Dialetto

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Il termine dialetto[1] può indicare, a seconda del contesto d'uso:

In quest'ultima accezione, parlandosi di lingua in rapporto ad un'altra lingua[2][3], dialetto può essere anche una lingua regionale che ha perduto autonomia rispetto ad un'altra, divenuta socio-politicamente dominante e riconosciuta come ufficiale, con cui spesso ha una certa affinità e origini simili, la quale viene definita come lingua tetto:[5] in questo senso, la parola dialetto viene utilizzata nella linguistica italiana, in analogia al francese patois, per riferirsi alle lingue regionali italiane evolutesi autonomamente dal latino[5] (ossia i dialetti italo-romanzi[6], che diversi autori definiscono infatti come lingue sorelle dell'italiano[7][8][9][10][11][12][13]).

Accezioni del termine

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La parola 'dialetto' non ha significato univoco. Sulla difficoltà di definizione di "dialetto" si confronti il Dizionario di linguistica (p. 229, a cura di Gian Luigi Beccaria, alla voce dialetto), dove è detto che "non esiste un valore semantico univoco ed assolutamente non ambiguo [di questo termine], né a livello di uso comune, né a livello vocabolaristico, né a livello di impiego scientifico". In generale, al termine si riconoscono due diverse accezioni: varietà di una lingua e lingua contrapposta ad un'altra.

Dialetto come varietà di una lingua

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La prima definisce una varietà della lingua nazionale, di un sistema, di un continuum linguistico geografico (è il caso dei dialects dell'inglese americano, che condividono gli stessi caratteri strutturali e la stessa storia della lingua nazionale).[14] Secondo questa definizione, la più diffusa nei paesi anglosassoni,[15] il termine dialetto è riferito ad una precisa famiglia linguistica ed eventualmente relazionato alla "forma linguistica di riferimento" o standard (o koinè); e talune famiglie possono presentare più di una forma 'standard' (si veda diasistema). In questo senso è lecito parlare di "dialetto di una lingua" o "dialetto di un continuum linguistico o dialettale" poiché equivale a parlare di una varietà linguistica intelligibile con le altre del gruppo a cui è ascritta.

Dialetto come lingua contrapposta a quella nazionale

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La seconda accezione identifica una lingua autonoma rispetto alla lingua nazionale, che ha caratteri strutturali e una storia distinti da quelli della lingua nazionale.[14] In questo caso il dialetto viene considerato come qualsiasi lingua con una propria caratterizzazione territoriale, ma privo di rilevanza politica o prestigio letterario; dal punto di vista della linguistica descrittiva e della filologia prescinde da qualsiasi legame di dipendenza, subordinazione o appartenenza con la lingua ufficiale (o con le lingue ufficiali) vigente nel suo territorio di pertinenza, quantunque tra dialetto e lingua ufficiale possano esistere notevoli parentele e somiglianze.

Dialetto e lingua vernacolare

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Il termine vernacolo, spesso usato nella lingua italiana come sinonimo di dialetto, indica più precisamente la lingua vernacolare, una parlata limitata a una precisa zona geografica, usata specificatamente dal popolo, e si differenzia dal dialetto, che ha una copertura geografica e un uso sociale più vasti.[16] Per ragioni storiche, vernacolo è spesso usato con riferimento alla situazione linguistica della Toscana e dell'Italia centrale.[17]

Lingue e dialetti

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Non esistono criteri scientifici o universalmente accettati per discriminare casi in cui due varietà linguistiche debbano considerarsi due "lingue" diverse o due "dialetti" (nel senso di "varietà") di una stessa lingua.[18] Lo stesso Bloomfield scrisse che la distinzione è di natura puramente relativa.[19] Inoltre, i termini stessi "dialetto", come accennato sopra, e "lingua" non possiedono una definizione univoca (vedere la sezione Lingue e varietà per una formalizzazione del concetto "lingua"). Anche se esistono alcuni criteri discriminatori, questi danno spesso risultati contraddittori a seconda di quale paradigma teorico si tenga in considerazione. La distinzione esatta è pertanto soggettiva, e dipende dal proprio sistema di riferimento.

