Argo Secondari

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Argo Secondari in divisa da Ardito

Argo Secondari (Roma, 12 settembre 1895Rieti, 17 marzo 1942) è stato un politico, anarchico e antifascista italiano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Quinto di sette figli, nacque a Roma in una famiglia di estrazione borghese. Il padre Giuseppe fu tra i primi omeopati italiani e medico di Giolitti, mentre la madre, Aede Mattoli, discendeva da un'antica famiglia benestante. Giovanissimo si imbarcò come mozzo su una nave diretta in Sudamerica. Esercitò qui anche la professione del pugile ed entrò in contatto con i circoli sovversivi dell'emigrazione italiana. Tornò in Italia per arruolarsi come soldato durante la Prima Guerra Mondiale.

La prima guerra mondiale e la fondazione dell'ANAI[modifica | modifica wikitesto]

Durante la sua esperienza bellica, iniziando da soldato semplice, arrivò al grado di tenente di un battaglione degli arditi e fu decorato con tre medaglie al valore militare[1]. Nel dopoguerra fu tra i fondatori dell'Associazione Nazionale degli Arditi d'Italia (ANAI), militando nella frangia rivoluzionaria dell'associazione. Il 5 luglio 1919 tentò, insieme ad anarchici e repubblicani, di dare inizio ad un'insurrezione popolare che partendo dal Forte Pietralata a Roma, avrebbe dovuto requisire le armi custodite nel forte per espropriare i mercati generali[2]. L'impianto accusatorio[Di che cosa/di chi?] invece sostenne il tentativo di un colpo di Stato che dal Forte Pietralata avrebbe dovuto occupare il Quirinale, il Parlamento ed i ministeri dell'Interno e della Guerra, creando un'assemblea costituente che doveva dare inizio ad una rivoluzione. Il piano fallì a causa della delazione da parte dell'ardito Ernesto Albini alle forze di polizia che stroncarono sul nascere il tentativo insurrezionale, arrestandone i partecipanti. Secondari dopo un primo periodo di latitanza, venne arrestato nel tentativo di fuggire in Svizzera. Fu rilasciato nel marzo del 1920 a seguito dell'amnistia per i reati contro la sicurezza dello Stato.

Nel maggio dello stesso anno, con l'appoggio di Filippo Naldi e Peppino Garibaldi, espulse il direttivo dell'ANAI, in aperta contrapposizione alla corrente anti-bolscevica, rappresentata da Ulisse Igliori e Giuseppe Bottai. Secondari, di stampo rivoluzionario, si distaccò a sua volta da Naldi e Garibaldi, di impronta moderata, nonostante i tre fossero confluiti nella corrente denominata "Commissione Provvisoria della nuova Associazione Arditi d’Italia". Dopo il fallito tentativo di portare gli arditi al fianco degli operai romani durante il biennio rosso, Secondari si dimise da ogni carica direttiva. Questo fatto provocò il disfacimento della sezione romana degli arditi, che riuscì a riorganizzarsi, solo nel giugno dell'anno successivo, grazie alla ripresa generale dell'Associazione Nazionale degli Arditi d'Italia.

Il 22 giugno 1921, insieme al repubblicano Luigi Piccioni ed alla corrente anarco-individualista di Attilio Paolinelli, Argo Secondari convocò un'assemblea generale degli iscritti e dei simpatizzanti, che vide accesi dibattiti tra i sostenitori del fascismo ed antifascisti. Il presidente Umberto Beer, espressione della corrente milanese filofascista, venne posto in minoranza. Si decise inoltre la formazione dell'associazione degli Arditi del Popolo di cui Secondari pubblicò il primo manifesto sulla stampa. In una successiva riunione il 27 giugno 1921 venne eletto il nuovo Direttorio, una triade della quale Secondari era presidente insieme al tenente Ferrari ed al sergente maggiore Pierdominici. Durante l'assemblea venne decisa la creazione di un Battaglione degli Arditi del Popolo, il cui compito era difendere le sedi colpite dalla violenza squadrista. Il Battaglione venne da subito appoggiato dalle Formazioni di difesa proletaria, venutesi a costituire in risposta ai Fasci italiani di combattimento e fu nominato inizialmente Associazione fra gli Arditi del popolo.

