Baby, Let Me Follow You Down

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Baby, Let Me Follow You Down è una tradizionale canzone folk, divenuta popolare sul finire degli anni '50 dal chitarrista blues Eric Von Schmidt. Il brano però è meglio conosciuto perché apparso sull'album d'esordio di Bob Dylan omonimo.

Origini della canzone[modifica | modifica wikitesto]

La prima registrazione del brano musicale avvenne nel gennaio 1935 con il titolo di Don't Tear My Clothes, ad opera degli State Street Boys, un gruppo che includeva Big Bill Broonzy e Jazz Gillum.[1] Da lì in poi si susseguono diverse versioni, come quella del giugno 1936 di Washboard Sam[2] e l'interpretazione nel maggio 1937 degli Harlem Hamfats con di il titolo di Baby Don't You Tear My Clothes.[3] Let Your Linen Hang Low di Rosetta Howard con gli Harlem Hamfats è dell'ottobre 1937[4], mentre Mama Let Me Lay It On You, eseguita da Blind Boy Fuller, esce nell'aprile dell'anno dopo.[5]

Il brano venne adattato da Eric Von Schmidt, un chitarrista blues e cantautore del ritorno in auge del genere folk sul finire degli anni '50. Von Schmidt era un volto ben conosciuto nella scena folk della costa Est e questo lo rese popolare anche a tutto il resto degli Stati Uniti. A detta della sua biografia, anch'essa intitolata Baby, Let Me Follow You Down, Eric era venuto a conoscenza per la prima volta della canzone dopo aver ascoltato l'incisione di Blind Boy Fuller. Von Schmidt accredita al Reverendo Gary Davis alla stesura di "tre quarti" della sua versione musicale [6] (la melodia infatti è molto simile a Please Baby di Davis). L'interpretazione di Van Ronk divenne un modello musicale imprescindibile nei coffee house del Greenwich Village agli inizi degli anni '60. La canzone venne ripresa dall'emergente cantante folk Bob Dylan che la rese celebre, includendola nel suo album omonimo d'esordio, prodotto dalla Columbia.

Baby Let Me Take You Home dei The Animals (1964) è considerata un adattamento di Baby, Let Me Follow You Down.

Lightnin' Hopkins incise Baby Don't You Tear My Clothes usando la stessa melodia del brano. Questa versione venne registrata a Houston e pubblicata pure nella raccolta The Very Best of Lightnin' Hopkins.

La versione di Dylan[modifica | modifica wikitesto]

Baby, Let Me Follow You Down
ArtistaBob Dylan
Autore/iBob Dylan
GenereFolk
Pubblicazione originale
IncisioneBob Dylan
Data1962
EtichettaColumbia/Capitol
Durata2 min : 37 s

Il brano divenne molto popolare grazie all'interpretazione di Bob Dylan, tanto da divenire inclusa regolarmente nelle scalette concertistiche del cantautore. Durante il World Tour del 1966, Dylan elettrizzò il suono della canzone, eseguendola con la chitarra elettrica e accompagnandosi con un gruppo rock di cinque membri. Un decennio dopo eseguì Baby, Let Me Follow You Down in un medley con Forever Young nel concerto dell'Ultimo valzer con The Band.

Versi aggiuntivi[modifica | modifica wikitesto]

Una prima versione della canzone prevedeva due versi e il ritornello principale. Bob Dylan aggiunse un ulteriore verso al brano, il quale regolarmente appare. Va ricordato che la canzone fu più volte soggetta a modifiche e cambiamenti in più di mezzo secolo.

Album contenenti la versione di Dylan[modifica | modifica wikitesto]

Altre incisioni[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Dixon, Robert M.W., John Godrich and Howard Rye. "Blues & Gospel Records 1890-1943," 4th ed., page 861 (1997) - ISBN 978-0-19-816239-1
  2. ^ Dixon, Robert M.W., John Godrich and Howard Rye. "Blues & Gospel Records 1890-1943," 4th ed., page 984 (1997) - ISBN 978-0-19-816239-1
  3. ^ Dixon, Robert M.W., John Godrich and Howard Rye. "Blues & Gospel Records 1890-1943," 4th ed., page 352 (1997) - ISBN 978-0-19-816239-1
  4. ^ Dixon, Robert M.W., John Godrich and Howard Rye. "Blues & Gospel Records 1890-1943," 4th ed., page 407 (1997) - ISBN 978-0-19-816239-1
  5. ^ Dixon, Robert M.W., John Godrich and Howard Rye. "Blues & Gospel Records 1890-1943," 4th ed., page 279 (1997) - ISBN 978-0-19-816239-1
  6. ^ von Schmidt, Eric, with John Kruth: Remembering Reverend Gary Davis. Sing Out! 51(4) 67-73 2008.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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