La soggettività e le difficoltà che si incontrano nello stabilire confini linguistici tra lingue e varietà è illustrata dal celebre aforisma "Una lingua è un dialetto con un esercito e una marina", usualmente attribuito al linguista lituano Max Weinreich. L'aforisma espone in maniera succinta il fatto che la distinzione fra lingua e dialetto è di natura politica, più che linguistica. Ancora è stato detto che una lingua è "un dialetto che ha fatto carriera."[20]

Criterio di mutua intelligibilità

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Uno dei criteri proposti per distinguere dialetti di una stessa lingua da lingue diverse è quello di mutua intelligibilità. Due varietà sono mutualmente intelligibili quando due parlanti di due varietà diverse possono capirsi parlando ognuno la propria. Tuttavia questo criterio ha vari problemi.[21]

Uno riguarda i casi in cui ci sia un continuum dialettale: parlanti di varietà geograficamente vicine possono comprendersi facilmente, ma parlanti di varietà distanti hanno sempre più problemi a capirsi al crescere della distanza fino a diventare reciprocamente non intelligibili. Questa situazione è comune tra le lingue del mondo.[22] Un secondo problema riguarda proprio la parola "mutua": in molti casi si ha asimmetria nella comprensione, cioè il parlante di una varietà capisce bene il parlante di un'altra ma non viceversa. Questo scenario è tipico quando una delle due varietà è una lingua standard ed è probabile che anche i parlanti della varietà non standard siano stati ripetutamente esposti alla lingua standard.[21]

Cluster dialettali e linguistici

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In determinate situazioni, un gruppo strettamente correlato di varietà dialettali può possedere una considerevole, seppur incompleta, mutua intelligibilità, senza che una di queste varietà domini sulle altre. Per descrivere questa condizione, a partire dagli editori di Handbook of African Languages, è stato introdotto il termine cluster dialettale.[23] Nell'ambito delle classificazioni, le unità chiamate cluster sono posizionate allo stesso livello delle lingue.[23] Una situazione simile, ma con un maggiore grado di mutua intelligibilità, è stata successivamente definita cluster linguistico.[24]

Fattori politici

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A causa della politica e dell'ideologia, la classificazione delle diverse parlate come dialetti o lingue e il loro rapporto con altri tipi di idioma possono essere controversi e i verdetti inconsistenti e/o incoerenti. L'inglese e il serbo-croato sono un valido esempio. Sia l'inglese sia il serbo-croato hanno due varianti principali (rispettivamente inglese britannico e inglese americano, serbo e croato), insieme ad altre varianti minori. Per ragioni politiche, la scelta di classificare queste varietà come "lingue" o "dialetti" porta a risultati inconsistenti e/o contrastanti: inglese britannico ed inglese americano, parlati da stretti alleati politici e militari, sono quasi universalmente considerati varianti di una lingua unica, mentre le lingue standard di Serbia e Croazia, le cui differenze sono del tutto paragonabili a quelle tra le varianti dell'inglese, sono considerate da molti linguisti della regione come lingue distinte.

Gli esempi paralleli abbondano. In Libano i "Guardiani dei Cedri", un partito politico di destra, fortemente nazionalista e principalmente cristiano, che si oppone ai legami del paese col mondo arabo, sostiene che il "libanese" debba essere riconosciuto come lingua separata dall'arabo e ha finanche premuto per sostituire l'alfabeto arabo con l'antico alfabeto fenicio. In Spagna il catalano e il valenciano vengono ufficialmente trattati come idiomi distinti dagli statuti delle regioni di Catalogna e Comunità Valenzana, sebbene persino la stessa Accademia valenzana della lingua, istituzione che regolamenta l'uso del valenciano, consideri quest'ultimo come varietà del catalano, analogamente al mondo accademico e all'Istituto di Studi Catalani. L'Accademia della lingua valenciana descrive una "lingua pluricentrica", cioè con un continuum linguistico-dialettale sottoposto a norme, specialmente nel campo della regolamentazione fonetica, parzialmente differenti, come è il caso del fiammingo e l'olandese.

