmaginabili. Dieci minuti dopo che il Dessie (tenente di vascello Renato Standola) aveva effettuato un lancio di siluri non coronato da successo, attaccò l’Axum (tenente di vascello Renato Ferrini), proprio nel momento in cui il convoglio stava mutando la sua formazione da quattro a due colonne per manovrare di notte in acque ristrette, e con un brillante lancio di quattro siluri riuscì a piazzarne tre sugli gli incrociatori Nigeria e Cairo e sulla petroliera Ohio. Il Nigeria, fortemente sbandato, dovette invertire la rotta, a velocità ridotta, scortato da 4 cacciatorpediniere; il Cairo, con la poppa demolita, fu affondato dal cacciatorpediniere Pathfinder; mentre la Ohio, colpita a centro nave e rimasta inizialmente immobilizzata, proseguì la rotta per Malta arretrata dal convoglio. Il fatto che la metà della scorta della Forza X, inizialmente costituita, dopo la perdita del Foresight, da 11 cacciatorpediniere, fosse stata subito impegnata in soccorso delle navi danneggiate e il fatto che i due incrociatori colpiti si fossero trovati a capofila delle due colonne del convoglio, ebbe quale conseguenza uno sbandamento delle navi mercantili, e una notevole riduzione delle loro unità di scorta. Esse si trovarono scarsamente protette proprio nel momento in cui, tra le 20.30 e le 21.30, il II Fliegerkorps portava a compimento un micidiale attacco crepuscolare, con 30 bombardieri Ju. 88 degli stormi KG.54 e del KG.77, e con 7 aerosiluranti He. 111 della squadriglia 6/KG.26; attacco, che fu agevolato dal fatto che i 6 caccia a lungo raggio Beufighter, provenienti da Malta per assumere la scorta del convoglio, non poterono rintracciare al buio i velivoli attaccanti. Il piroscafo Empire Hope fu colpito da due bombe e dovette essere affondato dal cacciatorpediniere Penn, mentre il Clan Ferguson, raggiunto da un siluro, esplose rimanendo poi a galla come un relitto al quale più tardi, alla mezzanotte, il sommergibile italiano Bronzo (ten. vasc. Cesare Buldrini) dette il colpo di grazia. Altri 2 aerosiluranti rintracciarono ed affondarono il danneggiato Deucalion, che scortato dal cacciatorpediniere Bramham seguiva il convoglio costeggiando la costa della Tunisia, mentre il Brisbane Star, anch’esso colpito da un siluro sganciato da un He. 111 della 6/KG.26, fu in grado di continuare isolato la navigazione. Nel corso di questo attacchi aerei tedeschi andò perduto soltanto uno Ju. 88 del gruppo da combattimento KGr. 808, abbattuto dal fuoco delle navi, probabilmente il piroscafo statunitense Almeria Lykes. Infine, in mezzo a questa mischia, si fece largo il sommergibile italiano Alagi (tenente di vascello Sergio Puccini) che alle 21.05 colpì con un siluro all’estrema prora l’incrociatore Kenya, che però poté proseguire la navigazione con il convoglio. Dopo questo nuovo infortunio, i piroscafi inglesi si trovarono ampiamente disseminati in tutte le direzioni proprio quando, avvicinandosi a Capo Bon, con la scorta ridotta ai due incrociatori Manchester e Kenia e sei cacciatorpediniere – poi rafforzata al mattino del 13 agosto con l’incrociatore Charybdis e altri due cacciatorpediniere staccatisi dalla Forza Z – il convoglio stava per iniziare la navigazione notturna in una zona insidiata dai mas e dalle motosiluranti italiane e tedesche, in agguato tra la costa della Tunisia e l’isola di Pantelleria. Ne seguì una serie di arditi e micidiali attacchi che vide protagoniste le unità italiane. Dopo l’attacco di due motosiluranti tedesche della 3^ Flottiglia, una delle quali, la