«Fino a quando i fascisti continueranno a bruciare le Case del popolo, case sacre ai lavoratori, fino a quando i fascisti assassineranno i fratelli operai, fino a quando continueranno la guerra fratricida gli Arditi d'Italia non potranno con loro aver nulla di comune. Un solco profondo di sangue e di macerie fumanti divide fascisti e Arditi»

Il 2 luglio, nella terza assemblea dell'associazione, gli iscritti prestarono giuramento al Direttorio formato dal solo Secondari in quanto sia Pierdominici sia Ferrari si erano dimessi dopo l'ingiunzione di D'Annunzio sul divieto di aderire a formazioni politiche[3].

La nascita degli Arditi del Popolo[modifica | modifica wikitesto]

La "presentazione" pubblica degli Arditi del Popolo avvenne il 6 luglio 1921. In occasione del raduno antifascista, indetto dal Comitato di difesa proletaria, presso l'Orto Botanico di Roma, Secondari, alla testa degli Arditi, sfilò tra la folla in ovazione, in una marcia alla quale parteciparono circa duemila persone (in massima parte ex combattenti della prima guerra mondiale ed anarchici).

«Ad un tratto scoppia un grande entusiastico applauso con grida di evviva. Sono gli arditi del popolo, militarmente inquadrati al comando di Argo Secondari, che giungono al comizio. È impossibile dire quanti essi siano. Certo superano il migliaio e la loro apparizione produce non poca impressione. Gli arditi del popolo marciano al passo militarmente, agli ordini dei capicenturia. Gli arditi proletari portano a spalla nodosi randelli e vere clave di legno grossolanamente foggiate. Questi arditi sono uomini di tutte le età, vi sono giovani imberbi e vecchi coi capelli bianchi: tutti visi risoluti. I comizianti assistono alla sfilata e alla manovra dei plotoni, plaudendo e acclamando “Viva gli arditi del popolo!”»

Il comizio vide come oratori l’anarchico Varagnoli per il Comitato di difesa proletaria, il comunista D’Amato per la Camera del lavoro confederale, Caramitti per quella sindacalista, Conti per il partito repubblicano, Monici per il PSI, Bombacci per il PCd’I e Forbicini per la Federazione comunista-anarchica.[4] Al termine, mentre la folla si disperdeva ci furono scontri con le forze dell'ordine che portarono ad una decina di feriti, oltre all'affrontamento dei fascisti con gli Arditi del Popolo in serata, vicino Palazzo Venezia[1].

Nei giorni successivi, la questura di Roma annotò la costituzione di svariati battaglioni di Arditi del Popolo nei vari quartieri della città. La neo costituita organizzazione antifascista conobbe in poco tempo un'espansione vertiginosa. Nell'estate del 1921, anno della costituzione, si contavano già 144 sedi in tutta Italia e un totale di 20.000 aderenti.[5]

«Gli Arditi del Popolo conducono un'impari lotta contro le milizie fasciste, ottenendo importanti vittorie e costituendo, persino nei giorni della Marcia su Roma, una trincea che i seguaci di Mussolini non riuscirono a superare neppure con l'aiuto dell'esercito e della polizia.»

La nascita del movimento paramilitare fu salutata con gioia da Lenin sulla Pravda.[6] Nikolai Bucharin invitò vivamente Ruggero Grieco, del Partito comunista d'Italia, a non intralciare la fondazione dell'organizzazione antifascista, anche se questa non era alle dipendenze dirette del Partito comunista d'Italia.[7] All'interno dello stesso partito Antonio Gramsci[8] era favorevole agli Arditi del Popolo, tema che riprese poco prima di essere incarcerato in una delle ultime riunioni del partito, prima dell'instaurazione a tutto campo del regime fascista.

