Bisogni educativi speciali

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I bisogni educativi speciali (BES) sono definiti dalla classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF) come “qualsiasi difficoltà evolutiva di funzionamento permanente o transitoria in ambito educativo o di apprendimento, dovuta all’interazione tra vari fattori di salute e che necessita di educazione speciale individualizzata”.[1] Possono essere considerati come paradigma di lettura della complessità e della varietà delle difficoltà di apprendimento.[2] Tale visione richiede di ampliare lo sguardo verso le esigenze formative di ogni individuo, andando oltre ai soli deficit certificabili e prendendo in considerazione ogni funzionamento che anche per il singolo soggetto diventa problematico[3]. Per rispondere ai BES si ricorre al Piano didattico personalizzato (PDP), strumento utile per progettare modalità operative, strategie, sistemi e criteri di apprendimento per ciascun allievo.[4]

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Il termine Bisogni educativi speciali viene introdotto nel 1978 nel Regno Unito con l’emanazione del Warnock Report[5], documento con cui si avvia un nuovo sistema di classificazione degli alunni con difficoltà di apprendimento, fino a quel momento identificati come handicappati, e ad una nuova definizione di special educational needs che sottolinea il bisogno di un maggiore supporto da parte dell’organo educativo. I bisogni educativi erano definiti per ogni soggetto in base al grado di deficit relativo a cinque dimensioni fondamentali dello sviluppo: fisico, cognitivo, del linguaggio, sociale ed emozionale.[6]

Il concetto di Bisogni educativi speciali risulta quindi presente fin dagli anni settanta in Europa e in America, accezione che può essere ritrovata in numerosi documenti dell’UNESCO e dettati normativi scolastici. Diventa ufficialmente una categoria internazionale con la Dichiarazione di Salamanca dell’UNESCO del 1994 in cui si afferma che con il termine Bisogni educativi speciali ci si riferisce a “tutti quei bambini e giovani i cui bisogni derivano da disabilità oppure difficoltà di apprendimento”.[7] Altri documenti dell’UNESCO che chiariscono e ampliano tale concetto sono la classificazione internazionale standard dell'istruzione (ISCED) del 1997 che allarga la nozione di Bisogni educativi speciali, ancora fortemente ancorata all’idea di deficit individuale; e l’ISCED del 2011 in cui si specificano le ragioni dei BES e vengono annoverati svantaggi di tipo fisico, comportamentale, intellettivo, sociale ed emotivo, economico, linguistico.

In Italia si comincia a parlare di Bisogni educativi speciali a partire dal 1998, ma sarà necessario attendere fino al 2012 per una sua ufficializzazione ministeriale con la Direttiva del 27 dicembre.

Dario Ianes definisce i Bisogni educativi speciali come “una qualsiasi forma di difficoltà evolutiva in ambito educativo che si manifesta in un funzionamento problematico dell’alunno in interazione con l’ambiente”.[8] Tale difficoltà, che necessita di educazione speciale individualizzata, si traduce per il soggetto anche in termini di danno, ostacolo o stigma sociale.[9]

Infatti, se da un lato i Bisogni educativi speciali possono favorire processi comprensione e integrazione, dall’altro è necessario prestare grande attenzione per evitare processi di classificazione e categorizzazione che generano di conseguenza stigmatizzazione, esclusione e marginalizzazione. Come sostiene Patrizia Gaspari il concetto di bisogno è riduttivo rispetto all’ampiezza del concetto di persona in quanto essere in divenire rispetto alle sue potenzialità, attese, pensieri e desideri.[10]

A livello europeo e in particolare nel mondo anglosassone si può assistere ad un tentativo di rivoluzionare il sistema dei BES e della disabilità proprio in ottica di un superamento di tale termine a favore di un concetto di educazione più inclusiva. Ad esempio in Inghilterra si registra un nuovo sistema di “Education Healt and Care Plan” (EHC) operativo a partire dall’aprile 2018, mentre l’UNESCO tende oggi ad utilizzare la locuzione “Education for all” (EFA).[11]

L’approccio del Modello Sociale, in linea con l’idea secondo cui la disabilità non è insita nel soggetto ma dipende dal contesto, tende a spostare il focus dei Bisogni educativi speciali dall’alunno all’ambiente sostituendo l’originale dicitura con “barriere all’apprendimento e alla partecipazione” (Index per l'inclusione). Lo sguardo è posto sul ruolo dei docenti e sull’importanza di progetti ed interventi educativi appropriati. Infatti, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD)[12] identifica tali soggetti come bisognosi di “risorse pubbliche e/o private a supporto della loro educazione, resa possibile progettando interventi educativo-didattici potenziati, differenziati e personalizzati capaci di garantire percorsi formativi sotto il segno delle pari opportunità”.[13]

Si individua una stretta connessione con la pedagogia speciale, “scienza della diversità” che richiede di valorizzare l’unicità di ogni singolo individuo e le sue capacità.