Ciononostante esiste nella Comunità Valenzana un diffuso movimento (il blaverismo) che nega l'unità della lingua e afferma che il valenciano è non solo giuridicamente, ma anche linguisticamente, una lingua differente, distinta e separata dal catalano. Altro esempio è il moldavo: questa lingua non esisteva prima del 1945 e la comunità linguistica internazionale resta scettica sulla sua classificazione. Dopo l'annessione da parte dell'Unione Sovietica della provincia rumena Bessarabia, successivamente ribattezzata Moldavia, fu imposto l'alfabeto cirillico per la scrittura del rumeno e numerose parole slave furono importate nella lingua, nel tentativo di indebolire qualsiasi senso di identità nazionale condivisa con la Romania. La Moldavia, dopo aver ottenuto l'indipendenza nel 1991 e cambiato nome in Moldova, tornò a un alfabeto latino modificato, come rifiuto delle connotazioni politiche dell'alfabeto cirillico.

Nel 1996 il parlamento moldavo, citando timori di "espansionismo rumeno", rifiutò una proposta del presidente Mircea Snegur di ritornare al nome di lingua romena e nel 2003 fu pubblicato un dizionario "rumeno-moldavo" , con l'intento di dimostrare che i due paesi parlassero lingue diverse. I linguisti dell'Accademia Rumena reagirono dichiarando che tutte le parole moldave erano anche parole rumene. Anche in Moldavia Ion Bărbuţă, il presidente dell'Istituto di Linguistica dell'Accademia delle Scienze, descrisse il dizionario come "un'assurdità" con motivazioni politiche. In contrasto, le lingue parlate del cinese Han sono usualmente denotate come dialetti, talvolta addirittura nel senso stretto di "variante", della lingua cinese standard, per promuovere l'unità nazionale, benché non siano tra loro mutuamente intelligibili senza un'adeguata istruzione o esperienza verbale.

Il significato dei fattori politici in un qualsiasi tentativo di rispondere alla domanda "Che cos'è una lingua?" è abbastanza grande da mettere in dubbio la possibilità di una definizione strettamente linguistica senza un approccio socioculturale. Questo è illustrato dalla frequenza con cui l'aforisma discusso precedentemente dell'esercito e della marina viene citato.

Il punto di vista della linguistica storica

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Molti linguisti storici considerano ogni forma verbale come un dialetto del mezzo di comunicazione più antico da cui si è sviluppata. Questa prospettiva vede le lingue neolatine moderne come dialetti del latino, il greco moderno come dialetto del greco antico, e il pidgin Tok Pisin come dialetto dell'inglese.

Questo paradigma non è esente da problemi. Mette al primo posto le relazioni tassonomiche; i "dialetti" di una "lingua" (che può essere a sua volta un "dialetto" di una "lingua" più antica) potrebbero essere mutuamente intelligibili o meno. Inoltre una lingua genitrice potrebbe dar luogo a parecchi "dialetti" che a loro volta si suddividono numerose volte e alcuni "rami" dell'albero cambiano più rapidamente di altri. Ciò può dare origine alla situazione dove due dialetti definiti secondo questo paradigma con una relazione genetica alquanto lontana sono più facilmente comprensibili l'uno con l'altro di dialetti più strettamente imparentati. Questo schema è chiaramente presente nelle lingue neolatine dove l'italiano e lo spagnolo hanno un grado elevato di mutua comprensibilità, che nessuno dei due condivide con il francese, sebbene ciascuna delle due lingue sia tassonomicamente più vicina al francese che all'altra. La spiegazione di ciò è che il francese ha subito cambiamenti più rapidi rispetto allo spagnolo o all'italiano.

Il termine "dialetto" nel mondo

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Lo stesso argomento in dettaglio: Lingue della Francia e Lingua francese § Francia.