Sventata una prima aggressione da parte degli squadristi in seguito ai fatti di Sarzana[9], Secondari venne riconfermato alla guida degli Arditi del Popolo nel congresso del 24 luglio 1921. Questo congresso mostrò i primi sentimenti contrastanti all'interno dell'organizzazione per quanto riguardava il comportamento da tenere nei confronti dei partiti politici. Mentre Secondari promuoveva l'assoluta autonomia degli Arditi, Giuseppe Mingrino sosteneva la necessità di mantenere legami con i partiti d'avanguardia[1]. In seguito all'uccisione da parte dei fascisti di 10 persone a Roccastrada (spedizione punitiva in risposta ai fatti di Sarzana) ed all'omicidio dell'Ardito Nicola Lolli (nel quadro dell'ondata di indignazione successiva alla spedizione di Roccastrada), Secondari indisse uno sciopero generale nelle giornate del 25-26 luglio 1921, salvo poi revocarlo dopo aver ricevuto pressioni dalle forze dell'ordine[1]. Il ritardo nella diffusione dell'ordine di revoca dello scioperò causò l'arresto di un gruppo di Arditi ternani per possesso di materiale esplosivo[1].

Il 29 luglio, durante la seconda assemblea degli Arditi del Popolo, emersero più evidenti i contrasti tra i dirigenti che criticarono la gestione dello sciopero da parte di Secondari, oltre ad avanzare accuse sulla sua gestione finanziaria dell'associazione. Questo portò alla creazione di un nuovo direttorio, nel quale Mingrino ottenne la direzione politica, Secondari la direzione militare e tecnica mentre al repubblicano Vincenzo Baldazzi vennero affidati compiti di natura amministrativa[1].

Secondari venne di fatto destituito dal direttorio durante il terzo congresso della Lega proletaria Mirov (Mutilati, Invalidi, Reduci, Orfani e Vedove), dove Mingrino elesse a sorpresa un nuovo direttorio, riducendo «di fatto, gli Arditi del Popolo al braccio armato delle organizzazioni proletarie, esautorandone di fatto l'autonomia[1]».

L'agguato e la morte[modifica | modifica wikitesto]

Nei giorni successivi alla Marcia su Roma, più precisamente il 31 ottobre 1922, Secondari fu aggredito da alcuni fascisti armati di mazze che, colpendolo ripetutamente sulla testa, gli provocarono una commozione cerebrale, oltre ad una ferita alla regione parietale destra. Secondari non si riprese più dall'aggressione subita, tanto da doversi trasferire a Camerino con il fratello Biante, su consiglio del deputato Umberto Tupini[9]. Il 20 giugno 1924, come descritto da un'informativa del questore di Roma nel 1931, recava segni di squilibrio mentale per i quali fu ricoverato nell'ospedale psichiatrico di Camerino. Successivamente trasferito nel manicomio di Montefiascone, fu infine internato definitivamente nel manicomio di Rieti. Il fratello Epaminonda, medico cardiologo negli Stati Uniti, tentò invano di farlo espatriare per poterlo curare, ma il regime fascista negò sempre il permesso.

Rimase nel manicomio di Rieti per diciotto anni, fino al 17 marzo 1942, dove morì all'età di quarantasei anni.