I Bisogni educativi speciali in Europa[modifica | modifica wikitesto]

La dichiarazione di Salamanca del giugno 1994, che può essere considerata il manifesto della scuola inclusiva, afferma che gli alunni con Bisogni educativi speciali devono poter accedere alle scuole normali e che la scuola ha il dovere di integrarli con una pedagogia centrata sull’alunno, che soddisfi i suoi bisogni educativi.

Sancisce, inoltre, che tutti i Paesi devono adottare il principio dell’educazione inclusiva, accogliendo tutti i bambini nelle scuole normali. Tuttavia le definizioni di ‘Bisogni educativi speciali’ variano a seconda dei Paesi e delle norme amministrative, finanziarie e procedurali in essi applicate. In molti di essi si ritiene che ‘l’approccio medico dovrebbe essere trasformato in approccio educativo: un punto centrale che ha conseguenze sul sistema scolastico. Allo stesso tempo è chiaro che l’approccio educativo è molto complesso e i paesi incontrano difficoltà di applicazione’.[14] Anche l’incidenza percentuale del fenomeno varia da paese a paese, tuttavia questo non è riconducibile a una disomogenea diffusione quanto piuttosto a diversità in ambito legislativo e di politiche attuative.

I paesi europei, in base alle politiche adottate sul tema integrazione, vengono suddivisi in 3 categorie[15]

Il caso tedesco[modifica | modifica wikitesto]

La Germania, da sempre contraria all’integrazione di alunni con disabilità e bisogni educativi speciali nelle classi, ha da poco iniziato a creare leggi per l’inclusione in alcuni Laender. In Germania, infatti, non è lo Stato centrale a decidere per l’istruzione, ma i singoli Laender in autonomia. Questi possono decidere se inserire i ragazzi con disturbi specifici di apprendimento e Bisogni educativi speciali in scuole speciali o in classi normali, mediante una normativa locale. Nei Laender dove la scuola di passaggio non è prevista, un alunno con pessimi voti non potrà mai accedere all’università, ma solo a facoltà parauniversitarie che preparano al lavoro (Fachoberschule). La scelta della scuola non è, infatti, delegata alla famiglia o all’alunno, ma decisa dal consiglio di classe. Chi intende iscriversi ad un Gymnasium (liceo) non può, se la sua pagella presenta voti al di sotto del 2 (dove 1 rappresenta l’eccellenza e 5 l’insufficienza).

La legge tedesca permette l’inclusione degli alunni con Bisogni educativi speciali nelle scuole dell’obbligo di tutti gli stati federati[16], ma l’opinione pubblica ostacola l’attuazione del modello inclusivo in alcuni Laender. Grazie alla sottoscrizione della Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità del 2006, un numero sempre maggiore di alunni con Bisogni educativi speciali frequenta una scuola regolare. Nella regione del Nordrhein-Westfalen, dal 2010 è in atto un percorso che dovrebbe creare negli anni il sistema inclusivo della regione. Il ministro dell’istruzione sta lavorando su una doppia strategia d’inclusione[17] e, nella conferenza tenuta nel 2012 da Anne Luetkes (Regierungspraesidentin), spiega questo percorso con le tappe previste per giungere alla piena inclusione:

  • Formazione di insegnanti specializzati
  • Didattica differenziata per competenze
  • Modifiche nel programma di formazione generale di tutti insegnanti

Una delle criticità che è da subito emersa è la mancanza di personale docente qualificato e formato nella didattica speciale. A questo scopo la regione ha avviato un percorso di formazione per persone che avevano avuto già esperienza nelle scuole speciali. Nonostante la buona volontà di alcuni ministri dell’istruzione dei vari Laender, in Germania la parola inclusione non riesce ad entrare a far parte del vocabolario della scuola normale dell’obbligo.