Analogamente all'Italia con dialetto, in Francia è comune la definizione negativa di patois,[25][26] per indicare gli idiomi locali derivati dal latino in contrapposizione alla lingua nazionale francese.

Il sostantivo, che designa la prima forma linguistica appresa in famiglia e in cui per lo più ci si esprime nel contesto domestico,[27][28] viene utilizzato con significato prossimo a quello impiegato in Italia. Anch'esso veicola giudizi di valore sulla contrapposizione tra ambiente rurale ed urbano o cultura e arretratezza,[28] così come avviene nell'uso comune italiano. Altri significati sono quelli di idioma di una o più località rurali o varietà di un dialetto impiegato in una particolare contrada[29] e non dunque di vaste aree come l'Occitania. “Patois” è stato applicato erroneamente a varietà indipendenti dal francese, quali quelle occitane e francoprovenzali, a lungo connotate negativamente come “cattivo francese”. Ciò si è verificato in quanto la lingua francese standard, derivante dal patois dell'Île-de-France (il franciano irradiato da Parigi) gode da secoli di prestigio letterario in un paese dove sono mancate, in forma estesa, forti resistenze al potere centrale. È dal XIX secolo che la pressione costante del francese si è imposta in tutti gli aspetti della società, riducendo le altre parlate antiche (piccardo, normanno, vallone, champenois, borgognone e lorenese, definite congiuntamente come lingua d'oïl nel Medioevo) a patois rustici relegati all'uso familiare.[30]

Tuttavia la Francia ha riconosciuto lo status di lingua regionale al còrso, idioma di tipo toscano insegnato come seconda lingua opzionale nelle scuole, sebbene non vi sia una forma standard normata: infatti in Corsica si distinguono varietà dette "ultramontane" e "cismontane".[31] Il còrso, da lungo tempo ritenuto politicamente come un dialetto allogeno (dialecte allogène) dell'italiano, è stato quindi recentemente riconosciuto dalla Francia come una lingua autonoma perché potesse esserne predisposto l'insegnamento.

Lo stesso argomento in dettaglio: Lingue parlate in Italia e Italiano regionale.

Analogamente alla Francia, anche in Italia il termine "dialetto" viene utilizzato abitualmente per indicare, ad esclusione dell'italiano, le lingue romanze presenti sul territorio: dodici idiomi storici, romanzi e non, sono identificati come lingue minoritarie proprie delle minoranze linguistiche storiche riconosciute dallo Stato, collegate a un'area storica precisa (per esempio friulano, sardo, catalano, occitano e varie altre); questi idiomi godono di vari diritti, attuati in maniera difforme, quali l'insegnamento pubblico e l'uso nella comunicazione pubblica, potendo inoltre raggiungere con l'emanazione di apposite norme lo stato di formale e/o sostanziale coufficialità con l'italiano nell'area amministrativa di pertinenza.[32]

Queste lingue minoritarie in genere non vengono mai chiamate dialetti, se non per ragioni ideologiche o come residuo di vecchie consuetudini, e la stessa legislazione (statale e regionale) per identificare varianti interne a queste lingue preferisce sempre il termine "variante" e suoi corrispettivi nelle lingue in questione a scapito del termine "dialetto".[senza fonte]

Questa distinzione tra lingue minoritarie e i restanti dialetti italo-romanzi non si basa, se non parzialmente, tanto su criteri meramente linguistici quanto su riconoscimenti di carattere sociale e storico-politico: tanto le lingue minoritarie ufficiali, quanto la gran parte dei dialetti italo-romanzi, non sono varietà dell'italiano, bensì idiomi linguisticamente distinti e spesso non mutualmente intelligibili, che hanno instaurato con l'italiano dei particolari rapporti di convivenza e d'identificazione (bilinguismo e/o diglossia).[33][9][10]