S 58 (sottotenente di vascello Siegrfried Wuppermann) restò colpita da una granata, arrivarono al lancio, alle 01.00 del 13 agosto, le motosiluranti italiane della 2^ Flottiglia MS 16 (capitano di corvetta Giorgio Manuti) e MS 22 (tenente di vascello Franco Mezzadra. Uno dei siluri, probabilmente lanciato dalla MS 22, colpì il Manchester, l’unico incrociatore della formazione britannica ancora indenne, il quale, rimasto immobilizzato presso Kelibia, con il timone e le caldaie inutilizzabili, dovette essere affondato. Alle 01.47, la MS 31 (tenente di vascello Antonio Calvani) affondò con due siluri il piroscafo Glenorchy. Successivamente, dopo altre azioni non confortate dal successo condotte da altre due motosiluranti tedesche (S 30 e S 36), in una serie di attacchi, che proseguirono fino all’alba contro i mercantili isolati, i Mas della 18^ e 20^ Squadriglia colpirono 4 piroscafi. Furono affondati dai Mas 557 (guardiamarina Battista Cafiero) e 552 (sottotenente di vascello Rolando Parasso) il piroscafo statunitense Santa Elisa e il britannico Wairangi, mentre il Mas 554 (sottotente di vascello Marco Calcagno) immobilizzò il piroscafo statunitense Almerya Likes, che poi al mattino ricevé il colpo di grazia dalle bombe sganciate da uno Ju. 88 del KGr. 806, con capo equipaggio il tenente Wolfgang Schultz. Invece, il piroscafo britannico Rochester Castle, pur colpito da un siluro lanciato dal Mas 564 (nocchiere di 2^ classe Giuseppe Iofrate), poté proseguire nella sua navigazione a 13 nodi, raggiungendo poco dopo la testa del convoglio. Quando alle prime luci dell’alba – essendo stato raggiunto dall’incrociatore Charybdis e dai due cacciatorpediniere di squadra Eskimo e Somali, staccatasi dalla Forza Z – il contrammiraglio Burrought poté fare il conto di quante navi gli rimanevano, egli constatò che il grosso del convoglio era ridotto a 2 incrociatori (uno dei quali, il Kenya, con falla di siluro), 7 cacciatorpediniere e 5 navi mercantili. A questo punto, mentre le navi britanniche cominciavano ad essere attaccate dagli aerei tedeschi e italiani di base in Sicilia, avrebbe dovuto verificarsi l’intervento dei 6 incrociatori e degli 11 cacciatorpediniere italiani, che la sera del 12 agosto si erano riuniti nel basso Tirreno, presso Ustica, provenienti da Messina, Napoli e Spezia. Ma il temuto attacco navale, che avrebbe certamente avuto effetti disastrosi per le navi britanniche, non si verificò in quanto le unità italiane della 3^ e 7^ Divisione Navale, che erano al comando dell’ammiraglio Angelo Parona, avevano avuto l’ordine di rientrare alle basi quando già si trovavano a sud-ovest di Marsala. Era infatti accaduto che, sulla base di due avvistamenti di sommergibili (Alagi e Bronzo) che segnalarono a nord delle coste della Tunisia unità navali dirette verso levante, a cui si aggiunse un avvistamento di un ricognitore Cant Z. 506 della 146^ Squadriglia della Ricognizione Marittima, che nella tarda serata del 12 agosto aveva segnalò presso l’isola dei Cani tre grandi navi che stavano seguendo il convoglio (erano lo Charybdis e i suoi due cacciatorpediniere di scorta) a Supermarina vi fu il sospetto che tra quelle unità vi fosse almeno di una corazzata, destinata a sostenere il transito delle altre navi nel Canale di Sicilia. All’idea di trovare l’indomani una nave da battaglia nelle acque di Pantelleria, si aggiunse il bleuf della R.A.F , realizzato con due velivoli da ricognizione Wellington del 69° Squadron dotati di radar, che tenevano sotto osservazione