Codice napoleonico

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Prima pagina dell'edizione originale del 1804.

Il Codice napoleonico[1][2][3] (in lingua francese Code civil des français o Code Napoléon) è il codice civile attualmente in vigore in Francia e uno dei più celebri del mondo, così chiamato perché voluto da Napoleone Bonaparte; esso fungerà da modello per tutti i codici successivi ed eserciterà una notevole influenza sulle analoghe raccolte di numerosi paesi al mondo.

Redatto da una commissione nominata da Napoleone a inizio '800, venne emanato il 21 marzo 1804[1] ed è ricordato per essere stato il primo codice civile moderno, introducendo chiarezza e semplicità delle norme giuridiche e soprattutto riducendo a unità il soggetto giuridico; anche se, sia in Austria sia in Francia, c'erano già state precedenti codificazioni in materia penale (es: il codice penale francese del 1791).

Scritto in un linguaggio semplice, elegante e conciso, il Code Napoléon fu fonte di ispirazione di alcuni scrittori dell’epoca. Stendhal in una lettera a Balzac scrisse che durante la composizione della Certosa di Parma egli era solito leggere ogni mattina due o tre pagine del Codice civile “per prendere il tono” ed “essere sempre naturale”, Paul Valéry dichiarò che il Codice era uno dei capolavori della letteratura francese e Jules Romains consigliava scherzosamente di leggerlo la sera prima di addormentarsi[4][5][6][7].

Contesto[modifica | modifica wikitesto]

Contesto storico[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Età moderna, Storia della Francia e Rivoluzione francese.

Contesto giuridico[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Diritto dell'età moderna.

Genesi[modifica | modifica wikitesto]

Primi tentativi[modifica | modifica wikitesto]

La rottura con il diritto comune[modifica | modifica wikitesto]

Progetto definitivo[modifica | modifica wikitesto]

Codice di Napoleone il grande pel Regno d'Italia, 1806

Lo scopo che si prefiggeva il legislatore era dar vita a un testo che ponesse fine in maniera definitiva alla tradizione giuridica dell'Antico regime, caratterizzata dalla molteplicità giurisprudenziale e dal frantumato particolarismo giuridico che affondava le proprie radici nell'ormai frusto e farraginoso sistema del diritto comune.

Il codice s'ispira al diritto consuetudinario della tradizione franco-germanica, caratteristico del Settentrione della Francia (dei pays de droit coutumier), ma prende, come ulteriore modello di riferimento, il diritto romano (Corpus iuris civilis) prevalente nel settore centro-meridionale del paese (nei pays de droit écrit), così come interpretato dai giuristi medievali (glossatori e commentatori) della parte meridionale del paese; in questo senso, i primi giuristi positivistici dell'epoca ritennero la codificazione il trionfo della ragione giuridica di stampo illuministico, in grado di trasfondere il diritto naturale e consuetudinario nei codici, plasmando i principi, fumosi e generici, del diritto precedente.

La commissione incaricata era composta di quattro grandi giuristi: il presidente della Corte di cassazione François Denis Tronchet; il giudice della medesima corte Jacques Maleville; l'alto funzionario amministrativo (commissario di governo) Jean-Étienne-Marie Portalis e Félix-Julien-Jean Bigot de Préamenau, membro del vecchio Parlamento di Parigi soppresso dalla Rivoluzione. I quattro operavano sotto la direzione di Jean-Jacques Régis de Cambacérès. In soli quattro mesi (dall'agosto al novembre 1800) fu presentata una bozza inviata alla Corte di cassazione con lo scopo di ottenere osservazioni in merito; fu chiesto il parere anche del Consiglio di Stato, presieduto da Napoleone Bonaparte; infine, il testo fu inviato al parlamento per l'approvazione, non prima però della discussione all'interno del Tribunato. Grazie al prestigio personale dell'imperatore si riuscirono a superare gli ostacoli rappresentati dalle Corti e l'ostruzionismo dell'apparato burocratico; le vicende personali di Napoleone influirono su alcuni aspetti specifici, quali divorzio e adozione.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Onofrio Taglioni, Codice civile di Napoleone il Grande col confronto delle leggi romane, Milano 1809

Caratteristiche generali[modifica | modifica wikitesto]

Esso confermava le principali conquiste della Rivoluzione, come l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge o l'abolizione del feudalesimo, ma soprattutto tutelava il diritto di proprietà, particolarmente importante per i ricchi borghesi. Fu redatto da una commissione incaricata di raccogliere in un unico corpus giuridico la tradizione giuridica francese; corpus che portò, il 21 marzo del 1804, alla promulgazione, da parte di Napoleone Bonaparte, del Code civil des Français.

Struttura[modifica | modifica wikitesto]

Il Codice di Napoleone, composto di 2.281 articoli, ha la seguente struttura:

  • Titolo preliminare: Della pubblicazione, degli effetti e della applicazione della legge in generale (articoli dal n. 1 al n. 6).

Il titolo preliminare ha al centro l'art. 4, che impedisce al giudice di ricusare il giudizio e stabilisce l'assoluta impossibilità di eterointegrazione del codice (nascerà qui il metodo del cosiddetto combinato disposto: gli strumenti d'interpretazione d'una norma saranno limitati ai lavori preparatori o ad altre norme del codice stesso). In verità, nel progetto originario, era presente un «Libro preliminare», molto più esteso, che consentiva il ricorso a fonti interpretative diverse dal Codice; esso fu tagliato prima della promulgazione, in un'ottica legalista e di stampo esegetico che segnerà la scienza giuridica francese dell''800.