Le uniche varietà propriamente dette della lingua italiana sono infatti le parlate toscane (fra cui quelle còrse al di fuori dei confini italiani, e una parte delle parlate laziali come il romanesco),[senza fonte] oltre naturalmente alle varie forme di italiano regionale, che risentono dell'influsso della lingua minoritaria o del dialetto locale soprattutto negli aspetti prosodici e, in parte, nel lessico e nella sintassi.[33]

Alcuni linguisti italiani, tra i quali Tullio De Mauro e Graziadio Isaia Ascoli, escludono dal novero dei dialetti italo-romanzi le lingue parlate dalla minoranza linguistica sarda e da quella friulana[34] (a differenza dell'originaria formulazione di Giovan Battista Pellegrini, che vi include invece tutti i dialetti romanzi che si riferiscano all'italiano come lingua tetto, inclusi sardo e friulano[35][36]): lo stesso De Mauro, nel suo libro più famoso, considera sardo, ladino e friulano come "formazioni autonome rispetto al complesso dei dialetti italoromanzi";[37] il legislatore italiano, con la legge 482/99 sulle lingue di minoranza, che dà attuazione all'art. 6 della Costituzione italiana, ha seguito questo tipo di orientamento.

L'uso del termine dialetti per riferirsi alle lingue regionali italiane è talvolta contestato in quanto lascerebbe intendere minori prestigio e dignità rispetto all'italiano; altri apprezzano invece il termine come utile strumento di analisi per chi a vari livelli lavora per il salvataggio delle lingue minoritarie e regionali, che per sopravvivere devono liberarsi dal proprio stato di "dialetto", ovvero di lingue "dialettizzate".[38]

Nella Svizzera italiana e in quella romanda si ricorre rispettivamente ai termini dialetto e patois per designare le lingue lombarda e francoprovenzale con relative varietà locali, analogamente a quanto avviene in Italia e Francia. Questi idiomi non godono infatti di alcun riconoscimento giuridico, al contrario di un'altra lingua regionale quale il romancio e delle tre più diffuse (tedesco, francese e italiano).

Nella Svizzera tedesca non vi è invece stigmatizzazione culturale nei confronti delle varianti alemanne, forme di dialetto (Dialekte) della lingua tedesca che sono state denominate svizzero tedesco per differenziazione rispetto al tedesco standard. Dalla metà del Novecento l'alemanno è infatti ampiamente diffuso in ogni aspetto della società, nei mass media e nel mondo dello spettacolo e dunque è utilizzato in ogni registro linguistico e in ogni situazione della vita quotidiana, a differenza di quanto avviene in Germania e Austria con le altre varietà locali. Il fenomeno è dovuto ad una reazione al pangermanesimo di fine XIX secolo e al nazionalsocialismo del XX secolo provenienti dalla Germania.

Nel mondo arabo

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Lo stesso argomento in dettaglio: Dialetti arabi.

I paesi arabi ospitano un gran numero di varianti linguistiche comunemente chiamate "dialetti", per quanto siano tra loro così distanti da indurre alcuni studiosi a considerarle come delle lingue sorelle, ma separate.

In Cina le diverse lingue sinitiche, spesso non mutualmente intelligibili ai loro parlanti, sono definite dialetti benché i linguisti individuino parecchie sensibili differenze strutturali tra di esse.[39][40]