le divisioni navali italiane, Contraddistinti con lettere O (Orange) e Z (Zebra), i due Wellington simularono falsi attacchi con bombe, per poi scambiare con il loro Comando di Malta messaggi fittizi, intercettati dagli italiani, da cui si deduceva si sarebbe svolto un massiccio attacco notturno con aerosiluranti. Ve ne era abbastanza per scoraggiare il sempre timoroso ammiraglio Riccardi - che era appoggiato ai vertici di Supermarina dal suo vice ammiraglio Vito Sansonetti. – il quale esercitò pressioni al Comando Supremo per la sospensione della missione; e poiché anche il generale Cavallero era altrettanto preoccupato, al Capo del Comando Supremo non fu difficile, verso la mezzanotte, convincere per telefono un mortificato Mussolini ad autorizzare la ritirata delle navi. La decisione di aver deciso di sospendere l’azione fu motivata da Cavallero, presso il Duce, con il fatto che l’ammiraglio Riccardi la riteneva “troppo pericolosa per la Marina”, e che occorreva non far correre alle navi “un rischio non pagato da un rendimento corrispondente”. A Mussolini la ritirata delle navi dovette costare parecchio, e indubbiamente la autorizzò con molto rimpianto perché, come annotò nel suo diario il Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano, ciò significò far mancare nella battaglia “il cannone della Marina”. In tal modo fu impedito di trasformare un brillante successo tattico dei sommergibili, delle unità insidiose e degli aerei dell’Asse in una vittoria strategica, forse decisiva per le sorti di Malta. Purtroppo, come se il fato avesse voluto punire la scarsa energia dimostrata in quell’occasione dai capi militari italiani, in particolare di quelli della Marina, le divisioni navali dell’ammiraglio Parona, trovandosi sulla rotta del rientro a Messina, passando per le isole Iolie, furono attaccate dal sommergibile britannico Unbroken (tenente di vascello A.C.G. Mars), che su ordine del Comando della 10^ Flottiglia di Malta si era spostato verso nord dalla zona di agguato al largo di Milazzo. L’Unbroken, ripetendo quanto l’Axum aveva fatto contro il convoglio dodici ore prima, silurò simultaneamente al largo di Lipari gli incrociatori Muzio Attendolo, che ebbe asportata l’intera prora, e Bolzano, che fu portato in secca sulla spiaggia di Lisca Bianca, a Panarea. L’Attendolo, scortato dai cacciatorpediniere, raggiunse Messina con i suoi mezzi; il Bolzano messo in condizioni di navigare dopo un mese di duro lavoro, che comportò di stendere intorno alla nave incagliata uno sbarramento retale, fu rimorchiato a Napoli. Sebbene si fossero entrambi salvati i due incrociatori non poterono ultimare i lavori di riparazione e rimasero per sempre fuori combattimento. L’Attendolo fu affondato a Napoli il 4 dicembre 1942 in un attacco di venti bombardieri B. 24 del 98° e 376° Gruppo della 12^ Air Force statunitense; il Bolzano – spostato alla Spezia per le definitive riparazioni, in seguito agli avvenimenti dell’8 settembre 1943, seguiti all’armistizio dell’Italia – caduto in mani tedesche finì i suoi giorni in quel porto ligure, dopo che il 2 giugno 1944 era stato affondato dal mezzo d’assalto britannico “chariot” del tenente di vascello M.R. Causer. Venuto a mancare l’intervento delle navi di superficie italiane, fu soprattutto l’attività della Luftwaffe che procurò al convoglio britannico nuovi danni, affondando nel corso della giornata del 13 agosto i piroscafi Waimarama e Dorset, rispettivamente ad opera dei bombardieri Ju 88 del II./LG.1 e dei tuffatori