Discussione:Battaglia di Mentana

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La presente voce è stata oggetto di un COPYVIOL INVERSO dal parte del sito http://www.giuseppegaribaldi.info/la_battaglia_di_mentana.html.

Per semplificare il testo scritto su wiki PRIMA, è stato copiato DOPO, pari pari, dal sito [1].

Conseguentemente è in corso di redazione una bozza di lettera da inviare a quegli individui. --Musso 17:04, 6 mag 2007 (CEST)[rispondi]

Monterotondo, non Monte Rotondo[modifica wikitesto]

Il paesello vicino a Mentana si chiama Monterotondo, non Monte Rotondo.

Giuditta Tavani Arquati (secondo la voce a lei dedicata) risulta morta a Roma.

La cancello dall'elenco.

Anche Francesco Arquati.

Ho il sospetto che l'elenco non sia attendibile.

--Carlo Morino (dillo a zi' Carlo) 12:48, 25 feb 2008 (CET)[rispondi]

  • Credo la questione sia nei seguenti termini: essendo che l'elenco include anche i caduti dello Scontro di villa Glori, oltre che del lanificio, credo che esso si riferisca a tutti i caduti nell'ambito del tentativo del 1867. Non solo, quindi, quelli del fatto d'arme della battaglia di Mentana. --Musso (msg) 21:43, 27 mar 2008 (CET)[rispondi]

Non obiettiva![modifica wikitesto]

Nella bibliografia, e non solo, sono citate le solite, squalificate opere revisioniste antirisorgimentali e antitaliane (filoborboniche, ecc.) È ovvio che non c'è molto di serio in tutto questo.

È il solito problema: minoranze caparbie e incattivite che s'impossessano della voce. (Almeno sapessero scrivere in italiano, poi!)

Spero, come italiano e come cattolico militante, che qualcuno riscriva quelle parti con obiettività. Grazie. 151.75.42.25 (msg) 19:32, 28 giu 2012 (CEST)[rispondi]

Proposta di riscrittura passaggio con richiesta di chiarimenti[modifica wikitesto]

Attualmente vengono chiesti chiarimenti al garibaldino Mombello (?) per quanto afferma nel suo libro, ritenuto non attendibile per ragioni che ritengo non supportate da fonti, ma solo da legittime opinioni personali, che però tali restano. Visto che la controversia ha radici storiche documentate, io riscriverei il passaggio per darne conto, senza schieramento a favore degli uni o degli altri, come segue:

Sin dall'indomani della battaglia il merito della vittoria venne attribuito ai regolari francesi ed ai loro fucili chassepot. Ad esempio, quando il 6 novembre i vincitori rientrarono in Roma per la sfilata trionfale, la folla li acclamava come i veri vincitori della giornata e gridava «viva la Francia». La analisi militare però già all'epoca generava controversie. Secondo lo storico cattolico Innocenti, il peso dato alle nuove armi, fu più una mossa di propaganda che una situazione reale (vedi Lorenzo Innocenti, Per il Papa Re, Esperia Editrice, pp. 82-84). Tra i sostenitori della teoria secondo la quale la vittoria dei Pontifici e dei Francesi non fu dovuta solo dal Fucile Chassepot si può annoverare il garibaldino Mombello, combattente nelle scontro e che in una suo libro di memorie sulla battaglia riportò di non aver sentito gli spari di quel fucile e anzi ne contestò il vantaggio tecnologico. A suo parere infatti, il fucile francese era meno preciso di quelli garibaldini e il campo di battaglia pieno di ripari e avvallamenti favoriva più la precisione che la frequenza di tiro. (vedi Augusto Mombello Mentana. Ricordi di un veterano, Mondadori, p. 233).
Gli esiti dello scontro vennero ampiamente discussi anche a livello medico sulla rivista The Lancet, dove furono pubblicate le osservazioni del dottor Gason che operò a Roma sui combattenti provenienti da Mentana e riportò la comparazione tra le ferite causate dai proiettili sparati dagli Chassepot e quelle causate dai proiettili a palla tonda Miniè che venivano impiegati in due calibri. Il medico notava come da Mentana giungessero soldati che presentavano ferite causate da proiettili che non generavano grandi perdite di sangue, ma erano in grado di fratturare le ossa lunghe. Questi proiettili quindi erano più letali nell'immediato, ma chi veniva colpito in modo non fatale aveva migliori probabilità di sopravvivere. Gason sottolineò però, che ciò era in contrasto con quanto invece riportato nei resoconti precedenti per le ferite da Chassepot. All'epoca i resoconti esistenti, successivi a una battaglia avvenuta a Lione, parlavano di effetti molto più gravi, con lacerazioni causate dai proiettili in uscita molto vaste. (vedi The Medical News, Volumes 25-26 - disponibile su google books)

