Utente:Dans/Storia d'Etiopia

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Itinerario del viaggio in Abissinia fatto da Pippo Vigoni nel 1879

La Storia d'Etiopia è la storia dello Stato africano dell'Etiopia, uno dei più antichi stati africani situato nel centro-est dell'Africa.

Anticamente, con Etiopia si individuava un'area del nord-est dell'Africa, confinante a nord con l'Egitto ed a est col Mar Rosso. L'utilizzo di questo termine, tuttavia, è variato considerevolmente durante le varie epoche fino ad arrivare ad indicare l'attuale stato. Con lo sviluppo scientifico della geografia, gli etiopi iniziarono ad essere considerati in maniera meno vaga ed il loro nome fu utilizzato come equivalente dell'Assiria, del Kush ebraico e del Kesh uniti insieme.[1]

Preistoria[modifica | modifica wikitesto]

'Lucy', il famoso Australopithecus afarensis.

Nel 1994 furono scoperti in Etiopia i resti di un Ardipithecus, un antichissimo ominide vissuto oltre 4 milioni di anni fa.[2] Il più conosciuto tra i progenitori dell'uomo di cui si hanno tracce resta tuttavia l'Australopithecus afarensis ribattezzato Lucy di 3,2 milioni di anni fa, rinvenuto nel 1974 nei pressi del villaggio Hadar nella valle dell'Auasc del Triangolo di Afar.[3]

Anche se i più antichi resti di Homo sapiens risalenti a oltre 300 000 anni fa furono scoperti nel 2004 nella zona del Jebel Irhoud in Marocco,[4] l'Etiopia è considerata uno dei primi siti in cui si svilupparono gli esseri umani anatomicamente moderni;[5] ossa umane di un Homo sapiens di 200 000 anni fa furono rinvenute nel 1967 nell'Omo Kibish a sud dell'Etiopia.[6] Nel 1997 furono inoltre ritrovati nella media valle dell'Auasc i resti scheletrici dell'Homo sapiens idaltu risalente a circa 160 000 anni fa, considerato un'estinta sottospecie dell'Homo sapiens o l'antenato più prossimo dell'essere umano anatomicamente moderno.[7] Da questa regione, gli ominidi si sarebbero poi diffusi, occupando le aree del Medio Oriente e oltre.[8][9][10]

Secondo molti linguisti, le prime popolazioni di lingua afro-asiatica arrivarono nella regione durante il Neolitico dalla Urheimat[11] della valle del Nilo[12] oppure dal Vicino Oriente.[13] Altri studiosi suppongono invece che si siano sviluppate nel Corno d'Africa e successivamente si siano sparse in tutto il mondo.[14]

Storia antica[modifica | modifica wikitesto]

La storia antica della regione etiope è legata a quella delle culture del Medio Oriente, come i Sabei e gli Ebrei. Intorno all'VIII secolo a.C. si sviluppò, nei territori corrispondenti alle odierne Eritrea ed Etiopia settentrionale, un regno noto come D'mt, sostituito nel IV secolo a.C. da vari piccoli regni. Nel I secolo a.C. si impose sugli altri il regno di Axum fondato da Menelik I; nel corso del IV secolo d.C., san Frumenzio convertì il re Ezanà al cristianesimo, che divenne la religione di Stato (chiesa ortodossa etiope).[15]

Relazioni con i Sabei e gli Ebrei[modifica | modifica wikitesto]

La storia antica della regione è legata a quella delle culture del Medio Oriente, come i Sabei e gli Ebrei. Ci fu presenza di popolazioni di lingua semitica in Etiopia ed Eritrea almeno dal II millennio a.C.[16] inoltre ci sono elementi della tradizione religiosa etiopica che indicano un antico influsso dell'ebraismo.

L'influenza dell'ebraismo è evidente anche nella tradizione religiosa etiope. Durante il medioevo i testi etiopi della chiesa ortodossa etiope tra cui il Kebra Nagast, fanno riferimento ad antichi rapporti fra Etiopia e Israele. Queste fonti elaborano il racconto biblico dell'incontro fra la Regina di Saba (chiamata Makeda nella tradizione etiope) e Re Salomone collocando il Regno di Saba in Etiopia. Nel Kebra Nagast ("La Gloria dei Re") l'Etiopia viene presentata come la nuova terra dell'Alleanza, fatto simboleggiato dal dono dell'Arca fatto da Salomone a Makeda. Lo stesso Kebra Nagast attribuisce un'origine ebraica alla stirpe reale etiope, indicando come il primo impero etiopico fu fondato da Menelik I, tradizionalmente considerato il figlio primogenito della regina di Saba Makeda e del re d'Israele Salomone.[17]