Il caso inglese[modifica | modifica wikitesto]

In Inghilterra e Galles[18] in ogni scuola un membro dello staff scolastico è nominato coordinatore per i bisogni educativi speciali con un ampio carico di responsabilità, tra cui: l’offerta di supervisione, il monitoraggio dei progressi degli alunni, i rapporti con i genitori e con le agenzie di sostegno esterno, il supporto al personale insegnante della scuola.

Lo staff della scuola lavora sempre più con gli insegnanti per sviluppare approcci e strategie didattiche all’interno della scuola, piuttosto che direttamente con gli alunni in difficoltà.

La formazione iniziale rivolta agli insegnanti fornisce loro le competenze necessarie per l’educazione di alunni con bisogni educativi speciali. Lo Statuto di insegnante qualificato prevede il conseguimento di una conoscenza generale relativa alle procedure per l’identificazione, la valutazione e l’accoglienza degli alunni disabili nelle classi ordinarie. Inoltre, per tutti gli ambiti educativi degli alunni con Bisogni educativi speciali, è possibile una formazione complementare volontaria. Numerosi insegnanti frequentano corsi riconosciuti, spesso a livello di laurea o di diploma (ad es. in relazione ai problemi dell’autismo o a specifiche difficoltà di apprendimento), e quasi tutti seguano corsi brevi, non accreditati.

La normativa italiana[modifica | modifica wikitesto]

L'attenzione alla tematica dei Bisogni educativi speciali in Italia viene data a partire dalla fine del 2012, quando il Ministero dell'iIstruzione, dell'università e della ricerca (MIUR), emana la Direttiva sui BES 27/12/2012.

In tale direttiva viene assunto il punto di vista secondo cui l'area dello svantaggio scolastico è molto più ampia di quella riferibile esplicitamente alla presenza di deficit[19] e infatti comprende tre sotto-categorie: la disabilità vera e propria, l'area dei disturbi evolutivi specifici e quella dello svantaggio socio-economico, linguistico e culturale. Prende a riferimento la classificazione ICF come strumento per individuare i BES dell'alunno attraverso il suo profilo di funzionamento e l'analisi del contesto.

La direttiva del ministro Francesco Profumo, identifica gli strumenti per la cura educativa degli alunni: nel caso di alunni con disabilità (sensoriale, motoria o psichica) certificata, si applicano le provvidenze derivanti dalla legge 104/92, tra cui l'assegnazione dell'insegnante di sostegno.

Nel caso invece di disturbi evolutivi specifici, si deve attivare il canale previsto dalle leggi 53/2003 e 170/2010, che prevedono la predisposizione di piani di studio personalizzati per quegli studenti che presentano un disturbo caratterizzato da profili di specificità pur in presenza di capacità cognitive nella norma. Tra questi disturbi ritroviamo i disturbi specifici di apprendimento (DSA), il disturbo specifico di linguaggio e il disturbo non verbale, lieve disturbo dello spettro autistico qualora non rientri nella categoria della disabilità, il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) e il funzionamento cognitivo limite (o borderline).

La novità che la norma introduce sta nell'applicazione dei benefici derivanti dalle due leggi citate non solo agli studenti con una relazione clinica di disturbo specifico dell'apprendimento, ma anche a coloro che presentano uno degli altri disturbi evolutivi nominati. Il principale tra i benefici previsti è la stesura di un Piano Didattico Personalizzato (PDP) che preveda strategie didattiche calate sui bisogni dello studente e la possibilità di utilizzo di strumenti didattici compensativi o di forme di dispensa. Tuttavia la direttiva individua un altro potente strumento nella didattica che sia denominatore comune per tutti gli alunni e che non lasci indietro nessuno: una didattica inclusiva più che una didattica speciale[20] e pertanto provvede all'attivazione di corsi/master dedicati agli insegnanti.

Nella seconda parte della medesima viene illustrata l'organizzazione territoriale per la realizzazione dell'inclusione scolastica, che va ad articolarsi in gruppi di lavoro per l'inclusione a livello di singolo Istituto, di rete di scuole, di Provincia e di Regione, Centri Territoriali per l'Inclusione con compiti di coordinamento e Centri Territoriali di Supporto (CTS) istituiti dagli Uffici Scolastici Regionali in accordo con il Ministero mediante il progetto Nuove tecnologie e disabilità.

I CTS, dice la norma, devono essere almeno uno per provincia, sono composti da un dirigente scolastico e un'équipe di docenti curricolari e di sostegno specializzati, hanno funzioni di consulenza alle scuole sull'uso delle tecnologie per rispondere ai bisogni educativi speciali, informazione e formazione, gestione degli ausili e del comodato d'uso, ricerca, sperimentazione e diffusione delle buone pratiche. Tali centri sono finanziati con fondi del Ministero.