Se siete d'accordo riscrivo così. Suggerimenti ovviamente benvenuti. --EH101{posta} 15:06, 25 lug 2014 (CEST)[rispondi]

Sostanzialmente d'accordo, indubbiamente sarà meglio di com'è ora. Volevo appunto intervenire perché non ha senso contestare una citazione con un template "chiarire", anche se l'intenzione di chi lo ha fatto può essere, forse, apprezzabile nel merito. Ricordiamoci sempre che i template servono a migliorare le voci e non a polemizzare, tantomeno con fonti primarie come un autore defunto. Detto questo, sulla tua proposta: le citazioni del Mombello le lascerei in nota (perché toglierle del tutto? è informazione non priva d'interesse, a meno che non si voglia spostare, sempre in nota, nella voce sullo Chassepot). Allo stesso modo il Gason, ancorché riassunto, lo vedrei meglio in nota, perché, pur essendo un testimone oculare, fa considerazioni tecniche, da chirurgo, un po' marginali IMHO rispetto all'argomento della voce. Comunque giusto citarlo, sul punto è una fonte preziosa. Precisazione a margine: mi pare che il Mombello parli di "portata", piú che di "frequenza" come hai scritto, anche se poi soggiunge che la frequenza è a scapito della precisione; punto forse secondario, visto che gli preme sostenere che erano meno precisi.--pegasovagante (la mi dica) 15:09, 31 ago 2014 (CEST)[rispondi]
Naturalmente nulla toglie che il Mombello si possa contestualizzare: un libro di memorie, storiograficamente parlando, non è Vangelo, ma vale per quello che è: una testimonianza, rilasciata a distanza di decenni. Se poi salta fuori una fonte storiografica (cosa che non è nemmeno il Gason), ben venga. Aggiungo: è vero che Mentana fu una sorta di banco di prova per lo Chassepot (ogni nuova arma ha un suo battesimo del fuoco); pure, la sezione tratta dell'esito della battaglia. Non sarebbe meglio fare del capoverso una sottosezione, con un titolo che menzioni il fucile francese?--pegasovagante (la mi dica) 18:49, 31 ago 2014 (CEST)[rispondi]
Che la voce possa essere sviluppata e collegata all'arma secondo me è pacifico. Comincerei però a renderla fruibile impostandola su un percorso di neutralità come giustamente indichi. --EH101{posta} 00:03, 1 set 2014 (CEST)[rispondi]

[ Rientro]Riportato quanto proposto sopra nella voce. Penso la voce sia sufficientemente bilanciata e dia conto dei diversi punti di vista in modo sufficiente per stimolare approfondimenti e integrazioni sulle due linee di analisi contrapposte. Direi che c'è spazio adesso per un rendiconto di quanto risulta sullo Chassepot sulle fonti prevalenti, da utilizzare come contrapposizione al Mombello.--EH101{posta} 09:38, 5 set 2014 (CEST)[rispondi]

Una cronaca dell'epoca[modifica wikitesto]

Ecco una breve cronaca della battaglia di Mentana, apparsa sulla Tribuna Illustrata n. 45 del 5 novembre 1893.

1893 - N. 45

La storia della breve campagna nell'Agro romano nel 1867 è difficile a riassumersi, come le esigenze del nostro giornale prescrivono; epperò ci limiteremo a cenni sommari.

Insofferente di rimanere inerte a Caprera mentre il danno e la vergogna duravano sulla patria colla dominazione papale, Garibaldi era sfuggito alla vigilanza della flotta che lo bloccava nell'isola, aveva toccato terraferma e il 25 ottobre, quando molti ancora lo credevano costretto all'impotenza in Caprera, assumeva il comando dei volontari disordinatamente aggruppati a Passo Corese o dispersi pei castelli della Sabina. Due giorni dopo, sotto i suoi occhi la gioventù itraliana rinnovava gli eroismi di Bezzecca espugnando Monte Rotondo e allietava con essi, come promessa immancabile, l'animo suo sussultante all'imminente espugnazione di Roma.

Ma lo sbarco dei Francesi a Civitavecchia, il fallire della insurrezione in Roma, le diserzioni causate da una misteriosa agitazione tra i volontari, la difficoltà degli approvvigionamenti, le notizie di sequestri delle armi per la spedizione, indussero il Generale "a cercare altro campo d'azione ed altra base per poter vivere, mantenersi ed aspettare gli eventi che dovevano finalmente sciogliere la questione romana." Epperò le colonne dei volontari, dirette su Tivoli, dove già stava con due battaglioni il Pianciani, lasciavano il 3 novembre Monte Rotondo.

