Cultura del vaso campaniforme in Sardegna

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Migrazioni e diffusione del vaso campaniforme in Europa

La cultura del vaso campaniforme in Sardegna apparve nel 2100 a.C. circa (o nel 2300 a.C. o prima[1]), durante l'ultima fase del calcolitico, sostituendosi o amalgamandosi alla precedente cultura di Monte Claro, e si sviluppò fino all'antica età del bronzo nel 1900-1800 a.C. circa, fino a sfociare nella cultura di Bonnanaro, considerata il primo stadio della civiltà nuragica.

Origine[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Cultura del vaso campaniforme.

Il vaso campaniforme, che dà il nome alla cultura, comparve per la prima volta nei contesti calcolitici del Portogallo centrale presso i siti di Zambujal e di Vila Nova de São Pedro[2], agli inizi del III millennio a.C. (2900 a.C. circa). I dati in possesso degli archeologi sembrerebbero indicare che una prima espansione del vaso campaniforme partì dalla costa atlantica portoghese (estuario del Tago) verso il nord raggiungendo il delta del Reno e l'Europa centrale, da qui successivamente il campaniforme si fuse con la cultura della ceramica cordata (che si estendeva a gran parte della Scandinavia e dell'Europa centrale e orientale fino alla Russia) e ripartì in un movimento migratorio detto di "riflusso" (Ruckstorm in tedesco) verso il nord-ovest (Isole britanniche) e verso il sud-ovest raggiungendo nuovamente la penisola iberica dalla quale, in questa seconda ondata, si diffuse anche in Sardegna[3].

Tramite la Sardegna il bicchiere campaniforme fece poi la sua comparsa nella Sicilia occidentale dove si registra inoltre l'introduzione di forme architettoniche megalitiche[4].

«Tra la fine del III e l'inizio del II millennio a.C. la Sicilia fu invasa da un gruppo di genti forse provenienti dalla Sardegna. Queste furono le persone che introdussero nell'isola la cultura del vaso campaniforme»

Cronologia[modifica | modifica wikitesto]

La cultura del vaso campaniforme in Sardegna è caratterizzata dal classico bicchiere a forma di campana. Lo stile e la decorazione delle ceramiche (inizialmente a decorazione impressa a pettine, successivamente ad incisione ed infine inornate) consentono di suddividere il campaniforme sardo in tre fasi cronologiche principali[6]:

  • A1 o Facies del campaniforme marittimo-internazionale (2100-2000 a.C.)
  • A2 o Facies italiana-sulcitana (2000-1900 a.C.)
  • B o Facies del campaniforme inornato / Padre Jossu (1900-1800 a.C.)
Vasi campaniformi e brassard dalla tomba di Marinaru (Sassari)

Le varie fasi del campaniforme sardo mostrano l'avvicendarsi di due componenti: la prima "franco-iberica" e la seconda "centro-europea":

«I primi bicchieri del Campaniforme sardo, come quelli di Marinaru presso Sassari, mostrano decorazioni di tipo internazionale e sono accompagnati da forme ceramiche mediate dall’area iberica e francese quali basse ciotole, motivi decorativi ad incisione semplice, triangoli campiti da trattini ottenuti con un pettine, motivi a denti di lupo, zig-zag,rombi lisci ottenuti da bande contrapposte di triangoli campiti a pettine. Compaiono, inoltre, forse successivamente, anse su bicchieri, ciotole e vasi tripodi o tetrapodi su vasca emisferica e con piedi cilindrici, di derivazione centroeuropea. Nella fase più tarda domina la componente dell’Europa centrale: si intensificano i contatti lungo le direttrici che dal centro Europa arrivano in Sardegna passando dall’Italia settentrionale, tramite le coste della Toscana»

Collana dal museo di Villa Abbas, Sardara

Cultura materiale[modifica | modifica wikitesto]

Guardapolsi in pietra, Museo archeologico nazionale di Cagliari

Quasi tutti i reperti campaniformi provengono da sepolture (generalmente domus de janas esistenti dal neolitico e riutilizzate, ma è documentata anche l'inumazione individuale entro cista litica a Santa Vittoria-Nuraxinieddu) che hanno restituito corredi funerari tra i quali figurano i caratteristici brassard (generalmente in pietra) per la protezione degli avambracci degli arcieri e vari oggetti ornamentali tra cui le collanne di conchiglie o zanne di animali e i bottoni con perforazione a V.