La successiva circolare specifica meglio come la presa in carico dei BES debba essere al centro dell'attenzione e dello sforzo congiunto della scuola e della famiglia.[21] In tale direzione viene ribadito il diritto di ciascun alunno alla personalizzazione degli apprendimenti, che ha nel Piano didattico personalizzato lo strumento privilegiato per esplicitare le strategie educative di intervento più idonee e i relativi criteri per la valutazione. Un aspetto essenziale che viene sottolineato è il seguente: l'individuazione degli alunni con Bisogni educativi speciali avviene sia in presenza di certificazioni diagnostiche e relazioni cliniche, ma anche sulla base delle considerazioni psico-pedagogiche e didattiche assunte dal Consiglio di classe o team della scuola primaria. Proprio questo fatto appare come una grande rivoluzione culturale, infatti viene evidenziata la responsabilità e la competenza collegiale del docente nell'individuare le particolari necessità degli studenti slegandola almeno in parte dalla dipendenza da procedure di tipo medico-sanitario.

La nota ministeriale 27 giugno 2013 chiarisce che tra i compiti del Gruppo di lavoro per l'inclusione (GLI) di ogni scuola c'è l'elaborazione del Piano Annuale per l'Inclusività (PAI). Tale documento è parte integrante del piano dell'offerta formativa, non va inteso come un mero adempimento burocratico, bensì come uno strumento che possa accrescere la consapevolezza dell'intera comunità educante sulla centralità dei processi inclusivi basato su un'attenta lettura del grado di inclusività della scuola e su obiettivi di miglioramento da perseguire nell'insegnamento curricolare, nella gestione delle classi, nell'organizzazione dei tempi e spazi scolastici e delle relazioni.[22]

Il più recente strumento normativo inerente alla tematica dei BES è la Nota ministeriale del 22 novembre 2013, che risponde con dei chiarimenti agli interrogativi rimasti aperti rispetto alle applicazioni delle norme precedenti in ambito scolastico. Una sottolineatura viene posta qui sulla situazione di svantaggio linguistico-culturale che interessa gli studenti con cittadinanza non italiana arrivati in Italia in corso d'anno scolastico. Si chiarisce come la loro difficoltà linguistica non vada considerata elemento di segregazione, ma al contrario vadano loro offerti interventi didattici per l'apprendimento della lingua che abbiano necessariamente natura transitoria.

La scuola inclusiva[modifica | modifica wikitesto]

Con la Strategia “Europa 2020”, l’Unione europea mira, oltre al superamento della crisi economica, a una crescita sostenibile volta alla prosperità e al progresso sociale (si veda la “Quinta Relazione sulla coesione sociale” del 2011). Per quanto riguarda l’aspetto educativo, secondo questa strategia, spetta ai decisori politici avviare un programma normativo e un rinnovamento del sistema “scuola” mentre i vertici delle istituzioni scolastiche devono attivarsi per attuarli.

Nelle Indicazioni Nazionali per il curricolo del 2012 si trova scritto che “ogni scuola deve pensare al proprio progetto educativo… per persone che vivono qui e ora, … che vanno alla ricerca di orizzonti di significato. Alla scuola l’arduo compito di … praticare l’uguaglianza del riconoscimento delle differenze”.[23] La lettura ragionata della citazione delle Indicazioni porta a vedere la scuola come luogo in cui la diversità deve essere una risorsa per il curricolo in un contesto che promuove la professionalità, la collaborazione tra scuola, famiglie ed entri locali e quindi l’integrazione.Integrazione intesa come fattiva collaborazione di tutti i servizi e di tutte le persone coinvolte nel sistema per perseguire gli obiettivi posti dall’Europa: inclusività, intelligenza e sostenibilità. È per questo che il dirigente scolastico e i docenti devono operare nell’ambito di una didattica inclusiva che rappresenta il fattore decisivo per l’integrazione dell’alunno con disabilità ponendo, al centro del proprio fare, lo sviluppo della persona. Per una scuola inclusiva, il dirigente scolastico può attivarsi a livello macro-organizzativo (istituto) e a livello micro-organizzativo (classe) per rendere inclusivo la propria “organizzazione”.