Regno di Dʿmt[modifica | modifica wikitesto]

Rovine del tempio di Yeha, nel Tigrè

Intorno all'VIII secolo a.C. venne fondato, nei territori delle odierne Eritrea ed Etiopia settentrionale, un regno conosciuto come D'mt. La capitale si trovava nei pressi della città di Yeha, a nord dell'Etiopia. Secondo la maggior parte degli storici moderni, la civiltà era nativa dell'Etiopia, benché influenzata dai Sabei.[18][19] Secondo altri studiosi, invece, il D'mt fu il risultato dell'unione di culture afro-asiatiche con derivazioni sia cuscitiche, per mezzo dei locali Agau, sia semitiche, attraverso i Sabei dell'Arabia meridionale. Ciò nonostante il ge'ez, l'antica lingua semitica dell'Etiopia, dovrebbe essersi sviluppato in modo indipendente dal sabeo, poiché già intorno al 2000 a.C. il semitico era parlato in Etiopia e in Eritrea, dove il ge'ez si sviluppò.[20][21] L'influenza sabea potrebbe quindi essere stata minore, limitata a pochi luoghi, e forse scomparve dopo alcuni decenni o al massimo un secolo; potrebbe in particolare essere derivata da scambi commerciali o alleanze militari con la civiltà etiopica di D'mt o di qualche altro Stato proto-axumita.[18][19]

Al tardo Regno Dʿmt si riconducono le rovine del tempio di pietra di Yeha (VI o V secolo a.C.). Questo tempio, come altri reperti dello stesso periodo (per esempio gli altari di pietra delle isole-monastero del lago Tana) indicano un forte influsso della cultura ebraica. È stato ipotizzato che in un periodo di tempo compreso fra l'VIII e il V secolo a.C. coloni ebrei siano arrivati in Etiopia attraverso l'Egitto, il Sudan e l'Arabia meridionale.[senza fonte]

Regno di Axum[modifica | modifica wikitesto]

Monete axumite del re Endubis, 227-35, conservate al British Museum con le iscrizioni in lingua greca antica "AΧWMITW BACIΛEYC" ("Re di Axum") e "ΕΝΔΥΒΙC ΒΑCΙΛΕΥC" ( "Re Endubis").[22]
La Stele del Re Ezana, ad Axum.
Il monastero axumita di Debre Damo (V o VI secolo)
Lo stesso argomento in dettaglio: Regno di Axum.

Nel IV secolo a.C., dopo la caduta della civiltà dei D'mt, l'altopiano etiope fu dominato da vari piccoli regni. Nel I secolo d.C. il Regno di Axum emerse nelle odierne Etiopia del nord ed Eritrea. Secondo il Libro di Axum, la prima capitale del regno fu Mazabe, costruita dagli Etiopi, figli di Cush.[23] Il regno poi estese il suo dominio sull'altra sponda del Mar Rosso, nell'odierno Yemen.[24]

Nel III secolo il profeta e religioso persiano Mani menzionò il regno di Axum tra le quattro grandi potenze dell'epoca, insieme all'Impero romano, all'Impero persiano e all'Impero cinese.[25] Il regno ebbe il suo momento di massima espansione nel IV secolo, quando giunse a controllare Etiopia, Eritrea, Sudan settentrionale, Egitto meridionale, Gibuti, Somalia occidentale, Yemen e Arabia Saudita meridionale, per un totale di 1,25 milioni di km². In questo periodo il regno di Axum giunse a confinare con l'Impero Romano, che controllava l'Egitto settentrionale.

Intorno al 316, Frumenzio e suo fratello Edesio da Tiro accompagnarono lo zio in Etiopia. Quando la nave attraccò nel porto axumita del Mar Rosso, i nativi uccisero tutti i viaggiatori a eccezione dei due fratelli, che furono poi condotti a corte come schiavi. I fratelli riuscirono a ottenere incarichi di fiducia da parte del re Ezanà e convertirono i membri della corte reale al cristianesimo. Frumenzio divenne il primo vescovo di Axum,[26] Una moneta datata 324 d.C. indica che l'Etiopia fu il secondo paese dopo l'Armenia ad adottare ufficialmente il cristianesimo, anche se la religione cristiana potrebbe essere stata, in un primo momento, limitata agli ambienti di corte.