Ju. 87 del I./St.G.3. In particolare il Waimarama, che era carico di munizioni, esplose letteralmente, con altissima colonna di fiamme di fumo, dopo essere stato colpito dalle bombe sganciate dal velivolo del maggiore Gerhard Kollewe, Comandante del II:/LG.1. Fallirono invece con forti perdite, determinate dalla reazione degli Spitfire di Malta che avevano assunto fin dal mattino la scorta ad ombrello delle navi, gli attacchi portati dagli aerosiluranti e dai bombardieri in picchiata dell’Aeronautica della Sicilia; attacchi che furono, continuati, dopo l’arrivo alla Valletta dei quattro superstiti piroscafi del convoglio, anche nella giornata del 14 contro la petroliera Ohio, rimastra arretrata e faticosamente trascinata da tre cacciatorpediniere, a cui si aggiunsero i mezzi di soccorso di Malta. Sebbene la Ohio fosse stata colpita dalle bombe, una delle quali, da 500 chili, sganciata da un Ju. 87 italiano del 102° Gruppo B. a T., che caduta vicino allo scafo aprì un grosso squarcio a poppa – aumentando nelle cisterne gli allagamenti causati dal siluro del sommergibile Axum – l’appesantita petroliera, sostenuta sui fianchi e trainata dai cacciatorpediniere, il mattino del 15 riuscì faticosamente a raggiungere il porto della Valletta. Qui affondò, in modo irrecuperabile, subito dopo aver ultimato lo scarico del suo prezioso carico di 11 000 t di benzina per gli aerei, che era ritenuto indispensabile per permettere alle forze aeree dell’isola di continuare a svolgere la loro preziosa attività difensiva ed offensiva contro convogli dell’Asse diretti In Nord Africa. Nel frattempo nel corso della mattinata del 14 agosto, il massimo sforzo della Luftwaffe e della Regia aeronautica era stato rivolto contro le unità della Forza X (2 incrociatori e 5 cacciatorpediniere) che, dopo aver accompagnato i resti del convoglio WS 21/S presso Malta, avevano invertito la rotta per rientrare a Gibilterra. In rotta verso la zona a nord di Algeri, dove erano attesi da un nucleo della Forza Z, non impegnato nella scorta alle unità gravemente danneggiate che stavano dirigendo verso Gibilterra (portaerei Indomitable e incrociatore Nigeria), la Forza X fu duramente attaccata a nord delle coste dell’Algeria, dapprima dai bombardieri del II Fliegerkorps e poi dai bombardieri e dagli aerosiluranti della Regia Aeronautica, decollati dalla Sicilia e dalla Sardegna. Nel corso di questi attacchi, a cui parteciparono da parte tedesca 35 bombardieri Ju. 88, e 13 tuffatori Ju. 87, e da parte italiana 15 bombardieri S. 84 e 20 aerosiluranti S. 79, soltanto l’incrociatore Kenya riportò danni per una bomba, sganciata in picchiata da uno Ju. 88 del II./KG.77, caduta vicino allo scafo, ma fu in grado di proseguire nella sua navigazione verso ponente, mantenendo la velocità della formazione. Da parte della Luftwaffe, a causa della sola reazione contraerea, dal momento che, a causa dell’eccessiva distanza da Malta, nessun caccia britannico venne a trovarsi sul cielo delle navi, andarono perduti uno Ju. 88 del II./KG.77 e uno Ju. 87 del I./St.G.3. Nessuna perdita subì la Regia Aeronautica, anche se parecchi velivoli rientrarono alle basi seriamente danneggiati. Quella che è passata alla Storia come la battaglia di “Mezzo Agosto” rappresentò una vittoria delle forze aeronavali dell’Asse, che fu resa possibile , sotto l’aspetto strettamente militare, dall’ampiezza e dalla ripartizione delle forze impiegate e dall’acume tattico con cui esse furono distribuite nel piano d’impiego. Purtroppo non