L’obiettivo a scuola diventa quello di fornire gli strumenti (acquisizione del sapere e utilizzo delle tecniche) necessari per colmare le differenze socio-culturali che esistono nella società, puntando anche alla sensibilizzazione civica mediante la valorizzazione dei beni culturali presenti sul territorio. Una scuola di qualità che diffonde la conoscenza e la condivisione di valori democratici e di solidarietà migliorando il contesto territoriale; far acquisire linguaggi e tecniche comuni, nel rispetto delle tradizioni e con orientamento verso il futuro. Questi obiettivi primari devono essere quelli dell’” inclusione scolastica” e dell’” integrazione di soggetti” con Bisogni educativi speciali (BES).

Dopo trent’anni di esperienza (dalla legge 517/77, passando per la legge 104/92 e la legge 170/10, fino alle Circolari Ministeriali ad esse successive), sono emerse una serie di “buone prassi” definite come 5 buone azioni che possono guidare l’azione del Dirigente.

In questo contesto le 5 buone prassi sono:

  • L’analisi del sistema

Per fare l’analisi sistemica è necessario definire a livello macro-organizzativo come l’istituzione opera sul tema della diversità e mettere a fuoco un approccio operativo all’inclusività che, attraverso la metodologia della ricerca-azione, porterà alla scelta delle azioni da intraprendere, da monitorare e valutare. Tale operazione prevede la costituzione di un gruppo di lavoro, il gruppo di lavoro per l'inclusione (GLI), che stabilisce i criteri generali dell’azione da attuare e le linee guida per l’utilizzo delle risorse interne all’istituzione. A livello micro-organizzativo, i consigli di classe devono predisporre il Piano didattico personalizzato (PDP) per ciascuna casistica riscontrata e rientrante nella definizione di BES. Tale documento va condiviso tra docenti, con il Dirigente Scolastico e la famiglia.

  • La formazione totale

Dopo l’analisi della situazione, sia a livello micro che macro, il Dirigente Scolastico deve promuovere una formazione totale intesa come un supporto della didattica inclusiva rispetto alla conduzione della classe e la relazione docente-alunno. È necessario investire sulle persone per migliorare la qualità dell’insegnamento-apprendimento da parte dei docenti, il coinvolgimento delle famiglie e la collaborazione di tutti gli operatori esterni coinvolti. La terza operazione che opera il Dirigente Scolastico è l’adozione di un linguaggio condiviso atto a consentire un dialogo e un confronto tra i diversi attori coinvolti nell’azione inclusiva. Il dialogo avviene attraverso un glossario concordato e condiviso (l’ICF), l’uso di strumenti condivisi e protocolli d’azione che favoriscono la continuità educativa e didattica nel passaggio tra i diversi gradi scolastici e tra gli attori coinvolti.

  • La socializzazione delle buone prassi

Per favorire la socializzazione delle buone prassi, è necessario inserire nel Piano Tiennale dell'Offerta Formativa (PTOF) una documentazione che illustri i protocolli di accoglienza; l’organigramma che connota le risorse professionali interne e l’impegno a partecipare ad azioni di formazione proposte in ambito territoriale. Per coordinare la socializzazione delle buone prassi è necessario promuovere figure di sistema a supporto dell’integrazione e dell’inclusione. Queste figure hanno il compito di migliorare l’uso delle risorse umane e strumentali investite per la disabilità (intesa in senso generale e considerando anche i BES); costruire gruppi e reti di supporto (CTI); guidare la formazione dei docenti di sostegno e di quelli curriculari rispetto alle tematiche dell’inclusione.

  • Il nucleo organizzativo

Tali figure di sistema, in accordo anche con il Dirigente scolastico, devono promuovere all’interno dell’istituzione scuola un nuovo senso di appartenenza, un’assunzione di ruolo motivante, un desiderio di scambio e una nuova autoriflessione professionale.

  • La learning organization

La quinta azione è definita come learning organization (apprendimento organizzativo) e costituisce la condivisione fattiva di informazioni, esperienze, scoperte e valutazioni che da individuali diventano di tutti. “Si fa educazione a scuola e si fa formazione attraverso la scuola”: il docente è chiamato a educare, ma anche a continuare a formarsi per garantire a tutti gli alunni una didattica inclusiva che rispetti le diversità e le usi come risorsa. In questo contesto l’inclusione diventa un sistema di interventi proposto dal Dirigente Scolastico con il GLI, condiviso dai docenti, dalle famiglie e dagli operatori del territorio coinvolti, rivolto agli studenti che comporta l'attivazione di specifiche scelte metodologiche e organizzative nonché l'utilizzo di una didattica volta a favorire l'effettiva partecipazione degli studenti stessi, a prescindere dalle condizioni personali e sociali.