  1. ^ Voce dotta, ripresa dal lat. tardo dialectos, s. f., "dialetto", prestito dal greco διάλεκτος, diálektos (Beccaria 2004, s.v. "dialetto").
  2. ^ a b c d Dragan Umek, La varietà linguistica in Italia. Lingue regionali, dialetti, colonie e minoranze linguistiche (PDF), su moodle2.units.it, Università degli Studi di Trieste, 2019.
    «Cosa è un dialetto? In senso linguistico, un dialetto è una varietà di una lingua. In senso genealogico, un dialetto è una lingua che si è evoluta da un’altra lingua. In senso sociolinguistico, un dialetto è una lingua subordinata ad un’altra lingua.»
  3. ^ a b c d Michele Ghilardelli, Dialetto: definizione semplice di una parola controversa, su patrimonilinguistici.it.
    «Che cosa è un dialetto.
    • In senso linguistico, un dialetto è una varietà di una lingua.
    • In senso genealogico, un dialetto è una lingua che si è evoluta da un’altra lingua.
    • In senso sociolinguistico, un dialetto è una lingua subordinata ad un’altra lingua.»
  4. ^ Beccaria 2004,  s.v "dialetto". Sono anche riportati i seguenti significati: lingua di una singola località; lingua di un territorio più vasto di questa.
  5. ^ a b c Dialetto, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  6. ^ Michele Loporcaro, Profilo linguistico dei dialetti italiani, Laterza, 2009.
    «I dialetti italiani sono dunque varietà italo-romanze indipendenti o, in altre parole, dialetti romanzi primari, categoria che si oppone a quella di dialetti secondari. Sono dialetti primari dell’italiano quelle varietà che con esso stanno in rapporto di subordinazione sociolinguistica e condividono con esso una medesima origine (latina). Dialetti secondari di una data lingua si dicono invece quei dialetti insorti dalla differenziazione geografica di tale lingua anziché di una lingua madre comune.»
  7. ^ Cristina Lavinio, Dimensioni della variazione: la regionalità dell’italiano (PDF), in Bruno Moretti, Aline Kunz, Silvia Natale, Etna Krakenberger (a cura di), Le tendenze dell’italiano contemporaneo rivisitate, Società Linguistica Italiana.
    «Gli italiani regionali sono però varietà rispetto alle quali neanche le persone colte hanno un’idea ben chiara, e quando se ne parla, anche nei media, li si confonde con i dialetti italiani 'tout court' (cioè con quelli che in Italia chiamiamo dialetti, ma che sono in realtà lingue sorelle dell’italiano a base toscana)»
  8. ^ Silvia Ballarè, La negazione di frase: formule e funzioni - Studi di caso nel dominio italoromanzo (PDF).
    «Si ha bilinguismo, infatti, a causa dalla compresenza di italiano e dialetti che, come noto, appartengono a sistemi linguistici distinti. Seguendo la terminologia di Coseriu (1980), i dialetti italoromanzi sono dei dialetti primari rispetto all’italiano: si tratta infatti di lingue sorelle e coeve dell’italiano che, rispetto ad esso, hanno seguito un percorso parallelo; sebbene strettamente imparentate con l’italiano, sono individuabili per distanziazione (Abstand in Kloss 1967) poiché presentano differenze strutturali a tutti i livelli di analisi della lingua (v. ad es. Maiden e Parry 1997).»
  9. ^ a b Massimo Cerruti, L'italianizzazione dei dialetti italiani: una rassegna (PDF), in Quaderns d'Italia, n. 21, 2016, p. 64.
    «Il contatto tra italiano e dialetto rappresenta, com’è noto, un caso di contatto tra sistemi linguistici diversi. I vari dialetti italiani parlati oggi sono infatti sistemi separati e indipendenti dall’italiano. Sono varietà sorelle del dialetto dal quale si è sviluppata la lingua standard; costituiscono ciascuno la prosecuzione di un volgare romanzo coevo del fiorentino, e hanno perciò una propria storia autonoma, parallela a quella del dialetto poi promosso a standard.»
  10. ^ a b Michele Loporcaro, 12. L'Italia dialettale, in Manuale di linguistica italiana, Sergio Lubello, 2013.
    «Il presente capitolo tratteggia la distribuzione areale e, a grandi linee, le principali caratteristiche strutturali dei dialetti italo-romanzi. Questi fanno parte del più ampio dominio romanzo e vanno considerati a tutti gli effetti – sul piano linguistico – come lingue sorelle delle altre varietà neolatine cui ha arriso maggior fortuna in termini socio-politico-culturali, a cominciare dall’italiano standard su base fiorentina.»