La chiesa cristiana axumita di Bet Giorgis a Lalibela.

Quando il regno di Axum cadde in declino, il sultanato di Scioà fu fondato nella regione omonima al centro dell'odierna Etiopia; lo Stato fu governato dalla dinastia Makhzumi fino all'incirca al 1280, quando subentrò la dinastia Walashma.[27]

Modello di tessuto di tenda in lana egizia, o di pantaloni: copia di seta sasanide importata, a sua volta basata su un affresco del re persiano Cosroe II che combatte le forze etiopi in Yemen (VI secolo).

Alla fine del VI secolo la guerra etiopico-persiana contrappose l'Impero sasanide persiano all'Impero di Axum etiope per il controllo e lo sfruttamento dell'regno di Himyar (Arabia meridionale). Dopo la battaglia di Hadramawt e l'assedio di Ṣanʿāʾ nel 570, gli Etiopi furono espulsi dalla Penisola araba. Essi riuscirono peraltro a ristabilire la loro presenza e il loro potere in quelle stesse regioni nel 575 o 578, quando un nuovo esercito persiano[28] invase il regno Himyarita e ristabilì sul trono il deposto sovrano, in posizione tuttavia di vassallo di Ctesifonte. Il fatto mise per sempre fine alla presenza politica etiope in Arabia. Dopo il VI secolo il regno di Axum iniziò a declinare, cessando nel VII secolo di battere moneta.

Il primo contatto che il profeta islamico Maometto ebbe con l'Etiopia avvenne col re di Axum Aṣḥama ibn Abjar, che nel 614 diede rifugio a numerosi musulmani perseguitati.[29][30] Secondo lo storico Taddesse Tamrat, la tomba di Ashamat al-Negashi si troverebbe a Ugorò.[31][32] Il secondo contatto di Maometto con l'Etiopia avvenne durante la spedizione di Zayd ibn Haritha, quando il profeta inviò al Negus Aṣḥama d'Axum il Compagno Amr bin Umayyah al-Damri con una lettera,[33] invitandolo a seguire il suo messaggio e credere in Allah.[34]

Medioevo etiope[modifica | modifica wikitesto]

Presumibilmente intorno al 970 ebbe inizio un periodo considerato da vari studiosi come "Medioevo etiope",[15] quando la regina Gudit (anche Yodit o Mishkinzana VII), ebrea o forse solo pagana, invase il regno di Axum e distrusse tutti i luoghi di culto cristiani;[35] benché le notizie certe siano molto scarse, secondo la tradizione etiopica Gudit governò sulla regione per 40 anni prima di trasmettere la corona ai suoi discendenti.[15][35]

Nei secoli successivi emerse una nuova dinastia reale axumita, la dinastia Zaguè, che non riuscì comunque a riportare il regno ai fasti del millennio precedente. Il periodo fra l'anno 1000 e il XIII secolo fu un periodo oscuro della storia dell'Etiopia, il cosiddetto "Medioevo etiope",[15]

Dinastia Zaguè[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Dinastia Zaguè.

L'ultimo dei successori della regina Gudit fu rovesciato da Mara Teclè Haimanòt, che nel 1137 fondò la dinastia Zaguè di etnia agau e sposò una figlia dell'ultimo re di Axum, Dil Na'od, per affermare la sua legittimità alla successione.[15] La capitale era Adafa, non lontano dalla moderna Lalibela nelle montagne Lasta.[36] Gli Zaguè ripristinarono come religione di Stato il cristianesimo, riprendendo così le tradizioni axumite.[37] A loro si deve la costruzione delle chiese nella roccia, inclusa la Chiesa di San Giorgio a Lalibela.

Il periodo Zaguè è ancora avvolto nel mistero e anche il numero dei re di questa dinastia è contestato. Alcune fonti (come la Cronaca di Parigi, e i manoscritti di Bruce 88, 91 e 93) danno i nomi di undici re che avrebbero governato per 354 anni, altre (tra cui il libro di Pedro Páez e di Manuel de Almeida) elencano soltanto cinque re che avrebbero regnato per 143 anni.[38] Paul B. Henze riferisce l'esistenza di almeno una lista che contiene 16 nomi[39].

