Biennio nero
Con biennio nero si indica il periodo tra il 1921 e il 1922 in Italia, caratterizzato dall'intensificarsi della violenza politica da parte delle squadre fasciste contro militanti socialisti e comunisti, sindacalisti e oppositori del fascismo. Questo periodo rappresenta una fase cruciale della transizione dall'Italia liberale al regime fascista.
Contesto storico
[modifica | modifica wikitesto]Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, l'Italia attraversò un periodo di forti tensioni sociali ed economiche. Tra il 1919 e il 1920, periodo noto come biennio Rosso, il paese fu segnato da scioperi, occupazioni di fabbriche e un generale clima di agitazione sociale mirato a replicare in Italia la Rivoluzione russa avvenuta nel 1917. In risposta a queste mobilitazioni, le classi dirigenti e la borghesia italiana, che temevano che il tentativo di rivoluzione socialista avesse successo, iniziarono a sostenere gruppi paramilitari fascisti per reprimere le manifestazioni e le organizzazioni di sinistra.
La violenza fascista
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Dopo la conclusione del Biennio rosso, con la vicenda dell'occupazione delle fabbriche e dopo le elezioni amministrative, il movimento fascista, che fino ad allora aveva avuto un ruolo piuttosto marginale[1], iniziò la sua ascesa politica che fu caratterizzata dal ricorso massiccio e sistematico alle azioni squadristiche[2].
Gli anni 1920 e 1921 videro un'escalation della violenza da parte delle squadre d'azione fasciste, conosciute come squadristi, che attaccarono sedi di partiti, sindacati, cooperative, giornali e circoli culturali vicini ai movimenti socialisti e comunisti. Questi attacchi spesso includevano incendi, devastazioni e aggressioni fisiche ai militanti di sinistra. In risposta alla violenza squadrista nacquero le Formazioni di difesa proletaria.
Le forze dell'ordine e il governo, invece di reprimere le violenze squadristiche, le tollerarono o addirittura le supportarono indirettamente, ritenendole un baluardo contro il pericolo bolscevico. In questo contesto, Benito Mussolini e i suoi Fasci italiani di combattimento prima e Partito Nazionale Fascista poi, ottennero sempre più consenso tra industriali, proprietari terrieri e ambienti conservatori.
Tra il 1921 e il 1922 l'Italia fu scossa da qualcosa di simile a una guerra civile[3] tra fascisti e antifascisti, che fu vinta sul campo dai primi, sia perché militarmente erano più forti, sia perché godevano sovente dell'appoggio di vasti settori dell'apparato statale. Gli squadristi godevano inoltre della simpatia dell'opinione pubblica borghese e conservatrice, rappresentata in particolare dai più importanti organi di stampa, che tennero spesso un atteggiamento tutt'altro che imparziale[4].
A titolo d'esempio, nel primo semestre del 1921 furono contate, nella sola Pianura Padana, almeno 726 distruzioni operate dalle squadre fasciste: 17 giornali e tipografie, 59 case del popolo, 119 camere del lavoro, 107 cooperative, 83 leghe contadine, 8 società mutue, 141 sezioni socialiste o comuniste, 100 circoli di cultura, 10 biblioteche popolari o teatri, 28 sindacati operai, 53 circoli operai ricreativi, un'università popolare[5].
Secondo lo storico Gaetano Salvemini, fra il 1921 e il 1922 i fascisti uccisero in tutto circa tremila persone[6]. Secondo una stima dello storico Adrian Lyttelton, circa cinquecento o seicento furono le vittime della violenza fascista nel solo 1921[7].
Nel 1922 ebbe luogo lo Sciopero legalitario contro le violenze fasciste, subito represso dal governo e dagli squadristi.
Conseguenze
[modifica | modifica wikitesto]L'ondata di violenze culminò nella Marcia su Roma del 28 ottobre 1922, con cui Mussolini e il PNF presero il potere.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]- Biennio rosso
- Formazioni di difesa proletaria
- Sciopero legalitario
- Cronologia della violenza squadrista in Italia 1919-1924
- Squadrismo
- Squadre d'azione
- Marcia su Roma
- Partito Nazionale Fascista
- Fasci italiani di combattimento
- Storia del fascismo italiano
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Giampiero Carocci, Storia del fascismo, Newton Compton, Roma 1994, p. 16.
- ^ G. Candeloro, op. cit., p. 345.
- ^ L'espressione "guerra civile" con riferimento al biennio 1921-22 è attestata in: Gaetano Salvemini, Le origini del fascismo in Italia. Lezioni di Harvard, a cura di Roberto Vivarelli, Milano, Feltrinelli, 1979 (quarta edizione), p. 321: "Circa tremila persone persero la vita per mano fascista durante i due anni di guerra civile"; inoltre in: Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano. I. Da Bordiga a Gramsci, Torino, Einaudi, 1967, p. 172: "Lo svolgimento stesso della guerra civile nel 1921-22 indica quale sproporzione esista sul terreno degli scontri armati tra i comunisti e i fascisti".
- ^ Renzo De Felice, Mussolini il fascista. I. La conquista del potere 1921-1925, Torino, Einaudi, 1966, pp. 22-23: "...fatto ancora più importante per l'influenza che aveva sull'opinione pubblica media - l'avallo che lo squadrismo trovava nella grande stampa d'informazione. Divenute le azioni squadriste un fatto ormai quotidiano, questa stampa ne attribuiva normalmente la responsabilità ai 'rossi', ai 'sovversivi' o si manteneva nel generico, parlando di 'conflitti', senza specificarne la responsabilità. [...] E questo spiega come già a quest'epoca nascesse e andasse prendendo piede la leggenda che se l'Italia era stata salvata dal 'pericolo rosso' ciò era dovuto al fascismo [...]".
- ^ Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna. Volume ottavo. La prima guerra mondiale, il dopoguerra, l'avvento del fascismo, Milano, Feltrinelli, 1996 (sesta edizione), p. 353. Candeloro precisa che "si tratta peraltro di dati certamente incompleti".
- ^ Gaetano Salvemini, Le origini del fascismo in Italia. Lezioni di Harvard, a cura di Roberto Vivarelli, Milano, Feltrinelli, 1979 (quarta edizione), p. 321: "Circa tremila persone persero la vita per mano fascista durante i due anni di guerra civile".
- ^ Adrian Lyttelton, Cause e caratteristiche della violenza fascista: fattori costanti e fattori congiunturali, in: AA. VV, Bologna 1920; le origini del fascismo, a cura di Luciano Casali, Bologna, Cappelli, 1982, p. 39.