Fra gli oggetti in metallo si segnalano i pugnali a lama triangolare e gli spilloni ma compaiono anche per la prima volta sull'isola manufatti in oro (torque dalla tomba di Bingia 'e Monti di Gonnostramatza[7]). In selce venivano realizzate invece le punte delle frecce[8].

Necropoli di Anghelu Ruju

Insediamenti[modifica | modifica wikitesto]

Carta del campaniforme sardo

In totale sono circa settanta i siti interessati dal campaniforme in Sardegna, concentrati perlopiù lungo tutta la costa occidentale, dalla Nurra al Sulcis-Iglesiente, e nel Campidano, con qualche stanziamento ad est, nel Dorgalese e nel Sarrabus[9].

Spariscono quasi del tutto gli antichi villaggi all'aperto delle genti Monte Claro che vengono abbandonati dopo secoli di occupazione (forse a causa di cambiamenti climatici[10] o scontri tribali con i nuovi arrivati[11]) mentre sono noti solo tre insediamenti attribuibili specificatamente a questa cultura (Monte Ossoni di Castelsardo, Monte Ollàdiri di Monastir e Palaggiu di Samassi[12]), ciò ha fatto pensare che i suoi portatori fossero genti nomadi probabilmente dimoranti in tende[11] o grotte[10].

«...È evidente che in Sardegna c’è una vistosissima riduzione delle aree abitative rispetto a quelle note nella facies di Monte Claro e il mutamento del quadro culturale appare repentino [...] Ci si trova di fronte non a invasioni di massa ma all’immigrazione di gruppi minoritari che impongono la loro cultura (campaniforme), almeno in apparenza inferiore, attraverso la loro superiore forza militare e aggressività, come si evince dal complesso delle armi che accompagnano con frequenza le inumazioni: il pugnale, le cuspidi di freccia e il brassard per l’arco»

Secondo Gary e Maud Webster a seguito di incursioni dei campaniformi furono abbandonati anche l'altare di Monte d'Accoddi e la fortificazione di Monte Baranta, nel nord-ovest.[13] Entità portatrici del bicchiere campaniforme potrebbero aver indotto la migrazione forzata della cultura Monte Claro in insediamenti di rifugio come Sa Sedda de Biriai (Oliena)[14].

Un unicum in Sardegna è rappresentato dal sito di Guardiole, nell'isola di Caprera. Il complesso, costituito da un grande recinto megalitico rettangolare e da altre costruzioni, mostra evidenti similitudini con l'insediamento campaniforme di Ferrandell Olleza, nell'isola di Maiorca[15].

Religione[modifica | modifica wikitesto]

Sconosciuti i luoghi di culto in cui le popolazioni del vaso campaniforme esplicavano le loro funzioni religiose[8]; i resti di animali dell'ipogeo di Padru Jossu fanno pensare a sacrifici in onore di una divinità[11].

«...si deve pensare che l'introduzione della Cultura del vaso campaniforme sia dovuta all'arrivo di un nuovo gruppo etnico che, sia pure numericamente minoritario, determinò profondi mutamenti nella realtà politica, economica e religiosa dell'isola. I nuovi uomini venuti dal mare sono legati ad esperienze pastorali, si trascinano appresso un culto lunare e cercano di imporre, in parte riuscendovi, la loro concezione patriarcale e ad un tempo gerarchica della società»

Economia[modifica | modifica wikitesto]

Vaso tetrapode dalla necropoli di Santu Pedru di Alghero

Le genti campaniformi per il loro sostentamento dipendevano principalmente dalla cerealicoltura (grano) e dell'allevamento di ovini e caprini[10].

Ascrizione etnica[modifica | modifica wikitesto]

Le genti del vaso campaniforme, a differenza di quelle indigene caratterizzate dalla dolicomorfia (cranio allungato), erano perlopiù brachimorfe (cranio corto), forma cranica quasi inesistente in Sardegna nelle epoche precedenti che aumenta numericamente nel periodo campaniforme (15% circa) ed in particolar modo durante l'epicampaniforme (cultura di Bonnanaro), rimanendo tuttavia in minoranza e venendo rapidamente riassorbita geneticamente[16].

La lingua parlata da queste popolazioni è sconosciuta, tuttavia alcuni studiosi hanno teorizzato che si trattasse di un qualche dialetto indoeuropeo di tipo centum possibilmente protoceltico[17].