Secondo David Buxton l'area sotto il dominio diretto dei re Zaguè "probabilmente abbracciava gli altipiani della moderna Eritrea e di tutta la provincia Tigrai, che si estendeva verso sud a Uàg, Lasta e la (provincia di Uollo) e verso ovest, verso il Lago Tana (Beghemeder)."[40]

La fine della dinastia Zaguè avvenne quando Yekuno Amlak, che si proclamò discendente ed erede legittimo di Dil Na'od e di agire sotto la guida di san Tekle Haymanot o san Iyasus Mo'a, perseguitò l'ultimo re Zaguè (noto come Za-Ilmaknun, probabilmente Yetbarak.) e lo uccise presso la chiesa di San Qirqos a Gaynt, sul lato nord del fiume Bashiloe.[41]

L'Impero d'Etiopia (1270-1975)[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Impero d'Etiopia.

Ascesa della dinastia Salomonide[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Dinastia Salomonide.

Intorno al 1270,[36] Yekuno Amlak depose l'ultimo re della dinastia Zagwe, fondò un nuovo regno e una nuova dinastia. Questa nuova linea dinastica, nota come dinastia salomonica, rivendicava la discendenza diretta dal biblico Re Salomone.[42] Il nuovo stato, noto come "Impero Etiope", controllava un territorio che comprendeva le regioni di Tigrè, Amhara e Shewa.

Gli imperatori adottarono il titolo di negus o negus neghesti (letteralmente "re dei re"). L'impero d'Etiopia si concluse solo nel 1974, quando un colpo di stato portò al potere una giunta militare (Derg) capeggiata dal dittatore Mengistu Haile Mariam che depose l'ultimo imperatore Haile Selassie. La monarchia venne abolita ufficialmente l'anno successivo, il 12 marzo del 1975, anche se l'ultimo imperatore (privo di poteri ed esiliato nel 1989) morì nel 1997.

Alleanza con i portoghesi e guerra di Adal[modifica | modifica wikitesto]

A partire dal XV secolo ebbero inizio i primi contatti tra gli imperatori etiopi e i regnanti europei,[43] ma solo nel secolo successivo si stabilirono i primi accordi continuativi tra l'Impero d'Etiopia e il Regno del Portogallo.[44]

Nei primi anni del XV secolo, l'Etiopia, per la prima volta dall'era axumita, cercò di stringere degli accordi diplomatici con i regni europei, come dimostrato da una lettera inviata dal re Enrico IV d'Inghilterra all'Imperatore dell'Abissinia.[45] Nel 1428, l'imperatore Yeshaq I inviò degli emissari ad Alfonso V d'Aragona, che, a sua volta, inviò emissari di ritorno.[46]

Tuttavia, i primi rapporti continuativi con un paese europeo si verificarono a partire dal 1508, quando l'imperatore Davide II, dopo aver ereditato il trono dal padre, strinse vari accordi col Regno del Portogallo.[47][48] Ciò consentì all'imperatore di difendersi dagli attacchi da parte del generale e imam Ahmad ibn Ibrahim al-Ghazi[49] del Sultanato di Adal: il Portogallo inviò all'imperatore etiope quattrocento uomini armati, aiutando così Claudio, figlio di Davide II, a sconfiggere Ahmad e a ristabilire il suo dominio.[50] Questa guerra tra l'Abissinia e l'Adal fu una delle prime nella regione in cui parteciparono l'Impero ottomano e il Regno del Portogallo.

Verso la fine del XV secolo, l'esploratore portoghese Pero da Covilhã giunse in Etiopia mentre era in missione per consegnare una lettera al Prete Gianni, il sovrano di un leggendario regno cristiano dell'estremo oriente (un mito molto diffuso nell'Europa medioevale). Covilhã fu accolto alla corte del negus e ritenne di aver raggiunto il proprio obiettivo. Il negus ricevette quindi la lettera indirizzata al Prete Giovanni e a sua volta inviò una missiva al re del Portogallo, chiedendogli sostegno nello scontro con i musulmani. Nel 1520 una flotta portoghese entrò nel Mar Rosso, rimanendovi circa 6 anni. Uno dei membri di questa ambasciata era Francisco Álvares, che scrisse un importante resoconto sull'Etiopia dell'epoca.[senza fonte]