La didattica inclusiva[modifica | modifica wikitesto]

La didattica inclusiva è un processo che si riferisce alla globalità delle sfere educativa, sociale e politica guardando a tutti gli alunni e intervenendo sul contesto, sullo spazio educativo e sul soggetto. Essa mira a eliminare tutti gli ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione attraverso percorsi inclusivi che, partendo dalla prevenzione e tenendo conto delle pluralità dei soggetti coinvolti (docente, alunni, famiglie, operatori, …), valorizzano la vita sociale e danno sostegno ampio e diffuso.

Per attuare una didattica inclusiva, la scuola deve quindi elaborare percorsi individualizzati per gli alunni riconosciuti come BES attraverso la stesura di un Piano Didattico Personalizzato (PDP) e l’uso di strumenti compensativi e/o misure dispensative perché è necessario che ogni docente sappia quali sono i metodi didattici da usare, quali materiali, sussidi e strumenti hanno a disposizione e quali contenuti diventano fondamentali per lo sviluppo sociale ed educativo del soggetto coinvolto.

La didattica inclusiva può essere sviluppata attraverso l’apprendimento cooperativo, il tutoring, la didattica laboratoriale procedendo in modo strutturato e sequenziale per garantire la centralità dell’alunno veicolando conoscenze, abilità e competenze. È fondamentale promuovere la motivazione all'apprendimento nell’alunno e la fiducia nelle sue capacità attraverso un coinvolgimento emotivo e cognitivo che lo aiuti a sviluppare la capacità di autovalutazione.

Il docente si adopera per aiutare alunni “lenti” predisponendo verifiche brevi, su singoli obiettivi; semplificando gli esercizi; consentendo tempi più lunghi o riducendo il numero degli esercizi nello stesso tempo, secondo le necessità dell’alunno. Per alunni che manifestano difficoltà di concentrazione, invece, l’insegnante deve fornire schemi, riassunti o mappe prima della spiegazione, evidenziare i concetti fondamentali attraverso parole chiave sul libro, spiegare utilizzando immagini, utilizzare materiali strutturati e non.

L’uso costante e simultaneo di più canali percettivi (visivo, uditivo, tattile, cinestesico) facilita e incrementa l’apprendimento[24] che viene valorizzato anche dalle tecnologie multimediali. Tutti gli strumenti a cui si fa riferimento possono essere mezzi utili ed efficaci per garantire una didattica inclusiva che mette al centro l’alunno e le sue peculiarità.

Il Piano didattico personalizzato[modifica | modifica wikitesto]

Per tutti gli alunni con Bisogni Educativi Speciali va redatto, annualmente, un documento di programmazione individualizzato e calato sulla specificità del discente. È un contratto fra docenti e famiglia volto ad individuare e organizzare un percorso formativo personalizzato, contenente gli obiettivi, gli strumenti didattici e tutte le misure che possono portare questi alunni al successo formativo.

Esistono due tipi di Piano didattico personalizzato: quello per gli alunni che presentano disturbi specifici di apprendimento e quello per gli altri BES. La differenza sta nel fatto che quello per gli alunni con disturbi specifici di apprendimento è previsto per legge (legge 170 del 2010 e D.M. 5669 e linee guida) e pur essendo responsabilità della scuola, nella sua definizione può essere prevista la collaborazione di specialisti e altri soggetti esterni (pedagogista, psicologo, logopedista, psicomotricista, ecc); esso può essere considerato una via di mezzo tra il PEI (Piano Educativo Individualizzato per alunni con disabilità) e il PDP per alunni con BES. Il PDP per gli altri alunni con Bisogni Educativi Speciali è, invece, completamente diverso; per questi alunni, una volta individuati dalla scuola con una delibera del Consiglio di Classe, viene proposta la compilazione di un PDP (DM 27/12/2012, CM 8/2013, nota del MIUR n. 2563/2013). È la scuola che decide che un alunno ha un bisogno speciale e necessita quindi di un Piano didattico personalizzato.