La marcia, disposta nel suo ordine da Garibaldi stesso, incominciò, anzichè all'alba come era stato prefisso, verso il meriggio; e fu a questo ritardo tanto deplorato che si deve la nefasta giornata.

Il Generale col suo genio divinatore, e per sventare ogni sorpresa dei pontifici, aveva fatto occupare quella serie di colline e villaggi disseminati a sinistra della via fra Mentana e Tivoli.

Tutto garantiva, quindi, la sicurezza della marcia. Ma gli ordini del Generale malamente eseguiti, fraintesi da taluno, disobbediti da altri; il troppo debole, inesperto e trascurato servizio di esploratori; una fatalità ineluttabile che pesava quel giorno sui volontari decimati dalle diserzioni e scorati, permise la sorpresa dei pontifici sull'avanguardia garibaldina.

Le prime fucilate si scambiavano agli avamposti allorquando Garibaldi già stava col suo stato maggiore in Mentana. Al tocco, sotto il grigio cielo autunnale, tra gli squallenti vigneti e le macchie ingiallite, i garibaldini videro a destra della strada le truppe pontificie che si avanzavano baldanzose perchè sapevano avere a rinforzo non lontano i francesi usciti con esse da Roma.

L'accoglienza loro fatta dal battaglione Stallo, che trovavasi in prima linea fu tale che molti caddero e fra essi il capitano De Veaux. I pontifici furono a lungo tenuti in iscacco venendo loro contesa palmo a palmo, con gran sangue, la Villa Santucci. Ma l'attaco di destra altro non era che una manovra per meglio attaccare a sinstra e tagliar ogni possibilità di ritirata. Lo comprese col suo intuito Garibaldi e, contando sui prodi che combattevano strenuamente a Villa Santucci e nei pressi del paese, dispose che il grosso delle forze tutelasse la sinistra, mentre provvedevasi al centro col barricare l'entrata nello abitato e col fare d'ogni prospicente finestra una feritoia.

Attaccati da preponderanti forze ( circa settemila papalini ) fulminati dalle artiglierie, inferiori nell'armi chè opponevano i pochi e vecchi catenacci a carabine rigate, i garibaldini della prima fronte indietreggiarono. Villa Santucci era perduta e già vi stava il quartier generale nemico; i franco-papalini, protetti dalle ondulazioni del terreno, dai muricciuoli delle vigne, dagli alberi, si avanzarono preponderanti per avvolgere in un cerchio la sinistra del paese. Nacque allora quel panico che Garibaldi rimprovera acerbamente nelle sue Memorie.

Ma le prove di valore, l'eroismo di qualche gruppo, l'abnegazione degli ufficiali, furono siffatte che Garibaldi potè pur dire al colonnello Caravà, a Passo Corese:

- Dite ai fratelli dell'esercito che l'onore delle armi italiane fu salvo.

Nella località dei Pagliai, nel Casino della Rocca di proprietà Cicconetti ove si era insediato il quartier generale garibaldino, al Conventino fulminato dalle artiglierie pontificie situate sul propinquo Monte Croce, la difesa è disperata, ma inutile.

Veglia però Garibaldi, e pensa ai cannoncini presi nel castello di Monte Rotondo, li fa trascinare colle munizioni (settanta cartocci di cariche) su di un colle a ridosso dell'abitato e con quelli fulmina il centro nemico che vacilla e si arresta.

Il cannone richiama nei volontari la voce del dovere, al disordine subentra nelle file l'obbedienza ai capi, e mentre i cannoncini tuonano, le schiere si dispongono alla battaglia nova.

L'apparire di Garibaldi scendente dal poggio dove irradia la morte, è salutato da un gran sussulto nei cuori e da un grido solo: "Viva Garibaldi ! " La carica alla baionetta è data da tutte le trombe e si rinnovano dai fuggenti di poco prima i fasti brillanti di Sicilia e del Trentino.

Tutte le perdute posizioni sono riprese, e attorno a Villa Santucci, chiave dell'azione, la lotta si fa furibonda. Ma sul teatro della battaglia dai colli di San Sulpizio compaiono, micidiali coi loro chassepot, le truppe Francesi.

Ormai contro quei poveri decimati garibaldini (in tutto 4652) stavano 11 mila tra francesi e pontifici, truppe in gran parte fresche, ben nutrite, ottimamente armate e con numerose artiglierie. Garibaldi fa ripuntare i cannoncini sul fianco del nuovo nemico, ma dopo pochi colpi le cariche sono esaurite: non restano ai volontari che poche cartucce da fucile e la baionetta. i pressi di Villa Santucci sono contestati palmo a palmo; così pure è conteso alle truppe discendenti di San Sulpizio l'avvicinarsi al paese. Nuovi eroismi si compiono e nuovi sacrifizi, ma tutto inutilmente. La breve vittoria si converte in rotta: i garibaldini ripiegano e affollandosi sulla via di Monte Rotondo, trascinano seco quanti ancora lottando non disperano della vittoria del diritto contro la forza. Tra la pioggia di fuoco mandata dai chassepots, mantenuti a prudente distanza, i vinti di Mentana riparavano a Monte Rotondo, mentre nel triste crepuscolo autunnale, laggiù tra i vapori della sera, Roma pareva stesse in attesa.