L'imperatore Davide II

I portoghesi aiutarono l'imperatore Davide II e il suo successore Claudio a contrastare l'invasione del Paese da parte del generale Ahmad ibn Ibrihim al-Ghazi del Sultanato di Adal.[51] Fra il 1528 e il 1540 l'imam Ahmad ibn Ibrihim al-Ghazi invase il sultanato di Adal (una delle regioni musulmane dell'impero etiope) e da lì scatenò i propri eserciti contro l'Etiopia, dichiarando la guerra santa. I portoghesi inviarono una flotta in aiuto al negus.[52] In un primo momento, i moschettieri portoghesi sembrarono poter decidere le sorti della guerra in favore dell'Etiopia. Tuttavia, nell'agosto del 1542, subirono una pesante sconfitta a Wofla. Nel 21 febbraio 1543 i musulmani furono a loro volta fortemente sconfitti nella battaglia di Wayna Daga, in cui perse la vita lo stesso Ahmad. Una volta sconfitti i musulmani, i portoghesi chiesero che il negus di Etiopia si sottomettesse ufficialmente alla Chiesa di Roma, ma il sovrano etiope si rifiutò.

Rapporto con i gesuiti[modifica | modifica wikitesto]

Re Susenyos I riceve il patriarca latino Alfonso Mendez
Il Fasil Ghebbi dell'imperatore Fāsiladas a Gondar.

In seguito ai contatti fra l'Etiopia e i portoghesi, i gesuiti entrarono nel paese, stabilendosi a Fremona. Nel primo periodo della loro permanenza non erano visti di buon occhio dalle autorità etiopi. Nel XVII secolo, il gesuita Pedro Páez riuscì a entrare nelle grazie dell'imperatore. In questo periodo i Gesuiti fecero costruire chiese ma anche ponti e altre opere di pubblica utilità.

La conversione al cattolicesimo dell'imperatore Susenyos, avvenuta nel 1624, fu la causa di rivolte e disordini civili che causarono migliaia di morti.[53] I missionari gesuiti guidati da Alfonso Mendez avevano offeso la fede ortodossa degli etiopi, così, il 25 giugno del 1632, l'imperatore Fasilides, figlio di Susenyos, dichiarò il cristianesimo ortodosso religione di Stato in Etiopia, espellendo così i missionari gesuiti e gli altri europei.[54]

Sultanato di Aussa[modifica | modifica wikitesto]

La bandiera del Sultanato di Aussa.
Lo stesso argomento in dettaglio: Sultanato di Aussa.

L'Imamato di Aussa (Sultanato degli Afar) nella zona nord-est dell'odierna Etiopia, nacque nel 1577, in seguito alla scissione del Sultanato di Adal nell'Imamato di Aussa, guidato da Muhammad Jasae, e nel Sultanato di Harar. Nel 1672 l'imamato perse gradualmente la sua influenza in seguito all'ascesa al trono dell'imam Umar Din bin Adam,[55][56] ma intorno al 1734 fu ristabilito come sultanato dal re Kedafu della dinastia dei Mudaito.[57][56] Il simbolo principale del Sultano era rappresentato da uno scettro in argento.[58][59]

L'era dei principi[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Zemene Mesafint.

Tra la metà del XVIII secolo[60] e il 1855, l'Etiopia visse un periodo di isolamento denominato Zemene Mesafint o "Era dei Principi", durante il quale il Paese, suddiviso in molteplici feudi indipendenti tra loro, fu interessato da guerre per la supremazia tra i potenti ras locali; i numerosi imperatori che si succedettero, tutti di etnia oromo, avevano un potere limitato e dominavano solo la zona intorno alla capitale Gondar. Il secolo fu caratterizzato da un ristagno nello sviluppo sociale e culturale dell'impero, che fu attraversato da conflitti religiosi sia all'interno della Chiesa ortodossa etiope sia tra la Chiesa stessa e i musulmani.[61]

Tra il 1755 e il 1855, l'Etiopia visse un periodo di isolamento denominato Zemene Mesafint o "Era dei Principi". Gli imperatori divennero mere figure di facciata, controllate inizialmente dai capi militari del Tigrè ras Mikael Sehul e ras Wolde Selassie e successivamente dalla dinastia oromo dei Yejju, tra i quali ras Gugsa di Yejju del Begemder, che introdusse come lingua di corte l'oromonico.[62][63]

L'imperatore Giovanni IV.