Nella circolare ministeriale n. 8 del marzo 2013 si specifica: “[…] è compito doveroso dei Consigli di Classe o dei team dei docenti nelle scuole indicare in quali altri casi (oltre i DSA) sia opportuna e necessaria l’adozione di una personalizzazione della didattica ed eventualmente di misure compensative e dispensative, nella prospettiva di una presa in carico globale e inclusiva di tutti gli alunni”.[25] La circolare ministeriale mette in evidenza che la personalizzazione deve essere “opportuna e necessaria”, quindi la scuola deve avere chiaro il tipo di intervento che intende mettere in atto con un alunno per supportare le sue difficoltà e per poter fare una valutazione di adeguatezza.

Il Piano didattico personalizzato risulta, quindi, essere uno strumento di pianificazione dotato di coerenza interna tra gli obiettivi prefissati e le modalità d’intervento previste.

Per essere efficace, a prescindere dai contenuti, il PDP dovrebbe contenere indicazioni:

  • significative: dare linee generali e selezionare solo le modalità di insegnamento più importanti, perché un piano troppo dettagliato rischia di rimanere solo sulla carta.
  • realistiche: evitare obiettivi troppo alti, che l’alunno non può raggiungere; tenendo conto che l’ambiente classe con le sue problematiche può ostacolare l’azione di personalizzazione.
  • coerenti: evitare contraddizioni interne o difformità tra le discipline e gli insegnamenti.
  • concrete e verificabili: tutti i protagonisti educanti devono poter riconoscere se quanto previsto nel PDP sia stato effettivamente messo in pratica.[25]

Non esiste un modello unico di Piano didattico personalizzato, ma la scelta viene affidata alla scuola. Deve però contenere le voci presenti nelle Linee Guida (3.1), articolate per disciplina:

  • dati anagrafici dell’alunno;
  • tipologia di disturbo;
  • attività didattiche individualizzate;
  • attività didattiche personalizzate;
  • strumenti compensativi utilizzati;
  • misure dispensative adottate;
  • forme di verifica e valutazione personalizzate.

La scadenza per la presentazione dei PDP in riferimento agli studenti con disturbi specifici di apprendimento è, in genere, il giorno 30 novembre. La compilazione è a cura della scuola, ma è prevista la collaborazione della famiglia.

"Nella predisposizione della documentazione in questione è fondamentale il raccordo con la famiglia, che può comunicare alla scuola eventuali osservazioni" (Linee Guida 3.1 (allegato) D.M. 12/07/2011).

Un PDP per un alunno con Bisogni educativi speciali generalmente contiene:

  • Dati relativi all’alunno;
  • Descrizione del funzionamento e delle abilità strumentali;
  • Caratteristiche del processo di apprendimento;
  • Strategie per lo studio;
  • Obiettivi disciplinari;
  • Strategie metodologiche e didattiche;
  • Strumenti compensativi e dispensativi;
  • Criteri e modalità di verifica e valutazione.

Il Piano didattico personalizzato viene sottoscritto dal Dirigente Scolastico, da tutti i docenti di classe e dai genitori; in ogni caso non è ostativo per la sua applicazione il diniego della famiglia dello studente.

Quello per l’alunno con disturbi specifici di apprendimento contiene anche la scolarità pregressa, i riferimenti normativi, le indicazioni fornite nella diagnosi, l’ambiente educativo: cioè chi segue il ragazzo di pomeriggio. La scuola decide se far riunire i docenti per la compilazione congiunta dello stesso o farlo compilare da ogni docente per la sua disciplina. I genitori saranno convocati per comunicare le decisioni, ma è la scuola che decide se farli partecipare durante la compilazione (Linee Guida 6.5).

Il Piano didattico personalizzato non è un obbligo per il Consiglio di Classe, ma una scelta volontaria per migliorare i processi inclusivi.

Gli strumenti compensativi[modifica | modifica wikitesto]

Gli insegnanti, per effetto della libertà d’insegnamento, sono liberi nell’individuazione delle modalità d’insegnamento più idonee alle necessità degli allievi, quindi anche nella scelta degli strumenti compensativi e dispensativi.

Gli strumenti compensativi sono dei supporti tecnologici e si possono distinguere in:

I materiali che possono essere considerati strumenti compensativi sono: tabelle/formule geometriche; calcolatrice; registratore; carte geografiche e storiche; tabelle di memoria; computer con programmi di videoscrittura, correttore ortografico e sintesi vocale; materiale registrato dagli insegnanti; dizionari elettronici/libri digitali; tabelle sulle difficoltà ortografiche; dizionari di lingua straniera; traduttori; libri digitali; uso dello stampato maiuscolo.