raggiunse il meritato trionfo a causa dell’inopportuno ritiro degli incrociatori delle 2 divisioni navali italiane. Particolarmente lusinghieri furono i risultati conseguiti nella battaglia dalla Kriegsmarine, con l’affondamento della portaerei Eagle; dai mezzi subacquei e insidiosi della Regia Marina, che eliminarono 2 incrociatori (Cairo e Manchester) e 4 piroscafi, e danneggiarono altri 2 incrociatori (Nigeria e Kenia), una petroliera e 2 piroscafi; e dalla Luftwaffe che, impiegando complessivamente 650 aerei, affondò 5 piroscafi e danneggiò gravemente la portaerei Indomitable. Risultati di minore entità ottenne invece la Regia Aeronautica, poiché a dispetto dei 628 velivoli impiegati nella battaglia, fu affondato un solo cacciatorpediniere, a cui si aggiunse il grave danneggiamento della petroliera Ohio – già colpita dal sommergibile Axum e dai velivoli della Luftwaffe – e il lieve danneggiamento della portaerei Victorious e della corazzata Rodney. Alle perdite navali subite dai britannici si aggiunsero 36 velivoli, 29 dei quali appartenenti alle portaerei e 6 alla R.A.F. di Malta, mentre da parte dell’Asse andarono perduti 50 velivoli (32 italiani e 18 tedeschi), cui si aggiunse quella di due sommergibili italiani e il danneggiamento degli incrociatori Attendolo e Bolzano, che restarono per sempre immobilizzati. Se le forze dell’Asse ottennero una notevole vittoria tattica, in realtà, dal punto di vista strategico, l’operazione “Pedestal” fu un indubbio successo britannico, poiché l’arrivo a Malta di 32.000 t di rifornimenti, tra carico bellico, viveri e combustibile, permise all’isola di incrementare le scorte fino all’inverso del 1942. Ma soprattutto, l’isola poté tornare nuovamente a disporre della benzina necessaria per riprendere le micidiali azioni aeree offensive contro il traffico dell’Asse diretto in Libia, proprio nel momento in cui si decideva la battaglia di El Alamein. Le perdite inflitte in mare ai rifornimenti dell’Asse, contribuirono non poco al successo dell’offensiva terrestre dell’8^ Armata del generale Montgomery. Occorre però dire che le forti perdite subite dai britannici nel corso dell’Operazione “Pedestal”, costituirono il fattore di maggiore pressione nel convincere gli Alleati a ritenere che un nuovo tentativo di avvicinarsi al Canale di Sicilia sarebbe stato pagato in modo ancora più severo. Di ciò furono particolarmente convinti gli statunitensi che, nel pianificare l’invasione del Nord Africa Francese (operazione Torch), poi attuata nel novembre del 1942, si opposero fermamente alle richieste dei loro colleghi britannici di sbarcare a Biserta. Limitando le operazioni anfibie ad Orano ed Algeri, per tenersi il più lontano possibile fuori dal raggio d’azione dei mezzi aeronavali dell’Asse, gli anglo-americani concessero a italiani e tedeschi di potersi impossessare rapidamente della Tunisia e di conseguire con ciò l’indubbio successo strategico di ritardare la perdita dell’Africa al maggio del 1943.

Francesco Mattesini

Roma, 27 agosto 2007


Eccellente. Grazie a tutti gli Amministratori e ai Moderatori di Wikipedia.

Francesco Mattesini

Io rileggo questi bellissimi pezzi e ringrazio Mattesini, ma continuo a pensare a come utilizzarli, senza poter mettere delle note puntuali. Proposte? A maggior ragione adesso che stiamo lavorando sulla Battaglia del Mediterraneo. Se Mattesini legge in questi giorni e vuole dare suggerimenti a quella voce, ne saremmo onorati. --Pigr8 La Buca della Memoria 22:27, 11 feb 2016 (CET)[rispondi]