La riunificazione e lo scontro con il colonialismo britannico e italiano[modifica | modifica wikitesto]

L'Era dei Principi terminò nel 1855, con la presa del potere dell'imperatore Teodoro II, che, dopo aver accorpato i numerosi feudi in cui era suddiviso l'Impero centralizzando in tal modo il potere, iniziò l'opera di modernizzazione dell'Etiopia. Tuttavia l'impero fu attaccato in numerose occasioni, da parte sia delle milizie oromo, sia dei ribelli tigrè, sia dell'Impero Ottomano e delle forze egiziane nei pressi del Mar Rosso. Nel 1868, in seguito alla detenzione di alcuni missionari e rappresentanti del governo britannico, la Gran Bretagna lanciò una vittoriosa spedizione punitiva in Etiopia, al cui termine l'Imperatore si suicidò.[64] Gli successe Teclè Ghiorghìs II, durante il cui regno l'apertura del canale di Suez diede avvio alla colonizzazione dell'Africa da parte dei Paesi europei. Nel 1871 Teclè Ghiorghìs II fu sconfitto nelle battaglie di Zulawu e Adua dal deggiasmac Cassa, che fu proclamato imperatore d'Etiopia col nome di Giovanni IV il 21 gennaio 1872.[65]

Nel 1875 e nel 1876 le forze egiziane, accompagnate da ufficiali europei e americani, invasero due volte l'Abissinia, ma furono sconfitte dall'esercito etiope inizialmente nella battaglia di Gundet, dove morirono 800 soldati, e definitivamente il 7 marzo 1875 nella battaglia di Gurail, perdendo almeno 3 000 uomini, tra uccisi o catturati.[66] Nel 1885 l'Etiopia affrontò il Sudan nella Guerra mahdista, in alleanza con le forze britanniche, turche ed egiziane; il 10 marzo 1889, durante la battaglia di Gallabat, Giovanni IV fu ucciso dall'esercito sudanese di Khalifah Abdullah, che, seppur vittorioso, dovette sospendere l'offensiva per le gravi perdite.

Nel 1870 la compagnia italiana Rubattino firmò un Contratto di acquisto della Baia di Assab, in Eritrea, con il sultano locale. [67] Nel 1882 lo Stato italiano acquistò dalla Rubattino la baia di Assab, che costituì la base per le successive conquiste coloniali nelle regioni costiere dell'Eritrea. Iniziava così la penetrazione coloniale italiana nell'area e i primi scontri con l'Impero d'Etiopia, fino alla conquista dell'Eritrea nel 1888.

Menelik II e la dinastia Salomonide[modifica | modifica wikitesto]

L'imperatore Menelik II
L'Impero d'Etiopia

     nel 1875

     nel 1900

Menelik II, già sovrano della regione di Scioà, divenne imperatore d'Etiopia nel 1889 succedendo all'imperatore Giovanni IV unificando il suddetto regno di Scioà, i territori degli Oromo, il Tigrè e l'Amara. Menelik II, che fu imperatore fino alla morte nel 1913, riportò al potere la dinastia Salomonide e unificò l'Etiopia nei suoi confini attuali sottomettendo gli Amara e gli Oromo.

Durante il suo regno, Menelik II realizzò molte innovazioni: costruì strade, distribuì l'elettricità, diffuse l'istruzione, sviluppò un sistema di tassazione centrale e fondò la città di Addis Abeba, che nel 1881 divenne la capitale della provincia di Scioà e nel 1889, dopo la salita al potere dell'Imperatore, la nuova capitale dell'Etiopia. Dal 1888 al 1892 l'Etiopia subì una grande carestia.[68][69]

I rapporti tra il Regno d'Italia e l'Impero d'Etiopia furono regolati nel maggio 1889 con la stipula del trattato di Uccialli, che prevedeva anche il riconoscimento da parte di Menelik II delle acquisizioni italiane in Eritrea. Tuttavia, le clausole del trattato (scritto in italiano e in amarico), riguardanti il vincolo del governo etiope di servirsi della diplomazia italiana per intrattenere rapporti con le altre nazioni europee, furono redatte in due versioni non esattamente corrispondenti tra le due lingue. Menelik II pretese quindi una revisione del trattato prima dei tempi stabiliti, ma il governo italiano rifiutò. Ne scaturirono accesi contrasti, che peggiorarono fino allo scoppio nel 1895 della guerra d'Abissinia.[70] Il conflitto si concluse l'anno seguente con la pesante sconfitta italiana nella battaglia di Adua e la conseguente stipula il 26 ottobre del 1896 del trattato di Addis Abeba, che abrogò il precedente trattato di Uccialli e sancì le nuove relazioni fra i due Paesi: l'Italia riconobbe la piena sovranità etiopica, il confine lungo la linea Mareb-Belesa-Muna rimase inalterato, i prigionieri italiani furono restituiti in cambio del pagamento delle spese per il loro sostentamento e furono avviate nuove trattative commerciali.[71].