Le misure dispensative[modifica | modifica wikitesto]

Le misure dispensative sono interventi didattici che permettono agli alunni con Bisogni educativi speciali di non svolgere alcuni compiti o di essere esentati da questi. A seconda della necessità o del disturbo si può dispensare suddetti alunni da alcune delle seguenti attività:

  • Lettura ad alta voce e scrittura sotto dettatura, scrittura alla lavagna e copiatura da questa;
  • Letture di brani troppo lunghi per le loro capacità;
  • Uso del vocabolario e scrittura e lettura di numeri romani;
  • Studio mnemonico di regole di grammatica, tabelline e definizioni;
  • Tempi più lunghi per le verifiche e lo studio;
  • Interrogazioni programmate
  • Assegnazione di compiti a casa in misura ridotta
  • Possibilità di uso di testi ridotti nel numero di pagine, ma non nel contenuto.

Per gli alunni con BES non è prevista la dispensa dalla forma scritta della lingua straniera, mentre per gli alunni, con certificazione di DSA, è possibile, se prevista dal PDP.

La valutazione[modifica | modifica wikitesto]

La valutazione dell’alunno con Bisogni educativi speciali deve essere effettuata evitando la differenziazione (Linee Guida punto 3). In sede d’esame e nelle prove INVALSI, il candidato deve sostenere le stesse prove della classe; può usare tempi più lunghi e le misure compensative previste, ma non sono attese prove equipollenti. In caso di disturbi specifici di apprendimento, con dispensa dalla prova scritta di lingua straniera, l’interrogazione sostituirà la prova scritta ma, questo tipo di prova equipollente, comporta la perdita della validità del titolo di studio e l’ottenimento del solo attestato di frequenza anziché del diploma. La decisione di un tale esonero spetta alla famiglia in raccordo con la scuola, che preparerà una dispensa sostitutiva per la disciplina.

Per ciò che concerne la valutazione delle prove in corso d’anno, la personalizzazione avverrà a livello quantitativo (meno consegne) se non è possibile dare tempi più lunghi.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ OMS, ICF Classificazione Internazionale del Funzionamento, delle Disabilità e della Salute
  2. ^ P.Gaspari,2014,p.193.
  3. ^ Ianes, Dario e Macchia, Macchia, La didattica per i bisogni educativi speciali: strategie e buone prassi di sostegno inclusivo, Centro studi Erickson, 2008, ISBN 978-88-6137-293-1, OCLC 799755222. URL consultato il 24 novembre 2020.
  4. ^ P. Gaspari, 2014, p.42.
  5. ^ Special education needs - Report of the Committee of Enquiry into the Education of Handicapped Children and Young People
  6. ^ P. Gaspari, 2014, p.132.
  7. ^ UNESCO, 1994, P.6.
  8. ^ D. Ianes, 2005.
  9. ^ D. Ianes, S.Camerotti, 2013.
  10. ^ P. Gaspari, 2014, p.102.
  11. ^ R. Caldin, P. Sandri.
  12. ^ OECD publications DEDEX, 2007.
  13. ^ P. Gaspari,2014, p.24.
  14. ^ MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA DIREZIONE GENERALE PER LE RELAZIONI INTERNAZIONALI INDIRE - UNITÀ ITALIANA DI EURYDICE, p.16.
  15. ^ I BES in prospettiva europea di Giuseppe Pepe USR Basilicata
  16. ^ (DE) Gemeinsames Lernen - mit einem digitalen Schulbuch Inklusion im Fachunterricht Geschichte gestalten
  17. ^ Copia archiviata (PDF), su brd.nrw.de. URL consultato il 5 dicembre 2016 (archiviato dall'url originale il 6 agosto 2014).
  18. ^ MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA DIREZIONE GENERALE PER LE RELAZIONI INTERNAZIONALI INDIRE - UNITÀ ITALIANA DI EURYDICE, pp. 53-57.
  19. ^ Nota Direttiva del 27/12/2012, p. 2.
  20. ^ Nota Direttiva del 27/12/2012, p. 4.
  21. ^ nota C.M. 8 del 06/03/2013, p. 2
  22. ^ Nota del 27 giugno 2013, pp. 1-2
  23. ^ Indicazioni nazionali per il Curricolo, MIUR, Roma, 2012
  24. ^ TODINO M. D. (2018). La complessità didattica dell’interazione uomo macchina. DIFFERENZE, vol. 7, p. 1-148, ROMA: Aracne Editrice.
  25. ^ a b F. Zambotti (a cura di), 2015,p.26.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]