È stato ipotizzato che queste genti, migrate dall'area franco-iberica in Sardegna tra III e II millennio a.C., fossero in qualche modo antenate, almeno in parte, dei Balari, antica etnia che occupava in epoca nuragica gran parte della Sardegna settentrionale per poi ritirarsi all'interno durante l'occupazione punica-romana[18].

Paleogenetica[modifica | modifica wikitesto]

Vaso campaniforme dalla Grotta della Volpe di Iglesias

Gli individui protosardi di cultura campaniforme finora analizzati si differenziano da quelli dell'Europa continentale per la quasi totale assenza di geni legati ai pastori delle steppe occidentali dalle steppe pontico-caspiche, mentre non si escludono apporti dai primi campaniformi della penisola iberica (pre-2000 a.C.), anch'essi privi della componente steppica[19].

«Sebbene non possiamo escludere influssi da parte di popolazioni geneticamente simili (es. i primi campaniformi iberici), l'assenza della componente steppica suggerisce un isolamento genetico da molte popolazioni continentali dell'età del bronzo - inclusi i tardi campaniformi iberici.»

Secondo uno studio del 2022 di Rémi Tournebize et al., l'apparizione del campaniforme coincide con un effetto del fondatore sull'isola (4114 ± 366 anni fa)[20].

Un altro studio del 2022 di Manjusha Chintalapati et al., ha rilevato in alcuni individui protosardi una moderata ascendenza steppica che sarebbe giunta sull'isola nel 2600 a.C. circa[21].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Gary Webster & Maud Webster, p.112.
  2. ^ Vila Nova de São Pedro, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 6 maggio 2015.
  3. ^ Stuart Piggott - Ancient Europe pg.100.
  4. ^ Sebastiano Tusa, La Sicilia.
  5. ^ Sicilia terra di frontiera tra la fine del III e gli inizi del II millennio a.C., su torrossa.com. URL consultato il 16 maggio 2023.
  6. ^ Giovanni Ugas, p.12.
  7. ^ Bingia’e Monti - Gonnostramatza. Un sito archeologico tra l’età del Rame e l’età del Bronzo, su academia.edu. URL consultato il 7 febbraio 2024.
  8. ^ a b Anthroponet-La facies culturale campaniforme, su anthroponet.it. URL consultato il 12 febbraio 2013 (archiviato dall'url originale il 25 novembre 2015).
  9. ^ Maria Grazia Melis, Usini ricostruire il passato, La necropoli di S'Elighe Entosu e il territorio di Usini in età preistorica e protostorica p.294-295
  10. ^ a b c Luca Lai, p.358.
  11. ^ a b c Giovanni Ugas, p.18.
  12. ^ Storia della Sardegna 1. Dalle origini al Settecento - a cura di Manlio Brigaglia pg.12.
  13. ^ Gary Webster & Maud Webster, p.126.
  14. ^ Gary Webster, Biriai, A Possible Refugee Settlement in Late Third-Millennium BC Sardinia, Journal of Mediterranean Archaeology vol. 34 n.1 (2021)
  15. ^ L’enigmatico complesso di Guardiole nell’isola di Caprera: un pendant sardo di un insediamento balearico?, su researchgate.net. URL consultato il 14 novembre 2022.
  16. ^ Franco Germanà - Vicende umane paleosarde
  17. ^ J.P.Mallory - Encyclopedia of the Indoeuropean cultures. - "Beaker culture" pg. 53-54-55.
  18. ^ Giovanni Ugas, p.29-30-31-32.
  19. ^ Marcus et al.,Genetic history from the Middle Neolithic to present on the Mediterranean island of Sardinia, 2020
  20. ^ Tournebize R, Chu G, Moorjani P (2022) Reconstructing the history of founder events using genome-wide patterns of allele sharing across individuals. PLOS Genetics 18(6): e1010243. https://doi.org/10.1371/journal.pgen.1010243
  21. ^ Manjusha Chintalapati, Nick Patterson, Priya Moorjani (2022) The spatiotemporal patterns of major human admixture events during the European Holocene eLife 11:e77625 https://doi.org/10.7554/eLife.77625

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Giovanni Ugas, L'alba dei nuraghi, Cagliari, Fabula Editore, 2005, ISBN 978-88-89661-00-0.
  • Luca Lai, The Interplay of Economic, Climatic and Cultural Change Investigated Through Isotopic Analyses of Bone Tissue: The Case of Sardinia 4000-1900 BC., 2008
  • Gary Webster e Maud Webster (2017). Punctuated Insularity. The Archaeology of 4th and 3rd millennium Sardinia, Oxford: BAR International Series 2871

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]