Alla morte di Menelik II il regno passò nelle mani del nipote Iasù V, che fu deposto nel corso di una rivolta, e poi in quelle dell'imperatrice Zauditù che divise conflittualmente il potere con l'erede designato, ras Tafarì Maconnèn, che nel 1930 salì al potere con il nome di Hailé Selassié, in seguito all'improvvisa morte dell'imperatrice; fu proprio Hailé Selassié il principale artefice dell'ingresso dell'Etiopia come primo stato africano nella Società delle Nazioni nel 1923.

In seguito alla morte di Menelik II divenne reggente d'Etiopia il nipote Ligg Iasù,[72] ma non fu mai incoronato e, a causa delle sue simpatie musulmane, fu detronizzato tre anni dopo, in seguito al suo tentativo di spostare la capitale nella regione di Harar, a maggioranza islamica.[73]

Fu quindi nominata imperatrice nel 1916 la zia Zauditù, figlia di Menelik II, che fu fin da subito affiancata nel governo dal cugino ras Tafarì Maconnèn,[74] in qualità di enderassié (ossia reggente e vicario imperiale).[73][75] Tafarì intraprese una campagna di modernizzazione del Paese già nei primi anni di reggenza e nel 1923 ottenne l'ingresso del Paese nella Società delle Nazioni.[76] Il 2 novembre 1930, in seguito all'improvvisa morte di Zauditù, Tafarì fu nominato imperatore d'Etiopia col nome di Hailé Selassié ("Forza della Trinità").[77]

La conquista italiana[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Africa Orientale Italiana.
Mappa dell'Africa Orientale Italiana nel 1936.

L'attacco italiano sferrato senza dichiarazione di guerra ebbe il via il 3 ottobre 1935. Fu condannato dalla Società delle Nazioni e fu condotto anche con l'utilizzo di armi proibite dalle convenzioni come l'iprite. Gli italiani riuscirono a sconfiggere la resistenza degli etiopi ed a spingersi fino alla capitale Addis Abeba, nella quale entrano il 5 maggio 1936. L'Etiopia fu così annessa all'Africa Orientale Italiana.

In seguito ad un attentato al Maresciallo Graziani, nel 1937 venne compiuta una rappresaglia sulla popolazione civile che costò agli etiopi molti morti: 3.000 secondo le stime britanniche, 30.000 secondo le fonti etiopi.[senza fonte] Gli accertamenti italiani successivi riportarono il computo dei morti etiopici a più di 300[78].

Numerose furono le opere pubbliche che coinvolsero le città dell'Africa Orientale Italiana fino alla caduta di quest'ultima nel 1941. Basti ricordare il monumentale Piano regolatore di Addis Abeba del 1938 che a lavori inoltrati fu interrotto allo scoppio del conflitto.

Le leggi del Regno d'Italia furono applicate in tutto l'Impero per quanto riguarda la schiavitù che fu abolita.[79] Questo processo richiese misure transitorie dato l'alto numero di schiavi presenti, stimati in 9 milioni, ma le amministrazioni locali furono efficienti e si possono ricordare De Bono in Tigré o Tomellini in Agarò[80]. Normalmente, gli schiavi liberati ritornarono dai loro ex-padroni i quali tuttavia non ebbero più la proprietà dell'individuo, il diritto alle punizioni corporali e dovettero erogare un salario minimo in cambio del lavoro svolto.

Il secondo regno di Hailé Selassié[modifica | modifica wikitesto]

L'imperatore Hailé Selassié nel 1969

Dopo la dissoluzione dell'impero coloniale italiano e la liberazione dell'Etiopia da parte degli inglesi, nel 1941, Hailé Selassié ridivenne imperatore ricominciando la sua opera di riforma sopprimendo il potere dell'aristocrazia terriera, riformando l'esercito e promulgando la prima Costituzione nel 1955. Simbolo anticolonialista, icona e "messia" della corrente politico-religiosa nota come Rastafarianesimo, Haile Selassie I scompare in circostanze non chiarite nel 1975 dopo la sua deposizione da parte della dittatura militare del Derg che mise sostanzialmente fine alla lunga fase imperiale. Formalmente ebbe un successore, Amha Selassie I, che rimase imperatore pur senza alcun potere fino alla sua morte (nel 1997) e che ciò nonostante fu condannato all'esilio nel 1989.