  • Libro primo: Sulle persone (articoli dal n. 7 al n. 515);

Il «Primo libro» riguarda i diritti della persona e della famiglia; contiene norme su stato civile, matrimonio (per la prima volta venne istituito quello civile), divorzio (conservato da Napoleone, anche se in termini più restrittivi rispetto al 1792), paternità (con la riduzione dei poteri del pater familias), filiazione (con la parificazione tra figli legittimi maschi e femmine, e col riconoscimento di qualche diritto ai figli naturali), capacità d'agire (con la preesistenza della soggezione dei figli alla potestà genitoriale fino al compimento del ventunesimo anno d'età).

  • Libro secondo: Dei beni e della differente modificazione della proprietà (articoli dal n. 516 al n. 710);

Il «Secondo libro» aboliva principalmente il feudo e i vincoli che esso comportava sulla proprietà, caratterizzata da assolutezza, pienezza ed esclusività. Oltre al diritto reale per eccellenza sono presi in esame gli altri diritti reali e con essi il possesso, che non è considerato un diritto ma uno stato di fatto.

  • Libro terzo: Dei differenti modi d'acquisto della proprietà (articoli dal 711 al n. 2281).

Nel «Terzo libro» confluiscono infine la materia successoria (nella quale si statuiscono la completa equiparazione tra maschi e femmine, il rifiuto del fedecommesso e dei privilegi a favore di qualche figlio, nonché l'inviolabilità della volontà testamentaria), la materia delle obbligazioni (le convenzioni legalmente formate hanno forza di legge fra le parti), la materia contrattuale (con ampio riconoscimento della volontà contrattuale delle parti, di contratti atipici e di clausole non previste dal legislatore, fatte salve la causa lecita, la certezza dell'oggetto, la capacità contrattuale e l'accordo).

Diffusione[modifica | modifica wikitesto]

Altri codici napoleonici[modifica | modifica wikitesto]

Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

Il dibattito sulla codificazione[modifica | modifica wikitesto]

Scuola dell'esegesi[modifica | modifica wikitesto]

I codici voluti da Napoleone vennero concepiti con lo scopo di eliminare le incertezze e le possibilità di manipolazione arbitraria del diritto stabilendo un «primato assoluto della legge, riducendo il diritto alla sola legge» secondo la teoria del positivismo giuridico: il legislatore era l'unica e incontrastata fonte del diritto e il codice era la sua espressione. Per questo, il codice doveva essere in grado di disciplinare qualsiasi situazione, grazie a norme generali e astratte, senza presentare antinomie e lacune.[8] All'interno del codice, il giurista, avrebbe trovato la soluzione a tutti i problemi.[9] La riduzione del diritto alla sola legge portò a delle conseguenze sui giudici che divennero dei «meri esecutori della norme senza possibilità di interpretazione» dotati dell'unico compito di applicare letteralmente il codice secondo la volontà espressa dal legislatore. Dunque un lavoro di semplice esegesi del codice e da qui l'affermarsi di un nuovo metodo di studio del diritto che prenderà il nome, appunto, di scuola dell'esegesi. I giuristi di tale scuola, affermatasi per tutto il XIX secolo in gran parte d'Europa, venivano, quindi, formati esclusivamente sul contenuto del codice, articolo per articolo, privandoli dei tradizionali insegnamenti di diritto naturale.[10][11][12]

Tale impostazione, tuttavia, non fu priva di contraddizioni e illusioni. Innanzitutto, con questo «assolutismo giuridico», come è stato definito dallo storico del diritto Paolo Grossi, si creò una "staticità" del diritto «legata all'autorità della legge intesa come dato oggettivo» difficilmente conciliabile con una società che comunque si trova in costante evoluzione.[13][14] In secondo luogo, ciò si trattava di una mera utopia, in quanto anche il codice meglio scritto e più completo mai avrebbe potuto essere totalmente autosufficiente a dirimere qualsiasi fattispecie che un giudice si sarebbe trovato ad affrontare. Per questo, già gli stessi giuristi esegeti francesi finirono per svolgere comunque una sorte di abile interpretazione sulle norme stesse e sulla volontà del legislatore pur sempre senza far ricorso a fonti esterne o al diritto naturale.[8][15]

Impatto sull'evoluzione del diritto[modifica | modifica wikitesto]

Il codice nel XXI secolo[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Codice napoleonico, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. URL consultato il 15 luglio 2019.
  2. ^ L'eredità dell'epoca napoleonica - il Codice (PDF), su treccani.it. URL consultato il 23 agosto 2020.
  3. ^ Corrado Malandrino, La diffusione del Codice napoleonico, su dizionaripiu.zanichelli.it. URL consultato il 23 agosto 2020.
  4. ^ Gabriel de Broglie, La langue du Code civil (PDF), su academie-francaise.fr.
  5. ^ Richard Caly, Il Code Civil des Français, parte III, L’eredità giuridica di Napoleone, su instoria.it.
  6. ^ Newman, Stendhal and the Code civil, in The French Review, XLIII, n. 3, 1970.
  7. ^ Flavia Tringali, Il Code Civil des Français: fonte d´ispirazione dei codici moderni. Genesi, struttura e innovazioni, in Cammino diritto, vol. 9, 2018.
  8. ^ a b Ascheri, 2008, pp. 288-290.
  9. ^ Fassò, 2020, pp. 17-18.
  10. ^ Ascheri, 2008, p. 289.
  11. ^ Fassò, 2020, pp. 17-18, 20-21.
  12. ^ Del Frate et al., 2018, p. 248.
  13. ^ Del Frate et al., 2018, p. 249.
  14. ^ Fassò, 2020, p. 19.
  15. ^ Del Frate et al., 2018, pp. 247-248.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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