  11. ^ Emanuele Miola (Alma Mater Studiorum – Università di Bologna), Che differenza c’è tra lingua e dialetto?, su linguisticamente.org, 14 luglio 2020.
    «Per lingue regionali si intenderà lingue parlate in una certa area, che non corrisponde a un’intera nazione, ma che non necessariamente coincide con una regione amministrativa. Val la pena di aggiungere che le lingue regionali parlate in Italia (e i loro dialetti) discendono direttamente dal latino e non sono quindi delle modificazioni o corruzioni dell’italiano, ma piuttosto delle lingue ‘sorelle’ dell’italiano.»
  12. ^ Luca Bellone, Parole, parole, parole... Riflessioni sul lessico dell'italiano contemporaneo, su slideplayer.it, Università degli Studi di Torino, 2013.
    «In realtà:
    • dialetti: lingue sorelle dell'italiano (medesima origine)
    • lingua e dialetto: 2 diasistemi sullo stesso livello;
    • dialetto non è forma corrotta di una lingua nazionale»
  13. ^ Chiara Meluzzi, Sociolinguistica (PDF), su allegatifac.unipv.it, Università degli Studi di Pavia.
    «Dialetti Italo-Romanzi (Cerruti 2011)
    • Lingue sorelle dell’italiano
    • Derivati direttamente dal latino
    • Vicinanza strutturale con l’italiano (con differenze sui diversi livelli)»
  14. ^ a b Marcato 2002,  p. 20; cfr. Dardano 1996,  p. 171.
  15. ^ Anche se l'inglese "dialect" viene usato anche per far riferimento a quello che viene a volte chiamato "socioletto"
  16. ^ Vernacolo: Definizione e significato di Vernacolo – Dizionario italiano – Corriere.it
  17. ^ Vernàcolo, su treccani.it, Treccani. URL consultato il 1º luglio 2020.
  18. ^ Cysouw e Good 2013, p. 331.
  19. ^ "[M]ost linguists have accepted it [the distinction] as a practical device, while recognizing, with Bloomfield, "the purely relative nature of the distinction" (1933:54)." (Haugen 1966, p. 922). [La maggior parte dei linguisti l'hanno accettata [la distinzione] come strumento pratico, riconoscendone allo stesso tempo "la sua natura puramente relativa".]
  20. ^ Berruto, Fondamenti di sociolinguistica, citato in Gobber 2006, p. 33.
  21. ^ a b Genetti 2014, pp. 12–15.
  22. ^ Genetti 2014, pp. 12.
  23. ^ a b (EN) International African Institute, A Handbook of African Languages, in Africa: Journal of the International African Institute, vol. 16, n. 3, Cambridge University Press, luglio 1946, pp. 156-159.
  24. ^ (EN) Keir Hansford, John Bendor-Samuel e Ronald Stanford, A provisional language map of Nigeria, in Savanna: A Journal of the Environmental and Social Sciences, vol. 5, n. 2, Nigeria, 1976, p. 118.
  25. ^ Definizione di patois, su Treccani - Vocabolario, Treccani Enciclopedia Italiana. URL consultato il 26 dicembre 2021.
  26. ^ Définition de patois, su Larousse - Dictionnaire, Larousse. URL consultato il 26 dicembre 2021.
  27. ^ A. Martinet, Eléments de linguistique générale, Colin, Paris, 1960, traduzione La Terza, Bari, 1971 pag. 172.
  28. ^ a b AAVV, Dialetto, in Enciclopedia Einaudi, IV, Einaudi, 1978, p. 693.
  29. ^ Dictionnaire de l'Académie française, quatrième édition Version informatisée.
  30. ^ Manuale di linguistica e filologia romanza, Lorenzo Renzi e Alvise Andreose, Il Mulino, Bologna, 2003, pagg. 44-45.
  31. ^ Manuale di linguistica e filologia romanza, Lorenzo Renzi e Alvise Andreose, Il Mulino, Bologna, 2003, pag. 50.
  32. ^ Legge n. 482 del 15 dicembre 1999 e regolamento attuativo DPR n. 345 del 2 maggio 2001.
  33. ^ a b Gaetano Berruto, Varietà, in Enciclopedia dell'italiano, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010-2011.
    «I dialetti italiani (o, più precisamente, italoromanzi, in quanto membri dell’insieme delle varietà linguistiche neolatine che appartengono al gruppo così identificato in base alle caratteristiche linguistiche) non vanno considerati varietà diatopiche della lingua italiana (tali sono invece gli italiani regionali), ma sono lingue a sé, con una propria autonomia e una propria storia.