Il regime del DERG di Mengistu[modifica | modifica wikitesto]

I capi del Derg; Mengistu Haile Mariam, Aman Mikael Andom and Atnafu Abate.
Lo stesso argomento in dettaglio: Derg e Terrore rosso (Etiopia).

Il 12 settembre del 1974 un colpo di Stato compiuto da un gruppo di ufficiali dell'esercito etiope segnò l'inizio della guerra civile. Il Derg detronizzò Hailé Selassié e lo rinchiuse nel palazzo di Menelik II;[81] inizialmente incoronò al suo posto il figlio Amhà Selassié, ma il 12 marzo del 1975 proclamò la fine del regime imperiale[82] e la nascita di uno Stato comunista. Hailé Selassié morì il 27 agosto di quell'anno, probabilmente soffocato con un cuscino.[83]

Nel 1977, nella lotta interna tra le diverse fazioni del Derg, prevalse quella più radicale guidata dal maggiore Menghistu Hailè Mariàm, che instaurò per alcuni anni il cosiddetto regime del Terrore Rosso.[84] Nel 1987 il paese prese il nome di Repubblica Popolare Democratica d'Etiopia e la dittatura fu sostituita dal regime monopartitico del Partito dei Lavoratori d'Etiopia. Con la fine del comunismo in Europa orientale in seguito alle rivoluzioni del 1989, il Negus Rosso perse l'appoggio dell'URSS e nel 1991 fuggì in Zimbabwe,[85] travolto dal Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope, che assunse il potere nella nuova Repubblica Federale Democratica d'Etiopia.[86]

L'anno seguente furono rinvenuti, sepolti sotto una latrina del palazzo di Menelik II, i resti di Hailé Selassié, che furono recuperati e nel 2000 traslati solennemente nella cattedrale della Santissima Trinità di Addis Abeba, nella cui cripta si trovavano già le spoglie di Amhà Selassié.[87]

La nascita della repubblica e la guerra con l'Eritrea[modifica | modifica wikitesto]

Meles Zenawi, leader etiope dal 1991 al 2012
Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra Etiopia-Eritrea e Guerra di indipendenza eritrea.

Nel biennio 1984-1985 il paese venne colpito da una carestia di vastissime proporzioni che portò alla morte di un milione di persone. Nel 1991, stremato da golpe sanguinosi, rivolte, siccità su larga scala e dal problema dei rifugiati politici, il regime di Mengistu Haile Mariam venne scalzato ufficialmente da una coalizione di forze ribelli, il FRDPE.

Meles Zenawi, leader del Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè, restò a capo di un governo di transizione dal 1991 al 1995, quando si tennero le prime elezioni multipartitiche della nuova Repubblica Federale Democratica d'Etiopia, dopo le quali venne nominato primo ministro. Zenawi fu riconfermato alle elezioni del 2000, elezioni del 2005 e elezioni del 2010. Alla sua morte improvvisa nel 2012 venne sostituito al potere da Hailemariam Desalegn, confermato alla elezioni del 2015.

Tra il 1998 ed il 2000 l'Etiopia fu impegnata in un conflitto militare con l'Eritrea, terminato con l'Accordo di Algeri. L'Etiopia post-DERG resta un regime autoritario, in cui un federalismo de jure si contrappone ad un pesante centralismo e repressione militare delle richieste autonomiste delle province, in particolare del popolo oromo, la cui ultima rivolta nel 2016 è stata repressa nel sangue.[88][89]

Note[modifica | modifica wikitesto]

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  78. ^ Beppe Pegolotti, L'attentato a Graziani, articolo su Storia illustrata, 1971 pag 100 testimonia Beppe Pegolotti, presente agli avvenimenti che "c'è da dire che ci fu molta esagerazione da parte dei corrispondenti esteri, circa il numero degli uccisi, che fu fatto ascendere addirittura a tremila. L'eccidio fu pesante. Ma gli accertamenti stabilirono il numero in circa trecento. Si ebbero, purtroppo, diversi casi di esecuzione sommaria, ai quali tuttavia le truppe rimasero estranee. I cadaveri furono lasciati per tre giorni sui margini delle strade, nei prati antistanti i "tucul". Il mercato indigeno fu distrutto dalle fiamme, incendiati furono anche certi gruppi di "tucul" dove erano stati trovati fucili e munizioni."
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Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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