Demansionamento

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Il demansionamento, nel diritto del lavoro, è un atto consistente nell'assegnazione al lavoratore di mansioni inferiori rispetto alla sua qualifica di appartenenza, o anche nel non assegnare alcuna mansione.

Caratteristiche[modifica | modifica wikitesto]

Esso costituirebbe una violazione del diritto al lavoro inteso come diritto a svolgere un'attività lavorativa che risponda a un'esigenza imprescindibile della personalità del lavoratore. Il demansionamento causa un danno economico poiché lo svolgimento di mansioni inferiori, o il mancato svolgimento di qualsiasi mansione, determina l'impoverimento della capacità professionale del lavoratore, comportando ripercussioni negative sui futuri rapporti di lavoro.

L'atto potrebbe altresì arrecare un danno alla persona per la lesione dello stesso diritto al lavoro, potenzialmente causando uno stato di stress che il lavoratore potrebbe patire e causare un danno alla salute. Potrebbe altresì rientrare nell'ambito di una strategia di mobbing.[1]

Disciplina normativa[modifica | modifica wikitesto]

Italia[modifica | modifica wikitesto]

L'istituto è regolato dal codice civile italiano, precisamente dall'art. 2103.[2] In seguito alla privatizzazione del diritto del lavoro pubblico in Italia esso si applicherebbe anche ai dipendenti pubblici italiani.[3]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Demansionamento del lavoratore e mobbing: gli orientamenti della giurisprudenza, su diritto.it. URL consultato il 18 settembre 2017.
  2. ^ Articolo 2103 Codice Civile: Mansioni del lavoratore. (PDF), su uilpa.it. URL consultato il 3 maggio 2012 (archiviato dall'url originale il 1º gennaio 2014).
  3. ^ Art. 51 comma 2 d.lgs 30 marzo 2001, n. 165

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Fabio Mazziotti, Manuale di Diritto del Lavoro, Editoriale Scientifica 2009. ISBN 88-893-7380-6

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]