    Secondo un’utile distinzione introdotta da Coseriu (cfr., per es., Coseriu 1980), si tratta infatti di «dialetti primari», vale a dire di varietà linguistiche formatesi (con la dissoluzione del latino negli usi parlati e la sua trasformazione nelle lingue neolatine) contemporaneamente al fiorentino, che nella sua forma letteraria è alla base di quella che è diventata lingua nazionale e standard. I volgari italiani medievali, quando nel Cinquecento uno di essi è stato promosso a lingua, sono diventati dialetti (Alinei 1984).

    Dialetto è infatti una nozione che si può definire propriamente solo in termini sociolinguistici, in relazione oppositiva con quella di lingua (standard): dialetto e lingua sono sistemi linguistici allo stesso pieno titolo, differenziati dalla loro collocazione nella comunità»
  34. ^ Rainer Schlosser, Le Lingue Romanze, edizioni Il Mulino
  35. ^ Pellegrini, Giovanni Battista (1977). Carta dei dialetti d'Italia, Pisa, Pacini, p.17: «parlate della Penisola e delle Isole che hanno scelto già da tempo, come lingua guida l'italiano».
  36. ^ Francesco Avolio, Dialetti, in Enciclopedia dell'italiano, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010-2011.
    «L’adozione dell’italiano come riferimento, unico possibile criterio di distinzione fra il vasto insieme definito italo-romanzo e gli altri gruppi neolatini, è stata ripresa, nel 1975, da Giovan Battista Pellegrini, come base per la sua proposta di classificazione in cinque sistemi (italiano settentrionale, friulano o ladino-friulano, toscano o centrale, centro-meridionale, sardo), sulla quale oggi converge, pur con qualche differenza, la maggior parte degli studiosi (per approfondimenti e dettagli si rinvia alle voci sulle singole aree linguistiche). Tutti i dialetti italo-romanzi sono definiti primari, in quanto formatisi contemporaneamente a quello che poi sarebbe diventato l’italiano.»
  37. ^ Tullio De Mauro Storia linguistica dell'Italia unita - Laterza - prima edizione 1963 p.25-26.
  38. ^ Maurizio Tani, Introduzione alla cultura italiana, Reykjavik, Università d'Islanda, 2012, p. 45.
  39. ^ (EN) Marcos Zampieri, Preslav Nakov, Similar languages, varieties and dialects, Cambridge, Cambridge University Press, 2021, p. 29.
  40. ^ (EN) Definition of Chinese languages, su Britannica.com, Encyclopædia Britannica. URL consultato l'11 gennaio 2023.
  • Michele Loporcaro, Manuale di linguistica italiana, Sergio Lubello, 2013.
  • Beccaria, Gian Luigi (a cura di), Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, 2004.
  • Bloomfield, Leonard, Language, New York, Holt, 1933.
  • Manlio Cortelazzo, Carla Marcato, Dizionario etimologico dei dialetti italiani, Utet, 2005.
  • Manlio Cortelazzo (a cura di), Profilo dei dialetti italiani, edizioni Pacini (opera in più volumi).
  • (EN) Cysouw, Michael e Good, Jeff, Languoid, doculect, and glossonym: Formalizing the notion 'language', in Language Documentation and Conservation, vol. 7, 2013, pp. 331–359.
  • Dardano, Maurizio, Manualetto di linguistica italiana, Bologna, Zanichelli, 1996.
  • Tullio De Mauro, Paolo D'Achille, Lucia Lorenzetti, Le lingue der monno, Aracne editrice, 2007.
  • Tullio De Mauro, Storia linguistica dell'Italia unita, Laterza, 2008.
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