Il suo funerale per ordine della questura, che temeva il verificarsi di disordini, si svolse in forma privata. Riposa nel cimitero monumentale di Rieti.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g Claudia Piermarini, I soldati del popolo: Arditi, partigiani e ribelli: dalle occupazioni del biennio 1919-20 alle gesta della Volante Rossa, storia eretica delle rivoluzioni mancate in Italia, Red Star Press, 21 luglio 2016, ISBN 978-88-6718-141-4. URL consultato il 27 marzo 2017.
  2. ^ Marco Rossi, Arditi, non gendarmi! Dalle trincee alle barricate: arditismo di guerra e arditi del popolo (1917-1922), p. 114.
  3. ^ Valerio Gentile, La legione romana degli arditi del popolo, p. 42.
  4. ^ M. Grispigni, Gli Arditi del popolo a Roma. Due aspetti particolari della loro storia, «Storia contemporanea», a. 17, n. 5, ottobre-novembre 1986.
  5. ^ Giovanna Frisoli, Amerigo Sallusti, La "lunga" resistenza operaia contro il fascismo: 1922-1945, p. 48.
  6. ^ "A Roma, ha avuto luogo un comizio per organizzare la lotta contro il fascismo, al quale hanno partecipato 50 mila operai, rappresentanti di tutti i partiti: comunisti, socialisti e anche repubblicani. Vi sono andati 5 mila ex-combattenti in uniforme militare e non un solo fascista si è azzardato a farsi vedere nelle strade" (V.I. Lenin, 'Discorsi alla riunione dei membri delle delegazioni tedesca, polacca, cecoslovacca, ungherese e italiana', vol. XLII, 1968, pp. 306-307)
  7. ^ “[...] Il PCI doveva penetrare subito, energicamente, nel movimento degli Arditi, fare schierare attorno a sé gli operai e in tal modo convertire in simpatizzanti gli elementi piccolo-borghesi, denunciare gli avventurieri ed eliminarli dai posti di direzione, porre elementi di fiducia in testa al movimento. Il partito comunista è il cervello della classe operaia e per il partito non c’è movimento a cui partecipino masse di operai troppo basso e troppo impuro. [...] Per il nostro movimento è sempre più vantaggioso compiere errori con la massa che lontano dalla massa, racchiusi nella cerchia ristretta dei dirigenti di partito, affermare la nostra castità per principio.” R. Grieco, Scritti scelti, vol. I: Roma: Editori riuniti, 1966.
  8. ^ A.Gramsci, Gli arditi del popolo in "L'Ordine Nuovo", 15 luglio 1921
  9. ^ a b Secondari, Argo [collegamento interrotto], su bfscollezionidigitali.org.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • AA.VV. Dietro le barricate, Parma 1922, testi immagini e documenti della mostra (30 aprile - 30 maggio 1983), edizione a cura del Comune e della Provincia di Parma e dell'Istituto storico della Resistenza per la Provincia di Parma
  • AA.VV. Pro Memoria. La città, le barricate, il monumento, scritti in occasione della posa del monumento alle barricate del 1922, edizione a cura del Comune di Parma, Parma, 1997
  • Pino Cacucci, Oltretorrente, Feltrinelli, Milano, 2003
  • Pino Cacucci, Ribelli!, Feltrinelli, Milano, 2001
  • Valerio Gentili, La legione romana degli Arditi del Popolo, Purple Press, Roma, 2009
  • Valerio Gentili, Roma combattente. Castelvecchi. Roma, 2010
  • Valerio Gentili, Bastardi senza storia, Roma, 2011
  • Luigi Di Lembo, Guerra di classe e lotta umana, l'anarchismo in Italia dal Biennio Rosso alla guerra di Spagna (191-1939), edizioni Biblioteca Franco Serantini, Pisa, 2001.
  • Eros Francescangeli, Arditi del popolo - Argo Secondari e la prima organizzazione antifascista (1917-1922), Odradek Edizioni, Roma, 2000
  • Gianni Furlotti, Parma libertaria, edizioni Biblioteca Franco Serantini, Pisa, 2001
  • Marco Rossi, Arditi, non gendarmi! Dall'arditismo di guerra agli Arditi del Popolo, 1917-1922, edizioni Biblioteca Franco Serantini, Pisa, 1997
  • Luigi Balsamini, Gli arditi del popolo. Dalla guerra alla difesa del popolo contro le violenze fasciste, Galzerano Editore, Salerno.
  • Paolo Spriano, Storia del Partito comunista, Einaudi, Torino, 1967-1975 - 5 volumi
  • Renzo Del Carria, Proletari senza rivoluzione - storia delle classi subalterne italiane dal 1860 al 1950, Milano, Edizioni Oriente, 1970 (si veda in particolare, nella I ed. 1966, il XVII Capitolo La giusta linea non seguita: Parma come esempio di vittoriosa resistenza politica-militare al fascismo (1-6 agosto 1922))
  • Michael A. Ledeen, "D'Annunzio", Transaction Publishers, 2002
  • Antonio Carlo Ponti, Argo: una storia italiana, Perugia, Murena, 2013.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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