Cilicio
Il cilicio anticamente era un tessuto di peli di capra o di cammello, in uso anche fra i soldati dell'esercito romano. Nel mondo greco-romano tali stoffe, utilizzate per tende, vele, sacchi, vesti grossolane, ecc., presero il nome di "cilici", termine che proviene dal greco κιλίκιον (kilíkion), ovvero della regione della Cilicia[1], l'odierno Sud della Turchia, in quanto i Cilici ne ebbero quasi il monopolio (Plinio, VI, 143). A scopo ascetico questa stoffa veniva indossata a immediato contatto con la nuda pelle, come viene frequentemente attestato nella Bibbia, nella quale la traduzione abituale di cilicio è "sacco", in quanto in ebraico cilicio si dice saq[2].
Nel popolo di Israele le finalità di quest'uso ascetico sono varie. Si poteva indossare il cilicio (il sacco):
- per lutto (per es. quando Giacobbe riconosce la veste insanguinata del figlio Giuseppe: "Una bestia feroce l'ha divorato. Giuseppe è stato sbranato". Giacobbe si stracciò le vesti, si pose una tela di sacco attorno ai fianchi e fece lutto sul suo figlio per molti giorni"[3]);
- per penitenza, per ottenere il perdono divino: oltre a svariati esempi dell'Antico Testamento[4], anche due brani del Nuovo Testamento[5];
- per supplicare l'aiuto divino, anche in momenti di grave pericolo[6].
In altri casi i profeti minacciano gli empi dicendo loro che dovranno portare il sacco[7].
Dopo la venuta di Cristo, l'uso del cilicio si estende rapidamente anche fra i cristiani.
Indica, per estensione, una cinghia uncinata o formata da una corda ruvida costellata di nodi, che viene stretta attorno alla vita o alla coscia in modo da provocare un dolore non estremo ma costante.
Uso del cilicio[modifica | modifica wikitesto]
Molti santi ne fecero uso nel corso dei secoli (ai suoi tempi anche da Ignazio di Loyola, poi da Josemaria Escrivà), ma essendo una pratica personale e nascosta è difficile dire quanto sia in uso, oggi come ieri. Secondo l'Opus Dei, anche «... un Papa modernissimo e innovatore, qual era Paolo VI, portava in talune occasioni il cilicio, come ha rivelato dopo la sua morte il segretario, monsignor Pasquale Macchi»[8].
I membri Numerari dell'Opus Dei, laici in "celibato apostolico", inseriti nell'organizzazione della prelatura personale della Chiesa cattolica, insieme con i sacerdoti specifici, lo usano regolarmente - per mortificare il proprio corpo e con esso il proprio spirito per "avvicinarsi al sacrificio di Cristo" -. Tale pratica è stata confermata nel 2007 dalla senatrice della Repubblica Italiana Paola Binetti (numeraria dell'Opus Dei).[9]
L'uso del cilicio come strumento di mortificazione, più che un mezzo per raggiungere la vita eterna, è la conseguenza di un rapporto d'amore personale e sincero con Dio; l'anima innamorata è spinta a cercare una dimensione di preghiera e di penitenza che la rende partecipe e corredentrice nella via della salvezza.
Possiamo citare san Francesco di Sales:
«La mancanza di misura nei digiuni, nelle flagellazioni, nell'uso del cilicio, nelle asprezze rende molte persone incapaci di consacrare gli anni migliori della vita ai servizi della carità; questo avvenne anche a San Bernardo che si pentì in seguito di aver abusato di penitenze troppo dure. [...] Anche noi siamo molto fragili di fronte alle tentazioni sia quando il nostro corpo è troppo pasciuto, come quando è troppo debole; nel primo caso è presuntuoso nel suo benessere, nell'altro è disperato nel suo malessere. (...) C'è chi fa fatica a digiunare, chi invece a servire gli ammalati, un altro a visitare i prigionieri, a confessare, a predicare, a consolare gli afflitti, a pregare ed altri esercizi simili: queste ultime fatiche valgono di più di quella del digiuno, perché, oltre a darci ugualmente il dominio sulla carne, in più ci offrono frutti molto più apprezzabili.» |
«Se presa con moderazione, la disciplina dà meravigliosi risultati nel risvegliare il desiderio della devozione. Il cilicio domina potentemente il corpo, ma il suo uso abitualmente non è consigliabile agli sposati, alle persone di costituzione delicata, o a quelli che devono sopportare altre grosse fatiche. Tuttavia si può impiegare, volendo, nei giorni forti di penitenza, sempre che il confessore sia d'accordo.» |
(Filotea, Introduzione alla vita devota) |
Note[modifica | modifica wikitesto]
- ^ Gian Guido Vecchi, I cattolici e il «ritorno» del cilicio, Corriere della Sera, 8 marzo 2007. URL consultato l'11 dicembre 2007.
- ^ Enciclopedia Treccani, voce cilicio.
- ^ Genesi 37,33-34. Altri esempi: 2 Samuele, 3,31; Giuditta 8,4-5; 1 Maccabei, 2,6.14; 3,45-47; Isaia 15,1-3; Geremia 6,26;; Ezechiele 27,1-3.30-32; Gioele 1,8-14;.
- ^ 1 Re, 21,27; 1 Cronache 21,16; Neemia 9,1-2; Giona 3,5-9; Isaia 58,5-7; Geremia 4,7-8.
- ^ Matteo 11,20-22 e Luca 10,13-15.
- ^ Ester 4,1-3; Giuditta 4,9-15; 9,1; 2 Maccabei, 3,18-19; 10,24-26; Daniele 9,3; Baruc 4,20.
- ^ Isaia 32,9-11; Geremia 48,37-39; 49,2-3; Ezechiele 7,18; Amos 8, 2.10.
- ^ Il colpevole? Ovviamente l'Opus Dei, su opusdei.it.
- ^ Gian Guido Vecchi. I cattolici e il «ritorno» del cilicio. Corriere della Sera, 8 marzo 2007. URL consultato il 11 dicembre 2007.
Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]
Wikizionario contiene il lemma di dizionario «cilicio»
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su cilicio
Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]
- Gian Guido Vecchi, I cattolici e il «ritorno» del cilicio, Corriere della Sera, 8 marzo 2007. URL consultato l'11 dicembre 2007.