Al mattino del 4, dopo una notte d'angoscia, il Generale faceva consegnare le armi ai soldati d'Italia, rimasti frementi spettatori di tanto sacrifizio.

Nelle stesse ore capitolavano nel castello di Mentana i carabinieri genovesi di Borlando e con slealtà indegna di onesto soldato, il De Failly dichiarava prigionieri di guerra 800 garibaldini, che pur dovevano essere trattati come quelli e condotti al confine.

Le perdite dei garibaldini ascesero a 240 feriti e 150 morti e circa 900 prigionieri. Dei franco-papali morirono sul campo 246, e parecchie centinaia furono i feriti.

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Una storia aneddotica della battaglia di Mentana, raccolta dalla viva voce di coloro che vi furono presenti, si attende ancora per arricchire di nuove e commoventi pagine quel periodo di sventura e di gloria.

In una gita recente che abbiamo fatto colassù raccogliemmo alcuni episodi affatto sconosciuti e che meritano di non perire nell’oblio.

Poco lontano di chi sale all’Ara sorge il Casino alla Rocca, di proprietà Cicconetti, ove si svolse una delle più eroiche fazioni della giornata. Il 29 ottobre i garibaldini occuparono il Casino trasportandovi il maggiore Martinelli, ferito nell’assalto di Monte Rotondo. Durante la battaglia il Casino fu uno dei punti dove la lotta diventò più cruenta.

Un gruppo di garibaldini vi si asserragliò e tenne testa lungamente agli antiboini che strisciando nella vigna sottoposta, mantenevano un fuoco micidiale.

Molti furono i garibaldini uccisivi, e sulle finestre da dove affacciavansi per sparare si accavallavano i morti, dai quali protetti continuavano la difesa i compagni. La famiglia Cicconetti conserva con venerazione tutti i ricordi della difesa. E sui muri sono mantenuti i buchi delle palle papaline, e restano ancora allo stesso posto i quadri bucati dai proiettili, e sui pavimenti, sulle porte, le chiazze del generoso sangue versatovi per Roma e per l’Italia.

Ful nel casino Cicconetti che il Martinelli spirò l’anima invitta.

La sera del 4 novembre il De Failly era diventato padrone assoluto di Mentana ed aveva posto al villino della Rocca il suo quartier generale. I signori Cicconetti, padre e figlio, rientrando nella loro casa, vi trovarono il De Failly col suo stato maggiore, ed in una camera attigua, custodito da due sentinelle francesi e da due garibaldini, il Martinelli in gravissimo stato. Sulla ferita alla coscia destra, in mancanza di tamponi, un chirurgo militare francese, aveva adoperato un grosso turacciolo da botte. Era sereno fra il dolore l’eroe e solo chiese ai nuovi visitatori di essere mutato di letto; ciò che venne fatto con amorosa sollecitudine. Ma un’ora dopo, aggravandosi sempreppiù, il Martinelli chiamò il giovane signor Cicconetti, gli strinse la mano e spirò.

La sciabola e la camicia rossa del prode furono prese da due ufficiali francesi, e la camicia toccò precisamente ad un tenente Dieu, morto poi nella guerra franco-prussiana.

In una borsa il Martinelli lasciava alcuni rotoli di napoleoni che il signor Cicconetti rimise al sindaco di Mentana, perché consegnasse il tutto alla famiglia dell’estinto.

Si conserva al villino Cicconetti il tavolo ove burbanzoso il De Failly accettò i patti di resa del Castello, da lui slealmente infranti, e dove scrisse il famoso dispaccio delle meraviglie dei chassepots.

Nella vigna, in una valletta, ebbero tomba promiscua i caduti, le ossa dei quali furono tratte dal foppone nel 1877, allorquando colla parola di Benedetto Cairoli s’inaugurava L’Ara-Ossaria disegnata dall’ing. Augusto Fallani e costruita colle oblazioni di tutta Italia. I morti dormono ora in pace colà, e all’elenco dei loro nomi, scolpito sulle pareti dell’Ara, un nome nuovo, fino ad un anno fa dimenticato, si è aggiunto, quello di Giuseppe Pollini, figlio dell’italica Rovereto, che, sedicenne, venne dalle Retiche a combattere sui colli nomentani e nella battaglia sparì come il Dioscuro antico.

Felice Oddone